Querelle des anciens et des modernes

Dizionario di filosofia (2009)

querelle des anciens et des modernes


Controversia sviluppatasi in Francia nella seconda metà del Seicento tra i sostenitori della superiorità della lingua e della letteratura classica (N. Boileau, J. B. Racine, Arnauld, La Bruyère e J. de la Fontaine) e i sostenitori della superiorità della lingua e della letteratura moderna (D. de Saint-Sorlin, Ch. Perrault, I. de Benserade, Fontenelle). Tale disputa, sorta in ambito letterario, assunse ben presto un significato più vasto. Già A. Tassoni, nel 1620, aveva sviluppato il confronto sul terreno della poesia, contrapponendo la Gerusalemme liberata ai poemi omerici. E sul finire del secolo Perrault tracciava un Parallèle des anciens et des modernes, affermando che, se la poesia moderna non è inferiore a quella degli autori greci e romani, la scienza (e la stessa filosofia) ha fatto grandi passi avanti in virtù di un processo di estensione dei suoi confini; e di ciò attribuiva la causa al tempo, «il cui effetto ordinario è di perfezionare le arti e le scienze». Anche Perrault si avvaleva dell’analogia tra vita individuale e sviluppo dell’umanità, e considerava i moderni – secondo un’espressione che risale a Bernardo di Chartres – come «nani sulle spalle di giganti» (➔). Può darsi benissimo che il genio degli antichi sia stato maggiore di quello dei moderni; ma i moderni hanno potuto, utilizzando i risultati conseguiti dall’antichità, sollevarsi al di sopra di essa. Anche l’assunto di una maggiore misura di capacità concessa agli antichi era però destinata a essere ben presto respinta, a opera di Fontenelle; e ciò in base a un principio scientifico, quello della costanza dell’ordine della natura, da lui esteso al mondo storico. Non diversamente dagli altri processi naturali, anche la vita dell’umanità è governata da leggi immutabili; e ciò induce a ritenere che la proporzione di geni nati nelle diverse epoche sia sostanzialmente la stessa. Come Fontenelle si esprime nella Digression sur les anciens et les modernes (1688; trad. it. Digressione sugli antichi e sui moderni), «la natura non ha certamente formato Platone, Demostene e Omero con un’argilla più fine né meglio preparata di quella con cui ha formato i nostri filosofi, i nostri poeti»: gli uomini di oggi non possono quindi essere inferiori o peggiori rispetto agli uomini del passato. Tra antichi e moderni vi è un’eguaglianza di natura, una equidistribuzione di capacità. E perciò le differenze devono avere origine da altre cause, in partic. dal tempo. Ciò vuol dire che il succedersi delle generazioni reca con sé un accrescimento continuo del sapere. Se nel campo dell’eloquenza e della poesia gli antichi possono essere, al massimo, eguagliati, ma non superati, nella scienza e nella filosofia i moderni hanno compiuto invece enormi passi in avanti. L’uomo moderno ha fatto proprio l’intero patrimonio di sapere delle epoche precedenti; il suo ingegno «è, per così dire, composto da tutti gli ingegni dei secoli precedenti». Né a questo processo si può imporre un termine: dal momento che il genere umano conosce sì delle età analoghe a quelle del singolo individuo, ma ignora la vecchiaia, il suo progresso viene a configurarsi come un progresso indefinito. Alla consapevolezza della superiorità dei moderni rispetto agli antichi si affiancava così la fiducia in un cammino ulteriore, al quale la natura non ha fissato alcun limite. Il presupposto dell’immutabilità della natura umana, da cui Fontenelle aveva preso le mosse per dimostrare la superiorità dei moderni, sarà ben presto lasciato cadere. Lungi dal rimanere sempre la stessa, la natura umana è intrinsecamente perfettibile; in ciò risiede la sua specificità rispetto alla natura degli altri esseri. Certamente, anche l’umanità e le sue vicende sottostanno alle leggi generali della natura; si escludeva, anzi, la possibilità di interventi soprannaturali o di un governo provvidenziale della storia. Ma in luogo di essere ricondotto alla costanza dell’ordine naturale, come aveva fatto Fontenelle, il perfezionamento dell’uomo e delle sue condizioni di vita veniva ora ancorato a questa caratteristica peculiare della natura umana, alla sua perfettibilità. In tal modo il progresso non designava più soltanto l’avanzamento del sapere; esso abbracciava anche i costumi dei popoli e, in seguito, abbraccerà pure le istituzioni politiche e la vita economica. Questo passaggio si compirà intorno alla metà del 18° sec., soprattutto a opera di Voltaire.

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