Questioni in tema di rito abbreviato

Il Libro dell'anno del Diritto 2016

Questioni in tema di rito abbreviato

Vania Maffeo

Le novità che hanno di recente interessato la disciplina del giudizio abbreviato sono tutte di matrice giurisprudenziale. Le Sezioni Unite si sono interessate di una pluralità di profili, dalla questione di competenza territoriale, alla revocabilità dell’ordinanza ammissiva del rito a seguito di richiesta subordinata a integrazione probatoria, alla sostituibilità dell’ergastolo con la pena di anni trenta di reclusione una volta che si sia formato il giudicato di condanna e l’interessato non abbia interpellato la Corte europea dei diritti dell’uomo per ottenere il riconoscimento della violazione del diritto all’equità del trattamento sanzionatorio, compromesso dalle successioni di leggi che negli anni 1999-2000 hanno reintrodotto il rito per i reati punibili con l’ergastolo.

La ricognizione

Il giudizio abbreviato, che ha costituito una della più rilevanti novità del codice del 1988, è stato radicalmente innovato dalla l. 16.12.1999, n. 479 (c.d. legge Carotti), che ha eliminato i presupposti di ammissibilità del consenso del pubblico ministero e della valutazione giudiziale di decidibilità allo stato degli atti e ha predisposto una nuova modalità di accesso al rito: la richiesta condizionata ad integrazione probatoria. La stessa legge ha aperto il giudizio abbreviato ai reati punibili con la pena dell’ergastolo, facendo venire meno l’ulteriore presupposto, di tipo negativo, introdotto dalla Corte costituzionale con la sentenza 23.4.1991, n. 176, che aveva rilevato un eccesso di delega nell’originaria formulazione dell’art. 442 c.p.p.

Una così importante modifica è stata determinata dalla presa d’atto del sostanziale fallimento dell’originario progetto deflattivo affidato ai procedimenti speciali, e in gran parte al giudizio abbreviato. Dunque, la nuova disciplina prevede che lo svolgimento del processo in forma semplificata dipenda semplicemente dalla richiesta dell’imputato. Diversa l’ipotesi in cui l’imputato subordini la richiesta ad una integrazione probatoria; in tal caso il giudice deve preliminarmente valutare la necessità dell’integrazione ai fini della decisione e la compatibilità della stessa con le finalità di economia processuale proprie del rito. Non è però solo dall’iniziativa dell’imputato che può derivare un incremento probatorio, perché la legge di riforma ha attribuito al giudice il potere di disporre un supplemento istruttorio pur quando la relativa richiesta non sia stata avanzata in forma condizionata, e ciò per compensare l’eliminazione del previo vaglio di decidibilità allo stato degli atti.

La focalizzazione

La Corte di cassazione è stata di recente chiamata ad intervenire, nell’autorevole composizione delle Sezioni Unite, per la soluzione di questioni di speciale importanza, che hanno riguardato: la proponibilità della questione di competenza territoriale; la revocabilità dell’ordinanza di ammissione del rito in caso di sopravvenuta impossibilità della prova a cui era stata condizionata la richiesta; l’applicabilità, dopo la formazione del giudicato di condanna alla pena dell’ergastolo, della riduzione premiale in favore di quanti hanno chiesto ed ottenuto l’accesso al rito prima dell’entrata in vigore della legge di interpretazione autentica che ha precisato come la pena temporanea della reclusione per anni trenta sostituisca l’ergastolo semplice e non anche quello con isolamento diurno.

2.1 La competenza territoriale

Se nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore del codice la Corte di cassazione si era orientata nel senso che fosse eccepibile nel giudizio abbreviato la questione di competenza territoriale1, negli anni successivi, e in particolare dopo la riforma del 1999, si era consolidato l’orientamento che individuava nella richiesta dell’imputato una forma di tacita accettazione della competenza territoriale.

L’antecedente del mutamento interpretativo era individuato nel principio di diritto espresso dalla sentenza Tammaro delle Sezioni Unite, secondo cui la richiesta di giudizio abbreviato si qualifica come negozio processuale di tipo abdicativo dei poteri disponibili, e tali sono i poteri di eccezione in ordine all’inutilizzabilità probatoria c.d. fisiologica, all’inutilizzabilità probatoria c.d. relativa e alle nullità sanabili2. Sulla falsariga di questo arresto delle Sezioni Unite, si era fatto strada nella giurisprudenza delle sezioni semplici, sin dal 2003, il principio secondo cui la richiesta di giudizio abbreviato comporti la rinunzia all’eccezione sia delle nullità non assolute degli atti propulsivi e introduttivi del rito, che dei difetti di competenza territoriale, entrambe ricadenti nella sfera di disponibilità dell’imputato3. L’indirizzo si era poi consolidato con due ulteriori pronunce, con le quali si era chiarito come la preclusione dell’eccezione di competenza non violi il principio di precostituzione del giudice naturale, perché è la legge processuale a individuare il giudice naturale in quello al quale l’imputato chiede il rito abbreviato4. La Corte ha ritenuto, invero, assolutamente compatibile con l’art. 25 Cost. una lettura del meccanismo di introduzione del giudizio abbreviato in termini di rinunzia alla contestazione della competenza e dunque di individuazione del giudice naturale in quello adito.

La questione era di maggiore complessità in riferimento ai casi di giudizio abbreviato atipico, innestato cioè su altro rito speciale e come tale caratterizzato dall’assenza dell’udienza preliminare.

Soltanto in due occasioni la Corte di cassazione aveva avuto modo di affrontare il delicato tema, affermando l’inammissibilità dell’incidente di competenza5.

Si ponevano in evidenza le specificità dell’abbreviato atipico, rilevando come il principio preclusivo si adattasse ancor meglio ad una situazione connotata dall’avvio di un procedimento, l’immediato, univocamente diretto ad accelerare la definizione del giudizio di merito6. Non era d’impedimento a questa ricostruzione l’assenza nel procedimento immediato di una sede deputata a garantire la verifica della competenza territoriale prima del momento utile per la richiesta di giudizio abbreviato.

In questo contesto sono intervenute le Sezioni Unite che, chiamate a pronunciarsi in un caso di abbreviato atipico, hanno formulato un principio di diritto esteso ad ogni forma di abbreviato7. Hanno infatti stabilito che «l’eccezione di incompetenza territoriale è proponibile in limine al giudizio abbreviato non preceduto dall’udienza preliminare, mentre, qualora il rito alternativo venga instaurato nella stessa udienza, l’incidente di competenza può essere sollevato, sempre in limine a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare». E a tale ultimo proposito hanno precisato che, pur in assenza di una fase dedicata alla soluzione delle questioni preliminari, l’eccezione può essere proposta in quella dedicata alla verifica della costituzione delle parti. Le Sezioni Unite hanno posto l’accento sulle connessioni costituzionali che giudizio abbreviato e competenza territoriale hanno in pari misura; il primo per lo stretto collegamento con l’esercizio del diritto di difesa e la seconda per essere espressione del principio del giudice naturale precostituito per legge. Hanno così ritenuto che non possa valorizzarsi la struttura negoziale del rito per escludere il diritto dell’imputato al giudice naturale. Il fatto che la richiesta di abbreviato comporti la rinuncia a fare valere nullità ed inutilizzabilità sia degli atti a contenuto probatorio sia di quelli propulsivi dell’azione non può significare che non sia sindacabile la competenza del giudice, rispondendo le norme poste a tutela del procedimento probatorio e dell’iter propulsivo dell’azione penale e quelle finalizzate a dare attuazione al principio del giudice naturale ad esigenze difformi.

Infine, le Sezioni Unite hanno affermato l’assoluta inconferenza del rilievo che la disciplina del giudizio abbreviato non preveda il segmento dedicato alla trattazione e risoluzione delle questioni preliminari, giacché è proprio la specificità del rito, caratterizzato da agilità procedimentale, che non ha reso necessaria l’imposizione di alcuna rigida e preclusiva scansione procedimentale8.

2.2 La non revocabilità dell’ordinanza ammissiva

La seconda questione – risolta negativamente dalle Sezioni Unite9 – ha riguardato la possibilità di revoca dell’ordinanza di ammissione al giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria nel caso in cui la condizione non sia realizzabile per circostanze imprevedibili e sopraggiunte, e l’imputato non reiteri la richiesta di rito abbreviato né chieda il rito ordinario. Le Sezioni Unite hanno così confermato il costante orientamento secondo cui il giudice non ha il potere di revocare l’ordinanza solo perché l’integrazione probatoria cui l’imputato abbia subordinato la relativa richiesta non possa aver luogo per circostanze imprevedibili.

L’orientamento che le Sezioni Unite hanno fatto prevalere muove dal generale principio della non revocabilità del giudizio abbreviato – fatto salvo il caso in cui il pubblico ministero proceda a modificare l’imputazione – che non diversifica le situazioni a seconda che la revoca possa essere disposta d’ufficio o sollecitata dall’imputato.

Esso è condiviso da buona parte della dottrina secondo cui la legge processuale non contempla la possibilità di revocare il rito una volta ammesso e non è possibile mettere in dubbio il carattere eccezionale della disposizione di cui all’art. 441 bis c.p.p. per ricavarne una regola generale o per invocarne eventuali applicazioni analogiche. In particolare, si è sottolineato come il vincolo di subordinazione della richiesta riguardi l’ammissione dell’integrazione probatoria invocata, e che, una volta regolarmente instaurato il rito, la condizione debba ritenersi assolta. Non può pertanto configurarsi una sorta di retroattiva perdita di efficacia dell’atto di impulso quando, per qualunque motivo, la prova non venga concretamente assunta10.

2.3 La riduzione premiale dopo il giudicato di condanna all’ergastolo

Il rapporto tra giudizio abbreviato e reati punibili con la pena dell’ergastolo è stato tormentato sin dai primi anni di applicazione del codice. La stesura originaria prevedeva che il rito potesse essere ammesso anche per tal tipo di reati e che la pena perpetua fosse ridotta a trent’anni di reclusione. La Corte costituzionale, lo si è accennato, dichiarò dopo qualche anno l’illegittimità della normativa codicistica per eccesso di delega; ancora dopo, la c.d. legge Carotti reintrodusse la possibilità di svolgimento del rito, sempre con la riduzione a trent’anni. Di lì a poco il legislatore, avvedutosi che per mezzo di una riforma processuale si era di fatto abolita la pena dell’ergastolo, intervenne con decreto d’urgenza per diversificare i casi, prescrivendo che soltanto l’ergastolo fosse riducibile alla pena temporanea e che invece la pena dell’ergastolo con isolamento diurno dovesse essere ridotta alla pena dell’ergastolo per così dire semplice. Quest’ultimo intervento normativo fu espressamente qualificato di interpretazione autentica, sì che la riduzione in pena temporanea fu negata pure all’imputato che avesse richiesto e ottenuto il rito sotto la vigenza della legge che non distingueva, ai fini della riduzione a trent’anni di reclusione, tra pena dell’ergastolo e pena dell’ergastolo con isolamento diurno.

Il caso è approdato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata a pronunciarsi sulla prospettata violazione del diritto convenzionale in seguito all’irrogazione della pena dell’ergastolo all’esito del giudizio abbreviato, pur se, al momento in cui il rito era stato disposto, non fosse stata ancora emessa la normativa di interpretazione autentica11. La Corte ha riconosciuto la violazione del diritto, evidenziando un difetto strutturale della normativa italiana che, attraverso una successiva legge definita di interpretazione autentica, aveva fatto retroagire una norma di sfavore con la conseguente vanificazione dell’accordo tra imputato e ordinamento, qualificato dalla rinuncia al contraddittorio per la prova in cambio della riduzione di pena.

La decisione della Corte europea ha comportato un intervento della Corte di cassazione che ha annullato senza rinvio la condanna alla pena dell’ergastolo sostituendola con quella di anni trenta di reclusione, ed ha giustificato il superamento del giudicato con la necessità, per obbligo convenzionale dello Stato, di dare esecuzione in forma specifica, ove possibile, alla pronuncia della Corte di Strasburgo12.

Questa vicenda ha fatto sorgere un problema di non facile soluzione: se il giudicato di condanna possa e debba fare argine di fronte alle istanze di quanti siano stati condannati ad una pena illegale, ma che non abbiano richiesto alla Corte europea di pronunciarsi sulla violazione del loro diritto all’equità del trattamento sanzionatorio. Si deve allora stabilire se il giudicato impedisca, in assenza di una decisione della Corte europea che esiga esecuzione, la tutela piena ed effettiva dei diritti violati per un difetto strutturale della normativa italiana.

L’importanza del tema ha comportato la rimessione della questione alle Sezioni Unite che, a loro volta, hanno sollevato questione di costituzionalità delle disposizioni di interpretazione autentica in riferimento agli artt. 3 e 117, co. 1, – quest’ultimo in relazione all’articolo 7 CEDU – nella parte in cui le disposizioni interne operano retroattivamente, e ciò perché hanno ritenuto non praticabile un’interpretazione della normativa interna in maniera conforme all’art. 7 CEDU13. Detta norma non garantisce soltanto il principio di non retroattività delle leggi penali più severe, ma pone l’obbligo di applicazione della disposizione di legge più favorevole tra quella in vigore al momento della commissione del reato e quelle successive eventualmente adottate prima della definitiva condanna, determinandosi una violazione del diritto convenzionale ove sia applicata, in caso di successione di leggi penali nel tempo, la pena più sfavorevole. In ragione del conflitto tra la norma interna e quella convenzionale si è dunque invocato il parametro costituzionale dell’art. 117, nell’impossibilità di applicazione diretta delle norme convenzionali sì come interpretate dalla Corte europea, che per consolidata giurisprudenza costituzionale vivono come norme interposte per la verifica di costituzionalità della normativa interna. Alla decisione di rimessione alla Corte costituzionale le Sezioni Unite sono giunte dopo aver sperimentato l’impossibilità di un’interpretazione convenzionalmente conforme della normativa interna, perché la natura formalmente interpretativa di quest’ultima non ne legittima una rimodulazione in linea col principio di legalità convenzionale.

Il discorso cambia radicalmente ove la pretesa alla retroattività della legge più favorevole sia avanzata da un condannato in abbreviato alla pena dell’ergastolo che non possa far valere un problema di diritto intertemporale14. Questo è il caso dell’imputato che, pur avendo commesso il fatto prima dell’entrata in vigore della legge che ha reintrodotto il giudizio abbreviato per i reati punibili con l’ergastolo, abbia avanzato richiesta del rito dopo l’intervento di interpretazione autentica.

L’applicazione della legge più favorevole non può prescindere dalla considerazione del momento temporale in cui fu richiesto il giudizio abbreviato, per poter individuare la normativa vigente al tempo dell’accordo negoziale con l’ordinamento, e ciò perché la questione della successione delle leggi in punto di trattamento sanzionatorio per la riduzione premiale si qualifica in ragione del verificarsi in concreto di una fattispecie complessa, integrata dalla commissione di un reato punibile con l’ergastolo e dalla richiesta di accesso al rito speciale, elementi che, siccome inscindibilmente connessi, devono concorrere perché possa trovare applicazione la sanzione prevista al momento della richiesta.

Questa è la condizione necessaria perché possa venire in rilievo il tema dell’applicazione della legge intermedia più benevola, che in linea generale è imposta, in coerenza con l’art. 7 CEDU, attraverso la regola della retroattività/ultrattività della lex mitior, di cui all’art. 2, co. 4, c.p., secondo cui «se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse» si applica quella più favorevole, pur se abrogata o sostituita da altra meno favorevole, ovviamente in riguardo soltanto ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore di quest’ultima.

I profili problematici

Le soluzioni date dalla giurisprudenza alle questioni non persuadono interamente. Di dubbia coerenza è la decisione, che non era necessariamente implicata dalla questione di fatto prospettata in ricorso, di ritenere proponibile l’incidente di competenza nel giudizio abbreviato tipico, sia pure alla condizione che la questione di competenza sia stata già proposta e rigettata in udienza preliminare. Essa, infatti, costituisce un indubbio appesantimento del rito che con ogni probabilità sarà fattore di depotenziamento della sua capacità deflattiva. È invece condivisibile la decisione di non revocabilità dell’ordinanza ammissiva, che pone bene in evidenza come la richiesta di integrazione sia esclusivamente condizione di ammissibilità e non di decidibilità. Qualche timore suscita, infine, la pur necessaria messa in discussione della forza preclusiva del giudicato, che progressivamente sta cedendo terreno in favore delle istanze di giustizia e di tutela dei diritti individuali, seppure continui ad essere espressione di un’esigenza altrettanto importante, di certezza delle situazioni giuridiche.

Note

1 In tal senso la questione è stata affrontata per la prima volta da Cass. pen., sez. VI, 28.6.1991, n. 12894, D’Andrea, in CED Cass. pen., n. 188756. Tali argomenti sono stati successivamente ripresi da Cass. pen., sez. VI, 20.11.1997, n. 1168, Angeli, in CED Cass. pen., n. 211126; Cass. pen., sez. VI, 23.9.1998, n. 13624, Vicentini, in CED Cass. pen., n. 213430; Cass. pen., sez. IV, 28.10.1998, n. 4528, Generali, in CED Cass. pen., n. 213136.

2 Cass. pen., S.U., 21.6.2000, n. 16, Tammaro, in CED Cass. pen., n. 216247.

3 Il riferimento è a Cass. pen., sez. VI, 20.11.2003, n. 44726, Ninivaggi, in CED Cass. pen., n. 227715.

4 Così Cass. pen., sez. VI, 4.5.2006, n. 335519, Acampora, in CED Cass. pen., n. 234392 e Cass. pen., sez. V, 20.12.2010, n. 7025, Bellacanzone, in CED Cass. pen., n. 249833.

5 Cfr. Cass. pen., sez. II, 5.2.2008, n. 11723, Rotterdam e Cass. pen., sez. VI, 26.5.2010, n. 26092, Eddhani, entrambe inedite.

6 Cass. pen. n. 11723/2008, cit.

7 Cass. pen., S.U., 29.3.2012, n. 27996, Forcelli, in CED Cass. pen., n. 252612.

8 In dottrina si vedano in argomento le osservazioni di Leo, G., Novità dalla Cassazione in merito all’ammissibilità, nell’ambito del giudizio abbreviato, di eccezioni concernenti l’incompetenza territoriale del giudice che procede, in www.penalecontemporaneo.it.

9 Cass. pen., S.U., udienza 19.7.2012, Bell’Arte. Si precisa che, al momento in cui questo lavoro è stato licenziato, non risulta ancora depositata la sentenza.

10 Cfr. Maffeo, V., Il giudizio abbreviato, Napoli, 2004, 268 ss.; Zacchè, F., Il giudizio abbreviato, Milano, 2004, 162; nonché più di recente, Bricchetti, R.-Pistorelli, L., Giudizio abbreviato, in Trattato di procedura penale, IV, a cura di G. Spangher, Torino, 2008, 217 ss. Non manca peraltro chi ritiene che l’impossibilità di realizzare la condizione dedotta dall’imputato non possa essere ininfluente ai fini della validità e degli effetti della sua rinuncia al contraddittorio. In tal senso si vedano Lavarini, B., Il nuovo giudizio abbreviato, in Riv. dir. proc., 2001, 762, e, con specifico riferimento all’ipotesi in cui tale impossibilità sia determinata dalla legittima scelta di sottrarsi al contraddittorio di colui che sia stato chiamato a rendere dichiarazioni nel giudizio abbreviato, Di Dedda, E., Il giudizio abbreviato condizionato: limiti della rinuncia al contraddittorio e jus poenitendi dell’imputato, in Indice pen., 2003, 241.

11 C. eur. dir. uomo, Grande Sezione, 17.9.2009, Scoppola c. Italia.

12 Cass. pen., sez. V., 28.4.2010, n. 16507, Scoppola, in CED Cass. pen., n. 247244.

13 Cass. pen., S.U., 19.4.2012, n. 34472, Ercolano, in CED Cass. pen., n. 252934.

14 La questione è stata affrontata da Cass. pen., S.U., 19.4.2012, n. 34233, Giannone, in CED Cass. pen., n. 252932.

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