razza Raggruppamento di individui che presentano un insieme di caratteri fisici ereditari comuni. Nel caso dell’uomo, tali caratteri si riferiscono a caratteristiche somatiche (colore della pelle, tipo di capelli, forma del viso, del naso, degli occhi ecc.), indipendentemente da nazionalità, lingua, costumi, ma il concetto di r. umana è considerato destituito di validità scientifica, dacché l’antropologia fisica e l’evoluzionismo hanno dimostrato che non esistono gruppi razziali fissi o discontinui. Al contrario, i gruppi umani mutano e interagiscono continuamente, tanto che la moderna genetica di popolazioni (➔ popolazione) si focalizza su modelli di distribuzione di geni specifici anziché su categorie razziali create artificialmente.
In ambito zoologico si parla di r. nel caso di popolazioni di animali addomesticati sui quali l’uomo ha operato la selezione di caratteristiche genetiche peculiari. Negli animali non addomesticati, le popolazioni regionali differenti tra loro per alcune caratteristiche, dovute alla concentrazione di particolari geni come risultato di adattamenti alle condizioni ambientali, sono invece chiamate sottospecie.
Il concetto chiave di r. in senso moderno per indicare le divisioni tra gruppi umani fu usato per la prima volta nel 1684 dal medico e viaggiatore francese
Nell’antropologia fisica classica del 19° sec. e dei primi decenni del 20°, si definiva infatti come r. umana un raggruppamento di individui che, in un dato momento della loro storia evolutiva, occupavano un dato territorio geografico, distinguendosi da altri gruppi per caratteristici valori medi e di frequenza di un insieme di caratteri antropologici (esterni, morfologici). Una r. veniva quindi identificata a partire dalla sovrapposizione di criteri diversi: sistematico-morfologici (il colore della pelle; la quantità di pigmento negli strati profondi dell’epidermide; il tipo dei capelli: lisci, più o meno ondulati, lanosi o crespi; la statura; la forma del cranio) e geografico-funzionali (la capacità dell’adattamento all’ambiente). A partire da tali definizioni di r. sono state elaborate diverse classificazioni di tipo razziale, che hanno costituito la base per gran parte delle analisi comparative in antropologia fisica e in etnologia. Tra gli studiosi che maggiormente contribuirono allo sviluppo dell’antropologia fisica ottocentesca, si ricordano L.A. Desmoulin,
In
2. La riformulazione del concetto di razza
La perdita di valore delle teorie basate sulle distinzioni razziali è da attribuirsi a svariati fenomeni. Molto importante è il radicale rinnovamento dei paradigmi conoscitivi della scienza antropologica, la cui origine va forse ricercata proprio nella critica del primo Novecento dei concetti di r. ed evoluzione operata negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in
A partire da una tale diversa sensibilità, oltre al concetto ottocentesco di r., è quindi l’idea stessa di una classificazione razziale sistematica a rivelarsi insostenibile. Se, come tutte le tipologie, anche quelle razziali consentono indubbiamente una schematizzazione ordinata e, almeno in apparenza, arbitraria di un continuum (nel nostro caso quello umano), l’antropologia si interroga sulle logiche simboliche che soggiacciono alla scelta di determinati criteri razziali come criteri definenti una determinata classe; indaga le motivazioni ideologiche che hanno guidato la nascita e l’imporsi di un’esigenza di classificazione schematica e ordinata della diversità umana e l’ascrizione di un simile ordine al piano naturale. Riflette, da un punto di vista sociale e culturale, sulle implicazioni politiche, economiche ed esistenziali dei discorsi razziali e razzisti comuni nel mondo contemporaneo, e sull’uso (spesso inconsapevole) che di tali discorsi viene fatto nel senso comune e nelle pratiche quotidiane.
Soprattutto, però, su un piano più specifico, il concetto di r. ha subito una radicale riformulazione proprio da parte della moderna scienza biologica. Lo sviluppo di un’antropologia genetica che considera pertinenti, ai fini dell’analisi e della definizione delle r. umane, caratteri genetici, svincolati da un immediato rapporto con l’ambiente e legati ai complessi meccanismi della selezione sessuale, ha avuto come primo e immediato effetto quello di mostrare l’arbitrarietà di ogni principio generale di classificazione: le vicinanze razziali stabilite su base genetica differiscono, spesso in maniera radicale, da quelle elaborate a partire da criteri morfologici. Il concetto di r. così come viene riformulato su basi genetiche sembra corrispondere alle esigenze, proprie dell’antropologia culturale contemporanea, di ridefinire su basi storiche dinamiche, interattive e contestuali i piani di riferimento intorno ai quali si aggregano le identità dei gruppi umani.
3. Origini e sviluppi del razzismo
Concezione fondata sul presupposto che esistano r. umane biologicamente e storicamente superiori ad altre r., il razzismo è anche alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la «purezza» e il predominio della «r. superiore».
Fin dall’Antichità molti popoli o gruppi sociali tesero a chiudersi agli altri, escludendo o discriminando i diversi, con un atteggiamento che si può definire xenofobo o etnocentrico più che razzista in senso proprio, essendo i fondamenti della presunta superiorità linguistici, culturali, religiosi più che esplicitamente biologici. Greci e Romani definivano barbari i popoli che non parlavano la loro lingua; l’
Il testo che diede un impulso decisivo alla diffusione delle idee razziste fu l’Essai sur l’inégalité des races humaines (1853-55) di J.-A. de Gobineau, che sostenne la superiorità biologica e spirituale della r. ariana germanica. Per H.S. Chamberlain (Die Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts, 1899) la storia era un’eterna lotta tra ariani, r. spiritualmente nobile, ed Ebrei, ignobili e meschini. L’antiebraismo religioso si era trasformato in antisemitismo razzista, diffuso in gran parte d’Europa. Anche l’evoluzionismo di C. Darwin fu strumentalizzato per cercare di avvalorare le tesi razziste, sostenendo che il dominio imperialistico sul mondo dimostrerebbe la superiorità biologica della r. bianca. Misurazioni antropometriche avrebbero dovuto rivelare la maggior intelligenza, vitalità e moralità della r. bianca e furono avanzate teorie eugenetiche che invitavano a preservare i caratteri migliori della razza. Negli USA, nonostante l’abolizione della schiavitù (1865), solo nel 1964 fu vietata ogni legge discriminatoria.
L’espressione più tragica del razzismo si ebbe nella
L’ONU condannò il razzismo con la Dichiarazione sulla razza dell’UNESCO (1950) e con una Convenzione del 1965 che definì discriminazione razziale ogni differenza, esclusione e restrizione dalla parità dei diritti in base a r., colore della pelle e origini nazionali ed etniche. Nel 2000, il 21 marzo è stato proclamato giornata mondiale contro il razzismo.