PSICOTERAPIA FAMILIARE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

PSICOTERAPIA FAMILIARE

Maurizio Andolfi-Katia Giacometti

Si definisce così ogni forma di psicoterapia applicata al trattamento dell'intera famiglia, nucleare o estesa, che individua nelle relazioni familiari il luogo di comprensione e di superamento dei disturbi psichici, letti come segnale di crisi dell'organizzazione e del funzionamento familiare in un momento di passaggio del suo ciclo evolutivo.

Il movimento della p.f. affonda le sue radici nella cultura statunitense degli anni Cinquanta, caratterizzata dal prevalere di una tendenza volta al superamento della settorializzazione degli studi e di recupero di un approccio olistico ai problemi. Lo sviluppo di nuove discipline, come l'antropologia e la sociologia, dà un contributo significativo alla conoscenza dei contesti in cui l'individuo vive, in particolare allo studio delle influenze che le relazioni e l'organizzazione familiare sembrano giocare sullo sviluppo della personalità. In questo clima di profondo e generale rinnovamento nasce una ''scienza dei sistemi'', che si propone di offrire uno schema concettuale e strumenti di studio per fenomeni (come l'autoregolazione, l'organizzazione, il controllo) che non rientrano tra quelli che l'applicazione di una logica analitica ed elementaristica permette di studiare. Con i concetti di ''sistema'', ''organizzazione'', ''causalità circolare'' ed ''equifinalità'' si sottolinea la necessità di considerare ogni fenomeno nella prospettiva dell'intero e l'impossibilità di considerarlo come somma di parti scomponibili, analizzabili in termini di causa-effetto.

In particolare nel campo della psichiatria emerge la tendenza del ricercatore a spostare la sua attenzione dai fattori intrapsichici ai fenomeni interpersonali e ai contesti in cui hanno luogo. Il nuovo orientamento mette in discussione una visione dell'individuo prigioniero dei propri guasti e di una sua dinamica tutta interna, e sostituisce ad essa l'immagine di un essere sociale, il cui comportamento è comprensibile alla luce dell'organizzazione e del funzionamento del sistema di relazioni in cui è inserito. In questa definizione viene sottolineato l'aspetto comunicazionale di ogni evento e azione, compreso il comportamento sintomatico. Proprio partendo da una definizione della schizofrenia come particolare modalità comunicativa, negli anni Cinquanta vengono avviate numerose ricerche che individuano nella triade madre-padre-figlio il contesto privilegiato di comprensione del linguaggio schizofrenico. Fanno la loro comparsa termini nuovi come "doppio legame" (G. Bateson), "pseudomutualità" (L.C. Wynne), "massa indifferenziata dell'io familiare" (M. Bowen), "scisma e deviazioni" (T. Lidz), con i quali si cerca di descrivere il contesto comunicativo familiare e le sue caratteristiche di funzionamento. I sintomi appaiono sempre più come segnali di un disagio relazionale dell'intera famiglia, che sembra comunicare in questo modo l'esistenza di un conflitto tra continuità e cambiamento, tra legami di appartenenza e bisogni d'individuazione dei suoi singoli componenti.

I risultati di queste ricerche confermano l'utilità di lavorare con tutta la famiglia, introducendo una rottura con le tradizionali forme di trattamento, compresa la psicoanalisi, che sembrano privilegiare un approccio acontestuale all'individuo. Nasce su queste basi un movimento che si struttura intorno ad alcune idee condivise: a) la famiglia viene considerata ''come se fosse'' un sistema; b) ogni comportamento viene letto e compreso come funzione della relazione; c) viene abbandonata una concezione del sintomo come anomalia individuale e viene coniato il termine ''paziente designato'', indicando con questo termine il portatore del sintomo che esprime, anche a nome degli altri membri del sistema, le difficoltà legate alla crescita e all'evoluzione; d) viene definito come obiettivo della terapia non più il cambiamento del singolo, ma la modificazione dei modelli di relazione tra gli individui. Tuttavia la condivisione di queste idee non porta alla definizione di un modello concettuale e operativo comune. Una differenza fondamentale riguarda la considerazione dell'individuo e degli aspetti soggettivi e storici nella concettualizzazione del sistema familiare e del modello terapeutico.

Gli approcci della psicoterapia familiare. - Utilizzando come parametro il rapporto famiglia-individuo, letto in termini figura-sfondo, si possono individuare tre posizioni: sopraindividuale, sopraindividuale-individuale e individuale-sopraindividuale.

Sopraindividuale. Con essa possiamo definire la posizione di coloro (J. Haley, L. Hoffman, gruppo di Palo Alto, M. Selvini-Palazzoli e coll. nella loro prima fase di ricerca) che scelgono quale oggetto di analisi e d'intervento l'unità sopraindividuale, cioè la famiglia come sistema di interazioni, abbandonando ogni pretesa di concettualizzazione dell'individuo, definito come ''scatola nera''. Le categorie concettuali e il linguaggio sono mutuati dalla cibernetica e dalla teoria della comunicazione. L'accento è posto sugli aspetti di input e output del sistema, cioè sui comportamenti-comunicazione che lo caratterizzano. La famiglia viene definita come un sistema governato da regole, la cui stabilità è mantenuta da meccanismi omeostatici interni che agiscono in direzione di una limitazione del comportamento entro confini stabiliti. L'adozione del modello cibernetico mira a sottolineare il fatto che la famiglia patologica è un sistema "autocorrettivo, stabilmente collegato, a prevalenza omeostatica" per il cui cambiamento si pone la necessità dell'azione di un agente esterno. Questo agente è il terapeuta, che deve porsi a livello di metaregolatore per cambiarne il programma.

L'obiettivo della terapia viene definito in termini di rottura dei circoli viziosi che tengono in scacco la possibilità di riprogrammazione. Il terapeuta deve innanzitutto individuare le regole disfunzionali, per poi introdurre, attraverso prescrizioni comportamentali, nuovi input che mirino a modificare le regole del gioco. In questo modello la famiglia appare un sistema vittima di disfunzionalità circolare che ha bisogno di essere riprogrammato. Sulla continuità della relazione prevale l'intensità e l'efficacia dell'input da introdurre e, coerentemente a questi presupposti, le sedute sono poste a distanza di tempo (una o due volte al mese) e l'intero processo terapeutico si configura come una ''terapia breve'' (intorno alle dieci sedute, fino ad arrivare a tre-quattro incontri). Prevale il metodo prescrittivo, che mette l'accento sul cambiamento dei comportamenti.

Sopraindividuale-individuale. I rappresentanti di questa posizione (S. Minuchin, M. Andolfi) considerano la famiglia un sistema aperto, capace di autogovernarsi, quindi organismo attivo e non solo reattivo, in costante trasformazione, con propri confini interni ed esterni. Le categorie concettuali e il linguaggio usati sono mutuati dalla teoria dei sistemi aperti e dallo strutturalismo, quest'ultimo come chiave di lettura del funzionamento del sistema familiare. All'interno i confini garantiscono l'individuazione di sottosistemi con funzioni diverse e specifiche, come il sottosistema genitoriale e quello dei figli. In questo modello ''individuo-famiglia-contesto sociale'', colti nella loro stretta interdipendenza, vengono inclusi nell'area di considerazione del terapeuta, che può decidere d'intervenire all'interno dei confini del sistema familiare, sui confini di qualche sottosistema interno (per es., coppia o individuo), o sui confini della famiglia con qualche sistema esterno (per es., la scuola). In questo modello il terapeuta è parte integrante del processo psicoterapico con la famiglia. Il suo compito è quello di attivare le potenzialità del sistema familiare perché possa, in prima persona, diventare artefice del cambiamento.

Il processo di ristrutturazione consisterà allora nel modificare gli schemi relazionali abituali della famiglia utilizzando elementi e informazioni già presenti, almeno a livello potenziale. L'edificio assume nuove prospettive, è modificato, ma i mattoni che lo formano sono sempre gli stessi. Quello che muta sono i significati attribuiti all'esperienza. Il concetto di ''relazione terapeutica'' ha un ruolo centrale e il terapeuta viene visto come una sorta di regista che aiuta la famiglia a riscrivere il copione della sua storia e i suoi singoli membri a dar vita a racconti personali. Le sedute, di solito, sono quindicinali, in considerazione della necessità di sperimentare appartenenza e separazione, continuità e discontinuità di un processo evolutivo. Il metodo è piuttosto basato sul fare insieme, dentro e fuori la terapia, un'esperienza che permetta di risvegliare potenzialità presenti nel sistema, nella sua storia e nell'esperienza differenziata dei suoi membri. Accanto all'uso di prescrizioni è rilevabile anche l'uso di tecniche interpretative, volte a far emergere significati diversi e differenziati di una stessa esperienza.

Individuale-sopraindividuale. In questa posizione (M. Bowen, I. Boszormenyi-Nagy, C. Whitaker, N.W. Ackerman) troviamo coloro che cercano di affermare una continuità con la tradizione analitica. Nel rapporto figura-sfondo è l'individuo che mantiene una posizione di primo piano. La famiglia trova nel individuale e nel suo sviluppo il suo migliore modello di concettualizzazione. Essa viene definita un sistema emozionale, caratterizzato da forze che muovono verso la differenziazione e forze che invece cercano di mantenere uno stato di coesione. In questo modello un ruolo importante ha la storia, il rapporto con figure significative del passato, le famiglie d'origine. La priorità attribuita alle relazioni verticali rispetto a quelle orizzontali, che rivela la permanenza di un interesse per una dimensione etiologica, si traduce sul piano operativo nel recupero affettivo e verbale delle relazioni con la famiglia d'origine, con cui viene indicata la possibilità di andare oltre lo studio e il trattamento della famiglia nucleare.

Viene comunque privilegiato il rapporto a due terapeuta-individuo e vengono utilizzati sogni, fantasie, metafore e più in generale i prodotti dell'inconscio. L'obiettivo, simile a quello di una psicoterapia individuale, è l'incontro con la verità, con quella verità di natura inconscia e irrazionale che ciascuno porta dentro di sé, per garantire la possibilità di essere se stessi nel rapporto con l'altro significativo. Vengono utilizzati sia un metodo esperienziale che tecniche interpretative. Anche la frequenza delle sedute viene raccorciata, in alcuni casi fino a una volta la settimana, coerentemente all'idea di ripercorrere nella terapia le fasi dello sviluppo maturativo dell'individuo, che muove da una forma di dipendenza totale, in cui sono in gioco bisogni legati alla sopravvivenza, verso forme di dipendenza matura in cui dipendere e separarsi diventano posizioni compatibili, possibilità di stare da solo e/o con l'altro. Anche all'interno di questa posizione la relazione terapeutica ha un posto centrale. Il terapeuta (spesso una coppia di terapeuti) si configura come quel ''sostituto genitoriale'' che può rendere possibile un nuovo deutero-apprendimento attraverso la qualità della relazione che riesce a stabilire con la famiglia e con ciascuno dei suoi membri. Si può a questo proposito notare l'uso da parte di alcuni autori di termini quali transfert e controtransfert.

La psicoterapia familiare in Italia. - Per quanto riguarda l'Italia, e più tardi l'Europa, la p.f. si afferma attraverso il modello pragmatico-comunicazionale, forse proprio grazie alla sua veste di discontinuità rispetto alla tradizione. In Italia, infatti, il clima dei primi anni Settanta è caratterizzato dal movimento dell'antipsichiatria che mette l'accento sulle determinanti socio-economiche, ''sistemiche'', della malattia mentale; visione che si contrappone a quella più introspettiva della psicoanalisi. Tuttavia, forse proprio grazie al contesto culturale diverso, in Italia, anche se attraverso un processo lungo e ancora in corso, questo modello strettamente behavioristico viene messo ben presto in crisi per lasciare spazio a una riconsiderazione del rapporto famiglia-individuo. Nel nostro paese lo stato attuale della p.f. è di fatto ancora oggi caratterizzato da questa riscoperta della soggettività, della storia e della relazione famiglia-terapeuta.

Anche in questo caso, comunque, come per le origini, la comune accettazione di questi temi non ha sicuramente annullato le differenze, ma forse ha contribuito a renderle più articolate. Certamente i maggiori cambiamenti sono avvenuti all'interno della posizione pragmatico-comunicazionale o supra-individuale, al cui interno possiamo cogliere due tendenze: da una parte la posizione di chi (Boscolo e Cecchin, Ugazio), rifacendosi alla seconda cibernetica (Maturana, Varela), mette in primo piano la necessità d'interrogarsi sulla comunicazione nei suoi aspetti non solo pragmatici, ma anche semantici, ricercando nel costruttivismo e nel cognitivismo una comprensione dello sviluppo individuale. La psicoterapia con la famiglia viene ridefinita un processo di co-costruzione di una nuova realtà di significati e di pattern comportamentali, con l'obiettivo di permettere alla famiglia di riorganizzarsi secondo modalità più funzionali. Dall'altra parte c'è chi (Selvini-Palazzoli e coll.), recuperando l'individuo attraverso la considerazione delle strategie da lui utilizzate per la partecipazione al gioco familiare, continua a vedere il terapeuta esterno alla famiglia, come colui che può, una volta ipotizzato il gioco familiare, renderne impossibile la continuazione e favorire così la ricerca di nuove modalità d'incontro.

Anche se meno evidenti, altrettanto significative appaiono le differenze tra coloro che avevano sempre prestato attenzione all'individuo e ai processi storici ed evolutivi del sistema familiare. All'interno di questo orientamento, che metteva insieme sia i sostenitori di una visione individuale-sopraindividuale sia quelli di una visione sopraindividuale-individuale, il divario si è aperto tra chi ha cercato di sviluppare una continuità con il modello psicoanalitico e chi invece ha cercato di mantenere chiari i confini tra due modi diversi di concettualizzare la realtà psicologica.

Da una parte troviamo coerentemente sviluppato il pensiero trigenerazionale e i principi della teoria evolutiva (Andolfi, Angelo, de Nichilo). Il processo di comprensione dell'individuo e dei suoi processi di sviluppo viene inserito in uno schema di osservazione trigenerazionale che permette di ''vedere'' i comportamenti attuali di una persona come metafore relazionali, cioè come segnali indiretti di bisogni e coinvolgimenti emotivi del passato che trovano lo spazio e il tempo di manifestarsi concretamente nelle relazioni presenti. La costruzione di nuovi legami affettivi e la loro evoluzione sono legate alla possibilità di separarsi da questi legami passati, che implicano l'elaborazione di lutti, vuoti e deleghe funzionali, spesso contenuti di un mito che assegna a ciascuno un ruolo e un destino precisi, a prezzo dell'espressione dei propri bisogni. L'obiettivo del terapeuta è quello di costruire una storia con la famiglia nel contesto della terapia, che renda possibile apprendere come ricercare significati diversi negli eventi e nei comportamenti reciproci, sperimentando nuove alternative di rapporto. L'obiettivo è costituito non tanto da nuovi contenuti, quanto dell'apprendimento da parte dei membri della famiglia di una metodologia di lavoro, che permetta loro di conciliare l'essere di ciascuno con l'appartenere alla stessa storia evolutiva e di continuare a farlo fuori dalla relazione con il terapeuta. Nel rapporto tra presa di coscienza ed esperienza, viene riaffermata la priorità della seconda sulla prima.

Dall'altra parte troviamo chi (Giannakoulas, Nicolò-Corigliano), interrogandosi su questi stessi temi, sul rapporto tra famiglia esterna (attuale) e famiglia interna (passata, d'origine), ha cominciato a utilizzare categorie concettuali come ''collusione'', ''identificazione proiettiva'', ''introiezione'', già utilizzate in campo psicoanalitico, per dare una lettura delle relazioni all'interno della famiglia e della coppia. La funzione, sia della famiglia che della terapia, è il processo d'individuazione del singolo che precede e rende possibile l'esperienza della separazione. Il tipo di organizzazione emotiva familiare può ostacolare o facilitare questo processo. L'uso di meccanismi di scissione e d'identificazione proiettiva ostacola il contenimento e l'elaborazione della sofferenza che nasce dal senso di perdita che accompagna il processo di crescita. In questi casi, vuoti e mancanze vengono sostituiti da una delega collusiva all'Altro di parti di sé sentite come inaccettabili o carenti. Compito del terapeuta è rendere tollerabile nella relazione con lui la rinuncia a questo Noi indifferenziato che ostacola il contatto con bisogni, sentimenti ed emozioni, spostati e messi nell'altro. L'obiettivo è permettere a ciascuno di compiere quell'esperienza interiore di delineazione Sé-Altro che favorisce la nascita di uno spazio personale, separato, e l'assimilazione di un modello di fiducia e di speranza che fa dell'incontro con l'altro un'occasione di crescita, e della relazione un luogo di dialogo dei bisogni e dei desideri reciproci.

Nonostante la permanenza di queste differenze e della tendenza delle varie scuole ad affermare come modello esaustivo una tecnica e un metodo d'intervento, si sta facendo strada l'abbandono di risposte precostituite. Si è riaperto il dibattito sulle indicazioni e controindicazioni per questo tipo d'intervento e sulla scelta del programma di trattamento (terapia familiare da sola o combinata, per es., con una terapia individuale) più utile per quella famiglia rispetto alla fase del suo ciclo evolutivo e ai bisogni dei suoi membri. Da ''paradigma rivoluzionario'', la p.f. torna a essere una nuova forma di psicoterapia da aggiungere al bagaglio dell'operatore, arricchendo la sua capacità di comprendere e dare una risposta al disagio psichico. Coerentemente a un'ottica relazionale-sistemica, che ne costituisce le radici, oggi la p.f. si reinserisce nella famiglia delle psicoterapie, mostrandosi adesso capace di collocarsi in una fase matura, dialogica e di confronto.

Bibl.: N.W. Ackerman, Psicodinamica della vita familiare, Torino 1968; I. Boszormenyi-Nagy, J.L. Framo, Psicoterapia intensiva della famiglia, ivi 1969; P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Roma 1971; P. Watzlawick, J.H. Weakland, R. Fisch, Change, ivi 1974; M. Selvini-Palazzoli, L. Boscolo, G. Cecchin, G. Prata, Paradosso e controparadosso, Milano 1975; G. Bateson, Verso un'ecologia della mente, ivi 1976; S. Minuchin, Famiglie e terapia della famiglia, Roma 1976; M. Bowen, Dalla famiglia all'individuo, a cura di M. Andolfi e M. de Nichilo, ivi 1979; M. Andolfi, C. Angelo, P. Menghi, A.M. Nicolò-Corigliano, La famiglia rigida, Milano 1982; L. Hoffman, Principi di terapia della famiglia, Roma 1984; C. Whitaker, Il gioco e l'assurdo, a cura di G. Vella e W. Trasarti Sponti, ivi 1984; AA.VV., Famiglia e individuo, n. spec. di Terapia familiare, 19 (1985); M. Andolfi, C. Angelo, Tempo e mito nella psicoterapia familiare, Torino 1987; A.M. Nicolò-Corigliano, La famiglia come matrice del pensiero, in Terapia familiare, 28 (novembre 1988); M. Selvini-Palazzoli e altri, I giochi psicotici nella famiglia, Milano 1988; I. Boszormenyi-Nagy, M. Spark, Lealtà invisibili, Roma 1989; Famiglia individuo scelte cliniche, n. spec. di Terapia familiare, 81 (1989); C. Whitaker, Considerazioni notturne di un terapeuta della famiglia, Roma 1990; M. Andolfi, Il colloquio relazionale, ivi 1994.