Meridionale, questione

Dizionario di Storia (2010)

meridionale, questione


Dibattito intorno alle ragioni che avrebbero determinato e aggravato la situazione di sottosviluppo economico e sociale del Mezzogiorno d’Italia. Di questione m. si cominciò a parlare fin dal costituirsi dello Stato unitario (1860); era convinzione generale che tra l’area padana e l’area m. le differenze di livelli di vita fossero dovute alle più sfortunate vicende politiche del Mezzogiorno: un regime di libertà, il riscatto nazionale, la penetrazione della civiltà avrebbero restituito al Mezzogiorno la sua antica prosperità. A queste convinzioni di fondo fu ispirata la politica dell’Italia unita verso il Mezzogiorno. Dopo due o tre decenni di vita unitaria si cominciò a parlare di questione m. avviando una riflessione organica sui problemi determinati dal forte dislivello fra le due sezioni del Paese, che con gli anni andava crescendo invece di diminuire. Alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento le condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno provocarono un movimento migratorio che in un paio di decenni portò nelle Americhe milioni di meridionali. Di fronte a questi problemi stringenti, F.S. Nitti propose una politica di intervento statale e una politica sociale in grado di avviare una vera e propria industrializzazione del Mezzogiorno. Gli economisti favorevoli al libero scambio svilupparono il tema antiprotezionistico, mentre i socialisti dedicarono poca attenzione al problema m., guardando alla questione sociale nel Nord, dove si affrontavano un proletariato e un capitalismo moderni. Il quindicennio giolittiano vide l’applicazione della prima legislazione speciale a favore del Mezzogiorno da parte dello Stato. Il fascismo dichiarò chiusa la questione m. e vide nell’espansione coloniale e nell’intensificazione della produzione agraria la soluzione anche del problema meridionale. Il dibattito si riaprì nel dopoguerra. Le condizioni del Mezzogiorno erano meno buone, rispetto al Nord, di venti o trent’anni prima; sotto la sollecitazione dei movimenti di massa si giunse, tra il 1949 e il 1950, a progettare una parziale riforma agraria e l’istituzione di una Cassa per il Mezzogiorno. La Cassa partì dal presupposto che, per avviare lo sviluppo del Sud, fosse sufficiente dotarlo delle grandi infrastrutture di cui esso mancava; in un secondo tempo si ritenne necessario un intervento diretto e furono realizzati alcuni grandi impianti industriali. I risultati dell’azione della Cassa e di tutta la politica speciale successiva non furono quelli sperati, pur essendo innegabile un processo di sviluppo negli anni Sessanta. In questo periodo fu avanzata con forza la richiesta di un’integrazione della politica speciale per il Mezzogiorno in una politica nazionale di programmazione e di sviluppo dell’intero sistema nazionale. Ciò nonostante, il criterio di una «politica speciale» rimase quello dominante nell’azione per il Mezzogiorno. A partire dalla fine degli anni Settanta la politica per il Mezzogiorno fu investita da una crescente contestazione da parte dell’opinione pubblica, soprattutto settentrionale, che porterà alla soppressione della Cassa (1986). Infatti nei dieci-quindici anni precedenti l’attività della Cassa era venuta sempre più allontanandosi dal modello iniziale di azione pubblica mirata alla trasformazione ambientale di una vasta area arretrata, per divenire strumento costoso e inefficiente di spesa, utilizzato per finalità meramente assistenziali o, peggio, clientelari, da un ceto politico che aveva preso nettamente il sopravvento sulla dirigenza tecnico-amministrativa. Tutto ciò aveva finito per oscurare, agli occhi di gran parte dell’opinione pubblica, gli incontestabili progressi realizzati nel Mezzogiorno tra gli anni Cinquanta e Ottanta, progressi che, se non erano stati tali da colmare il divario tra Nord e Sud, avevano comunque segnato una trasformazione economica e sociale dell’Italia meridionale senza precedenti. Il mancato superamento del divario tendeva sempre più a essere ricondotto alle degenerazioni clientelari e all’inadeguatezza in sé dell’intervento straordinario come strategia di recupero delle aree depresse, mentre passavano in secondo piano fattori ben più decisivi: l’insufficienza delle risorse impegnate in un intervento divenuto in gran parte sostitutivo e non aggiuntivo di quello ordinario, come avrebbe dovuto essere ed era effettivamente stato all’inizio; l’erroneità strategica di alcune scelte di intervento sia nei singoli settori produttivi sia nella vita civile; l’assenza di una programmazione generale dell’economia nazionale e di una politica dei redditi. Nel contempo l’istituzione delle regioni e il largo decentramento amministrativo che l’aveva accompagnata avevano creato la necessità di definire le rispettive sfere di competenza tra i nuovi enti dell’amministrazione ordinaria e quelli di gestione dell’intervento straordinario, che continuavano a operare. In partic., il mondo agrario restava un esempio tipico della condizione permanente di squilibrio fra Nord e Sud, con un abbandono generale delle campagne e una conseguente destrutturazione economica e sociale. La Cassa per il Mezzogiorno fu sostituita da un’Agenzia per la promozione dello sviluppo nel Mezzogiorno (1986), poi soppressa, con il passaggio delle competenze al ministro del Bilancio. Il Mezzogiorno e la politica meridionalistica si trovano in una condizione simultanea di trasformazione e di travaglio che, malgrado i notevoli progressi compiuti, mantiene le regioni meridionali in uno stato generale di «inferiorità» analogo, benché mutato nei termini, a quello che aveva suscitato oltre un secolo fa la questione meridionale.

Si veda anche La questione meridionale

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