SERNESI, Raffaello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SERNESI, Raffaello

Marco Pierini

– Nacque a Firenze il 29 dicembre 1838, ultimo dei nove figli di Pietro, vinaio, e di Anna Fanfani (Del Bravo, 1998, p. 157).

Cresciuto nel popolare quartiere di S. Frediano, entrò presto nell’Officina Mariotti, specializzata nell’incisione di medaglie, dove dimostrò subito ottime doti di disegnatore e di esecutore. Nel 1856 s’iscrisse all’Accademia di belle arti di Firenze, frequentando, anche se con scarsa assiduità, la Scuola della statua diretta da Antonio Ciseri.

Da quest’ultimo mutuò l’iniziale inclinazione per il ritratto, le cui prove migliori, come l’Autoritratto del 1859 (Firenze, Galleria degli Uffizi) e il Ritratto della sorella Assunta (collezione privata), testimoniano soprattutto dello studio sugli antichi maestri toscani, mentre la piccola tavoletta con il Ritratto della sorella (collezione privata) e la tela con Ritratto di signora (Milano, Galleria d’arte moderna) mostrano già elementi che annunciano la pittura di macchia, sia nel trattamento della luce, sia nella restituzione più naturalistica di alcuni particolari.

Nel 1858, alla morte del padre, Raffaello cominciò a dedicarsi più al lavoro che agli studi. Insoddisfatto dell’insegnamento di stampo tradizionale, abbandonò definitivamente l’accademia nel 1859 e «dalle quattro pareti dello studio passò ad osservare il vero, sotto il liberissimo cielo della natura» (Signorini, 1867, p. 230). Cominciò allora a frequentare il Caffè Michelangiolo, dove entrò in contatto con l’intera compagine macchiaiola, stringendo solidi rapporti d’amicizia con Telemaco Signorini e con Odoardo Borrani in particolare. Assieme a loro si arruolò volontario nel giugno del 1859, ma il fervente patriottismo del giovane trovò un ostacolo deciso nella madre, che, avendo già al fronte il figlio maggiore Luigi, intervenne presso i superiori per impedire la coscrizione di Raffaello.

A partire dal 1860 si situano i primi cimenti in chiave decisamente macchiaiola, come Tetti al sole e Il cupolino alle Cascine (entrambi a Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea), due piccoli studi a olio su cartone che marcano la vicinanza ai modi di Signorini e già rivelano la predilezione per un paesaggio campestre fortemente antropizzato, ma nel quale la figura umana è tuttavia assente. Si esplicita l’interesse per la luce, qui espresso attraverso contrasti decisi e ombre profonde, destinate ad attenuarsi nel prosieguo.

Nel giugno del 1861 Sernesi accompagnò Borrani sull’Appennino pistoiese, nei dintorni di San Marcello, luogo dal quale seppe trarre ispirazione per opere in cui la luce chiara e il recupero del disegno come strumento imprescindibile della composizione ribadiscono il suo ascendente per i quattrocentisti toscani. Quest’esperienza fu alla base di uno dei capolavori del pittore, la tela Pastura in montagna (collezione privata), come racconta Signorini (1867): «più tardi, da certi suoi studi fatti a San Marcello, rappresentò una Pastura in montagna che riuscì di una calma sorprendente e di un’intonazione luminosissima» (p. 231). Al pari di un’istantanea, Sernesi sospende lo scorrere del tempo bloccando ogni azione degli animali e della pastorella; fermo, terso, cristallino il cielo, dove anche le nuvole sembrano aver trovato un ancoraggio che le trattiene. Il dipinto, in seguito appartenuto ad Arturo Toscanini, venne presentato alle esposizioni della Società promotrice di belle arti di Firenze nel 1862 e nel 1865, oltre che all’Accademia di Brera nel 1865, a riprova di quanto lo stesso Sernesi dovesse apprezzarne la riuscita. Appartengono al medesimo nucleo Bovini neri al carro (Firenze, collezione privata), Pascolo a San Marcello (Venezia, collezione privata), Abetelle pistoiesi (collezione privata).

Nel luglio del 1862 Sernesi si recò a Napoli con l’intenzione di vendere la medaglia celebrativa di Giuseppe Garibaldi che aveva inciso, e nell’occasione fece visita all’amico pittore Stanislao Pointeau a Ischia; difficile dire quanto gli abbia fruttato il viaggio in termini d’ispirazione, poiché l’unica (e non decisiva) influenza napoletana riscontrabile nel suo lavoro, quella di Filippo Palizzi, potrebbe facilmente avere avuto origine a Firenze, dove i collezionisti del pittore partenopeo non mancavano. A partire da quest’anno Sernesi partecipò alla cosiddetta scuola di Piagentina, che prese il nome dal luogo appena fuori Firenze dove Silvestro Lega si era stabilito e dove attorno a lui si riunivano per dipingere piccole vedute campestri Giuseppe Abbati, Borrani, Signorini e, appunto, Sernesi.

Nel 1864 accolse l’invito di Diego Martelli a trascorrere parte dell’estate a Castiglioncello assieme a Borrani, con il quale – com’era successo nell’Appennino – condivise soggetti, punti d’osservazione, materia e tecnica dei dipinti, fin quasi a rendere sovrapponibili le due mani. La punta del Romito veduta da Castiglioncello (Milano, collezione privata) è forse il massimo raggiungimento di questo breve periodo, assieme alla Marina a Castiglioncello di collezione privata milanese, opere che sembrano confermare la puntuale lettura di Emilio Cecchi (1927): «l’istinto costruttivo del Sernesi, la sua logica serena» ci restituiscono «una macchia alleggerita di ciò che in essa tendeva a costituire una nuova rettorica e, soprattutto, dei troppo crudi sottolineamenti e contrasti chiaroscurali» (p. 22).

A Castiglioncello Sernesi tornò anche l’estate successiva, alla quale risalgono altre piccole tele come Grano maturo (collezione privata) e Sull’aia (Firenze, Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti). In entrambi i casi la stasi prediletta dal pittore è alterata dalla comparsa di un cane che, nella seconda opera, crea scompiglio tra le galline e introduce una nota dinamica nel paesaggio in quiete, bagnato dalla luce meridiana. La pennellata si allunga e si assottiglia in questi dipinti, che tentano anche impasti e intonazioni cromatiche inedite, preludio forse di una futura evoluzione stilistica.

Al 1865 risale anche la medaglia commissionata dal Comune di Firenze per il seicentesimo anniversario della nascita di Dante, disegnata da Enrico Pazzi, che aveva appena terminato il monumento al poeta in piazza S. Croce, e incisa da Sernesi nelle Officine Mariotti.

Alla fine di maggio del 1866, dopo aver consegnato alcuni lavori a Signorini nella speranza che l’amico riuscisse a venderli, Sernesi partì da Firenze per Bari, dove giunse l’8 giugno per arruolarsi nel Corpo volontari italiani comandato da Garibaldi. Fu assegnato al VI reggimento e combatté nella terza guerra d’indipendenza, partecipando all’invasione del Trentino. Colpito a una gamba il 16 luglio a Cimego, durante la battaglia di Condino, venne catturato dagli austriaci che lo ricoverarono all’ospedale di Trento e, pochi giorni dopo, in quello di Bolzano. Vi morì il 9 agosto (e non l’11, come perlopiù si sostiene; Daddi, 1977, p. 30) in seguito alla cancrena, essendosi deciso troppo tardi ad acconsentire all’amputazione dell’arto ferito.

Una piccola retrospettiva, allestita con opere della famiglia e di Signorini fu organizzata a Firenze nel 1910 dalla Società delle belle arti (Focardi, 1911).

Fonti e Bibl.: T. Signorini, R. S., in Gazzettino delle arti del disegno, 3 agosto 1867, pp. 230-232; A. Cecioni, Scritti e ricordi, Firenze 1905, pp. 71, 240, 269; R. Focardi, in Esposizione retrospettiva della Società delle belle arti in Firenze 1910, Firenze 1911; E. Cecchi, Alcuni dipinti di R. S., in Vita artistica, II (1927), 1, pp. 21-24; A. M. Capitoni, R. S., Firenze 1942; F. Wittgens, 12 opere di R. S. nella Raccolta Stramezzi, Milano 1951; A.P. Tommasi, Il movimento macchiaiolo e R. S., tesi di laurea, Università di Firenze, Firenze 1953; L. Vitali, Lettere dei Macchiaioli, Torino 1953, pp. 206-210; G. Intersimone, Poetica di R. S., Milano 1968; G. Mantovani, R. S., in Critica d’arte, XV (1968), 93, pp. 31-42, 95, pp. 24-36; G. Intersimone, Un ritratto inedito di R. S., in Antichità viva, XIV (1975), 5, pp. 46 s.; G. Daddi, R. S.: considerazioni ed ipotesi, Oggione 1977; A.P. Tommasi Falcucci, Sernesi o Borrani. Un cambio di attribuzione, in Storia dell’arte, 32-34 (1978), pp. 181-184; E. Spalletti, Gli anni del Caffè Michelangelo, Roma 1985, pp. 171, 177 s.; Id., La pittura dell’Ottocento in Toscana, in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, I, Milano 1991, pp. 288-366 (in partic. pp. 328 s., 333, 335-337); S. Bietoletti, ibid., II, Milano 1991, pp. 1022 s.; C. Del Bravo, La luce di Sernesi, in Artista. Critica dell’arte in Toscana 1997, Firenze 1998, pp. 146-159; D. Durbè, Sernesi e Calame, in Scritti in onore di Gianna Piantoni, a cura di S. Frezzotti - R. Ferraris, Roma 2007, pp. 93-102; F. Dini, Fattori e i Macchiaioli, Milano 2008, pp. 156-159, 325 s.; D. Durbè, “La cascata” e altri quadri di montagna di R. S. ispirati al Calame, in Commentari d’arte, XV (2009 [2010]), 44, pp. 64-70; I Macchiaioli. Le collezioni svelate (catal., Roma), a cura di F. Dini, Milano 2016, passim.

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