RADICE

Enciclopedia Italiana (1935)

RADICE

Giulio Vivanti

. Matematica. - In algebra la parola "radice" ha due significati distinti (benché di origine comune), che importa considerare separatamente: "numero che elevato a una certa potenza riproduce un numero dato" e "soluzione di un'equazione".

I. Radice di un numero. Calcolo dei radicali. -1. Definizione, nomenclatura, notazione, cenni storici. - Si dice radice nma (n intero e > 1) di un numero reale o complesso p, e si denota con n√p, ogni numero reale o complesso q, la cui potenza nma sia uguale a p. Cioè le due relazioni:

sono equivalenti. Il numero p è il radicando; il numero n è l'indice, e si suole omettere quando è 2, scrivendo √p invece di ²√p. Per estensione si può chiamare radice d'indice 1 di un numero il numero stesso. Le radici d'indice 2, 3, 4 si dicono anche rispettivamente quadrate, cubiche e biquadratiche.

Le radici quadrate compaiono già nella matematica greca, dapprima sotto forma geometrica. Erone (sec. I a. C.) dà per l'estrazione di radice quadrata un procedimento, che alcuni ritengono d'origine molto più antica. Il metodo di Teone Alessandrino (sec. IV d. C.) coincide, salvo l'uso della numerazione sessagesimale, con quello che attualmente si applica. L'uso della numerazione decimale nell'estrazione di radice quadrata comincia con gl'Indiani e con gli Arabi. In un'opera indiana, ch-e si ritiene del 500 a. C., si trova un'espressione molto approssimata di √2. L'estrazione di radice cubica s'incontra per la prima volta in Erone. L'indiano Āryabhaṭa (sec. V d. C.) propone una regola, che coincide. sostanzialmente con quella che s'insegna ora nell'aritmetica. F. Viète diede (1600) regole per l'estrazione di radici sino a quelle d'indice 6; ma queste regole, naturalmente di complicazione crescente, furono rese inutili dall'introduzione, avvenuta poco dopo, dei logaritmi. P. A. Cataldi insegnò (1613) ad ottenere la radice quadrata d'un numero intero sotto forma di frazione continua (v. frazione); come precursore si può citare R. Bombelli.

La parola radice, radix in latino, è la traduzione del vocabolo arabo gidhr, usato dai matematici arabi in ambo i sensi in principio indicati. Per denotare le radici si usarono varî segni; gli Arabi sovrapponevano al numero la lettera iniziale della parola gidhr; altri premettevano un punto al numero per la radice quadrata, due per la biquadratica, tre per la cubica; altri usarono segni diversi, tra cui una R maiuscola tagliata da una lineetta obliqua. Infine è prevalso il segno √, che è una r deformata.

2. Esistenza e numero delle radici. - Se p è un numero reale e positivo, esiste uno (ed un solo) numero reale positivo q che separa i numeri razionali positivi la cui potenza nma è minore di p e quelli la cui potenza nma è maggiore di p; esso si dice radice nma aritmetica di p. Se n è pari, anche −q è radice nma di p. Altre non ve ne sono.

Se p è un numero reale negativo ed n è dispari, la radice nma aritmetica di −p presa negativamente è radice nma di p, ed è unica. Se p è negativo ed n è pari, non esiste alcuna radice nma (reale) di p.

Riassumendo, un numero reale ha nel campo reale una radice mma, se n è dispari; se n è pari, esso ne ha due o nessuna, secondoché è positivo o negativo.

Per esempio 8 ha la sola radice terza 2, mentre ha le due radici seste ± 1,4142...; −8 ha l'unica radice terza −2, e non ha alcuna radice sesta.

Nel campo complesso (v. immaginario) un numero p reale o complesso ha n radici nme, qualunque sia n. Detti q, ϕ il modulo e l'argomento di p, il modulo comune delle n radici nme di p è la radice nma aritmetica di ρ, e i loro argomenti sono

Le immagini delle n radici nel piano complesso sono i vertici di un poligono regolare di n lati, iscritto in un cerchio di raggio √ρ col centro nell'origine, di cui un vertice ha l'argomento ϕ/n.

Particolare interesse hanno le radici dell'unità. Se p − 1, è ρ = 1, ϕ = 0, sicché le radici nma dell'unità hanno il modulo 1 e gli argomenti

la prima di esse è 1. Le loro immagini sono i vertici di un poligono regolare iscritto in un cerchio di raggio 1 col centro nell'origine e avente un vertice sull'asse reale positivo. Le radici nme dell'unità sono le potenze successive di quella tra esse che ha l'argomento 2π/n (v. primitivo).

3. Calcolo delle radici di un numero reale. - Le osservazioni ora esposte permettono di ridurre la ricerca delle radici di un numero negativo, quando esistono, a quelle del numero positivo corrispondente. Basterà quindi prendere in considerazione i soli numeri positivi.

Un numero positivo può essere intero, oppure avere la forma di frazione ordinaria, o quella di frazione decimale limitata o illimitata.

a) Il calcolo della radice nma di una frazione ordinaria si può ridurre a quello della radice nma di un numero intero con la formula:

Per es.

b) La radice quadrata di un numero intero (positivo) approssimata per difetto a meno di un'unità si calcola come segue.

Se il numero non ha più di due cifre, la radice è un numero d'una sola cifra, che si trova a memoria. Se il numero ha più di due cifre, lo si scompone in gruppi di due cifre a partire dalla destra, potendo il primo gruppo a sinistra risultare anche composto di una sola cifra; il numero dei gruppi dà il numero delle cifre della radice. Si cerca a memoria il massimo quadrato contenuto nel 1° gruppo di sinistra; la sua radice sarà la 1ª cifra della radice cercata. Si sottrae dal gruppo stesso il quadrato trovato e a destra del resto si abbassa il 2° gruppo; nel numero risultante si separa la cifra delle unità, e si divide il numero rimanente per il doppio della radice trovata, si scrive il quoziente (o il numero 9, se il quoziente fosse maggiore di 9) a destra del doppio della radice, e si moltiplica il numero così formato per il quoziente stesso. Se il prodotto è maggiore del numero costituito dal 1° resto e dal 2° gruppo, si deve provare con un quoziente minore; nel caso contrario si fa la differenza, e si prosegue allo stesso modo con i gruppi successivi. I quozienti che man mano si ottengono sono le cifre successive della radice cercata; l'ultimo resto è la differenza fra il numero dato e il quadrato della radice ottenuta. Facciamo seguire, per maggior chiarezza, un esempio. Si voglia la radice quadrata del numero 88792. Il massimo quadrato contenuto in 8 è 2; 2 è la prima cifra della radice. Sottraendo 22 da 8 e abbassando il 2° gruppo, risulta 487. Separiamo l'ultima cifra; resta 48. Il doppio di 2, cioè 4, è contenuto 12 volte in 48; prendiamo come quoziente 9 e lo scriviamo a destra di 4, moltiplichiamo 49 per 9 ottenendo 441. Sottraendo questo numero da 487 e abbassando l'ultimo gruppo, risulta 4692; separata l'ultima cifra, resta 469. Il doppio di 29, cioè 58, è contenuto 8 volte in 469, ma 58 x8 è maggiore di 4692; si prende quindi 7, e si trova che 57 × 7 è minore di 4692. La radice è dunque 297, e il resto è 4692 − 587 × 7, cioè 583.

Una regola analoga serve per l'estrazione della radice cubica. Si scompone il numero dato in gruppi di tre cifre, potendo il 1° gruppo di sinistra contenere anche una o due cifre; il numero dei gruppi dà il numero delle cifre della radice. Trovato a memoria il massimo cubo contenuto nel primo gruppo, che avrà per radice cubica un numero di una cifra, fatta la differenza tra il 1° gruppo e questo cubo, e abbassata la prima cifra del 2° gruppo, il numero risultante si divide per il triplo quadrato della cifra trovata. Il quoziente dà la 2ª cifra della radice cercata, purché il cubo del numero formato dalle due cifre non sia maggiore del numero costituito dai due primi gruppi del numero dato; nel caso contrario si prova con un quoziente minore. Si continua allo stesso modo sino all'esaurimento di tutti i gruppi.

Si voglia, ad es., la radice cubica del numero 78793411. Il massimo cubo contenuto in 78 è 43; 78 − 43 = 14, a cui aggiungendo la 1ª cifra del 20 gruppo, risulta 147. Il triplo quadrato di 4 è 48, che è contenuto 3 volte in 147. Ma il cubo di 43 è maggiore di 78793, mentre il cubo di 42 è minore, sicché la 2ª cifra della radice è 2. La differenza fra 78793 e 423 è 4705; aggiungendo la 1ª cifra del 3° gruppo, risulta 47054. Il triplo quadrato di 42, cioè 5292, è contenuto in questo numero 8 volte; e, poiché 4283 è minore del numero proposto, è 428 la radice cercata, e il resto è 78793411 − 4283, cioè 390659.

c) Per avere la radice quadrata o cubica di un numero intero a meno di 1/10, di 1/100, di 1/1000, ecc., si aggiungono al numero uno, due, tre, ... gruppi di due zeri o, rispettivamente, di tre, e si opera come si è detto sopra, separando nella radice tante cifre decimali quanti sono i gruppi di zeri aggiunti.

Esempî. - Si vogliano la radice quadrata di 1537 e la radice cubica di 210588, l'una e l'altra a meno di 1/10.

La radice quadrata di 1537 è 39,2; la radice cubica di 210588 è 59,4.

d) Per estrarre la radice quadrata o cubica di un numero decimale limitato o illimitato (nel secondo caso si prenderà il numero di cifre decimali sufficiente per avere l'approssimazione voluta), si procede come per un numero intero; la scomposizione in gruppi deve farsi partendo dalla virgola tanto verso sinistra quanto verso destra, e, se il numero delle cifre decimali non è un multiplo di 2, o rispettivamente di 3, si completa con l'aggiunta di zeri. Si mette la virgola nella radice prima di abbassare il primo gruppo di cifre decimali.

Esempî. - Si vogliano la radice quadrata di 28,712 e la radice cubica di 87,2451.

La radice quadrata di 28,712 è 5,35; la radice cubica di 87,2451 è 4,43.

e) Per il calcolo delle radici quadrate può servire anche lo sviluppo in frazione continua; si è così sempre condotti a frazioni continue periodiche (v. frazione).

Per esempio:

il periodo è 3 e 6. Le prime frazioni approssimate sono:

sicché si ha √11 = 3,3166 a meno di 1/104.

f) A partire dalla radice quarta le regole di calcolo diretto vanno sempre più complicandosi, sicché non sono in uso; ma si perviene rapidamente allo scopo con l'uso dei logaritmi (v. logaritmo), mediante la formula:

Serve all'uopo anche il regolo calcolatore.

4. Calcolo dei radicali. - Si suol designare col nome generico di radicale ogni radice, d'indice qualsiasi, di una qualsivoglia espressione (generalmente letterale). Il calcolo dei radicali si fonda sui seguenti teoremi, in cui i radicandi si supporranno sempre reali e positivi, e col simbolo √ s'intenderà di denotare, in ogni caso, la radice aritmetiea (n. 2).

a) Il prodotto di due o più radici di egual indice è eguale alla radice dello stesso indice del prodotto dei radicandi:

b) Il quoziente di due radici di egual indice è eguale alla radice dello stesso indice del quoziente dei radicandi:

c) La potenza mma della radice nma di un numero è uguale alla radice nma della sua potenza mma:

d) La radice mma della radice nma di un numero è uguale alla sua radice mnma:

e) Il valore di un radicale non muta, se si eleva il radicando ad una potenza (intera e positiva) m e si moltiplica l'indice della radice per m:

f) Il valore d'un radicale non muta, se si divide l'esponente (supposto intero e maggiore di 1) del radicando e l'indice della radice per un loro fattore comune: cioè, supposto m = hm′, n = hn′, si ha:

g) Se m > n, e q è il quoziente ed r il resto della divisione di m per n, è

h) il teorema e) permette di ridurre più radicali allo stesso indice. Dati, p. es., i tre radicali

Questa operazione è necessaria quando si devono moltiplicare tra loro più radicali; così:

Invece del prodotto degl'indici, si può prendere come indice comune un qualsiasi loro multiplo comune, in particolare il loro minimo comune multiplo; detto M il minimo comune multiplo di m, n, p, si ha:

I teoremi che precedono si riducono ad altrettante proprietà formali delle potenze, quando si faccia uso degli esponenti frazionarî (v. potenza).

II. Radici di un'equazione. Risoluzione approssimata delle equazioni algebriche. - 5. Radici di un'equazione. - Si chiama radice d'una equazione ad una sola incognita ogni numero (o espressione letterale) che, sostituito all'incognita, muta l'equazione in un'eguaglianza numerica (o in un'identità). Così x = 2 è radice dell'equazione 3x2 − 5x − 2 = 0; x = 0 è radice dell'equazione cos x = 1; x = a − b è radice dell'equazione x2 − 2 ax + a2b2 = 0. La parola radice ha insieme i due sensi indicati in principio, quando si tratta di un'equazione binomio xna = 0, giacché in questo caso le soluzioni dell'equazione sono i valori di x = n√a; e probabilmente è venuta di qui la consuetudine di chiamare, per estensione, radici di un'equazione qualsiasi le sue soluzioni.

Fra le equazioni si dicono algebriche quelle che si possono considerare ottenute uguagliando a zero un polinomio rispetto alle incognite che vi compaiono; e si dice grado dell'equazione il grado di codesto polinomio. Per la storia e per la teoria generale delle equazioni algebriche v. algebra. Qui basti ricordare che la risoluzione di ogni sistema di più equazioni algebriche ad altrettante incognite si può ridurre con operazioni razionali (cioè addizioni algebriche, moltiplicazioni e divisioni) a quella di equazioni algebriche contenenti ciascuna una sola incognita; e, d'altra parte, per le equazioni algebriche ad una sola incognita, appartenenti ai primi quattro gradi, si posseggono formule risolutive generali, che permettono in ogni caso di calcolare, a partire dai coefficienti, tutte le radici (il cui numero è uguale al grado dell'equazione). Queste formule, per le equazioni di 1° grado, richiedono soltanto operazioni razionali, mentre, per quelle degli altri tre gradi, implicano qualche estrazione di radice (una radice quadratica per le equazioni di 2° grado, una quadratica e una cubica per quelle di 3° e 4°). Ma, quando si passa alle equazioni di grado superiore al 4°, non è, in generale, possibile calcolarne le radici, a partire dai coefficienti, con operazioni razionali e di estrazione di radice (di qualsiasi indice). Risulta perciò manifesto l'interesse che per le applicazioni presentano quei metodi, che, quando sia data un'equazione a coefficienti numerici, consentono di calcolarne le radici in via approssimata; e sui più semplici di tali metodi si darà qui un rapido cenno.

6. Osservazioni preliminari. - Nei problemi applicativi si è di regola condotti ad equazioni a coefficienti reali; e per lo più di tali equazioni importano le radici reali. Perciò si tratterà qui del calcolo approssimato delle radici reali delle equazioni algebriche a coefficienti reali; e questa limitazione è tanto più ragionevole, in quanto si può sempre far dipendere da un problema di questo tipo anche la ricerca delle radici complesse delle equazioni a coefficienti quali si vogliono (reali o complessi). Data infatti una qualsiasi equazione algebrica f(x) = o, basta considerarne scissi gli eventuali coefficienti complessi nelle loro parti reali e immaginarie e porre x = u + iv per avere, a calcoli fatti, un'identità f(u + iv) = P(u, v) + i Q (u, v), dove P(u, v) e Q(u, v) denotano due polinomî, a coefficienti reali, nelle due indeterminate u, v; e la ricerca delle radici x = u + iv della f (x) = o equivale a quella delle soluzioni reali del sistema P (u, v) = 0, Q (u, v) = 0. Ora, come si è detto al n. prec., questo ultimo problema si può alla sua volta ridurre alla ricerca delle radici reali di equazioni in una sola incognita; e, poiché la riduzione si effettua con sole operazioni razionali, anche i coefficienti di queste ultime equazioni ausiliarie sono reali.

Si noti ancora che, prima di passare alla risoluzione numerica di un'equazione f(x) = 0, conviene liberarla dalle eventuali radici multiple, cioè sostituirle un'equazione, che abbia tutte (e sole) le sue radici, ciascuna come radice semplice; e a questo risultato si perviene con sole operazioni razionali, cioè, precisamente, calcolando anzitutto - col procedimento euclideo delle divisioni successive - il massimo comun divisore del polinomio f(x) e del suo derivato f(x), e poi dividendo per questo massimo comun divisore ambo i membri della f(x) = 0.

7. Radici razionali delle equazioni a coefficienti razionali. - Spesso nelle equazioni, cui si è condotti nei problemi applicativi, i coefficienti sono razionali o, quanto meno, si possono assumere tali in via approssimata; e può darsi che di tali equazioni interessi determinare le eventuali radici razionali. In ogni caso questa ricerca è vantaggiosa per la risoluzione numerica dell'equazione considerata, giacché, ove se ne trovi una radice α, si può ridurne il grado, dividendo ambo i membri per x − α. Sia dunque data un'equazione a coefficienti razionali. Moltiplicandone ambo i membri per il minimo comune multiplo dei denominatori dei varî coefficienti, si può sempre ridurla a coefficienti interi; e se con ciò essa assume la forma

sussiste il seguente teorema: se l'equazione a coefficienti interi (1) ha una radice razionale p/q, dove p e q sono primi tra loro, a0 è divisibile per q e an per p. Ne segue che un'equazione a coefficienti interi avente per primo coefficiente l'unità non può avere radici frazionarie, e che le sue radici intere devono essere divisori dell'ultimo termine.

Ciò premesso, se i coefficienti della (1) sono interi e a0 = 1, non si avrà che a provare se qualcuno dei divisori di an, preso positivamente o negativamente, soddisfa all'equazione.

Se a0 è diverso da 1, con la "trasformazione a radici multiple" (v. algebra, n. 47) y = a0 x, la (1) si muterà nell'equazione a coefficienti interi e col primo coefficiente = 1:

ad ogni radice intera c di questa equazione corrisponderà una radice razionale c/a0 della (1).

8. Limitazione e separazione delle radici. - Torniamo alle equazioni a coefficienti reali qualisivogliano, e tale sia la (1). Come prima notizia sulle radici, può interessare di conoscere due numeri tra i quali esse siano tutte comprese. Basterà saperne trovare un limite superiore; giaeché un limite inferiore sarà dato dal limite superiore mutato di segno delle radici dell'equazione ottenuta dalla proposta, cambiando x in − x, o, ciò che è lo stesso, cambiando segno ai termini di posto pari.

Se un'equazione (1) ha tutti i coefficienti positivi, essa evidentemente non ha radici positive, giacché il suo primo membro per ogni possibile x > assume un valore positivo. Perciò in tal caso un limite superiore delle radici è 0. Se, supposto a0 0 (come è lecito, immaginando di avere, in caso contrario, cambiato segno a tutti i termini), il primo coefficiente negativo è ak, un limite superiore è il più piccolo dei numeri

dove A è il massimo valore assoluto dei coefficienti negativi, e per ai, si devono porre tutti i coefficienti non nulli che precedono ak.

Un altro metodo per ottenere un limite superiore è il seguente. Poiché, denotato con f(x) il primo membro della (1) e supposto a0 = 1, si ha f(n - 1) (x) = n! x + (n − 1)! a1, si riconosce che per ogni x > − a1/n risulta f(n - 1) (x) > 0. Preso un particolare valore x1 > − a1/n, può darsi che esso renda positive anche alcune delle derivate precedenti. Se ciò avviene per tutte le derivate e per la f(x) stessa, x1 è un limite superiore. Nel caso contrario sia f(r) (x) la prima derivata non positiva per x = x1; si cerchi per tentativi un numero x2 > x1 che la renda positiva; e allo stesso modo si continui retrocedendo. L'ultimo numero trovato è un limite superiore.

I teoremi seguenti servono a determinare, più o meno precisamente, il numero delle radici di un'equazione contenute in un dato intervallo.

Teorema del Rolle. - Tra due radici reali consecutive della derivata di un'equazione a coefficienti reali è compresa al più una radice dell'equazione stessa. Il teorema si enuncia comunemente sotto questa forma alquanto più comprensiva: tra due radici reali consecutive di un'equazione a coefficienti reali è compreso un numero dispari di radici della sua derivata (e quindi almeno una).

Teorema di Cartesio. - Il numero delle variazioni della successione dei coefficienti di un'equazione a coefficienti reali è eguale al numero delle radici positive dell'equazione (tenuto conto della loro moltiplicità) o lo supera di un numero pari. Per numero delle variazioni di una successione di numeri reali s'intende il numero delle volte che vi s'incontrano due numeri consecutivi di segno contrario.

Applicando il teorema all'equazione risultante dalla data mutando x in − x, si ottiene (a meno d'un numero pari) il numero delle radici negative.

Teorema di Budan-Fourier. - Se f(x) = 0 è un'equazione a coefficienti reali di grado n, e se a e b > a sono due numeri reali quali si vogliano, che però non annullino né la f(x) né alcuna delle sue derivate, il numero delle variazioni della successione f (a), f′ (a), ..., f(n) (a) non è mai minore di quello delle variazioni della successione f(b), f′ (b), ..., f(n) (b); e la differenza dei due numeri è eguale al numero delle radici dell'equazione comprese tra a e b, o lo supera di un numerari

Teorema di Sturm. - Se f(x) = 0 è un'equazione a coefficienti reali priva di radici multiple, e se a e b > a sono due numeri reali che non annullano f(x), il numero delle variazioni che presenta la successione di Sturm per x = a non è mai minore di quello che presenta la stessa successione per x = b, e la differenza dei due numeri è precisamente uguale al numero delle radici dell'equazione comprese tra a e b. Successione di Sturm di un polinomio f(x) è la successione di polinomî così formata: il primo elemento è f(x); il secondo è la sua derivata, che denotiamo con f1(x); il terzo f2 (x) è il resto, con segno cambiato, della divisione di f(x) per f1 (x); il quarto f3(x) è il resto, con segno cambiato, della divisione di f1(x) per f2 (x); e così di seguito. L'ultimo elemento è una costante non nulla in forza dell'ipotesi che l'equazione non abbia radici multiple.

9. Risoluzione approssimata delle equazioni. - I teoremi precedenti permettono di separare le radici, cioè di determinare intervalli, contenenti ciascuno una radice sola. Dato un intervallo contenente una sola radice, che sarà semplice, se l'equazione sarè stata liberata dalle radici multiple, si tratta di determinare questa radice con una certa approssimazione. Dei varî metodi escogitati a tale scopo, ne indichiamo uno solo, quello detto di Newton-Fourier o delle tangenti, rimandando per gli altri ai trattati d'algebra.

Supponiamo che l'intervallo (a, b), in cui si sa esser contenuta una sola radice della f(x) = 0, sia abbastanza piccolo perché f′(x) e f″(x) non s'annullino in esso e quindi conservino segno costante. Se si ha f′(x)/f″ (x) 〈 0, una successione crescente di valori approssimati per difetto della radice cercata è:

Se invece è f′(x)/f″(x) > 0, una successione decrescente di valori approssimati per eccesso è:

10. Cenni storici. - Il teorema di M. Rolle si trova nel suo Traité d'Algèbre (Parigi 1690). Il teorema di Cartesio fu enunciato da R. Descartes nell'opera La géométrie (Leida 1637) e dimostrato per la prima volta da J.A. von Segner nella sua Dissertatio epistolica (Jena 1728). Il teorema di Budan-Fourier fu esposto da J.-B.-J. Fourier nelle lezioni all'École Polytechnique di Parigi sino dal 1796, ma da lui pubblicato soltanto nel 1820; era stato pubblicato da F.-D. Budan du Bois-Laurent nel 1806 e dimostrato nel 1811. Il teorema di Sturm fu enunciato da J.-Ch.-F. Sturm nel 1829 e dimostrato da lui nel 1835, ma prima, nel 1830, da A. von Ettinghausen. Il metodo di Newton-Fourier fu esposto da I. Newton nell'opera De analysi (1665, pubblicata a Londra 1711), e modificato da J.-B.-J. Fourier (Analise des équations déterminées, Parigi 1831).

11. Esempio. - Riassumiamo la serie delle operazioni occorrenti per la ricerca delle radici reali di un'equazione a coefficienti reali, illustrandola con un esempio.

Sia proposta l'equazione:

a) Liberiamo l'equazione dalle radici multiple. Dividendo f(x) per f′(x), si trova come massimo comun divisore D(x) = 2x3 − 3x2x − 9; dividendo f(x) per D(x), si ha l'equazione:

b) Cerchiamo le radici razionali. Con la trasformazione y = 2x si ottiene:

Provando i diversi divisori di 288, si trova che la (3) ha la radice y = 8; ne segue che la (2) ha la radice x = −4. Dividendo ϕ(x) per x + 4, risulta l'equazione:

c) Applichiamo alla (4) il teorema di Sturm. Si ottiene:

quindi (con + ∞ e −∞ si rappresentano simbolicamente valori di x abbastanza grandi, positivamente o negativamente, perché il primo termine del polinomio superi in valore assoluto la somma di tutti gli altri):

Risulta dalla tabella che la (4) ha una sola radice reale, e che questa è compresa fra 2 e 3.

d) Applichiamo all'intervallo da 2 a 3 il metodo d'approssimazione di Newton-Fourier. Si ha:

ϕ′(x) e ϕ″(x) non si annullano nell'intervallo considerato, e sono ambedue positive, sicché il loro rapporto è positivo. Potremo ottenere perciò una successione di valori approssimati per eccesso. Si trova:

una terza approssimazione darebbe b3 = 2,4523. Per altra via si trova che la radice è compresa tra 2,4522 e 2,4523.

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