GRIMOALDO, re dei Longobardi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GRIMOALDO, re dei Longobardi

Andrea Bedina

La prima testimonianza relativa a G. è contenuta nella più ricca fonte su di lui, l'Historia Langobardorum di Paolo Diacono (l. IV, cap. 37). L'episodio descritto, altamente drammatico, è riferibile agli inizi del secondo decennio del secolo VII e si inscrive in un più ampio quadro di gravissima crisi del potere ducale in area friulana. Una violenta incursione avarica aveva scompaginato le difese longobarde nel Nordest della penisola italica provocando rapidamente la caduta di non pochi centri fortificati e la morte, in battaglia, del "Foroiulanus dux" Gisulfo (II). Il duca lasciava vedova Romilda e orfani otto figli, di cui quattro maschi: Taso, Cacco, Radoaldo e G., e quattro femmine, delle quali solo di due, grazie alla narrazione paolina, conosciamo il nome: Appa e Gaila (ibid.).

Nei concitati momenti della fuga dinnanzi alla vigorosa avanzata degli Avari, ai figli di Gisulfo toccarono fortune differenti. G., "utpote parvulum" (ibid.), correva il pericolo di essere preso dal nemico e condotto in schiavitù. Paolo Diacono ne descrive la cattura e la momentanea prigionia soffermandosi sia sull'aspetto fisico del fanciullo - che nei canoni della letteratura encomiastica ci appare di bello e nobile aspetto (ibid.) -, sia sul suo cocente rammarico per una sorte tanto avversa e indegna della sua condizione. La situazione, tuttavia, mutava repentinamente: G. riusciva infatti a cogliere di sorpresa il cavaliere avaro che intendeva condurlo prigioniero e a ferirlo; si liberò e raggiunse i suoi fratelli che, maggiori di lui, erano già sfuggiti alla cattura.

Occorre almeno accennare qui all'evidente nesso tra le avventurose, eroiche vicende del piccolo G., così come ce le ha trasmesse lo scritto paolino, e le analoghe peripezie - similmente descritte nell'Historia Langobardorum, nel medesimo libro IV, cap. 37 - del piccolo Lopichis, antenato di Paolo Diacono. L'intreccio della trasmissione orale dell'episodio legato a ricordi familiari dello storico longobardo e di quella connessa alle più generali ed epiche del suo popolo è evidente, ed è stato ampiamente sottolineato da storici e filologi. Altro nesso possibile, nella memoria storica longobarda, è quello tra l'avventurosa infanzia di G. e quella del piccolo Lamissio - del lignaggio dei Gugingi - successo al trono longobardo dopo Agelmund (ibid., l. I, capp. 15, 17, 18).

Taso e Cacco riuscirono, successivamente, a tornare in Friuli insigniti dell'incarico ducale e a respingere non poche incursioni slave ai confini orientali ma, tratti in inganno dall'esarca bizantino Gregorio (I), vennero attirati a Oderzo e uccisi. I due sfortunati duchi, nei loro anni friulani, erano probabilmente accompagnati da Radoaldo e da Grimoaldo. Costoro, raggiunta l'adolescenza, preferirono allontanarsi dalla patria friulana, sottoposta ora al governo di Grasulfo (II), per recarsi - forse via mare, dando credito alla narrazione paolina - nel Ducato di Benevento (l. IV, cap. 39).

Qui, al tempo di Arechi (I), furono accolti in veste di esuli e in capo a pochi mesi, forse già verso il 641, a causa dell'instabilità mentale di Aione, figlio ed erede dell'ormai anziano duca, pervennero - con l'avallo, sembra, di quest'ultimo - al governo del potente distretto beneventano. Con la morte in battaglia di Aione, ucciso da un contingente di Slavi sbarcati per compiere scorrerie nei pressi di Siponto (circa 642), e la morte di Radoaldo, avvenuta dopo circa cinque anni di ducato (circa 646-647), G. andò al potere, che detenne poi per venticinque anni. Probabilmente in quel torno di tempo sposò una giovane prigioniera di aristocratici natali, Ita, da cui ebbe un figlio, Romualdo, e due figlie.

Tra le prime azioni belliche di G. va ricordata quella compiuta, probabilmente intorno al 647, contro non meglio indicati "Greci" (ibid., l. IV, cap. 46) - identificabili forse, secondo la più aggiornata storiografia, con predoni provenienti dal Mediterraneo orientale - che avevano tentato di raggiungere il santuario di S. Michele Arcangelo sul monte Gargano per saccheggiarlo. Va detto che già in questa occasione, a proposito del culto dell'arcangelo, secondo la storiografia attuale è altamente probabile che G., per aggiudicarsi la vittoria, abbia chiesto l'intercessione del comandante delle schiere angeliche venerato sul Gargano.

L'instabilità del potere regio intorno ai primi anni Cinquanta del secolo permise a G. di inserirsi con successo in un quadro politico di più ampio respiro. Alla morte del re Ariperto, sfruttando abilmente i dissensi sorti tra i due figli di costui, Godeperto e Perctarit (circa 661), riuscì a pervenire alla corona regia. Godeperto inviò a G. il duca di Torino Garibaldo, per chiedergli un aiuto militare contro il fratello Perctarit; Garibaldo stesso tuttavia, agendo subdolamente verso il proprio signore - come correttamente non manca di sottolineare Paolo Diacono (l. IV, cap. 51) - spinse G. non solo a non aderire alla pressante richiesta di alleanza politico-militare con Godeperto, ma anzi a proporsi quale nuovo candidato al trono longobardo, in antagonismo quindi con entrambi i figli del defunto Ariperto.

G., deciso a intervenire, si preparò a lasciare Benevento assegnando l'incarico ducale al figlio Romualdo e predisponendo altresì una scelta schiera di armati nell'intento di raggiungere la capitale del Regnum, Pavia (circa 662). Preparato con cura, il piano di G. prevedeva tra l'altro l'impiego di un fidato agente che curasse una preventiva azione diplomatica tesa a garantirgli una rete di alleanze su cui poter contare per raggiungere in tutta sicurezza l'obiettivo che si era prefissato. A essere inviato nei territori umbri e toscani fu Transamundo, conte di Capua, che, accordatosi con numerosi Longobardi di quelle regioni e precedendo G. sulla strada per Pavia, gli andò incontro sulla via Emilia.

Giunto con l'esercito a Piacenza, G. si fece precedere a Pavia da Garibaldo, cui affidò il compito di avvisare Godeperto della sua presenza in armi, cosa che il duca fece, allertando al contempo l'ignaro avversario delle intenzioni bellicose di Grimoaldo. L'atteggiamento ambiguo di Garibaldo, stigmatizzato come riprovevole nell'Historia paolina (l. IV, cap. 51), ha il suo culmine nell'evolversi dei fatti: il doppio gioco di Garibaldo divenne addirittura triplo. Costui infatti avvisava G. dell'intenzione di Godeperto di recarsi a riverirlo indossando una corazza, segno questo, a un tempo, del sospetto ma anche della malafede e delle cattive intenzioni del sovrano pavese verso G. medesimo. La complessa trama di inganni si risolse con l'uccisione di Godeperto e l'assunzione della corona regia da parte di Grimoaldo. Paolo Diacono tuttavia non dimentica sia di chiudere la partita con l'insidiosa indegnità di Garibaldo - precisando che quest'ultimo, qualche tempo dopo, venne assassinato da un "homunculus" fedele al sovrano tradito - sia di accennare alla sorte del figlio di Godeperto, Ragimperto, sottratto a un destino incerto da alcuni fedelissimi di suo padre. G. non si curò di catturarlo: per la sua tenera età non lo considerava in alcun modo un pericolo per sé e per i suoi. Il superstite Perctarit, alla notizia dell'avvento di G. al trono, fuggì da Milano per rifugiarsi presso gli Avari abbandonando i suoi familiari. Tra questi lasciava il piccolo Cuniperto, che G. provvide ad allontanare esiliandolo a Benevento.

G. sposò in seconde nozze la sorella del defunto Godeperto che gli era stata promessa in moglie mesi prima da Godeperto stesso, quale omaggio per l'impegno militare di G. in suo favore.

Va detto che l'intervento di G. nella contesa tra i due figli di Ariperto, intervento solo inizialmente, si è visto, a favore dell'ariano Godeperto ebbe, secondo la più recente e accreditata storiografia, ben individuabili motivazioni. Anzitutto si pensa alla persistente ostilità di G., ariano convinto, nei confronti dei cattolici, quindi sia verso Perctarit, sia verso altri gruppi di Longobardi filocattolici o filobizantini, agendo così in aperta opposizione all'Impero orientale. In secondo luogo, valutando possibili risvolti psico-sociologici, antropologici e politici, si è supposta la volontà di affermazione del gruppo parentale di G., quello gauso, sugli altri.

È altresì da sottolineare che la migliore tra le fonti disponibili sulle vicende che riguardano G., quella paolina, è decisamente favorevole a lui nonostante la manifesta cattolicità dello storico longobardo. La narrazione di Paolo ci presenta un G. astuto, giustamente sospettoso, abile guerriero, coraggioso, generoso, ma anche vendicativo. Una summa di queste caratteristiche - tipiche, peraltro, della figura mitizzata di un re "perfetto", di un modello di sovrano ideale già ben presente nelle cronache e negli annali anche classici che Paolo Diacono aveva certo ben presenti - si può individuare nel libro V, capp. 2-4. Paolo, descrivendo i primi, difficili momenti del regno di G., pone in risalto la preoccupazione di quest'ultimo riguardo alla spinosa questione della legittimazione del potere acquisito.

Il primo problema da risolvere era quello dei rapporti con Perctarit, in esilio, come si è detto, presso la corte avara: G., minacciando il khan avaro di pesanti ritorsioni se avesse continuato a dare asilo all'ex sovrano longobardo, provocò l'espulsione di quest'ultimo da quella corte e il suo ritorno in patria. Non sospettando di nulla e fidandosi della clemenza regia, Perctarit fece rientro a Pavia ossequiando Grimoaldo. Ma ben preso G. si accorse che durante la permanenza di Perctarit nella capitale del Regno si era venuto ricomponendo un nutrito gruppo di suoi sostenitori. Il rancore verso Perctarit e il sospetto di possibili trame fecero optare G. per l'eliminazione del potenziale rivale. Tuttavia, proprio grazie ai numerosi fedeli ancora presenti a Pavia, l'ignaro Perctarit venne fatto fuggire con uno stratagemma e accompagnato in salvo dapprima ad Asti e successivamente Oltralpe, presso la corte franca. L'apparente imparzialità della descrizione - che termina (l. V, cap. 4) con la concessione a taluni fedeli di Perctarit di poterlo raggiungere sani e salvi nella Gallia franca - consente tuttavia a Paolo Diacono di porre in risalto le peculiarità del carattere di G. che depongono a favore del suo ruolo di sovrano impegnato nell'ardua, continua sfida per il mantenimento del proprio titolo e, di più, per la preservazione della stabilità del Regno.

Raggiunto il potere, G. decise di trattenere solo una parte dell'esercito con cui era giunto a Pavia da Benevento e si impegnò a fondo in una politica estera tesa a guadagnarsi l'alleanza dei potentati longobardi confinanti. Tra questi ebbe rapporti con il duca del Friuli, Lupo (dal 662), forse suo parente, che, come si vedrà, in occasione di un ritorno di G. al Ducato beneventano venne incaricato di attendere alla reggenza, se così si intende quanto riferito da Paolo Diacono: "suum palatium commendavit" (l. V, cap. 17).

Sempre in quel periodo contingenti di Franchi irruppero in area italica - secondo taluni per sostenere Perctarit - provocando la risposta armata di G. che, secondo una tecnica per certi aspetti collaudata, pare simulasse la fuga delle sue truppe. La rivalsa longobarda all'eccessiva sicurezza dei Franchi non si fece attendere: il "Rivus Francorum" (l'odierno Refrancore, non lontano da Asti) ove si combatté vide ben presto la vittoria dell'esercito di Grimoaldo.

Anche a Sud ben presto G. dovette affrontare una pericolosa incursione: verso gli inizi del 663 l'imperatore d'Oriente Costante II muovendo da Atene sbarcò con il suo esercito nei pressi di Taranto; di qui si spostò a Benevento - retta da Romualdo - per assediarla, ma l'annunciato arrivo di G. lo dissuase dall'impresa e lo costrinse a ripiegare su Napoli. Nei pressi di quest'ultimo centro, a "Forino", stando nuovamente all'unica fonte attendibile, l'Historia Langobardorum, le forze longobarde beneventane al comando di Romualdo, cui si aggiunsero contingenti delle truppe di G., sconfissero i Bizantini condotti dall'armeno Saburro.

Eliminato il pericolo orientale e assicuratosi il possesso di Benevento, G. proseguì nella politica di accomodamento con i principali domini longobardi: prima di tornare a Pavia fece sposare a una delle sue figlie il duca di Spoleto, Transemundo. Un ritorno amaro, quello di G.: la reggenza del Regnum - affidata probabilmente, come si è detto, al duca friulano Lupo - si venne svincolando dal suo potere e, durante la sua assenza, pervenne a una tale instabilità da rendersi in breve apertamente ribelle a Grimoaldo.

Anche in questa occasione tuttavia G. si dimostrò all'altezza della situazione ricorrendo a un collaudato espediente: fece intervenire il khan avaro. Quest'ultimo, sollecitato a combattere, si spinse decisamente contro l'esercito friulano. La situazione, che ben presto si capovolse a favore degli alleati avari di G., non fu per questo, in definitiva, favorevole a quest'ultimo. Gli Avari infatti, una volta sconfitti i contingenti longobardi agli ordini del duca Lupo, che fu ucciso in battaglia, si rifiutarono di ripiegare sulle loro posizioni in favore delle truppe di G. che si vide allora costretto - nonostante una certa inferiorità numerica rimarcata dal cronista - a minacciare un attacco all'accampamento degli ex alleati. Anche in questo caso, come ampiamente viene sottolineato da Paolo Diacono (l. V, capp. 20-21), G. ebbe la meglio grazie alla sua astuzia. Riuscì infatti, con un espediente, a far credere agli avversari di essere al comando di un esercito ben più numeroso di quanto in realtà non fosse, inducendoli ad abbandonare le loro pur forti posizioni in Friuli.

Per garantirsi la sottomissione del Friuli G. costrinse alla fuga il figlio del defunto duca Lupo, Arnefrit che, rifugiatosi presso gli Slavi, tentò un colpo di mano per raggiungere nuovamente il potere in Friuli ma, forse presso Nimis, venne attaccato e ucciso in combattimento dagli stessi friulani. G., insediato in loco un nuovo duca, il vicentino Wectari (dal 663), a lui devoto, provvide a far sposare la figlia di Lupo, Teoderada, a suo figlio Romualdo.

Si aprì allora per G. un periodo in cui, con grande libertà di azione, riuscì una volta per tutte a vendicarsi delle interferenze politico-militari o, peggio, dei tradimenti patiti da parte di alcune città nemiche. Anzitutto punì violentemente Forlimpopoli e i suoi abitanti, colpevoli ai suoi occhi di azioni di sabotaggio o, comunque, di disturbo passivo, nei drammatici momenti dell'azione di G. in area padana, contro Godeperto e Perctarit. Si rivolse poi contro Oderzo (669), centro che aveva visto compiersi il destino dei due fratelli maggiori di G., Taso e Cacco. Dalla distruzione di Oderzo si giunse, con G., a un nuovo assetto politico-amministrativo e territoriale del Veneto, con la riorganizzazione dei Ducati del Friuli (Cividale), di Ceneda e di Treviso.

In quel medesimo torno di tempo si rivolsero a lui gruppi di Bulgari, ingaggiati inizialmente dai Bizantini quali mercenari, per essere insediati stabilmente nella penisola italica. G. vi provvide, distribuendoli tra Nord e Centrosud. Fece altresì in modo che il nucleo più cospicuo di costoro si insediasse in aree deserte del territorio beneventano, concedendo al loro duca, tale Alzeco, il titolo gastaldale.

Verso gli inizi del 671 G. cercò inoltre, ma invano, di tutelarsi contro il suo antico avversario Perctarit, concordando un periodo di pace con il re dei Franchi: non già Dagoberto II, indicato da Paolo Diacono (l. V, cap. 32), bensì, probabilmente, il merovingio Teodorico III o Childerico II, entrambi, tuttavia, soggetti ormai al potere di Ebroino, emergente maggiordomo di Austrasia e Burgundia. Il trattato di pace stipulato da G. costrinse l'esule Perctarit, dubbioso sulla fiducia accordatagli dai deboli sovrani merovingi, a cercare salvezza ancora più lontano dall'area padana, nella Britannia sassone.

G. morì, forse nell'autunno del 671, mentre si esercitava con l'arco senza eccessivamente badare ai postumi di un'operazione di flebotomia recentemente patita.

Paolo Diacono (l. V, cap. 33) presenta l'accaduto come l'effetto di una congiura: alcuni medici intervenuti al capezzale di G. gli avrebbero somministrato dei medicamenti velenosi ("venenata medicamina"), portandolo rapidamente a morte. Fu sepolto nella chiesa pavese di S. Ambrogio, da lui stesso edificata o, forse, restaurata.

Al momento della sua morte il Regno longobardo godeva di una certa stabilità, specie ai confini, e in particolare nei rapporti con i grandi Ducati periferici del Friuli, di Spoleto e, ovviamente, di Benevento. Forse un po' meno stabile era la situazione in piena area padana, e certo in quell'ambito geopolitico le peculiarità del Regno di G. avrebbero mostrato la loro fragilità, dissolvendosi. Tra l'altro, benché quasi permanentemente occupato dalle continue azioni militari sui più diversi fronti, come si è visto, va osservato che G. ebbe comunque il tempo di cimentarsi, primo dopo Rotari, con l'evolversi della società del suo tempo, aggiungendo pochi ma interessanti capitoli alle leges dell'Editto rotariano. Vanno rammentati infatti i nove capitoletti registrati nel sesto anno del suo regno (668), a luglio, nell'indizione undicesima. Le sue disposizioni riguardano l'usucapione, i liberi, la colpa dei servi, il possesso, la successione dei nipoti, le mogli ripudiate, l'accusa alla moglie, i rapporti di coppia, il furto commesso da una serva e sono redatte con una notevole clemenza rispetto a quelle di Rotari (Grimualdi leges, pp. 122-126); esse tengono certamente conto del mutato clima religioso (l'abbandono, evidentemente non completo e non particolarmente sentito, dell'arianesimo; circa 653), maggiormente orientato al culto cattolico verso il quale, peraltro, G. non pare abbia mai dimostrato particolari attenzioni.

Si deve tuttavia precisare che, alla luce di quanto sostengono storici recenti, G. non perseguì il paganesimo bensì, molto probabilmente, rimase in un ambito culturale e religioso ariano da cui non fu evidentemente facile staccarsi ma che, in ogni modo, consentì il rafforzamento di una politica regia all'insegna della tolleranza religiosa, in un'Italia scossa da profonde incertezze tra le non poche controversie dottrinali del tempo. Una riprova di quel clima e dell'azione di G. sono le menzioni di lui nei due diplomi emessi dalla Cancelleria dell'imperatore Carlo III il Grosso a favore della Chiesa bergamasca, nella persona del vescovo Garibaldo. In essi l'imperatore riconosce a quest'ultimo i diritti sulla chiesa di S. Alessandro di Fara Gera d'Adda, donata - ancora officiata con rito ariano - da G. al vescovo di Bergamo, Giovanni, nel 670 circa. Fu quasi certamente durante il suo regno, inoltre, che venne redatta l'Origo gentis Langobardorum.

A Garibaldo, suo figlio, nato dal matrimonio con la figlia di Ariperto, venne preferito Perctarit, rapidamente tornato in Italia dalla Britannia una volta saputo della morte di Grimoaldo. A Grimoaldo, pertanto, successe l'antico avversario, cui Romualdo rimandò la moglie Rodelinda e il figlio Cuniperto.

Fonti e Bibl.: Origo gentis Langobardorum, a cura di G.H. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Germ. et Ital. saec. VI-IX, Hannoverae 1878, pp. 1-6 (cap. 7); Historia Langobardorum codicis Gothani, a cura di G.H. Waitz, ibid., pp. 7-11 (cap. 8); Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, a cura di G.H. Waitz - L. Bethmann, ibid., pp. 128-135, 142-149, 151-155 (l. IV, capp. 37, 39, 43 s., 46, 51; l. V, capp. 1-8, 10, 16-22, 25-29, 32 s.); Vita Barbati episcopi Beneventani, a cura di G.H. Waitz, ibid., p. 558 (cap. 4); Le pergamene degli archivi di Bergamo. 740-1000, a cura di M.L. Bosco et al., Bergamo 1988, nn. 197 p. 332, 199 p. 335; Grimualdi leges, in Le leggi dei Longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico, a cura di C. Azzara - S. Gasparri, Milano 1992, pp. XVII, XXIV, 121-126; L.M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 1, Leipzig 1900, p. 245; O. Bertolini, I papi e le relazioni politiche di Roma con i Ducati longobardi di Spoleto e di Benevento, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, VI (1952), p. 27 n. 53; VIII (1954), pp. 3-5, 6 n. 27, 7, 12; E. Arslan, L'architettura dal 568 al Mille, in Storia di Milano, II, Milano 1954, pp. 504, 506; Id., La pittura dalla conquista longobarda al Mille, ibid., p. 637; G.P. Bognetti, Milano longobarda, ibid., pp. 70, 117, 179, 181, 206, 209-219, 272; Id., Pensiero e vita a Milano durante l'età carolingia, ibid., p. 730; P. Bertolini, Arechi I, in Diz. biogr. degli Italiani, IV, Roma 1962, p. 70; A. Petrucci, Aspetti del culto di S. Michele arcangelo sul monte Gargano, in Pellegrinaggi e culto dei santi in Europa fino alla I crociata. IV Conv. del Centro di studi sulla spiritualità medievale, Todi 1963, pp. 159-161; R. Cessi, Venezia ducale, I, Duca e popolo, Venezia 1963, pp. 74, 83; G.P. Bognetti, S. Maria foris Portas in Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi, in Id., L'età longobarda, II, Milano 1966, pp. 333 ss.; Id., I "loca sanctorum" e la storia della Chiesa nel Regno longobardo, ibid., III, ibid. 1967, pp. 334 ss.; F. Sinatti D'Amico, Le prove giudiziarie nel diritto longobardo. Legislazione e prassi da Rotari ad Astolfo, Milano 1968, pp. 117, 120, 130 ss., 240, 251, 256, 270, 367; P.M. Arcari, Idee e sentimenti politici dell'Alto Medioevo, Milano 1968, pp. 426, 459, 473 s., 491, 495, 499, 511, 534, 537, 542, 550, 635 s., 643, 646, 651, 660 s., 764, 773 s.; M. Brozzi, I primi duchi longobardi del Friuli e la politica bizantina verso il Ducato, in Arheoloski Vesnik, XXI-XXII (1970-71), pp. 78 ss.; J. Jarnut, Prosopographische und sozialgeschichtliche Studien zum Langobardenreich in Italien (568-774), Bonn 1972, p. 135; A. Paredi, Dall'età barbarica al Comune, in Storia di Monza e della Brianza. Le vicende politiche dalla preistoria all'età sforzesca, a cura di A. Bosisio - G. Vismara, Milano 1973, pp. 90 s.; G. Tabacco, La connessione fra potere e possesso nel Regno franco e nel Regno longobardo, in I problemi dell'Occidente nel secolo VIII. Atti della XX Settimana di studi del Centro italiano di studi sull'Alto Medioevo,… 1972, Spoleto 1973, pp. 151 s.; P.M. Conti, Duchi di Benevento e Regno longobardo nei secoli VI e VII, in Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici, V (1976-78), pp. 251, 264-277; P.M. Corsi, Costante II in Italia, in Quaderni medievali, III (1977), pp. 32 ss.; V (1978), pp. 75 ss.; S. Gasparri, I duchi longobardi, Roma 1978, pp. 24, 38, 66-68, 76, 87-90; Id., La questione degli arimanni, in Bull. dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano, LXXXVII (1978), pp. 131, 133 s.; P. Delogu, Il Regno longobardo, in Storia d'Italia (UTET), I, Torino 1980, pp. 86, 90-96; J. Jarnut, Bergamo 568-1098. Storia istituzionale, sociale ed economica di una città lombarda nell'Alto Medioevo, Bergamo 1980, pp. 28, 75; P.M. Conti, Il Ducato di Spoleto e la storia istituzionale dei Longobardi, Spoleto 1982, pp. 38, 48, 69, 92, 101, 114, 132 s., 138, 154, 159, 164, 293, 297 s., 303-306, 309 s.; A. Melucco Vaccaro, I Longobardi in Italia, Milano 1982, pp. 86, 198, 215; J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino 1982, pp. 57-60, 63, 65 s., 69 s., 113; P.M. Corsi, La spedizione italiana di Costante II, Bologna 1983, pp. 107-166; S. Gasparri, La cultura tradizionale dei Longobardi. Struttura tribale e resistenze pagane, Spoleto 1983, pp. 37, 64, 155 s.; Id., Il Ducato longobardo di Spoleto: istituzioni, poteri, gruppi dominanti, in Il Ducato di Spoleto. Atti del IX Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, … 1982, Spoleto 1983, p. 83; G. Otranto, Il "Liber de apparitione", il santuario di S. Michele sul Gargano e i Longobardi del Ducato di Benevento, in Santuari e politica nel mondo antico, a cura di M. Sordi, Milano 1983, pp. 210 ss.; C. Wickham, L'Italia nel primo Medioevo. Potere centrale e società locale, Milano 1983, pp. 54 s.; C. Brühl, Storia dei Longobardi, in "Magistra barbaritas". I barbari in Italia, Milano 1984, pp. 102-104; B. Andreolli - M. Montanari, L'azienda curtense in Italia. Proprietà della terra e lavoro contadino nei secoli VIII-XI, Bologna 1985, pp. 92, 98; G. Arnaldi, Le origini dello Stato della Chiesa, Torino 1987, p. 65; F. Burgarella, Bisanzio in Sicilia e nell'Italia meridionale: i riflessi, in A. Guillou - F. Burgarella, L'Italia bizantina. Dall'Esarcato di Ravenna al Tema di Sicilia, Torino 1988, pp. 299 s.; J.-C. Picard, Le souvenir des évêques. Sepoltures, listes épiscopales et culte des évêques en Italie du Nord des origines au Xe siècle, Roma 1988, p. 81; E. Sestan, La storiografia dell'Italia longobarda: Paolo Diacono, in Id., Scritti vari, I, Alto Medioevo, Firenze 1988, pp. 60, 62, 67 s.; L. Musset, Le invasioni barbariche. Le ondate germaniche, Milano 1989, p. 200; G. Andenna, Le istituzioni ecclesiastiche locali dal V al X secolo, in Diocesi di Milano, I, Storia religiosa della Lombardia, IX, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1990, p. 134; P. Paschini, Storia del Friuli, I, Udine 1990, pp. 117, 125 n. 21; A. Castagnetti, Il Veneto nell'Alto Medioevo, Verona 1990, pp. 34-36, 151; P. Peduto, Insediamenti longobardi nel Ducato di Benevento, in Langobardia, a cura di S. Gasparri - P. Cammarosano, Udine 1990, pp. 307 ss.; H. Taviani Carozzi, La Principauté lombarde de Salerne (IXe-XIe siècle). Pouvoir et société en Italie lombarde méridionale, Roma 1991, I, pp. 10 s., 16-19, 23-27, 35, 128-136, 138, 166, 176, 253, 279, 325, 378, 392; II, pp. 687, 726, 957, 965; G. Tabacco, La situazione politica italiana nel VII secolo, in Martino I papa (649-653) e il suo tempo. Atti del XXVIII Convegno storico internazionale, Todi, … 1991, Spoleto 1992, pp. 15 s.; S. Brufani, L'Umbria e Todi nella prima metà del secolo VII, ibid., pp. 66 s.; H. Krahwinkler, Friaul im Frühmittelalter. Geschichte einer Region vom Ende des fünften bis zum Ende des zehnten Jahrhunderts, Wien-Köln-Weimar 1992, pp. 39 n. 56, 42, 43 n. 68, 44, 45 n. 76, 46 n. 81, 47, 48 n. 94, 49 n. 103, 50 n. 107, 51 s., 53 n. 120; J.-M. Martin, La Pouille du VIe au XIIe siècle, Roma 1993, p. 215 n. 317; E. Sestan, Stato e nazione nell'Alto Medioevo. Ricerche sulle origini nazionali in Francia, Italia, Germania, Napoli 1994, pp. 257, 274, 276; M. Caravale, Ordinamenti giuridici dell'Europa medievale, Bologna 1994, pp. 90, 99; S.M. Cingolani, Le storie dei Longobardi. Dall'origine a Paolo Diacono, Roma 1995, pp. 32, 36, 62, 101, 139, 164, 177, 181, 188-190, 194; D. Canzian, Oderzo medievale, Trieste 1995, p. 95; S. Palmieri, Duchi, principi e vescovi nella Longobardia meridionale, in Longobardia e Longobardi nell'Italia meridionale. Le istituzioni ecclesiastiche. Atti del II Convegno internazionale di studi del Centro di cultura dell'Università cattolica Sacro Cuore,Benevento, … 1992, a cura di G. Andenna - G. Picasso, Milano 1996, pp. 62-64; A. Vuolo, Agiografia beneventana, ibid., p. 215; N. Christie, I Longobardi. Storia e archeologia di un popolo, Genova 1997, pp. 95-97, 106, 112, 164; C. Azzara, L'ideologia del potere regio nel Papato altomedievale (secoli VI-VIII), Spoleto 1997, pp. 166 n. 16, 167 n. 19, 245; V. Dreosto, Autonomia e sottomissione in Friuli. Gestione dei poteri e dualismo politico dal sec. VI al trattato del 1756, Udine 1997, pp. 12, 18, 27, 34-36; P. Cammarosano, Nobili e re. L'Italia politica dell'Alto Medioevo, Roma-Bari 1998, pp. 44, 57, 64-67, 72; M. Ascheri, Istituzioni medievali, Bologna 1999, pp. 100 n. 4, 113; C. Azzara, Le invasioni barbariche, Bologna 1999, pp. 46, 93; G. Fedalto, Aquileia. Una Chiesa due patriarcati, Roma 1999, pp. 103, 136, 199, 292, 344; J. Jarnut, Garibaldo, in Diz. biogr. degli Italiani, LII, Roma 1999, pp. 341 s.; Id., Garibaldo, ibid., pp. 342 s.; A. Bedina, Gisulfo, ibid., LVI, ibid. 2001, p. 632; V. La Salvia, Godeperto, ibid., LVII, ibid. 2001, pp. 507 s.

CATEGORIE
TAG

Invasioni barbariche

Carlo iii il grosso

Italia meridionale

Stato della chiesa

Diritto longobardo