Radiobiologia

Enciclopedia del Novecento (1980)

Radiobiologia

Giovanni Suini

di Giovanni Suini

Radiobiologia

sommario: 1. Definizione e limiti della radiobiologia. 2. Sviluppo storico della radiobiologia: a) 1895-1922: la radiobiologia descrittiva; b) 1922-1945: la radiobiologia quantitativa; c) 1945-1970: la moderna radiobiologia. 3. I concetti radiobiologici fondamentali: a) dose; b) effetto; c) efficacia biologica relativa (EBR); d) fattore tempo e riparazione; e) radiosensibilità e fattori modificanti. 4. Gli effetti delle radiazioni su vari materiali biologici: a) effetti su sistemi molecolari; b) effetti sul materiale genetico; c) effetti su cellule singole e su popolazioni cellulari; d) effetti su organismi multicellulari. 5. Applicazioni e sviluppi della radiobiologia. □ Bibliografia.

1. Definizione e limiti della radiobiologia

Ciò che più colpisce l'osservatore non specialista che si accosta alla radiobiologia è la complessità e la varietà del suo campo di interessi. Come tutte le materie interdisciplinari, la radiobiologia ha profonde e ampie connessioni con molte specializzazioni delle discipline fisiche (fisica atomica, fisica nucleare, dosimetria, biofisica), delle scienze chimiche (radiochimica, chimica delle radiazioni, chimica dei radicali, chimica biologica) e di tutte le scienze della vita (biologia molecolare, genetica, microbiologia, citologia, istologia, patologia, ecologia), per cui una delimitazione esatta dei confini di questa materia risulta sempre difficile e necessariamente incompleta. La radiobiologia, infatti, mutua spesso dalle varie discipline i concetti, le metodiche, le tecniche di indagine che si applicano a ogni livello organizzativo del materiale biologico esaminato, così che ne risulta una tale varietà di problemi e di dati sperimentali che a prima vista può perfino disorientare.

La definizione che se ne dà di solito come di quella scienza che si occupa degli effetti sui materiali viventi delle radiazioni (delle radiazioni ionizzanti, in particolare, essendo il campo delle radiazioni luminose e ultraviolette coperto dalla fotobiologia) è così vasta da perdere gran parte del suo significato. Ciò nonostante esiste al fondo di ogni ricerca radiobiologica, su qualsiasi materiale vivente essa venga condotta, un interesse comune che si identifica nel fine particolare che tale ricerca ha sollecitato e che è volto specificamente alla conoscenza degli effetti (morfologici, funzionali, patologici) che sul materiale esercita l'esposizione alla radiazione.

Contro questa apparente indeterminatezza sta, d'altra parte, l'importanza delle nozioni proprie della radiobiologia, che nella vita della società moderna rappresentano punti di riferimento di notevole interesse pratico come, per esempio, nelle applicazioni mediche diagnostiche o terapeutiche dei radioisotopi, nella produzione di energia a fonte primaria nucleare, nell'applicazione delle radiazioni e dei materiali radioattivi ai più svariati procedimenti della ricerca e dell'industria. Le radiazioni rappresentano ormai un fattore rilevante della nostra vita quotidiana: la necessità di proteggersi dai loro effetti nocivi e il desiderio di utilizzarne le enormi potenzialità benefiche hanno reso i concetti della radiobiologia di grande attualità e di importanza essenziale.

Si manifesta talvolta la tendenza a classificare sotto il termine generico di radiobiologia materie di studio diverse, che siano comunque connesse con l'applicazione delle radiazioni ai materiali viventi. Capita perciò spesso di vedere accomunati sotto questo nome studi sull'incorporazione e il metabolismo di isotopi radioattivi volti a ottenere informazioni di natura biochimica o fisiologica; oppure ricerche di carattere essenzialmente clinico condotte con sostanze marcate per il miglioramento di procedimenti diagnostici o terapeutici; o ancora ricerche sulla contaminazione ambientale a opera di radionuclidi diversi, con finalità di protezione; o infine studi di natura fisica sull'assorbimento di radiazioni in materiali biologici. Tali confusioni, se potevano essere scusate per il passato, quando le varie discipline erano ancora allo stadio iniziale, non possono trovare giustificazione nell'epoca attuale, se si considera il grado di specializzazione raggiunto dalle varie branche delle scienze nucleari.

In particolare, per ciò che qui ci interessa, la radiobiologia si discosta nettamente dagli esempi sopra citati per una sua specifica vocazione verso l'analisi dei meccanismi d'azione della radiazione a un livello fondamentale. Certamente, a seconda dello stato delle conoscenze sui vari materiali allo studio, quest'analisi non può essere sempre condotta a un livello molecolare come attualmente avviene per le unità biologiche più semplici; ma è da presumere che, con l'approfondimento delle conoscenze sulla biologia generale dei vari materiali, la radiobiologia potrà disporre in futuro di una migliore informazione sui meccanismi più intimi dei vari effetti radiobiologici.

2. Sviluppo storico della radiobiologia

A più di ottant'anni di distanza dalla scoperta dei raggi X da parte di W. C. Röntgen (1895) e dalla scoperta del fenomeno della radioattività a opera di H. Becquerel (1896) e M. Curie (1898) è possibile tracciare un quadro, necessariamente schematico, dello sviluppo della radiobiologia, nel quale si possano cogliere i motivi di interesse prevalente nelle varie fasi. Questo quadro risulta meno chiaramente delineato negli anni più recenti (a partire, approssimativamente, dalla seconda guerra mondiale), perché il breve tempo trascorso non ha consentito di separare nettamente i concetti essenziali e validi da quelli di minore interesse. Inoltre, si è registrato dal 1945 un enorme incremento della letteratura radiobiologica, giustificato dall'esplosione degli ordigni bellici nucleari in Giappone, dalla lunga serie di test nucleari durante gli anni cinquanta e, in tempi ancora piu vicini, dal crescente uso dell'energia nucleare a scopi pacifici. Il grande sforzo della ricerca radiobiologica in questi ultimi anni è dovuto alla acquisita consapevolezza che molte delle applicazioni dell'energia nucleare, anche a scopi pacifici, sono limitate da rischi biologici importanti.

a) 1895-1922: la radiobiologia descrittiva

Le prime osservazioni radiobiologiche risalgono agli anni immediatamente successivi alla scoperta dei raggi X. In questo periodo vengono descritti per la prima volta, nel modo qualitativo allora possibile, i danni provocati dalle radiazioni: reazioni cutanee (1904), effetto distruttivo sul tessuto seminifero (1906) e ovarico (1913), lesioni dei tessuti linfatico ed emopoietico (1903) e dell'epitelio intestinale (1912), produzione di tumori (1902). Vengono gradualmente introdotti i raggi X nella diagnosi di lesioni ossee o di malattie dell'apparato gastrointestinale, mediante l'uso di mezzi di contrasto. In campo terapeutico viene sfruttato assai rapidamente l'effetto letale della radiazione sulle cellule nel trattamento di tumori cutanei (1899). Nel campo delle scienze naturali sono da ricordare tra i primi studi quelli sulla spermatogenesi del rospo, della rana, del coniglio (1908) e alcune ricerche radiobiologiche su cellule vegetali (1908). Nel 1906 J. A. Bergonié e L. Tribondeau formulano una legge, ancora valida con alcune eccezioni e qualificazioni, secondo la quale l'irradiazione risulta più efficace su tessuti ad alta attività proliferativa e confermano definitivamente l'azione cancerogena dell'irradiazione e l'alta incidenza di tumori epiteliali cutanei in radiologi negligentemente espostisi a fasci di radiazione X. Sulla base di questi dati essi discutono anche sul merito relativo della dose singola o frazionata nell'applicazione clinica della radioterapia.

La possibilità di giungere a generalizzazioni così precise riguardo ad alcuni tra i più importanti effetti della radiazione, in assenza di metodi dosimetrici accurati (l'unità di dose biologica era a quel tempo la dose-eritema) e con il solo ausilio dell'osservazione microscopica o del dato clinico, depone a favore della grande capacità di sintesi di questi primi sperimentatori. Negli anni seguenti, contemporaneamente allo sviluppo della fisica atomica e nucleare, la scuola francese della Fondation Curie procede, secondo un indirizzo prevalentemente morfologico e clinico, alla descrizione più accurata di effetti e di sindromi da radiazione; successivamente l'attenzione si sposta, con l'approfondirsi delle ricerche chimiche, biologiche e genetiche, verso il mondo tedesco e anglosassone. Compaiono le prime riviste scientifiche a indirizzo radiologico: nel 1900 gli ‟Archives of radiology and electrotherapy", trasformati nel 1928 in ‟British journal of radiology"; ‟Strahlentherapie" nel 1912; ‟American journal of roentgenology" nel 1914 (che aggiungerà al suo titolo ‟Radium therapy" nel 1917 e ‟Nuclear medicine" nel 1952).

b) 1922-1945: la radiobiologia quantitativa

Può forse apparire arbitrario fissare una data così precisa (1922) quale inizio di questa seconda fase, ma è proprio in questo anno che Dessauer, Blau e Altenburger pubblicano le prime osservazioni sull'applicazione di metodi matematici e statistici all'analisi di fenomeni radiobiologici, inaugurando un campo di indagine che doveva poi essere designato come radiobiologia quantitativa. È interessante notare come questo nuovo approccio sia preceduto e accompagnato da uno spostamento dell'interesse dai materiali biologici complessi verso unità biologiche più semplici (Virus, Batteri, strutture genetiche elementari) che maggiormente si prestano ad analisi quantitative.

Le caratteristiche principali di questa nuova radiobiologia consistono nell'applicazione dei concetti della fisica quantistica ai processi di trasferimento dell'energia in materiali viventi e nella tendenza a sviluppare ipotesi matematiche dell'azione radiobiologica (ipotesi dell'azione diretta), nelle quali l'astrazione formale possa supplire alla mancata identificazione dei meccanismi biofisici fondamentali. Questi studi portano alla prima ipotesi comprensiva dell'azione diretta delle radiazioni, la cosiddetta ‛teoria dell'urto', caratterizzata da un rigido formalismo matematico. Essa è seguita in ordine di tempo da una serie di osservazioni, note sotto il nome generico di ‛teoria del bersaglio', che tendono, attraverso una migliore precisazione dei fenomeni fisici fondamentali di cessione dell'energia (urti) e delle caratteristiche biofisiche del materiale in esame (bersagli), a un migliore adattamento della teoria alla grande complessità e variabilità delle strutture biologiche.

Contributi considerevoli a questi concetti fondamentali e sperimentazioni determinanti sono condotti da Timoféev-Ressovsky e Zimmer (1947), attraverso una discussione accurata della variabilità biologica, e da Lee (1940, 1946). Quest'ultimo, attraverso un'analisi approfondita e una logica stringente, giunge a una sistematizzazione della radiobiologia cellulare e subcellulare e conduce a un grado estremo di raffinatezza la cosiddetta ‛ultramicrometria statistica', capace di risalire alla dimensione di oggetti biologici submicroscopici in base alla loro risposta nei confronti di radiazioni a diversa densità di ionizzazione.

Altri studi fondamentali in campo radiobiologico sono resi possibili dalla scoperta, compiuta da H. J. Müller intorno agli anni trenta, dell'effetto mutageno della radiazione sul materiale genetico in Drosophila. A queste osservazioni seguono studi molto estesi che determinano uno sviluppo considerevole della radiogenetica già prima del secondo conflitto mondiale. Lo sviluppo della genetica in questo periodo è praticamente inseparabile da quello della radiobiologia.

La disponibilità di nuovi tipi di radiazioni (alfa, neutroni) favorisce lo studio della loro azione differenziale dovuta alla loro diversa densità di ionizzazione. Si giunge anche a una migliore conoscenza dello spettro d'azione di radiazioni ultraviolette non ionizzanti. Un considerevole aiuto alla radiobiologia viene offerto dall'assunzione del röntgen come unità di misura delle radiazioni (1928) e dalla costituzione delle Commissioni Internazionali sulle Unità di Misura Radiologiche (ICRU, 1925) e sulla Protezione Radiologica (IRPC, 1928; ICRP, 1950).

Verso la fine di questo periodo incominciano a prendere forma ipotesi alternative sull'azione radiobiologica, che vanno sotto il nome di ‛ipotesi dell'azione indiretta' delle radiazioni, sollecitate dalle nuove scoperte sulla radiochimica dell'acqua e dall'acquisizione che i suoi prodotti di reazione (radicali, ioni, prodotti molecolari) possono fungere da agenti diffusori dell'effetto della radiazione in materiali irradiati in fase acquosa. La comparsa di queste nuove teorie è da porre in relazione con il progresso delle conoscenze biochimiche e di fisiologia cellulare, con la varietà e la complessità degli effetti radiobiologici che si vanno a mano a mano chiarendo e con l'impossibilità di darne un'interpretazione comprensiva sulla base delle ipotesi dell'azione diretta che appaiono ormai troppo schematiche e meccanicistiche.

c) 1945-1970: la moderna radiobiologia

L'inizio di quest'ultima fase coincide con la realizzazione della reazione nucleare a catena in condizioni controllate (1943) e con i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki (1945). L'impressione generale che si trae dalla valutazione di questo periodo è che la radiobiologia si sia ormai specializzata. Si possono anche - se pur approssimativamente - distinguere in ordine di tempo alcuni orientamenti caratterizzati da un interesse prevalente e progressivo verso sistemi biologici più semplici. In un primo periodo la radiobiologia di sistemi animali, anche per comprensibili ragioni di ordine pratico, attira la massima attenzione; successivamente la radiobiologia cellulare emerge come l'indirizzo più vitale e, recentemente, infine, parallelamente alle nuove acquisizioni della biologia, si va delineando anche una radiobiologia molecolare. Questo significa non già che validi studi sui vari sistemi non siano stati e non siano tuttora compiuti, ma che l'enfasi maggiore si è gradualmente spostata e l'affinamento delle indagini ha portato verso orientamenti più fondamentali. A seguito dell'enorme incremento di interesse degli studi radiobiologici iniziano la pubblicazione le prime riviste specializzate (‟Radiation research", nel 1954; ‟International journal of radiation biology", nel 1958), mentre lavori di interesse radiobiologico compaiono su moltissime riviste scientifiche.

1. La radiobiologia animale. - Le potenzialità distruttive della nuova forma di energia colpiscono drammaticamente l'opinione pubblica e sollecitano un maggiore impegno di ricerca per la conoscenza dei danni, dei rischi e delle protezioni. Studi estesi sugli effetti radiobiologici erano di fatto già in corso negli Stati Uniti, coperti dal segreto militare come parte del progetto Manhattan che portò allo sviluppo dei primi ordigni atomici. Tali studi, condotti soprattutto a livello organismico in diverse specie animali, in svariate condizioni di irraggiamento, a opera di radiazioni diverse, sono più tardi resi di pubblico dominio e portano, insieme con altri immediatamente successivi, a un'esatta definizione delle sindromi da irradiazione nei Mammiferi (sindrome midollare, intestinale, nervosa); alla precisa identificazione delle componenti patogenetiche della malattia da raggi; alla formulazione di alcuni concetti fondamentali nella radiobiologia dei Mammiferi (riparazione, fattore tempo, relazioni dose-tempo) secondo ragionevoli criteri quantitativi. Sempre in tema di danni somatici, vengono identificati e studiati con maggiore impegno i cosiddetti effetti tardivi da radiazione, mentre la genetica dei Mammiferi riceve grande impulso dagli studi per le stime del rischio genetico in animali irradiati. Iniziano studi di grande interesse pratico sulla contaminazione interna da emettitori radioattivi, condotti su diversi animali e anche su gruppi umani accidentalmente esposti. La necessità di sviluppare procedimenti di protezione nucleare determina negli anni cinquanta una lunga serie di indagini su sostanze chimiche dotate di attività protettrice, sostanze che si riveleranno poi di maggiore interesse per lo studio di meccanismi fondamentali, piuttosto che a scopo applicativo.

2. La radiobiologia cellulare. - Ciò che maggiormente ha caratterizzato questa branca è l'estesa analisi di vari fattori modificanti la radiosensibilità cellulare. Oltre a quello dei protettori chimici, già menzionato, viene approfondito, soprattutto a opera di ricercatori inglesi, lo studio dell'effetto dell'ossigeno. Questi studi porteranno successivamente ad applicazioni pratiche di grande interesse nella radioterapia dei tumori. L'influenza della temperatura, del contenuto in acqua, dell'applicazione di antimetaboliti e di analoghi biochimici sulla radiosensibilità, è oggetto di grande attenzione, nel tentativo di comporre un quadro il più possibile completo degli aspetti biochimici del danno radiobiologico. Una migliore definizione del concetto di radiosensibilità cellulare viene ottenuta dallo studio in vitro e in vivo di cellule di Mammiferi, secondo il criterio (prima applicabile solo a cellule batteriche o particelle virali) della loro capacità riproduttiva indefinita. Più recentemente, le nuove acquisizioni sulla cinetica del ciclo cellulare e sulla struttura funzionale dei tessuti precisano il concetto di radiosensibilità di organo in rapporto alla radiosensibilità delle cellule componenti.

Una lunga serie di ricerche sui meccanismi e sulla cinetica di riparazione del danno subletale rende possibile l'interpretazione degli effetti di riparazione in sistemi organizzati secondo schemi quantitativi su base cellulare. Prosegue, da punti di vista diversi, l'analisi del danno da radiazione sui cromosomi di cellule animali e vegetali, sia come mezzo per una migliore comprensione della loro struttura e delle loro funzioni, sia per fini applicativi di dosimetria biologica.

Nel campo delle cellule batteriche l'uso di mutanti biochimici offre la possibilità di una fine analisi dei vari stadi metabolici del danno da radiazioni mediante tecniche quantitative di microbiologia o di genetica batterica. Lo studio dell'effetto di radiazioni diverse (ultraviolette, radiazioni densamente ionizzanti) e l'applicazione di tecniche matematiche moderne con l'impiego di elaboratori elettronici permettono di approfondire i concetti classici di urto e di bersaglio e di costruire modelli interpretativi del danno da radiazioni.

3. La radiobiologia molecolare. - Oltre che a finalità di carattere applicativo, la radiobiologia tende anche, e forse soprattutto, a un maggiore approfondimento della ricerca fino a livelli in cui le misure fisiche, chimiche e biologiche si integrano per dare risposte di valore scientifico e di validità assoluta. Ricerche di questo tipo non sono naturalmente possibili sui materiali di maggiore complessità strutturale e pertanto l'indagine si è di nuovo orientata, attualmente, verso le unità biologiche più elementari. Questo orientamento è stato reso possibile da due fatti: anzitutto l'enorme aumento delle conoscenze sulla struttura e la funzione delle macromolecole di interesse biologico e, in secondo luogo, la disponibilità di tecnologie avanzate di analisi biochimica e molecolare. È ancora troppo presto per dire se questo indirizzo di indagine potrà dare le risposte sperate, ma un atteggiamento ottimista sembra ragionevolmente giustificato. Del resto, l'importanza di acquisizioni recenti, quale l'identificazione molecolare del danno radiobiologico in Virus e Batteri e dei suoi meccanismi di riparazione, sembra tale da superare i limiti della radiobiologia per assumere un valore generale.

3. I concetti radiobiologici fondamentali

Lo scopo di questo capitolo è quello di isolare dalla complessità della materia alcune nozioni e alcuni problemi riferiti ai concetti radiobiologici di più largo uso sui quali si fonda la trattazione sistematica degli effetti ai vari livelli organizzativi sviluppata nel cap. 4. Nonostante il comune impiego, le nozioni di dose, di effetto, di riparazione, ecc. nascondono incertezze notevoli e una problematica propria tutt'altro che risolta al momento attuale. Una discussione pregiudiziale di questi concetti farà risparmiare precisazioni successive e contribuirà a identificare nel contesto delle nozioni specialistiche quelle di importanza più generale.

a) Dose

La nozione di dose, come quantità di energia assorbita per unità di massa del materiale biologico irradiato, è uno dei concetti basilari della radiobiologia, la variabile indipendente in base alla quale vengono misurati tutti gli effetti radiobiologici. La dose viene espressa in base a una unità di misura detta ‛rad', che corrisponde a 100 erg di energia assorbita per grammo di materiale irradiato. Negli ultimi anni è entrata nell'uso un'altra unità di dose assorbita, il ‛grey' (Gy), che corrisponde, secondo il sistema di misura internazionale SI, a 1 joule/kg. Un Gy equivale a circa 100 rad. La moderna dosimetria delle radiazioni mediante le tecniche ionimetriche, chimiche, a luminescenza, ecc., è attualmente in grado di fornire misure abbastanza corrette delle dosi delle diverse radiazioni ionizzanti in varie condizioni di esposizione, e di valutare la variazione di dose e di spettro all'interno del materiale irradiato entro distanze dell'ordine del millimetro. Dal punto di vista della struttura dei materiali biologici queste distanze devono tuttavia essere considerate macroscopiche e le relative informazioni troppo approssimate.

Il fine ultimo della dosimetria radiobiologica è quello di fornire dati fisici di natura più fondamentale, utili alla comprensione del meccanismo d'azione delle radiazioni. In linea di principio la dosimetria radiobiologica dovrebbe quindi specificare sperimentalmente il numero e la distribuzione a livello di strutture cellulari e subcellulari degli eventi fisici iniziali dell'azione radiobiologica (microdosimetria). Le difficoltà che si incontrano nell'affinamento delle misure derivano essenzialmente dal fatto che i fenomeni fisici conseguenti all'irradiazione che si producono all'interno di un materiale vivente sono molteplici e di diversa natura e importanza; essi inoltre non sono distribuiti a caso entro l'oggetto biologico, ma sono disposti lungo le tracce delle particelle ionizzanti. L'impossibilità tecnica di ottenere misure sperimentali significative costringe perciò spesso a previsioni di carattere teorico, deducibili dal calcolo matematico della probabilità dei vari eventi.

Oltre che per queste implicazioni di natura concettuale, la nozione di dose necessita di una migliore precisazione anche per ragioni di carattere pratico. Infatti, non sempre alla somministrazione di una certa dose fisica di radiazioni di diversa natura ed energia segue il medesimo grado di un certo effetto radiobiologico. Questo problema, che sarà ripreso in seguito, rende necessario l'uso di fattori di correzione (fattore di efficacia biologica relativa; fattore di qualità), diversi per radiazioni diverse, i quali servono a stabilire in pratica le misure della dose biologicamente significativa.

b) Effetto

In linea di principio, qualsiasi alterazione di tipo qualitativo o quantitativo prodotta dall'assorbimento della radiazione in un materiale biologico, purché identificabile o misurabile con una qualche metodica sperimentale, viene considerata come un effetto della radiazione; tuttavia, per ragioni di carattere teorico e tecnico, le osservazioni sono preferenzialmente condotte su alcuni materiali e utilizzano metodiche di indagine abbastanza standardizzate. Così la produzione di radicali, l'inattivazione funzionale di molecole enzimatiche, l'induzione di mutazioni genetiche, la perdita della capacità riproduttiva di popolazioni cellulari, la morte di un animale, sono altrettanti esempi di effetti molto studiati.

Un effetto radiobiologico, anche il più elementare, rappresenta sempre un fenomeno di grande complessità e di difficile comprensione, che si manifesta attraverso una successione di vari stadi temporali. L'assorbimento di energia in un materiale irradiato è un fenomeno che ha luogo in tempi brevissimi, dell'ordine di 10-14 secondi, e porta alla formazione di una grande varietà di molecole attivate (eccitate o ionizzate) in una disposizione spaziale del tutto disuniforme. Esse rappresentano i prodotti primari; il periodo durante il quale si formano è chiamato periodo ‛fisico' dell'azione radiante. I prodotti primari sono di solito molto instabili e vanno immediatamente incontro a reazioni secondarie, o spontaneamente o a seguito di interazioni. Durante questo secondo stadio, ‛fisico-chimico' (10-10 s), si verificano tipi di interazioni caratteristiche attraverso reazioni intermedie spesso molto complesse. Quando il sistema ha raggiunto un equilibrio termico e i prodotti primari si sono convertiti in molecole stabili, spesso profondamente diverse da quelle di partenza, o in specie molecolari chimicamente molto reattive (atomi liberi, radicali), si inizia il terzo periodo, quello ‛chimico' (10-6 s), nel corso del quale le molecole più reattive interagiscono tra loro e con il mezzo. Segue infine uno stadio dell'azione ‛biologica', che si identifica con la risposta dell'unità elementare, della cellula, dell'organismo, ai prodotti chimici dell'irradiazione, attraverso diverse gerarchie di complessità organizzativa. Quest'ultimo stadio può durare da qualche secondo fino a molti anni.

È naturale che una spiegazione in termini quantitativi e molecolari di effetti radiobiologici complessi quale, per esempio, la morte di un animale, sia al momento attuale impresa assai ardua. Analisi di questo tipo possono essere compiute solo sui materiali più semplici, ma non vi è ragione per ritenere che gli eventi fondamentali negli organismi superiori possano differire di molto da quelli osservabili nei materiali più semplici.

Un ostacolo notevole alla comprensione di molti effetti su materiali viventi è rappresentato dalla difficoltà di determinare sperimentalmente quanto di un effetto sia dovuto alla deposizione ‛diretta' di energia sulle biomolecole che ne sono responsabili e quanto sia invece da attribuirsi a un'azione ‛indiretta' su queste strutture a opera di radicali formati per deposizione di energia su molecole del mezzo di sospensione (acqua). Il contributo relativo di un'azione di tipo diretto o indiretto può essere determinato attualmente solo sui materiali più semplici, ma rappresenta già un obiettivo difficile a livello cellulare.

Lo studio quantitativo dell'azione radiobiologica si fonda ancora oggi in gran parte sull'analisi delle relazioni che intercorrono tra l'effetto, da una parte, e il tempo e la dose, dall'altra. Vi sono effetti radiobiologici che hanno un andamento caratteristico in funzione del tempo trascorso dalla somministrazione di una certa dose, nel senso che la loro comparsa e la loro intensità massima si verificano entro intervalli di tempo prevedibili a partire dall'irradiazione. Tutti gli effetti, poi, manifestano relazioni tipiche in funzione della dose (relazioni di tipo lineare, esponenziale, sigmoide) le quali, entro certi limiti e a seconda dell'effetto, sono espressione diretta o indiretta del verificarsi di certi eventi fisici o biologici nell'oggetto irradiato. L'esame dell'andamento di queste relazioni o curve dose-effetto rappresenta una parte importante degli studi di radiobiologia e può in taluni casi essere risolutivo per la comprensione dei meccanismi d'azione.

c) Efficacia biologica relativa (EBR)

Radiazioni di diversa natura ed energia possono avere, a parità di dose fisica, effetti biologici quantitativamente molto dissimili. Poiché è noto che, entro ampi limiti di variazione, la natura e l'energia della radiazione non modificano sostanzialmente la quantità di energia necessaria per formare una coppia di ioni (concetto questo su cui si fonda la misura fisica della dose), ne deriva che non la quantità di energia come tale ma il modo come essa viene depositata nel mezzo irradiato lungo le tracce delle particelle ionizzanti è alla base di tale effetto. E poiché le misure di densità di ionizzazione o di trasferimento lineare di energia (TLE) permettono di trarre indicazioni sulla disposizione spaziale degli eventi ionizzanti, la diversa efficacia biologica delle radiazioni viene in genere riferita alla loro densità di ionizzazione.

Il concetto di EBR può essere facilmente visualizzato partendo dall'ipotesi che un effetto radiobiologico sia legato alla deposizione di una certa quantità di energia entro un volume sensibile, o ‛bersaglio', che in qualche caso si può identificare con il volume fisico dell'oggetto biologico irradiato, in altri casi con una parte di esso. Quando un solo evento biofisico elementare, chiamato ‛urto' (identificabile, per esempio, in una ionizzazione), è sufficiente per determinare l'effetto, la presenza contemporanea di parecchi: eventi nel volume sensibile, come avviene nel caso di radiazioni densamente ionizzanti, non porterà a un aumento proporzionale dell'effetto. Si osserverà pertanto una deposizione di energia cui non corrisponde alcun effetto e si avrà di conseguenza una diminuzione del fattore di EBR per la radiazione più densamente ionizzante. Quando invece la soglia energetica necessaria a provocare l'effetto è più elevata, come avviene per gli effetti che richiedono un numero maggiore di eventi biofisici elementari, questa energia potrà essere depositata o mediante la sommazione nel tempo di eventi discreti o mediante la sommazione nello spazio di urti ravvicinati. È chiaro che, a seconda della disposizione di questi eventi lungo le tracce nel caso di radiazioni densamente o scarsamente ionizzanti, la probabilità che l'effetto si verifichi varierà per le diverse radiazioni.

Oltre ad avere una validità assolutamente generale in radiobiologia, e pertanto un'importanza teorica di grande portata, il concetto di EBR ha gravi implicazioni di carattere pratico nelle stime di rischio a scopi protettivi.

d) Fattore tempo e riparazione

Quella della riparazione rappresenta una delle nozioni radiobiologiche più antiche e ancor oggi più intensamente studiate, che si ricollega a osservazioni sperimentali di natura molto generale. Esse hanno dimostrato da tempo che il modo con cui una certa dose di radiazione viene somministrata in rapporto al tempo (dose unica, dose frazionata, dose cronica) influenza grandemente l'effetto biologico finale dell'irradiazione, nel senso che a mano a mano che la dose viene diluita nel tempo il risultato finale diminuisce. Meccanismi di riparazione del danno posti in opera dal materiale biologico irradiato sono stati invocati per giustificare questo fenomeno. Il concetto di riparazione ha rappresentato però per lungo tempo una nozione di tipo operativo, fino a quando non è stato possibile identificare i meccanismi molecolari che ne sono alla base e che possono essere diversi a seconda dei tipi di danno e dei materiali irradiati. Nel caso del danno letale da raggi UV in Batteri e in cellule superiori è stato stabilito che si tratta di meccanismi che comportano la demolizione della parte danneggiata di una molecola di DNA e la sua resintesi mediante sistemi enzimatici. Nel caso di danno letale da radiazioni ionizzanti in cellule di Mammiferi sono stati descritti fenomeni diversi, a livello cellulare, che portano alla eliminazione del danno subletale secondo cinetiche note ma meccanismi molecolari tuttora oscuri. A livello dei tessuti, oltre ai meccanismi intracellulari ora citati, la riparazione opera anche attraverso la divisione delle cellule sopravviventi e la ripopolazione del tessuto irradiato. Al livello dell'intero organismo, infine, tutti questi processi sono regolati da sistemi omeostatici di natura funzionale.

I riflessi degli studi sulla riparazione sono notevoli non solo sul piano radiobiologico conoscitivo per la generalità di taluni fenomeni, ma anche sul piano pratico, poiché da una loro conoscenza più approfondita potrebbe derivare un migliore sfruttamento delle radiazioni a scopo terapeutico. Bisogna ricordare, infine, che l'esposizione cronica a basse dosi, dove i processi di riparazione operano con intensità massima, rappresenta la modalità di irradiazione più frequente e più importante della quale bisogna tener conto nella radioprotezione di lavoratori o di popolazioni esposti a rischio.

e) Radiosensibilità e fattori modificanti

Nel suo significato più vasto, il concetto di radiosensibilità esprime l'intensità di un certo effetto radiobiologico in funzione dell'energia radiante assorbita (dose). Esso non ha pertanto un valore assoluto, ma è definibile soltanto in relazione all'effetto biologico e alle condizioni in cui tale effetto viene prodotto e rilevato. Nella radiobiologia sperimentale la radiosensibilità si riferisce specificamente alla relazione quantitativa tra dose ed effetto, cioè alla forma e alla pendenza della curva che esprime questa relazione.

Sembra accertato che la radiosensibilità di un sistema biologico semplice è in rapporto con la quantità di acido nucleico dell'oggetto biologico irradiato, nel senso che la dose richiesta per inattivare sistemi ad alto contenuto di nucleotidi è minore di quella necessaria per ottenere il medesimo effetto in quelli a basso contenuto. Esistono livelli diversi entro i quali questa relazione può essere verificata, corrispondenti a livelli crescenti di complessità strutturale del genoma: dai virus a DNA o a RNA a elica singola, ai virus a DNA a doppia elica, alle cellule aploidi e infine alle cellule diploidi. La presenza di fenomeni di riparazione intrinseci negli oggetti biologici più complessi può alterare questi rapporti fondamentali, ma si può affermare, in linea di massima, che ogni oggetto biologico ha la radiosensibilità che gli compete in base alla quantità e alla struttura del suo materiale genetico. Questo per ciò che si riferisce alla cosiddetta ‛radiosensibilità intrinseca'.

Le lesioni primarie e i fenomeni di riparazione sono però influenzati da un notevole numero di fattori che modificano la ‛radiosensibilità apparente' di un sistema e il loro studio riveste un grande interesse generale. Nel campo dei fattori modificanti si ricordano, per esempio, la dipendenza dell'effetto biologico dalla concentrazione del soluto in sistemi acquosi; i fenomeni di protezione dovuti alla contemporanea presenza nel sistema irradiato di molecole diverse da quella bersaglio; la temperatura alla quale l'irradiazione viene condotta; l'irradiazione allo stato secco o in soluzione; la presenza o l'assenza di ossigeno durante l'irradiazione. Considerati nella radiobiologia classica come test risolutivi per un'analisi dell'importanza relativa di meccanismi diretti o indiretti, molti di questi fattori hanno perduto interesse a questo scopo, ma hanno, al contrario, acquisito importanza come fenomeni radiobiologici di validità molto generale.

L'effetto dell'ossigeno, in particolare, è stato studiato in sistemi subcellulari, cellulari e nell'animale al fine di chiarirne le dipendenze dal tempo, dalla concentrazione del gas, dalla densità di ionizzazione della radiazione, con risultati di portata assai vasta e con sviluppi interessanti, e che si prospettano anche utili nella pratica medica (radioterapia in iperbarismo, radioterapia con neutroni). Tra i modificatori chimici della radiosensibilità, grande attenzione è stata posta su molte sostanze dotate di attività radioprotettrice e su alcune sostanze radiosensibilizzanti, tra le quali ultime si ricordano in particolare gli analoghi alogenati delle basi del DNA.

4. Gli effetti delle radiazioni su vari materiali biologici

Questo capitolo si propone di dare una brevissima sintesi degli effetti che la radiazione induce su vari oggetti biologici, in ordine di crescente complessità. Più che offrire un compendio degli innumerevoli fenomeni che sono stati descritti, si tenterà qui di illustrare i problemi che formano la base della sperimentazione ai vari livelli organizzativi.

a) Effetti su sistemi molecolari

Gli studi di maggiore interesse in questo campo sono stati condotti sulle macromolecole dotate di attività biologiche caratteristiche e specifiche, come le proteine e gli acidi nucleici. La perdita di funzione della molecola a seguito dell'irradiazione è l'effetto più frequentemente studiato, e l'obiettivo principale di queste ricerche è quello di stabilire una correlazione, possibilmente di natura quantitativa, tra l'inattivazione funzionale della molecola e le variazioni della sua struttura (primaria, secondaria o terziaria), evidenziabili attraverso metodi fisici e chimici. Questo compito è però molto arduo a causa delle grandi dimensioni delle biomolecole e della complessità della loro organizzazione strutturale (v. proteine).

Nel caso delle proteine si è dimostrato che i radicali primari prodotti dall'assorbimento casuale di energia radiante sui vari atomi della molecola danno luogo rapidamente a radicali secondari localizzati su legami, molecole o gruppi atomici particolari (zolfo, glicina) che rappresentano, dal punto di vista energetico, siti adatti alla stabilizzazione dei radicali. Nonostante che l'inattivazione della molecola segua cinetiche relativamente semplici in condizioni di effetto sia diretto (cioè allo stato secco) sia indiretto, l'evento finale di inattivazione rappresenta sempre un fenomeno complesso che può essere dovuto, a seconda dei casi, a numerose alterazioni della struttura molecolare. Variazioni del contenuto percentuale dei vari amminoacidi rivelano modificazioni della struttura primaria, mentre la struttura secondaria può essere alterata per la rottura di legami che conferiscono stabilità alla conformazione molecolare. Queste modificazioni strutturali della molecola, soprattutto quando interessano il sito attivo, portano invariabilmente alla perdita della sua attività biologica. I calcoli del peso molecolare del bersaglio in base alle ipotesi di azione diretta dimostrano che un qualsiasi evento di deposizione di energia dell'ordine di 60 eV su qualsiasi punto della molecola provoca la perdita della sua attività biologica, e pertanto la probabilità di inattivazione aumenta, a parità di dose, con le dimensioni del bersaglio.

Nel caso degli acidi nucleici, il problema della sperimentazione radiobiologica è analogo, sebbene più difficile per la complessità strutturale e la molteplicità delle funzioni di queste molecole (replicazione, trascrizione, traduzione e poi, a un livello superiore, attività trasformante, infettività, induzione enzimatica). Numerose osservazioni dimostrano anche negli acidi nucleici irradiati la presenza di radicali primari e di fenomeni di trasferimento dell'energia verso parti della molecola apparentemente più vulnerabili, le quali, nel corso della fase chimica dell'azione radiante, possono andare incontro a modificazioni della loro struttura. Queste modificazioni possono riguardare: a) la struttura primaria, con variazioni dei nucleotidi; b) la struttura secondaria, con rotture della continuità di una o di ambedue le catene polinucleotidiche o con denaturazione della doppia elica; infine c) la formazione di legami trasversali tra molecole diverse (cross-linking). Le condizioni del materiale al momento dell'irradiazione (allo stato secco, oppure in soluzione) danno naturalmente luogo a cinetiche d'azione diverse.

La radiosensibilità delle funzioni degli acidi nucleici è, in linea generale, in un qualche rapporto diretto con il peso molecolare del bersaglio e, nel caso del DNA, con le dimensioni di quella parte della molecola che è responsabile dell'effetto esaminato. Contrariamente a quanto si verifica nel caso del trattamento con radiazioni ionizzanti, dove le lesioni molecolari sono di natura aspecifica, nel trattamento del DNA con radiazione UV è possibile identificare il danno funzionale con una lesione biochimica caratteristica (la formazione di un dimero della timina) la cui specificità è dimostrata dalla buona correlazione tra numero di dimeri formati e perdita di attività biologica del materiale.

Lo studio dell'azione radiobiologica sui Virus è di particolare interesse, perché queste unità biologiche elementari permettono una verifica delle ipotesi di azione diretta e indiretta. Poiché la loro risposta all'irradiazione non è complicata da fenomeni secondari, è possibile identificare in essi, con una ragionevole approssimazione, i bersagli dell'azione radiobiologica e le lesioni strutturali responsabili dell'inattivazione. È ormai accertato che l'acido nucleico di una particella virale rappresenta il bersaglio sensibile e che la rottura della catena nucleotidica è la lesione fisicochimica che porta all'inattivazione. Nel caso di virus a elica singola, una rottura della catena polinucleotidica è sufficiente a provocare la perdita di infettività, mentre nel caso di virus a doppia elica è necessaria una rottura di ambedue le catene. Nel caso di danno da radiazione UV sono stati descritti processi elementari di riparazione enzimatica delle lesioni molecolari, sotto il controllo genetico dello stesso virus o della cellula ospite (‛fotoriattivazione', host cell reactivation): questi meccanismi portano all'eliminazione delle lesioni degli acidi nucleici con conseguente reintegrazione dell'attività virale.

b) Effetti sul materiale genetico

Questi si manifestano sulle cellule della linea germinale e si esprimono come modificazioni trasmissibili del materiale genetico (mutazioni) nella progenie dell'animale irradiato. A causa delle proprietà particolari del materiale genetico le mutazioni si possono trasmettere alle generazioni successive manifestando la tendenza ad autoperpetuarsi e ad accumularsi. Gli effetti in questione si esercitano sulle unità elementari dell'informazione genetica, i geni, disposti lungo la struttura dei cromosomi in punti specifici chiamati loci. Generalmente gli effetti genetici si dividono in due classi, che sono rispettivamente le mutazioni geniche e le aberrazioni cromosomiche. Le prime (effetti intragenici) provocano una modificazione permanente e trasmissibile delle unità elementari di informazione, mentre le aberrazioni (effetti intergenici) consistono nella perdita, nella risistemazione, nella duplicazione di parti più o meno estese del genoma, con profonde alterazioni del messaggio genetico (v. cellula: Fisiologia della cellula; v. genetica: Citogenetica).

È bene ricordare che eventi mutazionali del primo o del secondo tipo si verificano anche in popolazioni non esposte a radiazioni in dosi superiori a quelle del fondo naturale (e quindi in maniera apparentemente spontanea), con una frequenza piuttosto bassa e variabile a seconda del tipo di evento. L'azione delle radiazioni consiste quindi nell'aumentare l'incidenza delle mutazioni al di sopra del livello di mutabilità spontanea, con effetti apparentemente non dissimili da quelli delle mutazioni spontanee. Poiché nel corso dell'evoluzione la selezione naturale ha fissato quelle mutazioni che presentano per l'organismo un vantaggio selettivo, ogni mutazione insorta di recente ha un'alta probabilità di manifestarsi in senso peggiorativo. La grande maggioranza degli effetti genetici risulta perciò dannosa, anche se il grado di severità clinica può variare entro limiti molto ampi.

I problemi della sperimentazione radiogenetica sono anzitutto di natura conoscitiva e si sono rivelati spesso di grande interesse nello studio della mutabilità a livello fondamentale. Sul piano applicativo la radiogenetica si propone di stimare la frequenza di mutazioni indotte dalla radiazione nell'uomo e ha quindi importanti implicazioni di carattere pratico. L'incertezza maggiore, in questo campo, è data dalla necessità di estrapolare i dati sperimentali raccolti tra specie animali diverse, il che implica l'accettazione di limitazioni gravi dovute alla diversa suscettibilità delle varie specie o all'impossibilità di determinare il livello a cui il materiale genetico umano si possa situare in questa scala di sensibilità.

Tra gli effetti genetici più studiati vi sono le cosiddette mutazioni punto, che interessano soltanto geni in singoli loci e che possono essere indagate come mutazioni visibili di tipo dominante o recessivo, come mutazioni letali recessive e come mutazioni di loci specifici. Quest'ultima classe di mutazioni, che è stata di recente analizzata anche nei Mammiferi, rappresenta il punto di partenza dei calcoli di rischio genetico attualmente in uso. Le mutazioni letali dominanti (causa di morte embrionale) e le traslocazioni (causa di riduzione di fertilità) sono effetti genetici che, per la loro eterogeneità, si situano al limite tra gli effetti intra e intergenici. Infine, l'azione delle radiazioni su caratteri quantitativi a base poligenica rappresenta un campo di indagine tuttora frammentario e poco noto.

Numerose considerazioni basate sulla forma della curva dose-effetto per l'induzione di mutazioni punto, inducono a ritenere che esse siano eventi dovuti a un solo ‛urto' (forse identificabile con una ionizzazione o un grappolo di poche ionizzazioni) nel locus considerato, anche se complicazioni di natura tecnica possono a volte deformare l'andamento sostanzialmente lineare delle curve. Quest'ipotesi è suffragata dall'assenza di un effetto-intensità e dalla diminuzione di efficacia della radiazione con l'aumento della densità di ionizzazione.

Lo studio degli effetti intergenici (aberrazioni cromosomiche) ha rappresentato per molti decenni un argomento classico della radiobiologia, anche perché esso è alla base della comprensione di fenomeni più complessi, come l'effetto letale sulle cellule superiori. Secondo le teorie più comunemente accettate, la radiazione è in grado di interrompere la continuità fisica dei cromosomi producendovi rotture che possono avere un duplice destino: o rimanere come tali per dare origine ad aberrazioni del tipo ‛a un urto', dette frammenti; oppure ricongiungersi, secondo le due differenti modalità esposte di seguito.

Se i due frammenti di una rottura si ricongiungono tra loro si determina la ricostituzione dell'integrità del cromosoma attraverso un ricongiungimento detto ‛legittimo', così che non è possibile osservare alcuna aberrazione. Se, al contrario, i frammenti di una rottura si ricongiungono con i frammenti di un'altra, posta sul medesimo o su un diverso cromosoma, ha luogo un ricongiungimento di tipo ‛illegittimo' che darà origine a un'aberrazione ‛a due urti'.

Il numero delle rotture iniziali, la loro posizione sui diversi cromosomi, le possibilità di interazioni legittime o illegittime tra le varie rotture, danno luogo, all'atto della divisione della cellula, a una grande varietà di figure cr0mosomiche aberranti. Queste si possono classificare morfologicamente in cromosomiche (quando la rottura si è verificata su un cromosoma non duplicato) o cromatidiche (nelle quali la rottura interessa uno solo di due cromatidi fratelli); una diversa classificazione distingue anche tra modificazioni strutturali del tipo ‛a un urto' o ‛a due urti', a seconda che l'aberrazione abbia richiesto la presenza di una o due rotture iniziali. Una nomenclatura specialistica contraddistingue le varie figure cromosomiche aberranti.

Le relazioni tra numero di rotture e dose e le loro variazioni in funzione dell'intensità di dose rappresentano i cardini su cui si fonda lo studio della natura biofisica di questi effetti. Anche la posizione delle rotture lungo il cr0mosoma, la frequenza relativa dei vari tipi di aberrazioni e la loro distribuzione nelle cellule irradiate, le relazioni spaziali tra le varie rotture che interagiscono, l'influenza di fattori modificanti, hanno rappresentato interessanti argomenti di studio. Nonostante la quantità di dati disponibili, non esiste a tutt'oggi una teoria comprensiva dei meccanismi di produzione delle aberrazioni: un solo concetto dei molti proposti si presenta ancora attualmente come il più verosimile, cioè quello che la rottura di un cromosoma sia causata dal passaggio di una singola particella. Incertezze notevoli rimangono però ancora sulla quantità minima di energia necessaria per provocare questo effetto.

Questo campo di indagine, che nel passato è stato fertile di idee e di modelli interpretativi, ha conosciuto di recente uno sviluppo in senso applicativo per la possibilità che le aberrazioni cromosomiche presenti nelle cellule del sangue di individui esposti accidentalmente all'irradiazione possano essere utilizzate come dosimetro in vivo della quantità di radiazione assorbita. Per l'esistenza di molte condizioni complicanti, l'uso delle aberrazioni cromosomiche a questo fine deve però essere ancora considerato con una certa cautela e non può comunque andare disgiunta da altre valutazioni dosimetriche.

c) Effetti su cellule singole e su popolazioni cellulari

A livello di organizzazione cellulare, i Batteri presentano caratteristiche particolarmente vantaggiose per la ricerca radiobiologica (rapidità di sviluppo, facilità di isolamento di mutanti, crescita in mezzi sintetici, presenza di una sessualità). Queste caratteristiche hanno permesso di raccogliere un gran numero di dati sui Batteri, dati che investono praticamente tutti i problemi della radiobiologia fondamentale, e in particolare il ruolo di diversi fattori modificanti nell'espressione dell'effetto radiobiologico. Il criterio di danno sul quale si fonda la massima parte di questi studi è quello della ‛letalità', intesa come perdita della capacità della cellula irradiata di riprodursi indefinitamente per formare colonie di cellule simili a quella di partenza. Questo criterio di effetto, pur soffrendo di talune limitazioni sul piano teorico, si è rivelato di grande utilità tecnica e pratica.

Lo studio della letalità nei Batteri viene condotto in base all'analisi delle curve di sopravvivenza cellulare in funzione della dose. Purtroppo la scarsità delle nostre conoscenze sui meccanismi che regolano la divisione cellulare e l'esistenza di un gran numero di fattori e condizioni che modificano l'espressione del danno (condizioni di coltura; trattamenti vari applicati alle cellule prima, durante e dopo l'irradiazione; fenomeni di riparazione di varia natura) non facilitano nei Batteri l'identificazione di un bersaglio d'azione in via diretta, come nel caso dei Virus. Numerose considerazioni (relazione tra radiosensibilità e contenuto di DNA di ceppi batterici, relazione tra radiosensibilità e composizione in basi del DNA batterico, effetto di analoghi alogenati di basi puriniche e pirimidiniche sulla risposta batterica) inducono tuttavia a ritenere che il DNA sia il bersaglio primario dell'azione radiobiologica e che le rotture singole o doppie dell'elica del DNA rappresentino le lesioni biofisiche fondamentali, responsabili della morte riproduttiva della cellula batterica. I sistemi di riparazione di queste rotture, che sono in alcuni ceppi batterici estremamente efficienti, possono alterare profondamente l'andamento delle curve dose-effetto, ma l'uniformità del comportamento delle lesioni del DNA, da una parte, e dell'effetto letale sulle cellule, dall'altra, nei confronti di molte variabili sperimentali, dimostra l'esistenza di un nesso di causalità tra l'evento molecolare e l'effetto funzionale di inattivazione.

I trattamenti chimici e fisici che portano a una modificazione del danno cellulare da radiazioni nei Batteri sono molto numerosi. Tra i più importanti merita di essere ricordato particolarmente l'ossigeno, la cui presenza provoca un aumento di effetto di circa tre volte rispetto alla condizione di irradiazione in anossia. Le variazioni di effetto dovute alla densità di ionizzazione della radiazione presentano dipendenze complesse, del tipo di quelle descritte in cellule di Eucarioti.

Nei Batteri sono stati particolarmente approfonditi gli studi sugli eventi biochimici che conseguono all'irradiazione cellulare, in rapporto ai processi di degradazione e di sintesi degli acidi nucleici e delle proteine. Recentemente si è anche sviluppato lo studio delle cinetiche e dei meccanismi molecolari dei numerosi sistemi riparativi del danno radiobiologico da radiazioni UV (riparazione al buio, fotoriattivazione) e da radiazioni ionizzanti, e si sono scoperti meccanismi di recupero di grande interesse anche sul piano generale.

In cellule di animali superiori in fase di accrescimento esponenziale esposte a una dose intermedia di radiazione è possibile dimostrare, come primo segno di danno, una rapida caduta della percentuale di elementi in divisione, a cui corrisponde un arresto della crescita numerica della popolazione. Cellule in divisione ricompaiono dopo alcune ore dall'irradiazione in numero sempre maggiore, come un'onda di mitosi; il periodo compreso tra l'inizio della caduta e il picco dell'onda di divisione viene chiamato ‛arresto mitotico'. Le cellule in divisione che ricompaiono mostrano la presenza di metafasi aberranti con frammenti cromosomici acentrici, ponti intercromosomici, configurazioni morfologiche abnormi.

Recentemente, mediante tecniche di clonamento in coltura e in vivo, il concetto di effetto letale sulle cellule è stato operativamente definito e sperimentalmente misurato in cellule superiori in modo analogo a quello dei Batteri, come ‛perdita della capacità riproduttiva indefinita'. Numerosi esperimenti hanno fornito convincenti dimostrazioni che le cellule somatiche in tal modo inattivate non vengono a morte immediatamente dopo l'irradiazione, ma soltanto in coincidenza con la prima mitosi successiva; questo tipo di morte, qualitativamente associato a un danno cromosomico, viene chiamato ‛morte mitotica'. Alcuni tipi di cellule (linfociti, spermatogoni) possono presentare un diverso tipo di morte, la cosiddetta ‛morte in interfase', che si verifica prima della divisione e si accompagna spesso a danni alle membrane e ad alterazioni nucleari gravi (picnosi, cariolisi).

Il destino delle cellule in una popolazione irradiata può essere molto vario: alcune di esse non si dividono affatto; altre presentano fenomeni di endomitosi, cioè di divisione del nucleo non seguita da divisione del citoplasma, per cui continuano a crescere di volume e divengono cellule giganti polinucleate destinate all'eliminazione (v. genetica: Citogenetica). Altre cellule, infine, sfuggono a questi fenomeni (cellule sopravviventi) in modo apparentemente completo, ma accurate indagini rivelano che alcune di esse possono mostrare variazioni delle caratteristiche morfologiche o funzionali come, per esempio, anomalie strutturali del nucleo, modificazioni del numero dei cromosomi, variazioni del ritmo proliferativo, produzione di cellule figlie non vitali. È stato però dimostrato che cellule irradiate possono riparare, attraverso meccanismi di cui è nota la cinetica, una certa quantità del danno loro inflitto. Questi fenomeni di riparazione sono particolarmente efficienti nei confronti del cosiddetto ‛danno subletale'.

Questo complesso di fenomeni lesivi che culminano nel blocco riproduttivo, più o meno completo, di una popolazione di cellule si traduce, al livello di tessuti organizzati, in un arresto dell'accrescimento della popolazione interessata al quale fa seguito, nei tessuti a ricambio continuo, uno svuotamento dei compartimenti cellulari a valle. L'inattivazione cellulare nei compartimenti più radiosensibili, che sono in genere quelli più immaturi, è alla base di numerosi effetti delle radiazioni sui tessuti. Tuttavia l'entità e le caratteristiche temporali del danno tessutale sono profondamente influenzate dai parametri cinetici propri di ogni singolo tessuto: nel senso che i tessuti che hanno un elevato numero di cellule in proliferazione e un tempo di rinnovamento più breve presentano anche, a parità di danno sulle cellule staminali, lesioni più profonde e a insorgenza più precoce. Le conoscenze sull'organizzazione funzionale dei diversi tessuti e dei parametri cinetici delle loro varie componenti cellulari sono perciò essenziali per comprendere la risposta di un organo all'irradiazione e per spiegarla sulla base della radiosensibilità delle cellule componenti. Queste informazioni si pensa che possano fornire anche un aiuto sul piano pratico per il miglioramento della radioterapia.

Nel campo della riparazione, con l'aumento della complessità organizzativa dei sistemi biologici, si moltiplicano le possibilità dei meccanismi di recupero. Così, al livello di popolazioni cellulari in vitro e in vivo, si aggiungono ai meccanismi di riparazione intracellulare altri meccanismi di ricostruzione morfologica e funzionale per ripopolamento del tessuto. I dati sperimentali a questo riguardo, soprattutto nel caso di sistemi in vivo, sono tuttavia piuttosto scarsi, sia per la mancanza di tecniche di indagine semplici e accurate, sia per l'esistenza di fattori di controllo di natura non nota e sicuramente non semplice. Ma la ricerca radiobiologica e le tecniche radioisotopiche hanno contribuito a chiarire molti punti oscuri in questi campi mal definiti della biologia quantitativa di sistemi organizzati, con risultati di grande valore scientifico e verosimilmente di proficuo impiego pratico.

d) Effetti su organismi multicellulari

Nonostante la mole impressionante dei risultati prodotti, la ricerca radiobiologica a livello organismico può essere a tutt'oggi considerata in uno stadio più descrittivo che interpretativo. Il valore di queste indagini è però di tipo diverso, rivolgendosi esse a istanze di carattere soprattutto applicativo, come quella di fissare standard di esposizione o livelli di sicurezza di evidente utilità in radioprotezione.

A questo orientamento generale fa probabilmente eccezione un'area di ricerca che può considerarsi al confine tra la radiobiologia cellulare e quella organismica e che mira a controllare su sistemi in vivo (e quindi nell'animale in toto) la validità di taluni dati ottenuti su cellule in coltura. Queste indagini si propongono di interpretare in precisi termini quantitativi di radiosensibilità e cinetica cellulare gli effetti complessi che si osservano nell'intero animale irradiato. Esse hanno permesso di confermare puntualmente gli effetti osservabili in vitro, conferendo loro pertanto una validità generale.

Il campo degli effetti somatici immediati (cioè di quelle manifestazioni patologiche che si osservano nelle cellule della linea somatica degli animali irradiati entro tempi relativamente brevi dall'esposizione) è stato ampiamente indagato con un chiarimento, almeno sul piano fenomenologico e descrittivo, delle principali sindromi mortali dopo dosi letali di radiazione. Utilizzando come criterio di effetto la morte dell'animale a tempi caratteristici per ogni sindrome (midollare, intestinale, nervosa), studi esaurienti sono stati condotti sui seguenti argomenti specifici: le relazioni con il tempo, con la dose, con l'intensità di dose e il frazionamento; le dipendenze dai principali fattori modificanti sia di natura fisica (densità di ionizzazione) sia di natura chimica (ossigeno, protettori chimici); l'importanza patogenetica del danno da radiazioni su talune linee cellulari (cellule staminali del midollo osseo nel caso della sindrome midollare, cellule staminali delle cripte di Lieberkühn nella sindrome intestinale); la corrispondenza tra i tempi di rinnovamento delle popolazioni cellulari bersaglio e i tempi di morte dell'animale irradiato; l'importanza di taluni squilibri del metabolismo idrico-salino nella sindrome intestinale; il ruolo della componente infettiva e della depressione delle attività immunologiche nella malattia da raggi.

Nel caso di irradiazione con dosi non sufficientemente elevate da produrre la morte dell'animale, è stato approfondito con risultati a volte risolutivi il problema dell'effetto su singoli tessuti, organi o apparati; si sono chiarite le cause della particolare radiosensibilità dei tessuti a rapido rinnovamento (midollo osseo, intestino, testicolo, cute e annessi cutanei) e si sono accuratamente descritte a livello sperimentale e clinico le relative sintomatologie: leucopenia, diarrea, sterilità transitoria, alopecia, eritemi cutanei e loro complicanze. Altri numerosissimi studi nel campo della chimica biologica, dell'ematologia, dell'anatomia patologica, hanno contribuito a comporre un quadro ormai molto dettagliato della malattia da raggi. Tutte queste informazioni hanno permesso di fissare con buona approssimazione limiti massimi di esposizione alle radiazioni che, negli ambienti di lavoro con rischio da radiazioni o nella pratica medica, garantiscono in maniera assoluta contro possibili danni di tipo somatico immediato.

Si è invece fatto strada gradualmente, ed è ora comunemente accettato, il concetto che il rischio più grave dell'esposizione alle radiazioni (soprattutto nel caso delle dosi basse e protratte, che è quello di maggior interesse pratico) consiste nella possibilità di comparsa dei cosiddetti ‛effetti somatici tardivi'. Si tratta di lesioni gravi di tipo neoplastico benigno o maligno (leucemie, tumori di varia natura e localizzazione) o di tipo degenerativo (cataratte, sclerosi vascolari, nefrosclerosi). Questa classe di effetti è nota da tempo, ma il suo studio presenta particolari difficoltà legate soprattutto alla loro incidenza relativamente bassa, per cui sono rilevabili soltanto mediante analisi statistica su larghe popolazioni di individui esposti, paragonate con popolazioni normali. Trattandosi di eventi rari, la loro analisi quantitativa, soprattutto nella specie umana, presenta problemi tecnici formidabili, per la difficoltà di reperire popolazioni esposte sufficientemente vaste e omogenee da permettere indagini statistiche significative.

Le informazioni disponibili riguardo al danno tardivo sono pertanto lungi dall'essere soddisfacenti, anche soltanto su un piano descrittivo. Non è noto infatti con sufficiente precisione l'andamento dell'incidenza di lesioni tardive alle basse dosi e rimane pertanto aperto, con tutte le implicazioni di ordine pratico, il problema della possibile esistenza di una soglia di dose o di intensità. Non sono noti con esattezza i fattori di EBR per l'induzione di taluni effetti a lungo termine (tumori, leucemie) nel caso di esposizione a radiazione di natura ed energia non convenzionali. È soltanto postulata la presenza di fenomeni e di meccanismi di riparazione per gli effetti tardivi, mentre lo studio della patogenesi di queste lesioni non è progredito al di là di semplici ipotesi. Queste gravi lacune nei dati sperimentali, unitamente alle difficoltà concettuali e pratiche di estrapolare le scarse nozioni acquisite sulle specie animali inferiori all'uomo, rendono particolarmente arduo, anche se non impossibile, il compito di fissare livelli di esposizione atti a contenere entro limiti minimi il rischio di un danno tardivo.

Tutti i problemi esaminati, che si riferiscono tipicamente al caso di un'esposizione omogenea a sorgenti esterne di radiazione, sono ulteriormente complicati nel caso di irradiazione a opera di sorgenti interne (per esempio, dopo ingestione, inalazione o iniezione di radionuclidi) a causa dell'assoluta inomogeneità dell'esposizione. Spesso, infatti, l'intensità di dose varia nel tempo per la presenza di meccanismi di escrezione, è diversa da organo a organo per la presenza di fattori di concentrazione e varia, entro uno stesso tessuto, a livello microscopico per la presenza di ‛punti caldi' che ricevono dosi particolarmente elevate.

5. Applicazioni e sviluppi della radiobiologia

La radiobiologia, nata come una scienza interdisciplinare, ha ampliato e precisato nel corso degli anni il suo campo di indagine. L'aumento dell'interesse della pubblica opinione nei confronti dell'energia nucleare, a seguito delle sue applicazioni belliche e industriali, ha contribuito a determinare anche un indirizzo fortemente applicato di questa disciplina, considerata un tempo nell'ambito della ricerca pura, verso finalità pratiche. In anni recenti questo indirizzo è stato anche favorito dalla pressante richiesta di un maggiore impegno delle discipline scientifiche verso obiettivi di carattere sociale. Nel capitolo sullo sviluppo storico di questa scienza sono stati messi in evidenza, a proposito degli orientamenti più moderni, i segni di un crescente interesse verso temi di ricerca connessi con la protezione dell'uomo e del suo ambiente e verso le applicazioni mediche diagnostiche e terapeutiche.

Gli sviluppi che si possono ragionevolmente prevedere nel futuro saranno certamente condizionati dai progressi delle altre discipline fisiche, chimiche e biologiche con le quali la radiobiologia è strettamente collegata. Da un punto di vista generale, ci si può attendere un'ulteriore differenziazione della disciplina in varie branche di specializzazione, fenomeno dovuto alla necessità di una conoscenza sempre più accurata delle tecniche di indagine e dei materiali sperimentali. Nonostante il prevalente impegno in senso applicato delle risorse umane e finanziarie, è ragionevole pensare che il filone di ricerca fondamentale non potrà esaurirsi; di ciò è garanzia il recente risveglio delle indagini radiobiologiche a livello molecolare.

Nel campo della ricerca fondamentale si può quindi prevedere una migliore sistemazione concettuale e un'approfondita analisi in termini molecolari degli effetti della radiazione sui sistemi biologici più semplici; uno studio dettagliato di tutti i problemi connessi con il meccanismo (diretto o indiretto) dell'azione radiante; l'identificazione su sistemi subcellulari e cellulari degli eventi fisici primari che sono ancora denominati ‛urti' per mancanza di dati sperimentali più precisi; il riconoscimento di quelle macromolecole o di quei sistemi di reazione biofisici e biochimici che rappresentano il bersaglio dell'azione radiobiologica in ogni singolo materiale; una migliore conoscenza delle lesioni strutturali cui corrisponde nelle biomolecole una perdita di funzione; un approfondimento dei meccanismi biochimici di espressione e di riparazione del danno radiobiologico. Non è inverosimile attendersi che, come è ripetutamente avvenuto per il passato, queste indagini possano determinare, a loro volta, importanti progressi di tecnica e di conoscenza utili in altri campi delle scienze biologiche.

Tuttavia, se già al livello cellulare (e soprattutto per le cellule di maggiore complessità strutturale e funzionale) il raggiungimento di questi traguardi appare molto ambizioso, esso sembra assolutamente irraggiungibile nei sistemi in vivo. In questo campo i maggiori progressi possono essere previsti a un livello descrittivo, ma già su questo piano il contributo della radiobiologia alla soluzione di problemi pratici potrebbe essere determinante. I due settori che sono oggi unanimemente ritenuti come i più promettenti riguardano le ricerche propedeutiche alla radioterapia (almeno fino a quando quest'ultima resterà un utile presidio per il controllo e la cura di numerose neoplasie) e quelle relative ai problemi della radioprotezione.

Anche se il dialogo tra radiobiologi e radioterapisti non è stato fino a ora molto fruttuoso, è opinione comune che la pratica terapeutica potrebbe trarre grandi profitti da una migliore utilizzazione dei dati biologici per una pianificazione su basi razionali dei trattamenti terapeutici in uso. La radioterapia iperbarica e quella con radiazioni densamente ionizzanti sono due esempi di tecniche di trattamento (attualmente in corso di sperimentazione clinica) sollecitate da ricerche radiobiologiche. Ma i temi di indagine dei quali la radioterapia potrebbe valersi sono molto numerosi. Basterà ricordare l'interesse per una migliore conoscenza delle relazioni tra effetto radiobiologico, da una parte, e la dose, l'intensità di dose, il frazionamento e il tempo, dall'altra; per i problemi della radiosensibilità delle cellule normali e neoplastiche e delle loro cinetiche di riparazione a livello cellulare e tessutale; per i problemi della struttura e del funzionamento dei tessuti in precisi termini quantitativi; per i rapporti tra la sensibilità cellulare e la radiosensibilità d'organo; per le indagini su tessuti e formazioni di particolare interesse in radioterapia (tessuti connettivo e nervoso, vasi); per gli studi sulle sostanze radiosensibilizzanti e sull'uso combinato di farmaci antineoplastici e radiazioni. Questi temi danno un'idea dello scopo e dello spazio per una ricerca radiobiologica utile a fini medici.

Per ciò che si riferisce ai problemi della radioprotezione, pressanti richieste sono formulate dagli organi nazionali e internazionali interessati per un impegno vigoroso della ricerca radiobiologica in questo campo. Parlando degli effetti tardivi delle radiazioni, che rappresentano sotto questo aspetto il settore di indagine più carente, si sono già ricordate le aree principali per le quali vi è un'estrema necessità di dati. Queste richieste sono ulteriormente destinate ad aumentare sia per l'inevitabile incremento dell'uso dell'energia nucleare sia per la necessità di una sempre migliore protezione nei confronti di possibili contaminazioni.

Interamente scoperti restano al momento attuale alcuni capitoli che riguardano l'effetto di taluni nuclidi di particolare radiotossicità (plutonio, transuranici), per i quali è previsto un crescente impiego nelle tecnologie nucleari con lo sviluppo di nuove filiere di reattori. Ma anche nel campo delle sorgenti di radiazione convenzionali i quesiti che si pongono alla ricerca radiobiologica sono numerosi. Essi riguardano, per esempio, la definizione esatta della forma delle curve dose-effetto per molti effetti cellulari e d'organo, perché su queste curve si fondano alcune delle assunzioni più importanti per la stima delle dosi massime ammissibili; una stima più esatta e applicabile all'uomo del rischio genetico entro almeno due generazioni; la definizione sperimentale dei valori di EBR per l'induzione di tumori; dati sulle contaminazioni ambientali e interne e sul metabolismo di alcuni radionuclidi soprattutto nella specie umana; la stima della dose effettivamente somministrata ad alcuni organi o tessuti critici (polmoni, linfonodi, midollo osseo) in seguito all'assunzione in forma solubile o particolata (polveri, aerosol) di particolari nuclidi (uranio, plutonio, radio), per il rischio di trasformazione neoplastica; il problema dei possibili effetti sinergistici di un danno da radiazione associato con un danno da altri agenti (fumi, asbesto, silicio) presenti in particolari ambienti di lavoro o come contaminanti atmosferici.

Infine, si va delineando la necessità di dare maggior spazio alle indagini ambientali, affinché lo studio degli effetti sugli animali superiori sia integrato dalle misure di livello dei contaminanti radioattivi, delle dosi derivanti alle varie catene trofiche, dei meccanismi di trasferimento dei radionuclidi attraverso le varie catene fino all'uomo. Ciò dovrebbe portare a una radiobiologia che ha certamente nell'uomo il più importante e significativo oggetto di indagine, ma non l'unico termine di riferimento in un bilancio globale tra benefici e rischi nell'uso pacifico delle radiazioni.

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