Razzismo

Dizionario di filosofia (2009)

razzismo


Ideologia fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente superiori destinate al comando e al dominio, e di altre inferiori, destinate alla sottomissione; anche, teoria e prassi politica intese, con discriminazioni e persecuzioni, a conservare la ‘purezza’ e ad assicurare il predominio assoluto della pretesa razza superiore.

Le prime teorizzazioni e l’affermarsi del razzismo moderno

Sebbene come atteggiamento il r. risalga per lo meno al Medioevo, le prime teorizzazioni razziste in senso proprio sono nate con la scoperta dell’America, quando l’interesse ad assoggettare gli Amerindi al dominio europeo favorì l’emergere di dottrine razziste. La sottomissione e lo sterminio degli indigeni furono così legittimati dalla tesi della loro inferiorità, non di rado giustificata anche su basi religiose, nonostante l’azione di uomini come Bartolomé de las Casas, i pronunciamenti dei papi fin dalla Sublimis Deus (2 giugno 1537) di Paolo III e la teorizzazione dell’uguaglianza di tutti gli uomini (de Vitoria e Suárez). In America la tratta degli schiavi fu legittimata sia sulla base di interpretazioni fondamentaliste della maledizione di Cam (Genesi 9, 20-27), sia considerando le differenze biologiche e comportamentali degli Africani caratteristiche di esseri inferiori assoggettabili al dominio. Queste teorie si consolideranno alla metà del sec. 18°, quando l’immagine del ‘buon selvaggio’ viene sostituita da una rappresentazione negativa delle popolazioni africane e amerindie, rappresentazione influenzata da un lato da un presunto ideale classicheggiante di bellezza e perfezione del corpo umano, dall’altro dalle dottrine fisiognomiche e dalla nascente frenologia. Si delineano così le classificazioni che vanno dal mondo animale a quello umano, in cui il nero viene considerato come uomo-bestia. Il r. e le dottrine razziste vengono pertanto a basarsi sull’uso strumentale e mistificatorio del concetto di razza, che è stato definito, in senso biologico, fra il 17° e il 18° sec. (innanzitutto per opera di Buffon) per indicare una tipologia fisica delle varie stirpi animali e umane fondata prevalentemente sulle loro forme e caratteristiche esteriori ed ereditarie, in partic. sul colore della pelle per quanto riguarda gli uomini. Una volta trasferita dall’ambito zoologico a quello umano, la nozione di razza acquista connotazioni altamente valutative e discriminatorie, a mala pena giustificate, quando lo sono, dalla pretesa neutralità e scientificità delle descrizioni basate su quella nozione.

La fondazione ‘scientifica’ delle moderne teorie razziali

Nell’Ottocento questa pretesa scientificità raggiungerà il suo culmine. Valgano come esempi la teoria poligenetistica di L. Agassiz, che basava l’ineguaglianza tra le razze e l’inferiorità di neri e asiatici sulla presunta esistenza di specie separate e distinte, ordinate secondo una gerarchia che vede alla sommità la razza bianca; oppure gli studi craniometrici di G. Morton e P.-P. Broca, che facevano dipendere l’inferiorità delle razze diverse dalla bianca dal minor volume dei cervelli (e quindi dalla presunta conseguente limitata facoltà mentale) degli appartenenti a tali razze. La craniometria, spesso fondata su omissioni e manipolazioni, sarebbe stata affiancata, dopo la pubblicazione delle opere di Darwin, da teorie pseudo-evoluzionistiche in cui la ‘sopravvivenza del migliore’ diventa un argomento a favore della superiorità della razza bianca nei confronti di quelle ‘selvagge’ o ‘primitive’. All’autovalorizzazione della propria razza di appartenenza, fondata su un uso arbitrario del concetto di selezione naturale, sono poi da connettere le prime proposte eugeniche, volte a sconsigliare una totale libertà di scelta sessuale al fine di mantenere incontaminate le caratteristiche superiori della razza. Queste idee, di cui fu strenuo sostenitore F. Galton, avrebbero suscitato particolare interesse soprattutto in Germania, dove avrebbero trionfato con gli esperimenti eugenici del nazismo. Accanto alle legittimazioni di tipo pseudoscientifico, esistono altre forme ideologiche con cui il r. è stato teorizzato e giustificato, in parte connesse al concetto romantico di popolo (Volk). Una nuova configurazione della razza, su basi linguistiche, era maturata infatti verso la metà dell’Ottocento, allorché gli studi orientalistici portarono alla scoperta delle lingue del cosiddetto gruppo indogermanico e all’ipotesi connessa, discutibile e incerta, che alla loro origine fosse esistita una popolazione ‘aria’ o indogermanica dalla quale sarebbero derivate, in combinazioni più o meno miste, le attuali popolazioni europee. A queste ipotesi linguistiche ed etniche si ispirò il francese Gobineau, che nel suo Essai sur l’inégalité des races humaines (1853-55; trad. it. L’ineguaglianza delle razze) teorizzò la superiorità della razza ‘ariana’, tesi che avrebbe poi trovato grande adesione soprattutto in Germania, dove si mescolò con l’antisemitismo e con la pretesa purezza razziale del popolo germanico. Il sistematizzatore di questo r. fu H. S. Chamberlain, inglese germanizzato e genero di R. Wagner, nel cui Die Grundlagen des XIX. Jahrhunderts (1899) gli stereotipi biologistici, etnici e linguistici si fondono in una dottrina dai toni pseudomistici e profetici destinata a confluire, soprattutto attraverso la mediazione del Mein Kampf (1925-27) di Adolf Hitler, nel nazismo, favorendo il disegno della cosiddetta soluzione finale che sterminò milioni di ebrei ma che prevedeva un più ampio sterminio di tutte le stirpi europee che non fossero conformi al modello ariano e dalla cui contaminazione doveva essere salvaguardata la razza germanica.

Il razzismo dopo il 1945

Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, anche alla luce delle tragedie prodotte dal r., molti studiosi passarono a una dura critica della stessa nozione di razza, negando completamente la possibilità di un suo fondamento scientifico. Inoltre, la presunzione dell’esistenza di ‘razze pure’ di cui una, la cosiddetta razza ariana, sarebbe superiore alle altre per qualità geneticamente determinate è stata esplicitamente smentita da una dichiarazione dell’UNESCO (8 giugno 1951, rielaborata nel luglio 1962) sulla natura delle razze e sulle differenze razziali, redatta da un gruppo internazionale di genetisti e di antropologi. In essa si stabilisce, tra l’altro, che «i gruppi nazionali, religiosi, geografici, linguistici e culturali non coincidono necessariamente con i gruppi razziali»; che «il materiale scientifico oggi disponibile non giustifica la conclusione secondo cui le differenze genetiche ereditarie sarebbero un fattore importante nel determinare le diversità tra le culture e le realizzazioni culturali di diversi gruppi o popoli»; che «non vi è alcuna prova in favore dell’esistenza delle cosiddette razze pure. Riguardo alla mescolanza tra le razze, invece, le testimonianze sottolineano che l’ibridazione ha proceduto per un tempo indefinito, ma considerevole». Infine il documento ricorda che l’uguaglianza non si basa sulla presunzione che tutti gli individui siano uguali geneticamente (anzi, ognuno è diverso dall’altro) ma sui principi etici che reclamano per tutti gli uomini uguali condizioni sociali, uguale stato di fronte alla giustizia. Alla luce di questo documento scientifico è stata eleborata (21 dic. 1965) dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite una Convenzione internazionale sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, entrata in vigore il 4 genn. 1969. In senso analogo va citato il documento vaticano La Chiesa di fronte al razzismo. Per una società più fraterna (1988) della Pontificia commissione Iustitia et pax.