LUPI, Raimondo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUPI, Raimondo (Raimondino)

Maria Paola Zanoboni

Marchese di Soragna, nacque intorno al 1409, figlio maggiore di Francesco e di Caterina di Ugonotto Biancardo, che oltre a lui ebbero altri 5 figli (Anna, Bonifacio, Antonio, Elisabetta, Bartolomea).

Sposò Margherita Giorgi, di Pavia, nipote di Agnese dei marchesi Pallavicini di Pellegrino.

Il cronista Andrea Schivenoglia lo dipinge come "homo grando, grosso, negro, con ogi che quando guardava uno citadin overo uno altro lo faxia tuto stremire" e che "tuto quel che dixia e faxia era dito e fato" (Lazzarini, p. 339).

Nel 1447 entrò nel Collegio dei dottori e giudici di Parma, pur essendosi laureato in utroque altrove. Tra 1447 e 1449, durante la guerra per la successione ai Visconti nel Ducato di Milano, partecipò, quale inviato del padre, a numerose ambascerie e mediazioni, tenendo informati delle mosse dello Sforza il padre e il marchese di Mantova Ludovico III Gonzaga.

Verso il 1449 entrò a far parte del Consilium domini del Gonzaga, di cui fu un prestigioso collaboratore, non lesinando le sue competenze di giureconsulto e prendendo parte a svariate missioni diplomatiche. Nel 1458 si recò a Firenze e a Roma per conto di Ludovico, e nel 1462 a Monaco per stipulare il contratto di matrimonio tra Federico Gonzaga e Margherita di Wittelsbach, sorella del duca Giovanni IV di Baviera.

Nel 1460 o nel 1466, per conto del padre Francesco, prestò giuramento al duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, e poi ancora all'inizio del 1470, su richiesta esplicita del duca che esigeva un nuovo giuramento di fedeltà dalle città e dai feudatari del dominio. E a Milano - a Porta Ticinese, nella parrocchia di S. Giorgio in Palazzo, "alias Sancti Pietri in Curte" - elesse residenza stabile almeno a partire dal 1473, pur mantenendo la casa di Mantova.

Nel frattempo, il 16 luglio 1471, era entrato a far parte del Consiglio di giustizia di Galeazzo Maria Sforza divenendo consigliere segreto nel gennaio 1475. È significativo il fatto che, quando nel dicembre di tale anno il duca, volendo moderare le spese, decise di decurtare o eliminare del tutto gli stipendi di molti membri delle magistrature centrali, il L. fu tra i pochissimi che mantennero invariato il proprio compenso.

Il 9 genn. 1477, pochi giorni dopo l'uccisione del duca Galeazzo Maria, il L., con altri consiglieri ducali (Giovanni Pallavicino di Scipione, Agostino Rossi, Guidantonio Arcimboldi), presenziò al solenne atto di conferimento della tutela e della reggenza per il nuovo duca Gian Galeazzo Maria alla madre Bona di Savoia. Alla fine del 1477 il L. ottenne la conferma dell'investitura del marchesato di Soragna dai nuovi duchi, ai quali giurò fedeltà il 27 dicembre.

Nel 1479 faceva parte del corteo solenne che accolse al suo arrivo a Parma il duca di Ferrara Ercole I d'Este chiamato in aiuto da Bona e Gian Galeazzo Maria in seguito ai disordini sorti dopo l'assassinio di Galeazzo Maria Sforza. Ancora nel 1479 fu convocato nel castello di Porta Giovia, con i giureconsulti e consiglieri segreti Gerardo Colli, Luca Grimaldi e Giacomo Cusani, a risolvere una lite fra i terziari francescani e il Luogo Pio della Carità che si contendevano l'edificio delle Case Rotte, appartenente ai terziari da lungo tempo. Il L. emise un verdetto favorevole ai terziari.

Nel 1480 fu uno dei quattro consiglieri ducali che assistettero alla stipulazione della tutela del duca Gian Galeazzo Maria, affidata allo zio Ludovico il Moro, cui fu assegnata anche l'amministrazione dello Stato. Il 10 aprile di quell'anno ottenne la cittadinanza di Padova (secondo il Pezzana, secondo il Litta invece di Parma) già conferita in passato a molti dei suoi antenati. Nello stesso periodo svolse un'incessante attività di ambasciatore tra la corte di Milano e quella di Mantova.

Benché risiedesse a Milano a partire almeno dal 1473, il L. non si disinteressò dei suoi possessi di Soragna: nel 1482, anche a nome del fratello Bonifacio, si rivolse al duca per denunciare la condotta dei Pallavicini (Rolando e i suoi figli dopo di lui) che fin dall'epoca di Filippo Maria Visconti avevano occupato alcune terre nella diocesi di Parma appartenenti ai marchesi di Soragna, continuando a molestare i massari, distruggere raccolti e alberi da frutto, imporre dazi, nonostante le numerose sentenze emesse contro di loro.

Fece testamento a Milano, presso il notaio Antonio Zunico, il 13 apr. 1484, dichiarando che, ovunque fosse morto, voleva essere traslato a Milano per avere sepoltura accanto alla moglie (morta il 19 marzo 1481), in S. Maria delle Grazie, nella sala capitolare della chiesa ("in sepulcro sito in capitulo dicti loci"), senza pompa, senza la costruzione di una cappella, ma con la semplicità caratteristica dell'Osservanza domenicana.

Pur dettando le sue ultime volontà "sanus mente et corpore", dal documento si ha l'impressione di una confusione estrema che portò il L. a tornare più volte in modo caotico a citare le stesse persone, come se la decisione di far redigere l'atto fosse stata presa in fretta e senza uno schema preciso dei lasciti da effettuare e delle persone ed enti ai quali assegnarli. La sensazione è confermata dai codicilli stesi meno di un mese dopo (il 9, il 10 e l'11 maggio 1484), nei quali si dichiarava invece "egrotus corpore" e aggiungeva un elenco di disposizioni scritte di proprio pugno. Anche i luoghi in cui furono rogati il testamento e i codicilli (lo studio del L. al piano terreno della casa nel testamento del 13 aprile; la sala e le camere al primo piano, sopra lo studio, il 9, 10 e 11 maggio) lasciano intuire un progressivo deterioramento delle condizioni fisiche del Lupi.

Il L. fu dunque colpito probabilmente, all'età di circa 75 anni, da una malattia improvvisa che lo portò alla morte poco più di un mese dopo, l'11 maggio 1484.

Dal testamento il L. appare ugualmente legato ai tre luoghi in cui aveva trascorso la vita: Soragna, Mantova, dove aveva ancora una dimora e diverse proprietà, Milano. Numerosi furono i suoi lasciti alle chiese di S. Maria e di S. Giacomo a Soragna e ai monasteri del Monte Carmelo, di S. Vincenzo e di S. Domenico a Mantova.

La grande riconoscenza per la "fidelissima gubernatrix" della sua casa, Margherita Recordati, fece sì che il L. le lasciasse le coperte, la biancheria in lino e le suppellettili delle sue dimore di Mantova e di Milano, qualche oggetto di argenteria (tra cui 12 tazze recanti le insegne del marchese di Mantova), una Maestà "pulchra, laborata auro, argento et coloribus, que est relevata", che teneva nella sala principale della dimora di Milano, abiti e tessuti di lana e seta, una piccola rendita, una somma equivalente a circa 800 lire, una casa a Mantova ("domum et locum appellatum a nobis la cartusinam, extra portam predelle civitatis Mantue apud monasterium Sancti Bartholomey") e, fatto di notevole rilievo, i libri della moglie verso la quale Margherita era stata sempre "obsequentissima". Al convento di S. Maria delle Grazie destinò invece tutti i libri di diritto, civile e canonico, e di letteratura, oltre a due tappeti e a un arazzo.

Il testamento mette in evidenza anche una forte propensione verso l'Osservanza domenicana, sia per il luogo e le modalità della sepoltura sia per i numerosi e talora cospicui lasciti a conventi dell'Ordine: al monastero osservante di S. Vincenzo a Mantova lasciò la proprietà di Boccaganda, nella medesima diocesi, che aveva a metà col fratello Bonifacio, e i prati della "Coronella", mentre al cenobio di S. Domenico, sempre a Mantova, 9 ducati. Lasciò la sua casa di Mantova al monastero di S. Lucia dell'Ordine di S. Chiara, e una piccola somma annua alla chiesa dell'Annunciata di Parma (Osservanza francescana) di cui suo padre aveva fatto costruire la cappella maggiore.

Non avendo figli, il L. nominò eredi universali il fratello Bonifacio e il nipote Deifobo.

La proprietà terriera costituiva il nucleo principale del patrimonio del L.: tra i suoi numerosi possedimenti i beni di Villa Cividale, nel territorio di Rivarolo, diocesi di Cremona, che in parte aveva acquistato e in parte gli erano stati donati dal marchese di Mantova Ludovico, quelli di "Civadella" e di Casalmaggiore, nella medesima diocesi, le terre di Copiano nella diocesi di Pavia, la proprietà di Borgoforte nei pressi di Mantova, oltre a numerose case nella città e alla dimora di Milano. La ricchezza dei marchesi di Soragna non consisteva comunque soltanto in immobili, ma una parte considerevole era impiegata anche in attività commerciali: tra i crediti elencati dal L. nelle sue ultime volontà spicca appunto un deposito di ben 2320 ducati (equivalenti a 9280 lire) affidati dal L. a due mercanti mantovani di sua fiducia che avrebbero dovuto impiegare la somma in qualche affare lucroso, al quale egli avrebbe partecipato in qualità di socio, e non di semplice finanziatore. I nipoti, Leonello e Galeotto Lupi, marchesi di Soragna, figli di suo fratello Bonifacio, avrebbero seguito pochi anni dopo (1504) le sue orme conferendo, come soci di capitale, l'astronomica somma di 12.000 lire in una compagnia per la compravendita di mercanzie di ogni tipo.

Altri 250 ducati (1000 lire) a un interesse del 16%, da recuperare con la gabella del sale di Pavia, furono prestati dal L. ai duchi di Milano e 300 ducati (1200 lire) al monastero di S. Benedetto di Polirone, nella diocesi di Mantova.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, cart. 1852, 1482 maggio 13 (notaio Antonio Zunico); cart. 1856, estensioni, quaderno VII, cc. 25 ss., 13 apr. 1484, 9, 10, 11, maggio 1484: testamento del L.; Fondo famiglie, cart. 101; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano(, III, Milano 1890, p. 330 n. 412; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco 1450-1500, Milano 1948, pp. 13, 40; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca, 1450-1500, XII, a cura di G. Battioni, Roma 2002, pp. 54-56, 60 s., 85-89; E. Lazzeroni, Il Consiglio segreto, o Senato sforzesco, Milano 1939, p. 142 n. 29; Mantova. La storia, II, a cura di L. Mazzoldi, Mantova 1961, p. 71; A. Noto, Origine del Luogo Pio della Carità nella crisi sociale di Milano quattrocentesca, Milano 1962, pp. 65 s.; A. Pezzana, Storia della città di Parma, Bologna 1971, II, pp. 195 s., 313 s.; IV, pp. 2 s., 92 s., 145 s., 220; G. Battioni, La diocesi parmense durante l'episcopato di Sacramoro da Rimini (1476-1482), in Gli Sforza, la Chiesa lombarda, la corte di Roma. Strutture e pratiche beneficiarie nel Ducato di Milano (1450-1535), a cura di G. Chittolini, Napoli 1989, pp. 164 s.; F. Leverotti, "Governare a modo e stillo de' signori(". Osservazioni in margine all'amministrazione della giustizia al tempo di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano (1466-76), Firenze 1994, pp. 100, 108, 386 n.; I. Lazzarini, Fra un principe e altri Stati: relazioni di potere e forme di servizio a Mantova nell'età di Ludovico Gonzaga, Roma 1996, pp. 339-345; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Lupi di Soragna, tav. IV.

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