BIANCHI BANDINELLI, Ranuccio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

BIANCHI BANDINELLI, Ranuccio

Ida Baldassarre

Nacque a Siena il 19 febbr. 1900 da Mario dei conti Paparoni, di antica famiglia locale (tra i suoi antenati si annovera anche un papa), e da Margarete Ottilia von Korn Rudelsdorf, slesiana. Morta giovanissima la madre, fu educato privatamente, sotto la guida della nonna materna e secondo schemi miranti ad una educazione "raffinata e internazionale", un "sottile lavorio" che doveva fare di lui un "borghese" nel senso più compiuto della parola, educazione equilibrata, per sua stessa ammissione, dal buon senso e dal temperamento scanzonato del padre (Dal diario di un borghese e altri scritti, Milano 1962, p. 21). Entrò nella scuola pubblica nel 1915, al liceo classico di Siena "F. Guicciardini" (ora "E. S. Piccolomini") e, ancora studente, venne in contatto con J. Beloch, lo storico dell'antichità tedesco, professore all'università di Roma, e internato a Siena durante la prima guerra mondiale. Parti nel 1917 per il servizio militare e frequentò l'Accademia di Torino, di dove uscì dopo un anno e mezzo, rifiutando il grado di ufficiale. Frequentò quindi l'università a Roma; e l'interesse già apertamente manifestato per la produzione figurativa antica indirizzò i suoi studi verso l'archeologia classica; per la malattia dell'allora titolare della cattedra, L. Mariani, finì per laurearsi, nel 1923, in antichità italiche con G. Q. Giglioli, con una tesi su "Chiusi e il suo territorio" in seguito rielaborata e pubblicata (Clusi;um. Ricerche archeologiche e topografiche su Chiusi e il suo territorio in età etrusca, in Monumenti antichi pubbl. per cura della R. Accademia nazionale dei Lincei, XXX [1925], coll. 209-578). Dopo una breve esperienza di insegnamento nel liceo senese, fu professore incaricato di archeologia e storia dell'arte greca e romana a Cagliari (1929-30); professore straordinario della stessa materia a Groninga, Olanda (1930-31); ordinario all'università di Pisa (1934-38). Nel 1938 rifiutò la direzione della Scuola archeologica italiana di Atene, resasi disponibile dopo l'allontanamento, in seguito alle leggi razziali, di A. Della Seta (Diario, p. 70). Passò quindi all'università di Firenze (1939-43) dalla quale si dimise durante la Repubblica di Salò, (ibid., pp. 107 s.); arrestato come ostaggio dai fascisti, chiese nel 1944 l'iscrizione al Partito comunista italiano (ibid., p. 111). Reintegrato nei ruoli universitari, dopo lo spostamento del fronte oltre Firenze, riprese, sempre a Firenze, l'insegnamento universitario (novembre 1944), con una prolusione dal titolo: A che serve la storia dell'arte antica?, in cui si interrogava e discuteva sulla validità degli studi archeologici, nel tragico momento che l'Italia e tutta l'Europa attraversavano (pubblicata poi in Archeologia e cultura, Milano 1961, pp. 98-114). Nel 1945 accettò di entrare nei ruoli amministrativi come direttore generale delle Antichità e Belle Arti, promuovendo la ricostruzione dei monumenti danneggiati dalla guerra e il recupero delle opere d'arte trafugate, fiducioso soprattutto di poter operare concretamente anche per rinnovare tutto il settore dei beni culturali e avviare una riforma delle strutture della tutela; la indifferenza e gli ostacoli che tenacemente gli vennero opposti lo indussero a presentare le dimissioni (giugno 1947), con una lettera al ministro che è una denuncia lungimirante e preveggente del catastrofico destino al quale questo atteggiamento condannava tutto il patrimonio archeologico e artistico nazionale (AA. BB. AA. e B. C. L'Italia storica e artistica allo sbaraglio, Bari 1974. pp. 15-51). Rifiutata la cattedra speciale offertagli all'università di Roma, rientrò nei ruoli universitari a Cagliari (1947-50); insegnò nuovamente a Firenze (1950-57) e infine a Roma (1957-64); si dimise dall'insegnamento con dieci anni di anticipo, nel novembre del 1964; anche questo gesto prese il significato di una non velata denuncia nei riguardi della situazione dell'università italiana.

La sua intensa attività di ricerca scientifica, di pubblicistica, di promozione culturale e di lotte civili contro la degradazione del patrimonio artistico nazionale e, soprattutto, di fecondo scambio con i giovani, studenti e studiosi, non conobbe soste, anche dopo l'abbandono dell'insegnamento universitario.

Il B. morì a Roma il 17 genn. 1975.

Egli aveva fondato nel 1935 la rivista La Critica d'arte (edita a Firenze da Sansoni) che diresse fino al 1942 (l'ultimo fascicolo uscì tra enormi difficoltà e ritardi, nel gennaio del 1944); nel 1945 la rivista Società (Torino, Einaudi), dirigendola con C. Luporini e R. Bilenchi fino al 1952; nel 1967, con un gruppo di giovani studiosi, la rivista Dialoghi di archeologia (Milano, Il Saggiatore), che diresse fino alla morte.

Ideò e diresse inoltre la Enciclopedia dell'arte antica, classica e orientale, in sette volumi (1958-1966), edita dall'Istituto della Enciclopedia Italiana. Nel 1938 aveva iniziato la pubblicazione della serie dei "Quaderni per lo studio dell'archeologia" (Firenze, Sansoni, e poi Roma, Bretschneider). Nel 1961 promosse la stampa degli Studi miscellanei del seminario di archeologia e storia dell'arte dell'università di Roma pubblicati sotto la sua direzione fino al 1964. Dal 1965 assunse la direzione della "Biblioteca storica di antichità" (Milano, Il Saggiatore); nel 1974 ideò il piano di un'opera collettiva in dieci volumi, Storia e civiltà dei Greci (Milano, Bompiani), che uscì dopo la sua morte, ma secondo il piano dell'opera da lui studiato.

Impegnato direttamente in politica (membro del comitato centrale e della commissione centrale di controllo dei PCI), collaborò a Rinascita, Il Contemporaneo e l'Unità, con frequenti interventi riguardanti soprattutto i problemi della tutela del patrimonio artistico e i rapporti tra intellettuali e politica; fu presidente per molti anni dell'Istituto Gramsci (1957-1970); redattore dello statuto sui beni culturali della Regione Toscana (1971) e consigliere comunale di Siena (1951-56), di cui fece approvare il piano regolatore.

Possediamo in Dal diario di un borghese (la prima edizione pubblicata a Milano nel 1948, copre il periodo dal 1920 al 1944, la seconda, citata, arriva, con l'Epilogo al 1962) un documento di prima mano per ripercorrere l'esperienza intellettuale ed umana del B. negli anni della sua formazione, le sue letture, le sue curiosità intellettuali, la sua presa di coscienza politica, così come si venne costruendo nel quotidiano confronto tra la sua autocoscienza di classe e gli avvenimenti, culturali e politici, in Italia e all'estero, dei quali fu testimone e commentatore vigile e attento.

Il termine "borghese" in questo confronto perde il suo valore di etichetta sociologica per designare tutto un modo di comportarsi e stabilire rapporti con la realtà di cui egli vuole testinioniare con sincerità e spirito critico e che gli appare già dall'inizio in crisi, e poi via via, nelle pagine dei diario sembra assumere i connotati di un peccato da cui vorrebbe emendarsi. La critica consapevole delle cause e dei motivi, delle origini e delle conseguenze di una generale situazione storica e di una condizione umana, non gli impedisce tuttavia di sottolineare anche i valori positivi della tradizione culturale borghese; da questa duplice consapevolezza discende l'esigenza di una profonda trasformazione della società attuale e, insieme, della continuità, in una società così trasformata, della tradizione culturale europea, di ciò che in essa era di positivo.

Gli scritti che compongono il Diario sono la storia di una maturazione civile, solidale con la sua maturazione di archeologo e storico dell'arte antica. Questa lucida testimonianza diviene, nella coscienza e nella volontà stessa dell'autore che. l'affida alla pubblicazione (p. 507), la storia esemplare di una cultura e insieme della tormentata formazione della generazione maturatasi tra le due guerre mondiali. Il lungo cammino del B. fino al marxismo e il suo operare all'interno del PCI, conservando quella autonomia e quella libertà di giudizio che egli ha sempre saputo salvaguardare, emerge dalle pagine del Diario con tutta la sua coerenza e il suo significato storico di esperienza collettiva.

Il nodo problematico intorno al quale ruotò fin dall'inizio tutta la ficerca scientifica del B., fu la produzione figurativa del mondo antico; sottolineare questo interesse specifico e solo apparentemente parziale, del suo approccio ai problemi dell'antichità, non significa limitare la portata del suo pensiero, ma individuare l'osservatorio privilegiato che egli scelse per aprire un dibattito ancora vivo e appassionante, capace di modificare profondamente gli studi classici e inserirli nel vivo della cultura contemporanea, correlando quel passato al nostro presente. La produzione figurativa assunse per il B. una posizione centrale, proprio perché ne individuava la complessità di intrecci e stratificazioni; ed essa gli suggerì la sperimentazione di diversi metodi di approccio. Non fu un teorico, come più volte egli stesso ha dichiarato (da ultimo nella prefazione alla terza edizione di Storicità dell'arte classica, Bari 1973, pp. 9-10), ma in questa sua attenzione alle teorie che gli permettessero di capire meglio quel poliedro che è la produzione figurativa, mai completamente sviscerato, nella sperimentazione di metodi di cui andava verificando la validità nel concreto della ricerca, senza dogmatismi, consiste il suo lato più caratteristico e più nuovo, l'ideale filo conduttore di un cammino che lo portò a ricercare costantemente, attraverso la varietà degli approcci, la coerenza del fatto storico. Il suo fu infatti un richiamo alla conoscenza, di contro alla convinzione imperante intorno a lui col filologismo positivistico, che l'oggetto d'arte, antico e moderno, sia solo un oggetto da riconoscere.

Le linee fondamentali degli indirizzi di ricerca del B. sono tutte già presenti nelle opere giovanili, alcune anteriori alla sua specializzazione antichistica universitaria; argomenti indifferentemente di arte antica o moderna, ma coerentemente mirati alla spiegazione del prodotto artistico. In questa prima fase, il suo approccio ai problemi trovò riscontro nelle posizioni espresse, in campo storico artistico, da L. Venturi (specialmente nel Gusto dei primitivi, Bologna 1926), in cui convergevano l'autonoma rielaborazione delle teorie della scuola di Vienna, l'insoddisfazione per le teorie positivistiche dominanti, l'esigenza di una conoscenza profonda dell'arte contemporanea comestrumento di comprensione del mondo figurativo antico. Coerentemente con queste premesse, il primo oggetto di indagine del B. fu la produzione etrusca che corrispondeva all'interesse della critica d'arte più aggiornata per il primitivo e l'anticlassico, ma che era anche una aperta presa di posizione contro un modo di fare archeologia che, cristallizzando, la parte più caduca della sistemazione winckelmanniana dell'arte antica, classificava ancora i materiali secondo schemi di nascita, fioritura e decadenza del processo artistico, partendo da una valutazione "mitica" della classicità. Contemporaneamente, accanto alla rielaborazione della sua tesi di laurea su Chiusi (1925), la compilazione di una serie di carte archeologiche dei territorio toscano e la edizione di materiali etruschi conservati in musei toscani, gli permisero (tra il 1925 e il 1929) non solo di mettere a frutto la sua solida preparazione filologica, ma anche di approfondire ed allargare le basi storiche e documentarie della sua conoscenza del mondo etrusco, tanto che, se nel 1925 (Icaratteri della scultura a Chiusi in Dedalo, VI [1925-26], pp. 531) aveva potuto parlare di assoluta originalità della produzione etrusca, nel 1929 l'esame della necropoli rupestre di Sovana (Sovana. Topografia e arte. Contributo alla conoscenza della architettura etrusca, Firenze 1929) lo portò a riconoscere l'esistenza di una koinè architettonica ellenistica di cui anche il mondo etrusco è partecipe. Già in queste prime opere comunque il B. dimostrava una straordinaria capacità di lettura formale dell'oggetto artistico e di individuazione dei moduli espressivi più significanti, tanto da trasformare anche il momento descrittivo in comprensione e conoscenza (si veda, ad esempio, Il Bruto capitolino scultura etrusca, in Dedalo, VIII [1927], pp. 5-35).

Più dichiaratamente legata all'estetica crociana, in cui gli pareva di trovare "risolti e formulati in maniera insuperabile" i problemi che si era venuto ponendo (Diario, p. 69), è invece la prolusione tenuta a Groninga nel 1931, Arte antica e critica moderna. Nel 1941 (ibid., p. 79) il B. affermerà che il distaccare l'artista dalla società gli sembrava estrema posizione di romanticismo, e la prolusione di Groninga, ripubblicata nella prima edizione di Storicità dell'arte classica (Firenze 1943), porta il commento: "segna una data, ma non ci soddisfa più".

Tra il 1935 e il 1942, negli scritti pubblicati nella Critica d'arte (che sarà chiusa per motivi politici) si concretizzò, nel vivo della ricerca, il progressivo superamento delle premesse crociane; la novità dei suoi interventi si esplicava negli articoli ma anche e soprattutto attraverso recensioni, postille, precisazioni che gli permisero di fare opera di divulgazione e, insieme, di esercitare una critica capace di far emergere il sostrato culturale di alcune prese di posizione metodologica in campo archeologico. Le ricerche di questo periodo, pur affrontando singoli problemi specifici - la scultura greca, Parrasio, la nascita del ritratto, il bassorilievo italico, la pittura pompeiana, i rilievi della colonna Traiana e l'arte provinciale -, si rivelano profondamente legate le une alle altre in un discorso omogeneo e coerente di revisione dell'arte antica nella sua totalità. I più significativi di questi articoli furono raccolti nel citato volume Storicità dell'arte classica che già nel titolo (tratto da uno degli articoli, del 1937) rivela il senso vero di tutta la sua ricerca: la storicità dei fatti artistici, punto di arrivo di un faticoso lavoro dominato dal bisogno di capire la genesi e il significato concreto della produzione figurativa.

Si può non essere più d'accordo con la spiegazione del B. della genesi di alcuni fenomeni (specie di arte greca, arcaica e classica), ma, in generale, vengono qui affrontati con una ampiezza di visione storica e una straordinaria conoscenza dei materiali, alcuni dei punti nodali della produzione antica, in particolare quelli nei quali si evidenzia la crisi della ciassicità, che in tal modo si definisce anch'essa come momento storicamente determinato. Il processo di laicizzazione della società del IV sec. a.C. è messo in relazione con la nascita del ritratto; la spazialità illusionistica, considerata tipica del rilievo italico, viene fatta risalire al mondo ellenistico greco, attraverso la ricezione di modelli pittorici; nel mondo romano, le innovazioni del II sec. d. C. sono spiegate mediante la penetrazione di elementi popolareschi e provinciali nel contesto di una civiltà di tradizione ellenistica quale è ancora quella imperiale; nella pittura pompeiana, la individuazione di elaborazioni locali di una eredità tecnica e culturale ellenistica apre la via ad una comprensione concreta di questa produzione, oltre a recuperare la reale problematica pittorica della pittura ellenistica. Sono tutti temi sui quali il B. tornò anche in seguito, per precisarne i termini o inserirli in una prospettiva più approfondita, ma, al di là del valore specifico, va riconosciuta a questo volume una grande forza di rottura, l'affermazione della possibilità stessa di fare archeologia in modo nuovo. La introduzione alla seconda edizione (Firenze 1950) è, in un certo modo, una presa di distanza dalle premesse metodologiche alle quali gli articoli del volume si ispirano; dichiarando chiusa una esperienza e confermando come scopo di tutta la sua ricerca il recupero dei rapporto culturale con l'antico, il B. riconosce che "i saggi si limitano a chiarire solo il lato formale del fenomeno artistico, trascurando gli altri elementi che concorrono a determinare la sua genesi" (p. XVIII). Egli stesso, tuttavia, nella prefazione alla terza edizione del 1973, nonostante il distacco critico con il quale considera l'opera, e invitando a prenderla come "un giovanile punto di partenza", ammette che "certe cose erano dette per la prima volta".

Proprio nella prefazione alla seconda edizione di Storicità il B. aveva affermato che "l'opera d'arte nel suo complesso diviene sempre fondamentalmente espressione della libertà dei gruppi socialmente attivi nel suo tempo" (p. XXIV; si veda anche Diario, pp. 376-379): alla sperimentazione di questa nuova ipotesi conoscitiva nei riguardi del mondo antico sono dedicati gli anni del dopoguerra. Essi coinciserd con una più intensa partecipazione alla politica attiva e al dibattito politicoculturale (ibid., pp. 224 ss.). Anche se la sua adesione al marxismo fu, come egli stesso più volte afferma, tutta politica e non ideologica, il periodo coincise con un ripensamento delle sue posizioni scientifiche. I saggi fino al 1960 sono quasi tutti raccolti nel volume Archeologia e cultura (Milano-Napoli 1961; 2ª ediz., postuma, Roma 1979) che di nuovo evidenzia nel titolo il filo conduttore e il senso autentico dei vari contributi specialistici.

Il saggio che apre il volume - Archeologia e cultura, appunto - è una rinnovata accusa contro l'agnosticismo che si fa scudo dei tecnicismo e impedisce una effettiva e formativa conoscenza del mondo antico. Il B. non sottovaluta la specificità del bagaglio necessario per affrontare con serietà lo studio del mondo antico ma riconosce che la parte tecnica degli studi si è aggiornata, mentre la parte culturale si è impoverita perché il suo aggiornamento esigeva una presa di posizione di fronte ad alcuni problemi fondamentali del nostro tempo. Il fermarsi alla classificazione dei materiali, senza organizzarli in una visione unitaria di storia della civiltà, è solo una illusione di concretezza che maschera il colpevole distacco dalla vita di oggi. Sono questi i temi che percorrono tutta la sua opera, e che il B. non si stancò di riproporre, convinto che solo una cultura che abbia saldo il senso della storia, incentrata su un culto ancora illuministico della ragione in quanto strumento egemonico di conoscenza, possa impedire il dissolversi delle premesse stesse della civiltà, come le recenti tragiche esperienze avevano dimostrato. Dovere quindi dell'uomo di cultura, a partire dal suo stesso campo specialistico, è di operare in difesa dei valori della civiltà (Le crisi dell'Umanesimo, pp. 66-86; Prefazione a Frobenius, pp. 87-97; Il problema della ricerca archeologica in Italia, pp. 115-123).

I problemi archeologici affrontati in questo volume segnano uno spostamento di interessi rispetto alle precedenti ricerche: il fondamentale carattere artigiano proprio delle officine artistiche - nell'antichità l'artista non è una figura sociale - rende più avvertibile il nesso tra struttura economica e sociale e produzione figurativa; l'evento artistico, indagato nelle sue connessioni storiche, rivela in quale spazio sociale si sia formato, fino a raggiungere l'esempiarità di un "modello di cultura" che assolve il ruolo rappresentativo affidatogli dalla ideologia dominante: la particolare "arcaicità" del ritratto di età sillana è letta come reazione aristocratica senatoriale, attraverso la idealizzazione della classe "severa" e agraria della prima repubblica (Sulla formazione del ritratto romano, pp. 172-188); l'abbandono della forma organica del tardo antico è il linguaggio di un mondo in crisi, crisi economica e sociale, di cui vengono indagate le cause (La crisi, artistica della fine del mondo antico, pp. 189-223); l'attenzione ai rapporti cultura-strutture sociali illumina il problema del bipolarismo tra arte ufficiale e arte popolare nella produzione romana (L'arte romana, due generazioni dopo Wickhoff, pp. 234-258).

Tra il 1950 e, il 1955 il B. si dedicò allo studio delle miniature dell'Iliado ambrosiana (Milano, Bibl. Ambrogiana. Ambr. 1019, F 205 inf.) che culminò nel volume Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana) (Olten 1955), la cui introduzione, fu ripubblicata in traduzione italiana in Archeologia e cultura (Continuità ellenistica nella pittura di età medio e tardo romana, pp. 360-444).

Il volume è una occasione per un ripensamento di tutta la pittura antica e l'esame delle miniature diviene un punto di partenza per indagare tutta la tradizione pittorica ellenistica e soprattutto i modi della trasmissione dei suoi schemi iconografici - e, attraverso essi, di tutta una cultura - nel mondo romano e nel mondo bizantino, epoca alla quale appartiene la redazione ultima delle miniature stesse.

Nel 1956 uscì il volumetto Organicità e astrazione (Milano 1956) nel quale viene affrontato il problema dei rapporto tra l'arte figurativa e l'arte astratta.

Identificate come espressione di due modi diametralmente opposti di rapportarsi alla realtà, arte figurativa e arte astratta permettono di individuare particolari ambienti sociali e aree culturali; solo ai nostri giorni i due indirizzi coesistono in una unica società come indice della contraddizione e della incertezza della sua cultura. La proposta, non scevra di contraddizioni, suscitò un dibattito vivacissimo, anche e soprattutto al di fuori dell'ambito archeologico.

Alla edizione della Enciclopedia dell'arte antica, classica e orientale, il B. si dedicò con un impegno quasi esclusivo per più di dieci anni. L'opera obbedisce ad una esigenza di diffusione e di volgarizzazione, in lui sempre viva e presente, ma essa è comunque legata, anche nella specificità dei titolo, alla fedeltà dei B. al problema storico artistico.

Coerente con le convinzioni ripetutamente sostenute in ogni momento della sua produzione, questa enciclopedia infatti non obbedisce ad esigenze classificatorie, da sempre rifiutate, e si presenta come una organizzazione strutturata del sapere archeologico: non elencazione di fatti e raccolta di materiali esposti in maniera inerte, bensì scelta di fatti, mirata al fenomeno figurativo, secondo un metodo che presuppone una concezione del sapere che organizza i dati non tanto cronolofficamente, come insieme di rapporti determinati dalle categorie dei prima e dei dopo, ma li presenta, specie nelle grandi voci di raccordo, che non a caso sono di sua mano, come topoi, luoghi in cui le relazioni di causa ed effetto sono determinate dalla categoria logica di antecedenza-conseguenza, legato a fatti storici concreti. L'allargamento del campo di indagine al mondo orientale, pur restando la produzione classica il principale soggetto, fu anch'esso un tentativo di rottura di schemi accademici, per cogliere i "legami che unirono e in parte condizionarono reciprocamente, sul piano della civiltà artistica, la Grecia e l'Oriente, sia nelle età antiche che nelle età elienistiche" (I, p. X). Con questo programma, sostanzialmente rispettato (nonostante le lacune da lui stesso riconosciute), e non come dizionario enciclopedico del mondo antico, nacque appunto l'Eciclopedia dell'arte antica.

La rivista Dialoghi di archeologia, fondata insieme con un gruppo di archeologi ai quali, alla sua morte, lasciò in eredità la testata (Dialoghidi archeologia, VIII [1915], p. 117), nacque col programma di Promuovere un dibattito scientifico e metodologico interdisciffinare e, insieme, di affrontare i problemi della organizzazione della cultura, programmi che il B. aveva portato avanti nell'arco di tutta la vita con impegno costante ma che ancora provocavano polemiche e dissensi. In questa rivista apparve nel 1967 (I [1967], pp. 7-19) l'articolo Arte plebea, nel quale, riaffrontando il problema del bipolarismo dell'arte romana, il B. propone di designare appunto come "arte plebea", nel senso di libera espressione di una classe, la corrente non ufficiale precedentemente definita come "popolare", termine troppo romanticamente impregnato di significati prelogici e irrazionali.

Agli ultimi anni della sua intensissima attività appartengono le grandi sintesi sull'arte italica e romana, edite una prima volta nella collana "Univers des formes", diretta da A. Malraux (Rome. Le centre du pouvoir, Paris 1969; Rome. La fin de l'art antique, ibid. 1970; Les Etrusques et l'Italie avant Rome, ibid. 1973, in collaborazione con A. Giuliano).

Esse riannodano il filo degli interventi più puntuali su singoli problemi, inserendoli in un coerente discorso che pone l'arte romana e la sua problematica al centro di una sintesi non appiattente, e certamente non definitiva, organizzata intorno ad alcuni temi nodali capaci di ricostituire la linea di continuità - una continuità storicamente determinata - dalla produzione italica a quella tardo antica.

Postumi, benché con introduzione ancora di sua mano sono Introduzione allo studio dell'archeologia come storia dell'arte classica (Bari 1976) e la raccolta dei saggi dell'ultimo periodo, Dall'ellenismo al Medioevo (Roma 1978).

Il primo circolava sotto forma di dispense universitarie fin dal 1950; nell'affidarlo alla stampa il B. lo fece precedere dal testo di una conferenza del 1973 (L'archeologia come scienza storica) nella quale viene recepito positivamente il più recente indirizzo della archeologia, inteso a recuperare, attraverso lo studio della cultura materiale, la storia dei rapporti di produzione del mondo antico. E tuttavia viene riproposta con forza, in tutti questi suoi ultimi scritti, la centralità del fenomeno figurativo come soggetto di indagine per una conoscenza articolata della realtà storica e la necessità di cercare strumenti metodologici capaci di chiarire in che modo la produzione artistica sia legata ad una determinata società e alle leggi, non alle contingenze, del suo sviluppo. In un articolo rimasto incompiuto e pubblicato postumo (Il cratere di Derveni, in Dialoghi di archeologia, VIII [1974-75], pp. 179-200), il B. afferma, con lucida consapevolezza della non risolta problematicità della questione: "i rapporti tra archeologia e storia dell'arte non sono chiari; sembravano chiariti cinquanta anni fa, adesso sono più confusi che mai e qualcuno li considera inesistenti"; egli sembra cioè di nuovo sul punto di rimettere tutto in discussione, per verificare il funzionamento del proprio bagaglio culturale e dei propri sistemi di valutazione, consapevole dei cambiamenti che si operavano intorno a lui nella cultura e nella società.

La conoscenza, in quanto tale, in definitiva, si pone al B. come inconclusiva, e questa omissione del punto conclusivo della ricerca, questa coscienza di una relatività che è garanzia da ogni metafisica aprioristica, è l'eredità più preziosa che egli ha lasciato alle nuove generazioni, alle quali volle sempre rivolgersi soprattutto con un invito ad una vitale curiosità intellettuale per il presente. È stata questa sua lezione che, se non ha creato una "scuola" nel senso accademico del termine, ha messo in moto un processo di rinnovamento degli studi classici, che rivela la matrice e la vitalità del suo insegnamento.

Per una bibliografia del B. relativa al periodo dal 1920 al 1975 (fino al 1960, vedi anche Archeologia e cultura, pp. 453 ss.) si veda: Dialoghi di archeologia, VIII (1974-1975), pp. 20 1 ss.; R. B., in Biografie e bibliografie degli accademici lincei, Roma 1976, pp. 738-739; Per R. B., Rimini-Firenze 1976, pp. 67-84, cui vanno aggiunti i volumi già citati, posteriori a questi elenchi.

Alla "Presentazione" di F. Adorno, premessa alla riedizione di Archeologia e cultura, Roma 1979, pp. XI-XLI, si rimanda per le notizie sul progetto organico di raccolta e ripubblicazione di tutti gli scritti dei Bianchi Bandinelli. Fino al 1986 sono apparsi, per i tipi degli Editori riuniti, L'arte etrusca, Roma 1982; L'arte classica, ibid. 1984; L'arte romana, ibid. 1984.

Fonti e Bibl.: Un elenco di scritti sul B., immediatamente dopo la sua morte, è presentato nel volumetto Per R. B., Rimini-Firenze 1976, pp. 85-88, raccolta di testimonianze sul B. ad un anno dalla scomparsa. Si aggiungano i seguenti brevi profili: V. Tusa, in Sicilia archeol., VII (1974), pp. 75 ss.; C. Delvoye, in Byzantion, XLV (1975), p. 185; N. Bonacasa, Ricordo di R. B., Palermo 1975; A. Giuliano, in Gnomon, XLVIII (1976), pp. 315 ss.; A. Sadurska, in Archeologia (Warszawa), XXVI (1977), pp. 199-204; E. Paribeni, in Studi etruschi, XLV (1977), pp. VII-VIII. Di più ampio respiro, con un esame critico della sua produzione: A. La Penna, R. B.: dalla storicità dell'arte al marxismo, in Belfagor, XXX (1975), pp. 617-649; F. Coarelli, Ritratti critici di contemporanei: R. B., in Belfagor, XXXI (1976), pp. 416-446; P. E. Arias, Quattro archeologi del nostro secolo, Pisa 1976, pp. 64-100; E. Garin, R. B.: profilo di un intellettuale, introduzione alla 2ª ediz. di Archeologia e cultura, pp. XI-XLI; F. Coarelli-M. Torelli, R. B., in Maestri del Novecento italiano: Banfi, Marchesi, B., Brescia 1986, pp. 121 SS. Mirati a problemi specifici: A. Carandini, Le opere giovanili di R. B., in Prospettiva, I (1975), n. 1, pp. 6 ss.; L. Franchi Dell'Orto, L'introduzione all'archeologia classica di R. B., in Quaderni di storia, II (1976), n. 4, pp. 183-188; G. Agosti, Qualche simpatia giovanile di R. B., ibid., XXIII (1986), pp. 49-69. Per la polemica sul volume Organicità e astrazione, si veda: G. Becatti, Della organicità e della astrazione, in Parola del passato, XII (1957), pp.281-297, con altra bibl.; G. Dorfles, in Aut. aut, VII (1957), pp. 147-151; S. Ferri, Organicità, astrazione, composizione, in Rend. dell'Acc. naz. dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 8, XIV (1959), pp. 17-38; L. Polacco, Arte antica e astrattismo, Venezia 1959, passim. Sulla sua figura di intellettuale di sinistra: N. Ajello, Intellettuali e PCI: 1944-1958, Bari 1979, ad Indicem; P. Alatri, Intellettuali e società di massa in Italia: l'area comunista, 1945-1975, in Incontri meridionali, 1980, pp. 7 ss.

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