Quasi moneta

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

quasi moneta

Andrea Fineschi

L’insieme delle attività finanziarie che, pur non possedendo il grado di liquidità proprio della m. (banconote e depositi in conti correnti bancari), possono essere convertite in m. con costi trascurabili e moderato rischio di perdita di valore. Quindi, il diverso, minore, grado di liquidità che caratterizza le attività finanziarie, definite come q. m., dipende dalle caratteristiche delle attività stesse (la loro durata, la rischiosità del debitore, le variazione dei tassi di interesse di mercato, ecc.).

Funzioni della quasi moneta

Il carattere di q. m. di un’attività finanziaria può essere utilmente valutato dai singoli agenti e dalle autorità di politica monetaria. Nelle loro transazioni, gli operatori possono far svolgere alla q. m. alcune funzioni tipiche della m., per es., quella di riserva di valore. Le autorità di politica monetaria assegnano invece alla q. m. un altro compito, tenendo conto di diversi aggregati monetari, che solitamente sono: M0, la base monetaria (banconote circolanti più altre somme, in particolare le riserve dove affluisce il credito accordato alle banche ordinarie dalla banca centrale non ancora utilizzato); M1, la liquidità primaria (le banconote circolanti e le m. e i depositi in conto corrente); M2, la liquidità secondaria (la liquidità primaria più le attività finanziarie a elevata liquidità e senza rischio di perdita di valore, i depositi vincolati a tempo); e, infine, M3, l’aggregato monetario che comprende, oltre alla liquidità secondaria, tutte le altre attività finanziarie che possono svolgere la funzione di riserva di valore.

Quasi moneta e politica monetaria

Gli aggregati monetari misurano l’offerta di moneta e, dal momento che si ritiene che quest’ultima influenzi tassi di interesse e inflazione, gli aggregati monetari vengono solitamente utilizzati per definire gli obiettivi intermedi della politica monetaria. La Banca Centrale Europea (➔ BCE), per es., usa un aggregato monetario M3 (comprensivo di circolante, depositi, pronti contro termine, le quote di fondi di investimento monetario e le obbligazioni caratterizzate da una scadenza fino a due anni), che contiene ampiamente q. m., come uno dei due pilastri (l’altro pilastro è ‘reale’, essendo un insieme di indicatori dell’economia reale) sulla base dei quali assolvere al compito che le ha assegnato il Trattato di Maastricht (➔), ossia mantenere la stabilità dei prezzi nei Paesi membri dell’unione monetaria. La BCE ritiene infatti che esista un nesso causale fra l’aggregato M3 e il saggio di crescita dei prezzi e preferisce agire su questo aggregato per la sua capacità di anticipare informazioni circa l’andamento dei prezzi. Altre banche centrali, di contro, non ritengono l’aggregato M3 (comprensivo, come si è detto, di un’ampia quota di q. m.) altrettanto significativo ai fini della conduzione politica monetaria (è il caso, per es., della Federal Reserve Bank negli ultimi anni). La diversità di opinioni fra le banche centrali sul ruolo della q. m. dipende dalle rispettive assunzioni in materia di teoria monetaria, dai risultati derivati dall’esperienza e dalle specificità delle economie considerate.