Psicofarmaci

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

psicofarmaci

Gaetano Di Chiara

Farmaci per la mente

Gli psicofarmaci sono sostanze chimiche che modificano le funzioni della mente e il comportamento. La scoperta di certi psicofarmaci ha rivoluzionato la cura delle malattie mentali. Tuttavia, nella categoria degli psicofarmaci rientrano anche farmaci come l’eroina, la cocaina e l’ecstasy, che sono utilizzati come droghe e che possono produrre dipendenza

Che cosa sono

Dato che per farmaco si intende qualsiasi sostanza chimica capace di produrre effetti sugli organismi indipendentemente dalla sua utilità terapeutica, sono psicofarmaci tutte le sostanze chimiche che in generale modificano la psiche, cioè le funzioni della nostra mente e di conseguenza il nostro comportamento. Perciò la psicofarmacologia, la disciplina che studia gli psicofarmaci, si occupa non solo di quelli utilizzati per curare le malattie psichiche, ma anche di farmaci utilizzati come droghe. Per esempio, sono psicofarmaci le medicine utilizzate per curare la schizofrenia, la depressione, la mania e i disturbi d’ansia, ma anche gli allucinogeni, come l’LSD, la mescalina, l’ecstasy (MDMA), la fenciclidina e altri.

Non è possibile distinguere in modo netto psicofarmaci ‘buoni’ da quelli ‘cattivi’. Alcuni psicofarmaci possono essere considerati come agenti terapeutici o come droghe illegali a seconda delle condizioni e delle indicazioni per le quali si utilizzano. È noto che gli effetti di uno stesso psicofarmaco possono essere addirittura opposti a seconda della condizione in cui viene somministrato. Per esempio, l’anfetamina o il metilfenidato producono in persone normali un’agitazione comportamentale che può raggiungere gradi estremi (mania) mentre hanno effetti calmanti nei bambini affetti da un disturbo del comportamento e dell’attenzione (attenzione, deficit della), a causa del quale non riescono a stare fermi e sono incapaci di portare a termine un compito semplice.

Utilizzati nella cura delle malattie mentali

Fin dagli albori della civiltà l’uomo ha utilizzato, nell’ambito di cerimonie religiose o di riti propiziatori, sostanze di origine naturale capaci di alterare la psiche; tuttavia l’introduzione degli psicofarmaci per la cura dei disturbi psichici è piuttosto recente: risale infatti alla prima metà degli anni Cinquanta. Fino ad allora la cura di tali disturbi era effettuata attraverso pratiche drastiche di natura fisica (scosse elettriche, il cosiddetto elettroshock) o chimica (insulina), capaci di produrre convulsioni, o di natura chirurgica, come la lobotomia prefrontale, che consisteva all’incirca nell’amputare, separandola dal resto del cervello, quella parte della corteccia cerebrale, la corteccia prefrontale, che è particolarmente sviluppata nella specie umana e che è considerata sede dei processi psichici superiori.

Solo poche persone, dati i costi elevati, potevano permettersi di essere trattate individualmente con tecniche basate sul colloquio e sull’interazione personale medico-paziente, come la psicoanalisi e l’ipnosi; i risultati però, almeno per quanto riguarda le malattie psichiche più gravi, spesso erano del tutto sconfortanti. Nella maggior parte dei casi, comunque, il trattamento di queste malattie consisteva semplicemente nell’internamento nei manicomi e, nel caso di malati agitati, nel contenimento fisico attraverso la tristemente famosa ‘camicia di forza’.

La rivoluzione psicofarmacologica

Un tranquillante miracoloso. Il farmaco che diede inizio a quella che viene giustamente ricordata come la rivoluzione psicofarmacologica fu la cloropromazina, sintetizzata nel 1950. Questa sostanza si rivelò capace di tranquillizzare i malati agitati gravi (da qui il nome di tranquillanti maggiori o neurolettici dato ai farmaci ad azione simile alla cloropromazina), e di attenuare alcuni disturbi tipici della schizofrenia come le allucinazioni, rendendo non più necessario il contenimento fisico. La cloropromazina e altri neurolettici, secondo alcuni studiosi, hanno dato un contributo, rilevante per alcuni autori e marginale secondo altri, alla chiusura o al ridimensionamento dei manicomi negli anni Ottanta.

Come agisce la cloropromazina. Dopo la cloropromazina fu sintetizzata un’infinita serie di farmaci neurolettici analoghi anche se di struttura diversa, i quali, pur avendo un’attività antischizofrenica, provocavano, come la cloropromazina, seri disturbi del movimento (rigidità, tremori, difficoltà a iniziare un movimento) simili a quelli che si osservano nel morbo di Parkinson. Dato che il morbo di Parkinson è causato da una degenerazione dei neuroni che usano la dopammina come trasmettitore, gli effetti collaterali simili dei neurolettici indicano il loro meccanismo d’azione, e cioè la capacità di legarsi ai siti (recettori) localizzati sulla superficie dei neuroni di determinate aree cerebrali alle quali fisiologicamente si lega la dopammina, impedendo così la stimolazione degli stessi recettori da parte della dopamina stessa.

Per i loro effetti negativi sul movimento, la cloropromazina e i suoi analoghi furono sottoposti a critiche severe e finiscono per essere considerati come una ‘camicia di forza’ chimica.

Tuttavia i neurolettici non devono l’azione tranquillante ai loro effetti sul movimento. Infatti, i farmaci più recenti (clozapina e vari altri), pur mantenendo la proprietà di bloccare i recettori alla dopammina, hanno proprietà farmacologiche diverse da quelle dei neurolettici classici, grazie alle quali mantengono il loro effetto benefico su alcuni sintomi della schizofrenia senza produrre eccessivi disturbi sulla motilità dei pazienti.

I farmaci contro la depressione. Un’altra grande categoria di psicofarmaci è quella utilizzata per il trattamento della depressione. Il primo vero antidepressivo, e uno tra i più efficaci in assoluto, fu l’imiprammina. Questo farmaco, originariamente usato con la cloropromazina nella speranza di migliorarne gli effetti antischizofrenici, si rivelò poi capace di aumentare il tono dell’umore nei depressi, riducendo alcuni sintomi tipici di questa condizione: mancanza di interesse, apatia, anedonia (incapacità a provare piacere). L’imiprammina agisce inattivando una proteina trasportatrice che si trova all’esterno della membrana delle terminazioni nervose che liberano la noradrenalina e la serotonina. Questa proteina, funzionando come una pompa selettiva, preleva dal liquido extracellulare la noradrenalina e la serotonina che si trovano all’esterno della terminazione nervosa, e le riporta all’interno della terminazione (ricaptazione) cioè nella vescicola sinaptica, mantenendo così entro limiti fisiologici la concentrazione di questi trasmettitori sui loro recettori.

La noradrenalina e la serotonina svolgono infatti importanti ruoli fisiologici: la noradrenalina agisce sul sistema nervoso autonomo con funzione stimolante, per esempio aumentando il battito del cuore, mentre la serotonina regola funzioni come il sonno, l’attività sessuale, l’umore, l’appetito.

Nei soggetti depressi, tuttavia, le concentrazioni esterne sono insufficienti a mantenere un normale tono dell’umore: gli antidepressivi, bloccando l’attività della proteina trasportatrice, aumentano le concentrazioni extracellulari di noradrenalina e serotonina, e quindi il grado di stimolazione dei loro recettori, e riportano alla norma il tono dell’umore.

Contro l’ansia. Gli antidepressivi, oltre ad attenuare i sintomi della depressione, hanno anche una buona attività contro disturbi psichici meno gravi, come i disturbi d’ansia. Per questa loro attività hanno quasi completamente soppiantato un’altra famiglia di psicofarmaci attivi contro l’ansia, le benzodiazepine, di cui è capostipite il diazepam, che hanno il difetto di indurre dipendenza e per questo sono ormai utilizzate quasi esclusivamente per il trattamento dell’insonnia.

Infine, non si può non citare tra gli psicofarmaci più antichi, meno costosi e più efficaci, il litio che ha la proprietà di stabilizzare il tono dell’umore e perciò viene utilizzato in un disturbo psichico importante come il disturbo bipolare, caratterizzato da fasi di agitazione maniacale e di depressione che ciclicamente si succedono.

Esistono psicofarmaci che fanno diventare più intelligenti?

L’intelligenza è una caratteristica individuale che non può essere migliorata dai farmaci. In passato fu attribuita ad alcuni psicofarmaci (anfetamine) la proprietà di aumentare la memoria e migliorare le capacità di apprendimento, ma in seguito si scoprì che questi effetti erano dovuti a una riduzione della stanchezza e del sonno. Peraltro, prima che si scoprisse che l’anfetamina crea dipendenza e ha una serie di effetti collaterali dannosi (fu ritirata dal commercio nel 1972), il suo uso tra studenti, sportivi, artisti e professionisti fu molto diffuso.

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