Psicanalisi

Enciclopedia del Novecento (1980)

Psicanalisi

PPaul Ricoeur
Silvano Arieti

di Paul Ricoeur, Silvano Arieti

PSICANALISI

La teoria psicanalitica di Paul Ricoeur

Sommario: 1. Introduzione. 2. La psicanalisi come metodo d'indagine: a) il sintomo; b) il sogno; c) atti mancati; d) fantasia; e) il motto di spirito. 3. La terapia psicanalitica. 4. La ‛metapsicologia' e i suoi punti di vista: a) il punto di vista dinamico; b) il punto di vista topico; c) il punto di vista economico; d) punto di vista economico e punto di vista genetico. 5. Interpretazioni della cultura. 6. Considerazioni conclusive. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Nell'articolo Psicanalisi, pubblicato nel Handwörterbuch der Sexualwissenschaft di M. Marcuse (Bonn 1923), Freud chiarisce che ‛psicanalisi' ‟è il nome: 1) di un procedimento per l'indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere; 2) di un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nevrotici; 3) di una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica" (v. Opere, voI. IX, p. 439).

Questa definizione ha il duplice vantaggio di mostrare la reciproca dipendenza dei tre aspetti che vengono isolati e di porre le condizioni che circoscrivono la validità di ogni interpretazione o spiegazione che voglia dirsi psicanalitica. Una teoria che non fosse sorretta da un preciso metodo d'indagine e non promuovesse la cura delle sindromi psiconevrotiche tralignerebbe in speculazione, perché perderebbe di vista le analogie che assicurano la convergenza tra indagine', ‛terapia' e ‛teoria'.

Sulle tracce del testo succitato, esporremo dapprima il ‛nucleo' della psicanalisi, seguendo l'ordine dei tre livelli da Freud stesso distinti. Successivamente si esporranno gli ampliamenti, le applicazioni, le estrapolazioni che, sulla base di analogie dapprima ben fondate e poi sempre più arrischiate, innalzano la psicanalisi al rango di una visione del mondo; quest'uso analogico della psicanalisi non può essere trascurato, perché sono questi territori, queste sfere concentriche disposte attorno al nucleo centrale, che fanno della psicanalisi uno dei maggiori avvenimenti culturali del nostro tempo e anzi uno degli strumenti più idonei con cui la nostra cultura interpreta se stessa.

2. La psicanalisi come metodo d'indagine

La psicanalisi è una disciplina che mette contemporaneamente in giuoco un metodo d'indagine, una tecnica terapeutica, un insieme di teorie. Nessuno di questi elementi, da solo, è la psicanalisi.

Il metodo d'indagine proprio della psicanalisi resta essenzialmente legato alla scoperta dell'‛inconscio'. È proprio perché parole, azioni, sintomi, produzioni immaginarie - come sogni, fantasie, deliri - hanno un significato che sfugge, e non solo occasionalmente ma sistematicamente, a una presa di coscienza, che è necessario ricorrere, per poterli comprendere, a un'indagine di tipo speciale che faccia emergere il loro significato nascosto. Quest'indagine non consiste affatto in un ampliamento, operato direttamente dal soggetto, della presa di coscienza o dell'introspezione; è anzi proprio in questo che la psicanalisi si distingue da ogni fenomenologia.

Le due nozioni di ‛sintomo' e di ‛sogno' possono essere prese come pietre di paragone del metodo d'indagine. La prima è immediatamente connessa a un'affezione psicogena, la nevrosi, la seconda è legata al normale fenomeno del sonno. Qui vengono ravvicinate per trarre, dalla loro convergenza, la caratteristica più significativa del metodo d'indagine.

a) Il sintomo

Che si tratti della nevrosi ossessiva, o dell'isteria, o della nevrosi fobica, ciò che caratterizza l'approccio psicanalitico è il mettere in evidenza il ‛conflitto psichico' che è all'origine del processo patogeno. La nozione di sintomo viene raccostata alla nozione di conflitto psichico attraverso quella di ‛compromesso', di cui il sintomo è l'effetto-segno. Il sintomo manifesta il conflitto e la sua risultante in una sorta di ‛linguaggio', che per sua natura non appartiene alla sfera verbale, anche se il malato è capace, almeno in parte, di ‛dire' i suoi sintomi. Fin dal 1894, in Le neuropsicosi da difesa, Freud caratterizza le psiconevrosi, in opposizione alle nevrosi attuali, in base al ruolo svolto - nelle prime - dal sintomo in quanto espressione simbolica dei conflitti infantili.

Negli Studi sull'isteria (1895), il sintomo isterico è definito come simbolo mnestico del trauma; esso è il testimone attraverso il quale l'avvenimento traumatico è in qualche modo commemorato. Parallelamente, il meccanismo della nevrosi ossessiva fa pensare che i sintomi rechino in se stessi la traccia o il marchio del conflitto difensivo da cui traggono origine. Il sintomo è dunque in generale l'effetto-segno della formazione di compromesso tra le rappresentazioni rimosse e la difesa; in questo effetto-segno, il rimosso ritorna in una forma in cui risulta irriconoscibile al soggetto. Il metodo d'indagine cui compete il nome di analisi consiste nello scomporre le forze - il desiderio e la difesa - il cui conflitto ha trovato nel sintomo una soluzione di compromesso. È dunque naturale che inizialmente la coscienza del nevrotico ‛non riconosca' le rappresentazioni rimosse, e questo richiede un metodo originale d'indagine messo in opera da qualcuno che non sia lo stesso malato. L'analisi ripercorre il cammino inverso rispetto alla formazione di compromesso, grazie al ritorno del rimosso nella fase della formazione del sintomo.

Quel che ravvicina il sintomo al sogno è il carattere di equivalenza tra l'effetto-segno e il sistema conflittuale che in esso si esprime; per questo carattere, il sintomo appare come una ‛formazione sostitutiva' nel senso che è ‛messo al posto' del processo conflittuale. Quale che sia la spiegazione ‛economica' che verrà data più tardi del fenomeno nel quadro della teoria, è importante sottolineare, per un primo approccio che si limiti al metodo d'indagine, la natura ‛simbolica' di questa sostituzione. È quello che noi esprimiamo con il termine ‛effetto-segno': un effetto certamente, ma un effetto che è anche un segno. I legami associativi che l'indagine rivela tra il sintomo e ciò cui si sostituisce, l'affinità con gli spostamenti e le condensazioni propri del lavoro onirico rendono ancor più sorprendente l'affinità tra i due fenomeni del sintomo e del sogno. Sia il sintomo sia il sogno sono espressioni indirette e deformate, che offrono una certa resistenza all'interpretazione. Più precisamente, la psicanalisi ha a che fare con espressioni che manifestano e mascherano nel contempo dei contenuti inaccessibili all'apprensione immediata e alla comprensione diretta del soggetto.

Nelle sue prime opere Freud ha chiamato ‛simbolico' il rapporto di occultamento-disvelamento che intercorre tra un desiderio inconscio e la sua rappresentazione indiretta e figurata nelle formazioni sostitutive. Nella Comunicazione preliminare, del 1892, il legame simbolico è la relazione nascosta tra la causa determinante e il sintomo isterico: legame simbolico si oppone così a legame manifesto; lo stesso testo stabilisce per la prima volta un parallelo tra questo legame simbolico e il processo onirico. Limitato dapprima alle algie isteriche, questo legame è progressivamente esteso a tutti i sintomi isterici grazie al rapporto, progressivamente scoperto, tra simbolo e ricordo; il simbolo assume allora valore di reminiscenza della sofferenza e Freud usa l'espressione ‛simbolo mnestico' (Studi sull'isteria). Il simbolo diventa così un equivalente della scena traumatica, il cui ricordo è soppresso. Se è vero, come già diceva la Comunicazione preliminare, che ‟l'isterico soffrirebbe per lo più di reminiscenze" (v. Opere, vol. I, p. 179), il simbolo mnestico è il mezzo attraverso il quale il trauma si prolunga nel sintomo. Il simbolo mnestico, a differenza dei ‛residui mnestici' (non modificati), è deformato, ‛convertito', nel senso in cui si parla di conversione isterica. La simbolizzazione copre dunque tutto il campo della distorsione legata alla rimozione (identificata a quell'epoca con la difesa). Il Progetto di una psicologia (1895) conserva ancora le tracce di questa prima concezione del simbolo come equivalente del ricordo di un trauma rimosso; si tende quindi a concepire come simbolizzazione ogni formazione sostitutiva nel caso di resistenza al ritorno del ricordo rimosso. Questo primo uso del termine simbolo è dunque più ampio di quello che troviamo ne L'interpretazione dei sogni, dato che comprende tutto ciò che sarà poi chiamato deformazione; tuttavia, il ruolo intermediario attribuito alle espressioni idiomatiche nella formazione del simbolo isterico preannuncia la futura limitazione del simbolismo agli stereotipi culturali. Nella conferenza del gennaio 1893 sul Meccanismo psichico dei fenomeni isterici Freud afferma che ‟è come se volessero [i pazienti isterici] esprimere la situazione psichica attraverso una situazione somatica, e le espressioni linguistiche forniscono il ponte che permette l'effettuarsi di questa metamorfosi" (v. Opere, vol. Il, p. 95). Così il dolore facciale di una malata curata insieme da Breuer e Freud simbolizza un affronto avvertito come un colpo ricevuto in pieno viso. Le locuzioni usuali affievolite dalla banalità ritrovano nell'isterico il loro senso originario. Un altro malato, che soffre per il fatto di ‛non riuscire a farsi strada' nella vita, simbolizza nei suoi dolori alle gambe - già peraltro giustificati - la sua difficoltà morale. Negli Studi sull'isteria Freud ha dunque visto che la simbolizzazione non è solo una trasposizione fantastica del corpo, ma un risorgere del senso originario delle parole, come cercherà di chiarire nel saggio del 1910, Significato opposto delle parole primordiali. Almeno in questa accezione larga, il termine ‛simbolo' sarà abbandonato già ne L'interpretazione dei sogni (1899), certo per evitare ogni confusione con l'interpretazione ‛simbolica' del sogno, che ‟considera il contenuto del sogno nella sua totalità e cerca di sostituirlo con un altro contenuto comprensibile e sotto certi aspetti analogo. Questa è l'interpretazione ‟simbolica" del sogno, destinata naturalmente a fallire di fronte a sogni che appaiono non solo incomprensibili, ma anche confusi" (v. Opere, vol. III, pp. 99-100). Più avanti si vedrà in quale senso ristretto l'interpretazione dei sogni assuma la nozione di simbolo.

b) il sogno

Il secondo pilastro del metodo d'indagine è l'interpretazione del sogno: ‟L'interpretazione del sogno è la via regia che porta alla conoscenza dell'inconscio nella vita psichica" (ibid., p. 553). La tesi che il sogno ha un senso è anzitutto una tesi polemica, che Freud difende su due fronti. Essa si oppone da una parte a ogni concezione che riduca il sogno a un garbuglio insensato; a ciò Freud obietta l'intelligibilità del sogno: ‟Mi sono proposto di dimostrare la possibilità di interpretare i sogni [...]. Con la premessa che i sogni sono interpretabili, contraddico immediatamente la teoria onirica dominante, anzi tutte le teorie oniriche a eccezione di quella scherneriana, poiché ‛interpretare un sogno' significa indicare il suo ‛senso', sostituirlo con qualche cosa che si inserisca come elemento di grande importanza e di pari valore nella concatenazione delle nostre azioni psichiche" (ibid., p. 99). Più avanti, all'inizio del cap. 3, paragona la situazione dell'analista, che abbia superato le prime difficoltà dell'interpretazione, a quella di chi riveda la luce all'uscita da una stretta gola: ‟Abbiamo raggiunto la chiarezza di una conoscenza improvvisa" (ibid., p. 121).

La tesi si oppone d'altra parte a ogni spiegazione prematuramente organica del sogno; essa significa che si può sempre sostituire al racconto del sogno un altro racconto, e quindi confrontare i due racconti come si confronta un testo con la sua traduzione; l'interpretazione è anche paragonata alla soluzione di un rebus (ibid., pp. 257-258). Non ci sarebbero tuttavia problemi d'interpretazione se la relazione tra il senso di un racconto e quello dell'altro fosse essa stessa accessibile a una comprensione immediata. È qui che le nozioni di sintomo e di sogno si sostengono a vicenda; il sogno, appartenente - in quanto racconto - al dominio del linguaggio, mostra in modo immediato la sua struttura semiologica e di riflesso quella del sintomo; il sintomo dal canto suo, in quanto effetto-segno, invita a vedere nel sogno l'equivalente di una formazione di compromesso e a cercare, tra il senso manifesto e il senso latente, l'intervento di meccanismi di deformazione, ai quali si deve appunto la necessità dell'interpretazione. Dal punto di vista cronologico, è certamente l'idea di sintomo, comune a Breuer e a Freud, quella che precede; ma l'inversione di priorità è essenziale dal punto di vista metodologico: ‟I punti di vista per la concezione del sogno mi venivano da lavori precedenti sulla psicologia delle nevrosi, alla quale non dovrei riferirmi in questa sede ed alla quale d'altronde devo riferirmi continuamente, mentre vorrei procedere in direzione inversa, ritrovando a partire dal sogno la connessione con la psicologia delle nevrosi" (ibid., p. 536). È il lavoro onirico che impone il lavoro interpretativo: ‟Nella formazione del sogno, il lavoro psichico si scompone in due operazioni: produzione dei pensieri del sogno e loro trasformazione in contenuto del sogno"; i pensieri del sogno, aggiunge Freud, non presentano affatto una natura particolare; il lavoro onirico, invece, è caratteristico del sogno: ‟è qualche cosa di interamente diverso qualitativamente e perciò non immediatamente confrontabile con esso [il pensiero vigile]. Non pensa, non calcola, non giudica affatto, ma si limita a trasformare" (ibid., pp. 462 e 463). Effettivamente, il disvelamento dei pensieri inconsci del sogno mostra che questi pensieri sono gli stessi della veglia; tutta la stranezza del sogno è dovuta al lavoro onirico. Si dirà più avanti quali concetti ‛dinamici' sono necessari per render conto della diversità dei meccanismi messi in opera, quali concetti ‛topici' possono spiegare la scissione tra i contenuti inconsci del sogno e la loro espressione deformata, quali concetti ‛economici', infine, sono necessari per spiegare l'esclusione dei pensieri del sogno dal piano della coscienza. Qui insistiamo soltanto sul metodo d'indagine che giustifica il titolo Interpretazione dei sogni. Si tratta di un'interpretazione nel senso che la comprensione va dal meno intelligibile al più intelligibile; ma è un'interpretazione per mezzo di un'analisi. Il termine stesso, analisi, è strettamente solidale col metodo basato sulle libere associazioni, metodo da cui deriva appunto il carattere ‛analitico' - nel senso quasi chimico del termine - dell'interpretazione: si tratta proprio di scomporre la narrazione del sogno in elementi e di lasciar fluire, frammento dopo frammento, le catene associative in modo da scomporre anche i moventi, i moti pulsionali sconosciuti del soggetto che, attraverso il lavoro onirico, si fondono in quell'effetto-segno che è il sogno sognato.

È l'impiego di questo metodo d'indagine che autorizza a dire che il sogno è ‟un appagamento di un desiderio rimosso". Si noti fino a che punto questa espressione rassomigli a quelle - applicate al sintomo - di formazione di compromesso e di formazione sostitutiva. Vi si trovano combinate le due affermazioni che il mascheramento è una forma di manifestazione e che la deformazione rende tale manifestazione irriconoscibile. Anche qui la deformazione esprime un compromesso tra forze. Quel che è vero della nozione generale di deformazione, lo è anche dei meccanismi specifici che costituiscono il lavoro onirico. I meccanismi della ‛condensazione' e dello ‛spostamento' presentano lo stesso carattere di manipolazione del senso, che alterano pur fornendogli nel contempo un'espressione mascherata; donde il carattere di ‛sovradeterminazione', comune agli elementi del sogno. Con questo termine Freud vuol significare che il sogno, come il sintomo, rinvia a una pluralità di elementi inconsci che formano differenti catene significative coincidenti nello stesso frammento di senso manifesto; sicché nessun elemento del sogno è l'effetto-segno univoco di un unico contenuto inconscio. La condensazione e lo spostamento non sono affatto i soli meccanismi che deformano i contenuti latenti. Freud introduce un terzo fattore che chiama ‟la considerazione della rappresentabilità" (ibid., pp. 312 ss.). Questo terzo procedimento dà al sogno il suo carattere specifico di spettacolo, essenzialmente visivo; tale messa in scena costituisce uno dei tipi di regressione che la psicanalisi considera, la regressione formale: sotto questo nome Freud indica il disgregamento sintattico, la sostituzione di tutte le relazioni logiche con equivalenti figurati, la rappresentazione della negazione attraverso la riunione dei contrari in un solo oggetto, il carattere di mimo o di rebus del contenuto manifesto. In questo ritorno all'espressione immaginosa e concreta, Freud vede una regressione al di là dell'immagine-ricordo, fino alla restaurazione allucinatoria delle percezioni arcaiche. Questa regressione all'immagine costituisce un altro ostacolo all'interpretazione, che deve, per esempio, ristabilire le relazioni logiche deformate dalla raffigurazione. Il parallelismo con il sintomo invita a vedere nella raffigurazione una formazione sostitutiva, una scena infantile che esercita una specie d'attrazione sui residui diurni e cerca di realizzarsi per il loro tramite: ‟Secondo questa concezione, si potrebbe anche descrivere il sogno come il surrogato, alterato attraverso una traslazione su materiale recente, della scena infantile" (ibid., pp. 498-499). Perfino il rimaneggiamento in virtù del quale il sogno prende forma di un racconto relativamente coerente - lavoro che Freud chiama ‟elaborazione secondaria" - è di ostacolo all'interpretazione. È infatti necessario penetrare il rivestimento di apparente intelligibilità per poter accedere agli strati realmente significativi. Il termine stesso di elaborazione secondaria rivela l'appartenenza di questo procedimento al meccanismo del lavoro onirico, e la sua affinità con gli altri procedimenti di deformazione che richiedono l'interpretazione analitica.

Al termine di questa rassegna degli aspetti del sogno, necessaria per caratterizzare il metodo d'indagine, è possibile ritornare all'uso, alquanto peculiare, del termine ‛simbolo' in Freud. Ne L'interpretazione dei sogni il suo uso è riservato a certi elementi che appaiono nei ‛sogni tipici' (sogni di nudità, sogni di morte di persone care), e cioè a stereotipi frammentari, espressioni sostitutive ‛già pronte' nel pensiero inconscio: ‟Il sogno si serve delle simbolizzazioni già pronte nel pensiero inconscio, perché meglio rispondono, per la loro rappresentabilità e per lo più anche perché esenti da censura, alle esigenze della creazione onirica" (ibid., p. 321). In questi casi, il sogno si serve dunque del simbolismo senza elaborarlo; si comprende allora perché il sognatore non trovi alcun ricordo legato a questi sogni tipici: nel suo sogno egli ha soltanto utilizzato, come se si trattasse di una locuzione usuale, dei frammenti simbolici entrati nel dominio comune: ‟bisogna chiedersi se molti di questi simboli non si presentino come i ‛segni' della stenografia, con un significato fissato una volta per sempre, e ci si sente tentati di abbozzare un nuovo ‛libro dei sogni', secondo il metodo cifrato" (ibid., p. 323). Per questo l'interpretazione analitica dev'essere qui sostituita da un ‛interpretazione genetica: il simbolo presenta una speciale sovradeterminazione che non è il prodotto del lavoro del sogno, ma un fatto di cultura; spesso è la traccia di un'identità concettuale e verbale oggi perduta; ad ogni modo, interpretazione simbolica e interpretazione analitica restano due tecniche distinte - la prima è subordinata alla seconda ‟come mezzo ausiliario" (ibid., p. 331)-, mentre la via propria dell'interpretazione resta quella delle libere associazioni. Questa è la ragione per cui Freud non ha mai annoverato il simbolismo, nel senso preciso da lui dato al termine, tra i processi di deformazione che richiedono la strategia dell'interpretazione analitica. Sembra che Freud voglia rinviarne la spiegazione alla storia dell'umanità, al di là delle creazioni fantastiche del singolo sognatore.

Il sintomo e il sogno sono dunque gli oggetti privilegiati del metodo analitico dell'interpretazione; quanto al metodo stesso, consiste principalmente nella ricostruzione, attraverso le libere associazioni, del conflitto latente che si esprime nei suoi effetti-segni.

Sintomo e sogno servono da prototipi a formazioni vicine, che a loro volta ne avranno di analoghe, principalmente nella sfera culturale (folclore, leggende, miti, ecc.). Le estrapolazioni considerate nel cap. 5 hanno così il loro punto di partenza e la loro giustificazione parziale nella forza di espansione dei prototipi dell'interpretazione. Qui di seguito non verranno considerate se non le formazioni che, per la loro vicinanza al sogno e al sintomo, sono ancora passibili di un'analisi adeguata e non soltanto di una spiegazione d'accatto, basata su una trasposizione puramente analogica.

Quel che fa di un sogno un modello può essere riassunto nel modo seguente: il sogno ha un senso, è un appagamento mascherato di desideri rimossi; il mascheramento è l'effetto di un ‛lavoro' che richiede, come contropartita, il lavoro dell'analisi; il desiderio del sogno è un desiderio infantile; esso si presta a espressioni ‛tipiche' che tendono a costituire un linguaggio cristallizzato, un simbolismo in senso stretto. Queste caratteristiche vengono attualizzate dal sogno in una situazione precisa, quella del sonno, quando la vita percettiva esterna è interrotta e le difese interne allentate. Il desiderio di dormire e quello di ‛salvaguardare il sonno' vengono a patti con quello di ‛appagare' i desideri inconsci. Le altre formazioni psichiche che la psicanalisi considera presentano l'appagamento del desiderio al di fuori della connessione con il sonno e suggeriscono l'idea di una vasta funzione onirica, svincolata dal ‛contesto notturno'.

c) Atti mancati

Una prima estensione interessante del modello onirico è offerta dagli ‛atti mancati', ai quali Freud ha consacrato un'opera, Psicopatologia della vita quotidiana (1901); la nozione d'effetto-segno è applicata a tutti gli atti in cui il risultato perseguito non è raggiunto ed è sostituito da un altro, non voluto intenzionalmente; tra questi ‛fallimenti' figurano lapsus linguistici, dimenticanze, sbadataggini ecc. A ciascuna di queste categorie viene applicato lo schema della formazione di compromesso (sintomo) e dell'appagamento di desiderio (sogno), con il risultato che il metodo d'indagine ‛analitico' si annette tutta una zona della vita quotidiana che è alla frontiera tra il normale e il patologico.

d) Fantasia

La sfera immediatamente contigua a quella del sogno, e che fa da cerniera tra il sogno, prodotto dal sonno, e il mondo delle rappresentazioni nate dalla cultura, è stata chiamata da Freud ‟fantasia" (Phantasie). Nella fantasia (il termine copre tutto il dominio dell'immaginario) si può ravvisare un appagamento di desiderio analogo a quello rivelato dall'indagine del sogno, cioè un'espressione deformata dai meccanismi di difesa. Il ‛sogno diurno' ne è il modello. È un fenomeno comune sia nei soggetti sani sia in quelli malati. Gli Studi sull'isteria ne mostrano la frequenza nei nevrotici, presso i quali la fantasia assume un significato particolare, affine a quello del sogno, cioè quello di lasciar emergere, sotto forma mascherata, una ‛scena infantile' di carattere sessuale, che spesso rappresenta il coito dei genitori, con una sfumatura di seduzione nei confronti del bambino. Dopo averle prese per ricordi reali, Freud finì per attribuire a tali fantasie soltanto una ‛realtà psichica' quando la scoperta del complesso di Edipo, nel corso della sua autonanalisi, gli rivelò come conseguenza il carattere fittizio della scena di seduzione. Con ‛realtà psichica' Freud allude al carattere resistente, irriducibile alla mobilità delle altre formazioni immaginarie, del nucleo costituito dalla scena infantile. Ci sono dunque parecchi livelli della fantasia, scaglionati tra il suo affiorare nel ‛sogno diurno' e la sua struttura ‛reale' nell'inconscio. Ed è in questo secondo senso che Freud parla di ‟fantasie inconscie", le quali non sono affatto differenti da quelle che l'analisi rivela come nucleo del sogno. Non solo formazioni immaginative ma gli stessi comportamenti possono risultare, all'analisi, come espressioni di tali fantasie inconscie: la dimensione fantastica si estende così a tutte le produzioni psichiche. In questo senso più ampio, la fantasia designa una modalità di funzionamento della psiche in cui il desiderio è ‛messo in scena', drammatizzato, entro un quadro al quale la difesa impone deformazioni simili a quelle del sogno.

Freud contrappone nettamente questa modalità di funzionamento psichico a quella dei comportamenti regolati dal principio di realtà e attribuisce la prima a un principio distinto che chiama ‟principio di piacere" (Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico, 1911). Questo principio gli permette nello stesso tempo di generalizzare la funzione della fantasia e di accentuarne il carattere d'illusione, e persino d'allucinazione. Si può infatti riallacciare, progressivamente, alla fantasia tutta una serie di produzioni psichiche, che vanno dal sogno a occhi aperti al gioco, alla finzione romanzesca e ad altre forme della creazione letteraria, ivi compresa la poesia (Il poeta e la fantasia, 1907). Vi è dunque una catena del fantastico dominata tutta dalla stessa legge: ‟Sono desideri insoddisfatti le forze motrici delle fantasie, e ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che ci lascia insoddisfatti" (v. Opere, vol. V, p. 378). Si delinea così un'apertura in direzione dell'opera d'arte, che prenderemo in considerazione verso la fine di questo articolo; presupposto di tale apertura è il rapporto tra fantasia, desiderio e divieto.

e) Il motto di spirito

Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (1905) costituisce un importante anello fra l'indagine delle produzioni fantastiche e quella delle opere d'arte. Studiando le tecniche verbali del motto di spirito, Freud vi ritrova gli elementi essenziali del lavoro onirico: condensazione, spostamento, figurazione mediante il contrario ecc.; ma, oltre a fornire una verifica dell'interpretazione linguistica del lavoro onirico, il motto di spirito mette in moto un processo caratteristico dell'effetto comico. Freud ricollega questo effetto al ruolo del ‛piacere preliminare', preso in considerazione nella teoria della sessualità; la sua utilizzazione estetica consiste nell'allettare col miraggio di un profitto di piacere puramente formale, legato alla rappresentazione della fantasia del poeta. Il premio di allettamento, o piacere preliminare, viene definito in Il poeta e la fantasia come un piacere ‟che ci viene offerto per rendere con esso possibile sprigionare, da fonti psichiche più profonde, un piacere maggiore" (ibid., p. 383). Il motto di spirito mette in moto questo piacere estetico per farne il detonatore di scariche profonde. Esso si presta effettivamente a un'analisi in senso proprio, cioè a una scomposizione che isoli il piacere di superficie, scaturito dalla pura tecnica verbale, dal piacere profondo, attivato dal primo e che i giochi di parole osceni, aggressivi o cinici portano in primo piano. Il piacere del lavoro tecnico è un piacere minimo, legato al risparmio di dispendio psichico realizzato dalla condensazione, dallo spostamento ecc. Così il piacere del non senso ci libera dalle restrizioni che la logica, la morale e il buon gusto impongono al nostro pensiero; questo piacere minimo viene a unirsi come premio alle tendenze erotiche, aggressive o scettiche.

3. La terapia psicanalitica

Il secondo punto della definizione proposta da Freud definisce la psicanalisi come ‛prassi' terapeutica.

Quest'aspetto della psicanalisi è strettamente legato al precedente. È infatti nel quadro della cura psicanalitica che l'indagine dell'inconscio ha preso il corso sopra descritto. Nella storia della scoperta freudiana, la psicanalisi propriamente detta è derivata dal metodo catartico (1880-1895), a sua volta distaccatosi progressivamente dai trattamenti operati sotto ipnosi, che avevano lo scopo di provocare il ricordo delle esperienze dimenticate e di scaricare per abreazione gli affetti repressi originariamente legati all'esperienza traumatizzante. Freud passa dall'ipnosi propriamente detta alla semplice suggestione, quindi alle libere associazioni, tratto caratteristico del suo metodo d'indagine. Ma la tecnica terapeutica si riallaccia al metodo d'indagine ancor più profondamente di quanto il ricorso alle libere associazioni possa rivelare: subordinando tutta la strategia terapeutica alla verbalizzazione del rimosso, la psicanalisi si definisce come ‛cura con le parole'. Questo carattere è così determinante da generare la ‛regola fondamentale' che presiede alla relazione analitica; questa regola prescrive una cosa sola, e cioè che il paziente dica tutto quel che gli viene in mente o sente, rinunciando a ogni atteggiamento critico che lo porterebbe a eliminare l'idea originaria o a sostituirla, con il pretesto che sarebbe penosa, moralmente o esteticamente inaccettabile, oppure insignificante. Questa regola di ‛dire tutto' - che è anche la regola di ‛limitarsi a dire' - diventa immediatamente la regola delle libere associazioni: l'allentamento del controllo favorisce l'emergere di altre produzioni inconscie impigliate nella catena associativa e l'individuazione di costellazioni fisse. Fatto essenziale è che la regola instaura il rapporto ‛linguistico' costitutivo della situazione analitica.

Ma, una volta chiarita la connessione fra trattamento analitico e metodo d'indagine, bisogna sottolineare che il primo mette in gioco ben altro che una semplice interpretazione, che basterebbe comunicare e comprendere intellettualmente; esso è un ‛trattamento delle resistenze nella situazione di transfert'.

Con ‛resistenza' Freud designa ciò che, nelle azioni e nelle parole dell'analizzato, oppone ostacolo al lavoro terapeutico. La spiegazione di questo fenomeno rinvia, sul piano teorico, al punto di vista economico, che introdurremo più avanti; diciamo, grosso modo, che la resistenza è della stessa natura della difesa o della rimozione, poste dalla teoria all'origine dei disturbi: ‟La resistenza che si manifesta durante la cura proviene da quegli stessi strati e sistemi superiori della vita psichica che originariamente hanno attuato la rimozione" (v. Opere, vol. IX, p. 205). Ma l'attribuzione della resistenza a questa o a quell'istanza della psiche è cambiata nel corso dello sviluppo della teoria: di volta in volta la resistenza è stata riallacciata al sistema conscio-preconscio, poi all'Io, poi alla coazione a ripetere e, attraverso questa, alla pulsione di morte. L'ultimo stadio della dottrina si trova in Inibizione, sintomo e angoscia (1926), in cui compaiono forme di resistenza che non si riducono ai meccanismi di difesa caratteristici dell'Io. Quale che sia la spiegazione metapsicologica della resistenza, essa basta a fare della psicanalisi un ‛trattamento', un lavoro che si cimenta con forze, e quindi irriducibile alla mera comprensione intellettuale. Anche l'arte d'interpretare dev'essere quindi considerata come una parte dell'arte di trattare le resistenze, come il segmento intellettuale di una prassi. Ne L'impiego dell'interpretazione dei sogni nella psicanalisi (1911) Freud ha asserito che la preoccupazione di raggiungere un'interpretazione esaustiva del sogno può essere utilizzata dalle resistenze come una trappola, in cui l'analista viene attirato allo scopo di ritardare lo svolgimento della cura. La ‛comprensione', quindi, è soltanto un aspetto del lavoro proprio dell'analizzato che, per tale ragione, può ben essere chiamato l'‛analizzante'. Freud ha scritto ne La psicanalisi ‛selvaggia' (1910) che ‟la comunicazione di quanto l'ammalato non sa perché lo ha rimosso è soltanto uno dei preliminari necessari per la terapia. Se la conoscenza dell'inconscio fosse tanto importante per il paziente quanto ritiene chi è inesperto di psicoanalisi, basterebbe per la guarigione che l'ammalato ascoltasse delle lezioni o leggesse dei libri. Ma tali misure hanno sui sintomi della malattia nervosa la stessa influenza che la distribuzione di liste di vivande in tempo di carestia può avere sulla fame. E il paragone può anche essere esteso oltre la sua applicazione immediata: giacché le comunicazioni relative all'inconscio producono regolarmente sull'ammalato l'effetto che il conflitto in lui si accentua, e i disturbi si intensificano" (v. Opere, vol. VI, p. 329). L'arte dell'analisi consiste dunque nel ricollocare il sapere e la comunicazione del sapere nella strategia della resistenza.

È questa strategia che fa del ‛divenire cosciente' un problema ‛economico', il che distingue in modo radicale la psicanalisi da ogni fenomenologia della presa di coscienza, del dialogo, dell'intersoggettività. Freud chiama ‟rielaborazione" (Ducharbeiten) questa ‟elaborazione delle resistenze" che all'analizzato costa sincerità, tempo e denaro, e all'analista tatto e padronanza delle sue proprie reazioni affettive. È qui che il problema della resistenza viene a incrociare quello del transfert, circostanza così importante per Freud da fargli affermare che ‟il trattamento merita la denominazione di psicanalisi solo quando l'intensità della traslazione è impiegata per vincere le resistenze" (v. Opere, vol. VII, p. 352). Il trattamento del transier: attesta al più alto grado il carattere tecnico della psicanalisi. In Ricordare, ripetere e rielaborare (1914) Freud analizza nei particolari questa costellazione fondamentale nella dinamica analitica: lotta contro le resistenze, trattamento del transfert, tendenza del malato a sostituire la ripetizione al ricordo. È per questo che, rivolgendosi ai principianti (Osservazioni sull'amore di traslazione, 1914), dirà loro che ‟Ogni principiante in psicoanalisi è probabilmente preso all'inizio soprattutto dalle difficoltà presentate dall'interpretazione delle associazioni del paziente e dal problema della riproduzione del materiale rimosso. Tali difficoltà sono però destinate a rivelarglisi ben presto di scarsa importanza e a essere sostituite dalla persuasione che le uniche vere e serie difficoltà consistono nel modo di impiegare la traslazione" (ibid., p. 362).

Per transfert (o traslazione) Freud intende, in senso lato, lo spostamento di desideri inconsci su oggetti che ne consentono l'attualizzazione; in questo senso il transfert non è altro che un caso particolare dello spostamento di un affetto da una rappresentazione a un'altra, appartenente al preconscio. In un senso più preciso, destinato a diventare il significato fondamentale del termine, il transfert designa la sostituzione della persona del medico alle figure parentali amate e temute, cioè ai personaggi del dramma edipico. Il lato interpersonale della relazione dev'essere subito sottolineato; non si tratta semplicemente di una sostituzione d'oggetto, ma di un ‛altro' privilegiato: l'analista. Ora, è appunto l'inserimento dell'analista nella serie dei prototipi parentali che dà un senso propriamente analitico alla nozione di transfert; è tutto il gioco ambivalente della relazione del soggetto con le figure parentali che viene rivissuto nel transfert. Il transfert diventa allora il principio dinamico della cura, dato che i prototipi dei conflitti infantili trovano nello spostamento sulla persona dell'analista un'espressione omologa, che si presta al lavoro terapeutico. Quanto al legame tra resistenza e transfert, legame che conferisce al metodo terapeutico della psicanalisi il suo carattere proprio, risulta dal fatto che il transfert è dapprima una forma di resistenza: esso prende forma quando dei contenuti rimossi, particolarmente significativi e perciò pericolosi, sono sul punto d'essere smascherati; ma proprio per questo il transfert offre una ‛scena' artificiale sulla quale viene rappresentato l'essenziale del conflitto inconscio - principalmente nel suo aspetto edipico - con tutto il suo corteo di fantasie. Ciò che è resistenza deve dunque diventare strumento terapeutico tra le mani dell'analista.

In che modo? La disciplina analitica è essenzialmente una disciplina del soddisfacimento, tutta l'operazione consistendo nell'utilizzare l'amore di transfert senza soddisfarlo. In Vie della terapia psicoanalitica (1918) Freud scrive che ‟un principio fondamentale [...] probabilmente diventerà dominante in questo campo [...]: ‛Nella misura del possibile, la cura analitica dev'essere effettuata in stato di privazione, di astinenza'" (v. Opere, vol. IX, p. 22). Se è vero che i sintomi hanno valore di soddisfazione sostitutiva, è importante lasciare la richiesta del paziente senza risposta e resistere allo sperpero prematuro della ‟forza pulsionale che spinge verso di essa [la guarigione]" (ibid., p. 23). Freud aggiunge che ‟per quanto crudele possa sembrare, è nostro dovere far sì che la sofferenza del malato, quantomeno a un certo livello di intensità e di efficacia, non termini prematuramente. Se l'eliminazione e la svalutazione dei sintomi ha attenuato questa sofferenza, noi dobbiamo ripristinarla altrove, sotto forma di una privazione dolorosa; il rischio che corriamo altrimenti è di non ottenere mai più un miglioramento, se non modesto e transitorio [...]. L'attività del medico deve assumere la forma di un'energica opposizione contro i prematuri soddisfacimenti sostitutivi. [...] Per quanto concerne il rapporto del malato col medico, i desideri del primo devono restare in larga misura insoddisfatti" (ibid., pp. 23-24).

Non si potrebbe caratterizzare compiutamente la tecnica analitica senza aggiungere un cenno sulla posizione dello stesso analista, tanto rispetto alla ‛regola fondamentale' - dire tutto e dire soltanto - quanto rispetto al trattamento delle resistenze e al transfert. Infatti il ‛non agire' dell'analista è il polo opposto richiesto dalla relazione ‛duale'. Mentre il metodo suggestivo implicava l'intervento del terapeuta, il metodo d'indagine che è proprio dell'analisi comporta che vengano messe tra parentesi le convinzioni personali dell'analista, il quale si astiene dal proporre un ideale e, a fortiori, dal proporre se stesso come ideale; il ‛non agire' dell'analista va anche oltre la ‛neutralità': nelle Osservazioni sull'amore di traslazione e in Vie della terapia psicoanalitica Freud intende la ‛neutralità' nel senso che l'analista si rifiuta di soddisfare le richieste dell'analizzato e di sostenere il ruolo che questi vorrebbe assegnarli. L'‛astinenza' dell'analista, conseguenza della sua neutralità, diventa così un appello all'astinenza dell'analizzato: è necessario che lo scioglimento del conflitto psichico, che è all'origine sia della nevrosi sia del transfert, passi per la via stretta della parola; il prezzo da pagare è la sofferenza di una nuova ferita del desiderio, sotto forma di una privazione che colpisce la richiesta del paziente. Questo ‛appello' dell'analista può talvolta prender la forma di una proibizione riguardante certi comportamenti ripetitivi dell'analizzato nella cura stessa, o di un'ingiunzione di rivivere taluni episodi dolorosi, se ciò può servire a facilitare il ritorno del rimosso. Neutralità, astinenza, tecnica attiva sono quindi aspetti diversi di una stessa strategia che mira a mantenere operanti forze capaci di premere fino alla rammemorazione.

4. La ‛metapsicologia' e i suoi punti di vista

Secondo la sua terza accezione, la psicanalisi è una ‛teoria', cioè un insieme articolato di concetti di base e di ipotesi fondamentali, che regola una sfera di esperienza e coordina leggi particolari in una unità superiore.

La psicanalisi, per questo aspetto, non differisce fondamentalmente dalle altre scienze moderne, che son passate tutte dallo stadio della generalizzazione empirica a quello della teorizzazione, introducendo entità non direttamente osservabili, che strutturano il campo di indagine, e ipotesi non immediatamente verificabili, che servono a concatenare in modo sistematico le leggi derivate dalla generalizzazione empirica. Freud ha chiamato ‛metapsicologiche' le considerazioni di questo livello superiore, intendendo con ciò sia che esse vanno al di là del punto di vista della coscienza, che è quello della psicologia del suo tempo, sia che hanno l'ambizione di riformulare nei termini della psicologia dell'inconscio le concezioni della metafisica. A prescindere dall'intenzione che ha determinato la scelta del termine, ciò che qui importa è insistere sullo statuto delle entità introdotte dal discorso teorico della psicanalisi. Queste entità sono di diverse specie; lo stesso Freud le ha ripartite secondo tre registri: dinamico, topico, economico (v. Opere, vol. VIII, p. 65).

a) Il punto di vista dinamico

Dinamico è il punto di vista secondo cui i fenomeni psichici sono considerati come risultanti da un conflitto di forze contrastanti. L'adozione di questo punto di vista fu subito imposta dall'esigenza di spiegare i sintomi, principalmente nella nevrosi ossessiva e nell'isteria. I sintomi ossessivi e isterici, infatti, richiedevano di essere compresi come deformazioni dovute alla composizione o al compromesso delle forze in conflitto. È proprio la realtà del conflitto psichico che permette a Freud di circoscrivere le psiconevrosi e di distinguerle dalle nevrosi attuali, passibili di una spiegazione in termini di disturbo somatico; la definizione delle prime è ‛teorica', nel senso che la delimitazione stessa del fenomeno è inseparabile dalla concezione di base del conflitto nevrotico, la quale contrappone il desiderio e la difesa. Il carattere centrale del conflitto implica il ruolo preponderante svolto dalla rimozione, ‟la cui essenza consiste semplicemente nell'espellere e nel tener lontano qualcosa dalla coscienza" (v. Opere, vol. VIII, p. 37). Certo, è sulla base di un insieme di fatti clinici che la rimozione si è imposta a Freud come un'operazione con cui il soggetto respinge fuori del suo pensiero cosciente le cose che vuol dimenticare; ed è anche sulla base dell'esperienza clinica che la rimozione viene trattata come il prototipo delle operazioni dinamiche. Essa non entra però nella teoria se non a prezzo di un'elaborazione teorica in seguito alla quale la nozione diventa inutilizzabile al di fuori dell'intero sistema concettuale della psicanalisi. L'accezione propriamente psicanalitica del concetto di rimozione è quindi inseparabile dalle distinzioni teoriche che l'accompagnano. In primo luogo, alla rimozione viene assegnato un posto affatto peculiare fra tutti i meccanismi di difesa, in quanto processo che istituisce l'inconscio come campo separato dal resto dello psichismo. In secondo luogo, s'introduce una distinzione all'interno stesso del concetto di rimozione: si distingue cioè tra ‛rimozione originaria' e ‛post-rimozione', o ‛rimozione propriamente detta'. Ora, sebbene si possa cominciare a intendere questa distinzione con il semplice ausilio delle descrizioni cliniche, non è però possibile concettualizzarla senza tener conto dell'intera teoria delle pulsioni, in particolare senza ricorrere all'ipotesi principale di questa teoria, cioè che la pulsione non entri nel campo dei ‛destini' propriamente psichici se non per mezzo di ciò che la ‛rappresenta' (nel senso di una delegazione di funzioni) sul piano psichico. Per Freud queste ‛rappresentanze della pulsione' sono di due specie: da una parte le ‛rappresentazioni' (nel senso ideativo del termine), e dall'altra gli ‛affetti'. L'idea di una fissazione ‛originaria' della pulsione a rappresentanze ideative e affettive è essa stessa una costruzione teorica, che Freud introduce per spiegare il fatto, risultante dall'esperienza clinica, che la ‛rimozione propriamente detta' è sempre già preceduta da una specie d'attrazione esercitata da un primo nucleo inconscio su tutti gli elementi successivamente rimossi; il concetto teorico di rimozione primaria mira a spiegare la formazione di questo primo nucleo d'attrazione, la cui azione si combina con la repulsione generata dalla successiva operazione dinamica. La rimozione originaria non è dunque neanch'essa qualcosa di osservabile, come non lo è la ‛post-rimozione', la cui base clinica è inseparabile da quella della rimozione originaria'. La clinica mostra infatti che l'azione del passato sul presente non si esercita affatto in modo unilaterale e secondo la legge di un determinismo lineare; nuove esperienze e in particolare traumi recenti agiscono retroattivamente su eventi traumatici remoti, conferendo loro un'efficacia in qualche modo postuma; la crisi puberale è l'occasione più importante in cui un ricordo rimosso non diventa traumatico se non a posteriori.

Pur ammettendo la base clinica dei due concetti complementari di rimozione originaria e di post-rimozione, il loro senso non può, dunque, essere delimitato se non all'interno dell'intera rete concettuale che abbraccia non soltanto il punto di vista dinamico, ma anche quello topico e quello economico, di cui si parlerà più avanti.

Il punto di vista dinamico s'estende oltre la nozione di conflitto, pur completata e specificata da quella di rimozione. I grandi testi di metapsicologia del periodo 1914-1917 qualificano come dinamico lo stesso inconscio, in quanto non cessa di agire indirettamente sul campo della coscienza per il tramite di quelli che Freud chiama ‟i derivati" dell'inconscio. Punto di vista dinamico e punto di vista topico vengono così a sovrapporsi nel concetto psicanalitico di inconscio. Se, infatti, è possibile parlare di un ‛luogo' chiamato l'inconscio, questo accade perché esso è costituito da contenuti rimossi ai quali la rimozione impedisce l'accesso al sistema preconscio-conscio. Il punto di vista dinamico riceve così dal punto di vista topico l'ampiezza della sua applicazione; è l'intera regione dell'inconscio che esercita in modo permanente una forza che spinge al ritorno del rimosso. In conclusione, il punto di vista dinamico permette di generalizzare le nozioni di conflitto e di compromesso, esse stesse derivate dalla considerazione dei sintomi e di tutti i fenomeni psichici suscettibili d'esser descritti in termini di conflitto psichico.

b) Il punto di vista topico

Il secondo punto di vista qualificante per la psicanalisi come teoria è il punto di vista ‛topico', il quale deriva innanzi tutto dal precedente: la distinzione di ‛luoghi' psichici l'inconscio, il preconscio, il conscio - si riferisce a divisioni che presuppongono la realtà del conflitto psichico. Il punto di vista topico aggiunge però una nuova dimensione rispetto al punto di vista dinamico, fondato sulla nozione di conflitto e dunque di forza; aggiunge cioè una dimensione ‛spaziale', come lo stesso termine topico indica. L'idea di assegnare dei luoghi a fenomeni psichici è comune alla fisiologia e alla psicanalisi; tra l'idea di localizzazione cerebrale e quella di topica la filiazione è indubbia. Ma la topica freudiana procede, oltre che da una reazione contro la concezione puramente anatomica delle localizzazioni cerebrali, anche dalla fedeltà del fondatore della psicanalisi al suo retroterra scientifico-culturale; sin da Zur Auffassung der Aphasien (1891) Freud distingue tra ‛località' psichica e localizzazione corticale. Che significa allora l'idea di località psichica? La metafora spaziale ha una triplice funzione. In primo luogo, indica la ‛diversità' dei ‛contenuti': l'inconscio è per eccellenza il luogo del rimosso, dei desideri più arcaici, dei contenuti indistruttibili; il preconscio, il luogo dei processi di memorizzazione e di verbalizzazione; la coscienza - luogo dei contenuti disponibili all'evocazione spontanea - è spesso collocata da Freud sotto il titolo generale di ‛percezione', per designare tanto la percezione esterna quanto quella interna. Ma il parlare in termini di ‛contenuti' non deve trarre in inganno; la seconda funzione della metafora spaziale è di indicare le divisioni interne all'apparato psichico; al confine fra i sistemi Freud colloca delle ‛censure', che impediscono o discriminano il passaggio da un sistema all'altro. Ciò che qui si teorizza, quindi, non sono soltanto i ‛contenuti', ma le modalità di accesso al sistema preconscio-conscio.

L'immagine di base evocata dall'allegoria della censura è quella del giornale russo censurato al passaggio della frontiera austroungarica; trasposta in termini psicologici, l'allegoria designa l'insieme dei processi che regolano l'accesso alla coscienza, a prezzo di un mascheramento mirante a risparmiare dispiacere al soggetto. Sotto veste di metafora, il termine ‛censura' indica dunque un concetto teorico dello stesso tipo della rimozione. La topica raffigura in modo grafico lo sbarramento delle resistenze; essa offre i presupposti necessari per render conto di una varietà di fenomeni, alcuni dei quali sono riscontrabili sul terreno clinico della nevrosi - compromesso, simbolizzazione, conversione isterica, ecc. -, mentre altri emergono con l'interpretazione dei sogni. Si tratta di tutti i meccanismi - condensazione, spostamento, messa in scena, elaborazione secondaria - che costituiscono il ‛lavoro del sogno': attraverso strategie diverse, essi producono una deformazione o distorsione che è propriamente un effetto di censura nel sogno. La censura - nel sogno - non è più soltanto postulata, ma in qualche modo rilevata sperimentalmente grazie al suo rilassamento parziale nel sonno; ma anche allora essa resta un concetto teorico, solidale con l'intera rete concettuale, come attesta il difficile capitolo VII de L'interpretazione dei sogni, che innalza al livello teorico tutte le descrizioni e le interpretazioni dei capitoli precedenti. L'aspetto teorico è ancor più evidente nella terza funzione dei concetti topici: ciascun ‛luogo' si distingue per un'organizzazione ‛sistematica', per ‛leggi strutturali' differenti: ‟le leggi dell'attività psichica inconscia si differenziano in larga misura da quelle dell'attività cosciente" (v. Opere, vol. VI, p. 581), e sono queste leggi che determinano l'appartenenza a uno stesso sistema: ‟Il sistema che ci si rivela come caratterizzato dal fatto che tutti i singoli processi che lo compongono sono inconsci viene da noi indicato, in mancanza di un termine migliore e meno ambiguo, con il nome di ‛Inconscio'. Propongo di denotare questo sistema con le lettere Ubw [Inc], abbreviazione della parola Unbewusst" (ibid.). Il capitolo V del saggio L'inconscio, che ha per titolo Caratteri specifici del sistema Inc, afferma: ‟La distinzione da noi operata fra i due sistemi psichici acquista un nuovo significato se consideriamo che i processi di uno di essi, l'Inc, hanno alcune caratteristiche non riscontrabili nel sistema immediatamente superiore" (v. Opere, vol. VIII, p. 70). Così l'inconscio è fuori del tempo, ignora la contraddizione, segue il principio di piacere e non il principio di realtà. Ma questi caratteri non sono in alcun modo descrittivi; in realtà, ‟la consapevolezza, l'unica caratteristica dei processi psichici che ci si rivela con immediatezza, non si presta affatto a fungere da criterio per la distinzione fra i sistemi" (ibid., p. 76). Di qui la conclusione: ‟Nella misura in cui vogliamo conquistare la capacità di considerare metapsicologicamente la vita psichica, dobbiamo imparare a emanciparci dall'importanza del sintomo ‛consapevolezza' (ibid.). È questa emancipazione che viene trascritta nella topica.

Riassumendo, la funzione della metafora spaziale è quella di sottolineare il carattere analitico, nel senso quasi chimico del termine, che caratterizza nello stesso tempo il metodo d'indagine, la tecnica terapeutica e l'apparato concettuale. Si tratta di rendere comprensibile un funzionamento scomponendolo; la rappresentazione di un apparato le cui parti sono esterne le une alle altre e l'assegnazione di una funzione distinta a ciascuna di esse favoriscono una prospettiva teorica propriamente ‛analitica'. A questo riguardo la ‟rappresentazione ausiliaria" proposta ne L'interpretazione dei sogni (v. Opere, vol. III, p. 490) è rivelatrice: l'apparato psichico è paragonato a un apparecchio ottico (microscopio composto o apparecchio fotografico), in cui si distinguono ‟località" differenti, un orientamento spaziale, una successione di processi; gli schemi proposti (ibid., pp. 491, 492 e 494) illustrano le modalità di funzionamento dell'apparato.

Forse si deve andare ancora più lontano: la spazializzazione dello psichismo non sottolinea soltanto la natura dell'esteriorità reciproca delle ‛località' psichiche richiesta dalla dinamica del conflitto, ma il realismo e, se così si può dire, il ‛concretismo' richiesti dall'esperienza analitica nel suo complesso. L'interpretazione scopre alla radice del sogno desideri ‛indistruttibili'; l'esperienza analitica induce a postulare una rimozione ‛originaria' più antica di ogni rimozione posteriore - che la spiegazione genetica fa risalire, come si dirà più avanti, a fasi arcaiche di organizzazione libidica, la cui strutturazione permane fino nelle organizzazioni più recenti; l'esperienza analitica, insomma, si imbatte sempre in qualcosa di anteriore, di primitivo, di primordiale, che è come la ‛cosa' che precede ogni storia ricostruibile. Infine, negli sviluppi ulteriori della teoria, Freud incontrerà i fenomeni di ripetizione - in particolare, la coazione a ripetere - da lui collegati con la resistenza alla guarigione. Tutti questi fenomeni orientano non solo verso la pulsione di morte, ma verso un tipo di equivalenze meccaniche e spazializzanti nella rappresentazione dell'apparato psichico.

Nell'analisi che precede si è ammessa una certa analogia tra il punto di vista topico e la distinzione operata da Freud tra le tre istanze: inconscio, preconscio e conscio. Qualche volta viene chiamata ‟seconda topica" la triade Io-Es-Super-Io che, dopo il 1920 (L'Io e l'Es, 1923), si è aggiunta alla precedente. A dire il vero, le istanze di questa seconda topica - più che luoghi - sono ruoli diversi nell'ambito di una teoria della persona. Quel che è in questione, infatti, è il rapporto del personale con l'anonimo e con il sovrapersonale nell'instaurazione del soggetto; mentre la prima topica concerne il problema dell'accesso alla coscienza, la seconda topica considera i medesimi mutamenti degli investimenti dal punto di vista della forza o della debolezza dell'Io; secondo il titolo di uno dei capitoli de L'Io e l'Es, la seconda topica ha per tema ‟i rapporti di dipendenza dell'Io" (cap. V).

Da questo spostamento della problematica deriva la non coincidenza dei concetti di inconscio e di Es: non tutto ciò che è inconscio è di ordine pulsionale. L'esperienza clinica rivela che le dighe, le resistenze, funzionano anche all'insaputa del soggetto e che gran parte dei meccanismi di rimozione cono inconsci; la costituzione e lo ‟sfacelo" del complesso di Edipo mostrano che anche il gioco sottile dell'identificazione con il padre, dell'interiorizzazione della sua immagine, si compie in noi senza di noi; più in generale, la sedimentazione degli ideali è un processo largamente inconscio; è per questo che bisogna dire che ‟grandi zone dell'Io e del Super-Io possono rimanere inconscie, e normalmente sono inconscie" (v. Opere, vol. XI, p. 1 82). Appunto perciò si è dovuto introdurre il concetto di Es, per rendere conto di questa nuova estensione dell'inconscio, che ora abbraccia il rimosso come anche gran parte dell'istanza rimovente. Inoltre, il concetto di Es connota il carattere relativamente informe e caotico del sostrato pulsionale della personalità; dal punto di vista economico, l'Es è il serbatoio primario di ogni energia; l'Io stesso ne deriva sotto forma di energia desessualizzata e sublimata. La nozione di Es riveste nel contempo, oltre al significato economico, un deciso significato genetico, dato che le altre istanze si definiscono non tanto per il loro luogo rispettivo, quanto per la loro derivazione dalle riserve d'energia originarie.

Quanto al Super-Io, è un concetto teorico destinato a render conto di una varietà di dati: autosservazione, coscienza morale, funzione dell'ideale. Con autosservazione Freud intende la sensazione d'esser sorvegliato, criticato, condannato; per coscienza morale egli intende il rigore e talvolta la crudeltà dello sguardo osservante; quanto all'ideale: ‟Esso [il Super-Io] è anche l'esponente dell'ideale dell'Io, al quale l'Io si commisura, che emula, e la cui esigenza di una sempre più ampia perfezione si sforza di adempiere" (ibid., p. 177). E nel delirio di essere osservati che si rivela, in un mostruoso ingrandimento, la scissione tra l'istanza che osserva e il resto dell'Io, ed è nella melanconia che si manifesta la sua crudeltà. Questa presentazione attraverso la patologia rivela la situazione anzitutto alienata e alienante della moralità. Alla nozione kantiana di ‛patologia del desiderio' Freud oppone quella che si potrebbe chiamare una ‛patologia del dovere', questa non essendo altro, in fondo, che il prolungamento di quella; infatti, l'Io oppresso dal Super-lo si trova in una situazione analoga, di fronte a questo straniero interiore, a quella dell'Io di fronte alla pressione dei suoi desideri: per opera del Super-Io, noi risultiamo estranei a noi stessi.

Al pari dell'Es e dell'inconscio, neppure l'Io e la coscienza coincidono. Man mano che la problematica del Super-Io si precisa, la problematica dell'Io si distingue da quella della coscienza. Trattata sempre di più secondo un modello embriologico, la coscienza è la sede di tutte le relazioni con l'esterno (Freud dirà che essa è un fenomeno di ‛superficie'); anche il ‛divenire cosciente' è una varietà di percezione ed è per questo che Freud parla, generalizzando, della percezione-coscienza (P-C). Tutt'altra è la questione dell'Io, dove si tratta di dominio piuttosto che di percezione; l'alternativa non è affatto tra esser vigilanti o non vigilanti, ma tra essere padrone o schiavo. La problematica dell'Io deriva dal tema della difesa, da cui si è a sua volta sviluppato quello della rimozione: l'Io, minacciato da un pericolo interno, si difende in diversi modi. L'ultimo capitolo de L'Io e I'Es rappresenta l'Io come un povero diavolo minacciato da tre padroni: la realtà, la libido, il Super-Io. È facile constatare che questi rapporti di dipendenza, oltrepassando il punto di vista propriamente topico, non si comprendono se non da un punto di vista economico, eventualmente integrato da un punto di vista genetico.

c) Il punto di vista economico

È con il punto di vista economico che l'aspetto realistico, anzi ‛concretistico', della nozione di inconscio emerge nel modo più netto. Il punto di vista economico è legato all'introduzione del concetto di pulsione nel campo teorico della psicanalisi. Il concetto di pulsione non è certo meno ‛costruito' e, in questo senso, meno teorico degli altri; esso è il postulato necessario perché nella psicanalisi si possa parlare un certo linguaggio, che è quello che consente di descrivere i processi psichici in termini d'energia; il punto di vista economico, afferma Freud, ‟si sforza di seguire le vicissitudini della quantità di eccitamento e di pervenire a una loro stima, almeno relativa" (v. Opere, vol. VIII, p. 65).

L'antecedente del punto di vista economico è da ricercarsi nel Progetto di una psicologia (1895), nel quale non si trova ancora il concetto di pulsione, che sarà elaborato soltanto nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), ma si trova il concetto di energia e di quantità d'energia, associato a una rappresentazione ancora anatomica dei vettori d'energia. A quell'epoca Freud condivideva con i suoi maestri viennesi e berlinesi il rispetto per una concezione fisicalista della biologia, fondata sulle idee di forza, di attrazione e di repulsione, rette a loro volta dal principio di conservazione dell'energia scoperto da R. Mayer nel 1842 e ripreso da H. L. F. von Helmholtz; secondo questo principio, l'energia totale di un sistema isolato resta costante. Il Progetto del 1895 postula per il funzionamento dell'apparato psichico un'energia così concepita, caratterizzata da una somma di eccitamento omologa all'energia fisica: è una corrente che circola, che ‛occupa' e ‛carica' neuroni; la nozione così importante di ‛investimento' o ‛carica' (Besetzung) è stata dapprima elaborata in questo quadro neuronico. È in questo senso che il Progetto parla di neuroni investiti o disinvestiti; si parlerà anche di elevazione o di abbassamento del livello della carica, di scarica e di resistenza alla scarica, di quantità liberamente mobile o ‛legata'. Tutte queste nozioni si ritroveranno in altri contesti - in un' accezione sempre più metaforica. È però degno di nota che nel Progetto Freud non si spinga più avanti sulla via della determinazione della quantità, di cui non indica alcuna misura. Ma, se non obbedisce ad alcuna legge numerica precisa, la quantità è però regolata da un principio, il ‛principio di costanza', che Freud elabora partendo da un ‛principio d'inerzia'; mentre secondo quest'ultimo il sistema tenderebbe a ridurre a zero le sue tensioni, secondo il principio di costanza il sistema tende a mantenere il più basso possibile il livello della tensione. L'impossibilità - per il sistema - di eliminare tutte le tensioni risulta dal fatto che non esiste niente di equivalente alla fuga per i pericoli provenienti dall'interno: l'apparato psichico è costretto a immagazzinare, a investire una massa di manovra costituita da un insieme permanente di quantità ‛legate', destinate a ridurre le tensioni senz'essere capaci di sopprimerle. Freud tenterà sempre di considerare il principio di costanza come l'equivalente del principio d'inerzia per un apparato costretto ad agire e a difendersi da pericoli interni, contro i quali non esiste uno schermo paragonabile all'apparato sensoriale, che funziona da barriera non meno che da recettore. Sarà questo uno dei temi fondamentali de L'Io e l'Es: mentre esiste uno scudo percettivo, l'Io è abbandonato senza protezione alle spinte delle pulsioni.

Il carattere fortemente speculativo e congetturale di questa concezione dell'apparato psichico è evidente; quel che bisogna sottolineare è la messa a punto di un apparato teorico che ha la funzione di metalinguaggio in rapporto alla descrizione clinica. Ciò che qui viene concettualizzato è il rapporto tra la coppia piacere-dispiacere e la coppia carica-scarica, il dispiacere coincidendo con un aumento di tensione e il piacere con una diminuzione di tensione.

È in questo quadro concettuale, e sulla base di questa correlazione, che Freud dà la prima interpretazione di ciò che egli chiama il processo primario, nel quale l'apparato funziona nel modo più vicino al principio d'inerzia, dato che la scarica segue la via del reinvestimento delle immagini mnestiche dell'oggetto desiderato e dei movimenti necessari per ottenerlo; si produce così l'analogo di una percezione, cioè un'allucinazione. Nel capitolo VII de L'interpretazione dei sogni Freud postulerà ancora questa non-distinzione fra immagine e percezione nel processo primario, ipotizzando, per spiegarla, una regressione topica nel funzionamento dell'apparato. Quanto al processo secondario, si fonda sul legame tra la distinzione di reale e immaginario e la funzione di inibizione, anch'essa attribuita all'‛organizzazione dell'Io'. È un punto acquisito per sempre: investimento costante dell'Io, funzione d'inibizione, esame di realtà andranno sempre di pari passo.

Questi antecedenti della teoria economica delle pulsioni si distinguono per la pretesa di far corrispondere una psicologia quantitativa del desiderio a un sistema meccanicistico di neuroni; sarà questo l'ultimo tentativo freudiano di una trascrizione anatomica delle scoperte psicanalitiche (anche se la topica esposta sopra conserva, invero, un carattere ‛quasi anatomico', più precisamente ‛quasi corticale', che, se non è a rigore necessario, non è però neppure eliminabile).

È la scoperta dell'eziologia sessuale delle nevrosi che orienta verso l'idea di una ‟libido psichica" - scrive Freud a Fliess (Minuta teorica E; v. Opere, vol. II, p. 22) - e più precisamente la scoperta che, in questa eziologia sessuale, il ricordo ha la funzione traumatizzante: è soprattutto di reminiscenze - dicono Freud e Breuer nella Comunicazione preliminare del 1892 - che soffrono gli isterici; quel che scompare per via psichica deve essere restaurato per via fisica.

Ma, se ha imposto l'idea di una ‛elaborazione psichica' dell'energia, questa scoperta non esigeva l'abbandono dell'idea di una energia quantificabile, capace di circolare e di suddividersi. La nozione di quantità ha in realtà un sostegno propriamente clinico, che rinforza incessantemente la sua posizione teorica. Il carattere irreprimibile dei sintomi nevrotici, la conversione degli affetti nell'isteria, lo spostamento dell'affetto nella nevrosi ossessiva, la trasformazione dell'affetto nelle nevrosi d'angoscia sono tutti fenomeni, infatti, che suggeriscono l'idea di un'energia spostabile, talvolta libera, talaltra legata (a questo proposito, è forse nell'angoscia che si percepisce nel modo più netto la ‛quantità'). È per questo che l'affetto continuerà a essere trattato come una quantità, spostabile o legata, unita alla rappresentazione, e la nozione d'investimento resterà strettamente solidale con questa strana ‛quantità', che non sarà mai misurata. Si può anche pensare che la scoperta e la pratica del metodo delle libere associazioni, sostituito al metodo catartico, abbiano rafforzato, anziché indebolire, l'idea che lo psichismo presenta un certo concatenamento ben definito. Ora, la convinzione che lo psichismo non è un caos, ma possiede un ordine nascosto, da un lato ha generato il metodo interpretativo proprio della psicanalisi e dall'altro ha rafforzato la spiegazione deterministica; il principio di costanza è stato il mezzo attraverso il quale una teoria del desiderio, con le sue nozioni di meta e d'intenzione, è stata subordinata all'ipotesi deterministica.

Allo stesso insieme teorico, che risale all'epoca del Progetto, appartiene l'importante concetto di Besetzung (carica, investimento); concetto economico per eccellenza, esso designa un aspetto degli spostamenti d'energia nell'apparato psichico, cioè l'attitudine di un affetto (soprattutto spiacevole) a legare la sua sorte a una rappresentazione diversa da quella cui era inizialmente legato, attaccandovisi in modo tale che il ristabilimento della connessione originaria esige tutta la strategia della terapia analitica. L'accezione militare (occupare una posizione) e l'accezione economica (investire un capitale) sono egualmente presenti nell'idea - propriamente psicanalitica - di una carica affettiva legata alla rappresentazione di un oggetto. Questo concetto, pur avendo anch'esso una portata clinica, principalmente nella spiegazione dei sintomi isterici (e in generale nevrotici) e nel loro trattamento terapeutico, riceve però il suo statuto teorico dal suo inserimento nell'insieme di ipotesi concernenti la conservazione dell'energia, la sua circolazione e la sua fissazione. Ne L'interpretazione dei sogni l'energia d'investimento si ripartisce fra sistemi che non hanno un preciso significato anatomico. La nozione d'investimento di una rappresentazione assume allora un senso metaforico, senza che sia peraltro completamente abbandonata l'idea di una spiegazione propriamente fisiologica. L'accezione metaforica diviene più netta quando si parla d'investimento oggettuale; l'aspetto qualitativo e l'elemento di valorizzazione prevalgono allora sull'aspetto quantitativo. La nozione diventa infine ancor più problematica allorché si tratta di spiegare esperienze negative d'assenza, di negazione, di diniego, ecc., nell'ambito di un concetto energetico che non sembra poter implicare se non grandezze positive. Checché si pensi di tali difficoltà teoriche, il fondamento ultimo della nozione d'investimento sta nella nozione di pulsione; è infatti l'introduzione di quest'ultima che distingue in maniera decisiva il punto di vista economico dal punto di vista semplicemente dinamico.

Considereremo successivamente: 1) la nozione stessa di pulsione nell'unità del suo concetto metapsicologico; 2) il quadro delle pulsioni nei dualismi successivi attraverso i quali Freud ha tentato di concettualizzare il campo pulsionale; 3) i diversi ‛destini' pulsionali che regolano l'economia delle trasformazioni pulsionali. Nel prossimo paragrafo, infine, esamineremo i prolungamenti genetici della teoria economica delle pulsioni.

1. Nel concetto freudiano di pulsione sono da distinguere più componenti. Il termine tedesco Trieb esprime anzitutto l'idea di una spinta, dunque l'idea di una carica energetica: ‟Ogni pulsione è un frammento d'attività" (v. Opere, vol. VIII, p. 18). Nello stesso senso si era detto poco prima che ‟la ‛pulsione' ci appare [...] come il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall'interno del corpo e pervengono alla psiche, come una misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica" (ibid., p. 17). Questa prima accezione raccoglie il concetto più antico di eccitamento interno e di sottomissione al principio di costanza. Una seconda componente viene introdotta - contemporaneamente alla comparsa del termine stesso Trieb - nei Tre saggi sulla teoria sessuale, con la prevalenza del concetto di meta su quello di oggetto: l'oggetto della pulsione è variabile, contingente, tributario dei ‛destini della pulsione', mentre ‟la ‛meta' di una pulsione è in ogni caso il soddisfacimento che può esser raggiunto soltanto sopprimendo lo stato di stimolazione alla fonte della pulsione" (ibid., p. 18). L'oggetto dev'essere dunque definito in funzione della meta e non reciprocamente: ‟ ‛Oggetto' della pulsione è ciò in relazione a cui, o mediante cui, la pulsione può raggiungere la sua meta. È elemento più variabile della pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della proprietà di rendere possibile il soddisfacimento. Non è necessariamente un oggetto estraneo, ma può essere altresì una parte del corpo del soggetto" (ibid.). Questa dialettica della meta e dell'oggetto è chiarita da Freud nei Tre saggi sulla teoria sessuale. La distinzione tra deviazione ‛quanto all'oggetto' e deviazione ‛quanto alla meta' domina il primo saggio. A dire il vero, non bisogna parlare di una meta, ma di più mete, perché uno degli insegnamenti della psicanalisi è precisamente questo, che le mete sono parziali, frammentarie, e che la loro integrazione, sempre precaria, si deve concepire, da un punto di vista genetico, come una fase particolare. Quanto alla fonte - terza componente della nozione di pulsione - essa è di competenza della biologia e non della psicanalisi. La fonte deve essere nondimeno presa in considerazione per collocare la pulsione stessa al limite tra il somatico e lo psichico: la pulsione è insomma un ‛concetto-limite', non essendo afferrabile se non attraverso le sue mete e queste a loro volta solo attraverso le vicissitudini delle scelte oggettuali.

Il carattere postulato - e necessariamente postulato - della pulsione non è più scandaloso del carattere postulato delle altre entità teoriche della psicanalisi. Non è qui la difficoltà, ma piuttosto nello statuto stesso della pulsione, collocata tra il biologico e lo psicologico. Per mettere fine all'equivoco, Freud ha adottato una convenzione terminologica: non si parlerà affatto della pulsione in quanto tale, ma dei ‛delegati' psichici che la ‛rappresentano' (nel senso in cui si parla di una delega di funzioni da parte di un personaggio ufficiale a un suo rappresentante): delegati ideativi e delegati affettivi. Per render conto di questa distinzione tra i due tipi di rappresentanze della pulsione, il tedesco parla di Vorstellungsrepräsentanz - che l'inglese traduce con ideational representative -, espressione designante quelli, tra i delegati pulsionali, che sono affini ai pensieri del sogno e alle fantasie. Questa sostituzione, nel discorso psicanalitico, della funzione di Representanz alla funzione di ‛spinta' della pulsione è ben più che una convenzione linguistica, è anche l'espressione di una confessione: la confessione che la pulsione è l'ignoto, accessibile unicamente attraverso i suoi ‛destini'. Sfortunatamente, Freud non ha elaborato quella teoria dell'espressione che potrebbe inquadrare il rapporto fra la pulsione e la sua rappresentanza.

La nozione di rappresentanza della pulsione è anche l'espressione di una convinzione positiva, e cioè che la rimozione non può esercitarsi che sulle rappresentanze psichiche della pulsione e anzi, più precisamente, sulle rappresentanze ideative; è nella rimozione originaria, postulata per le ragioni prima dette, che la rappresentanza ideativa è respinta fuori dalla coscienza andando così incontro a una fissazione. È per questo che la pulsione è inconoscibile; non c'è tecnica che consenta di risalire al di là della rimozione primaria, cui si deve nel contempo la prima iscrizione della pulsione ‛nell' ‛inconscio e la prima iscrizione della pulsione ‛come' rappresentanza ideativa. La psicanalisi trova in questa ‛iscrizione' - nel duplice senso della parola - il confine della sua competenza. È partendo di là che esistono i ‛destini', i quali sono vicissitudini della pulsione nelle sue rappresentanze; anzi, ciascuno dei due tipi di rappresentanze subisce, nei processi psichici, una sorte distinta; la separazione dell'affetto dalla rappresentazione è caratteristica del meccanismo della rimozione: la sofferenza rimane nella coscienza, subendovi alterazioni sue proprie, mentre il suo contenuto rappresentativo viene a iscriversi nell'inconscio.

2. La speculazione ‛sulla' pulsione non dev'essere separata dai tentativi, più vicini all'indagine clinica, di mettere ordine nel mondo ‛delle' pulsioni. In verità, la psicanalisi non è attrezzata per un'indagine esaustiva del campo pulsionale. È infatti la pulsione sessuale o libido, a causa del suo ruolo capitale nei conflitti psichici, che l'eziologia delle nevrosi e l'interpretazione dei sogni conducono a isolare e a innalzare a prototipo della pulsione; ed è essa altresì che meglio attesta il prevalere della meta sull'oggetto e la variabilità delle modalità di soddisfacimento. Non si può però dedurre, da questa posizione centrale della sessualità, un pansessualismo della psicanalisi. Innanzitutto, la pulsione sessuale si esprime in attività così varie, in particolare d'ordine rappresentativo e fantastico, e così lontane dalla genitalità propriamente detta, che cessa di coincidere con la sessualità nel senso biologico del termine. Inoltre, essa si presenta in configurazioni parziali e frammentarie, che la pluralità delle zone erogene, lo svolgimento dell'atto sessuale dal piacere preliminare al godimento, le fasi successive di organizzazione e soprattutto le perversioni permettono di circoscrivere e talvolta d'isolare; l'integrazione eventuale di queste pulsioni parziali è tardiva e non raggiunge mai il tipo d'organizzazione preformata che caratterizza l'istinto negli animali.

Che ne è allora delle altre pulsioni? Freud non ha cessato di concepire le pulsioni a coppie, non senza variazioni nella rappresentazione del dualismo pulsionale. Così egli oppone dapprima pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io o di autoconservazione, sul modello del dualismo di amore e fame; i rapporti tra i due poli sono complessi, dato che le pulsioni sessuali si appoggiano su quelle di autoconservazione prima di distaccarsene, mentre queste ultime forniscono l'energia necessaria alla difesa contro la minaccia interna proveniente dalla libido. Nel 1914, in uno studio speciale, Introduzione al narcisismo, Freud ammette che la libido oggettuale non è tutta la libido, la quale può reinvestire l'Io disinvestendo l'oggetto. In Lutto e melanconia (1917) il narcisismo appare come l'interiorizzazione di relazioni anteriori alla scelta di un oggetto d'amore; all'epoca della seconda topica, l'idea di un narcisismo primario, antecedente ogni identificazione con l'oggetto, trova un sostegno nella concezione dell'Es come serbatoio d'energia. Ma la rielaborazione più completa della teoria delle pulsioni è legata all'introduzione, dopo il 1920, della pulsione di morte. Al di là del principio del piacere (1920) è il principale documento del nuovo dualismo, da cui deriva un raggruppamento di tutte le pulsioni di vita sotto il titolo mitico di Eros. Il dualismo di amore e discordia, alla maniera dei presocratici, si sostituisce a quello di amore e fame. In quest'ultima veste, il carattere non solo teorico - nel senso epistemologico del termine - ma speculativo e congetturale del concetto di pulsione si accentua. È bensì vero che della pulsione di morte, essenzialmente ‛silenziosa', non mancano indizi nell'esperienza clinica: componente sadica della pulsione sessuale, masochismo primario (nel senso di tendenza autoaggressiva irriducibile), coazione a ripetere (che l'analista ritrova come reazione terapeutica negativa), ecc.; nessuna di queste manifestazioni raggiunge però la radice della pulsione di morte, nella quale Freud vede la tendenza stessa del vivente a ritornare alla stabilità inorganica. Questa tendenza a morire, per cause interne più radicali di tutte le manifestazioni cliniche, si riscontra nello stesso tempo nel carattere ripetitivo di ogni pulsione e perciò in un certo senso, in base al principio di costanza, nell'elemento pulsionale in quanto tale. La speculazione sembrerebbe qui prevalere sul metodo d'indagine e sulla tecnica terapeutica. Liberandosi dalle necessità di teorizzare l'esperienza clinica, la speculazione tende a ritornare all'espressione mitica, in un senso vicino a quello dei presocratici. Quando si tratta di dare un nome a quel che c'è al fondo di ogni pulsione, cioè all'impulso a ripristinare uno stato antecedente, bisogna mitizzare il discorso, parlare del ‛principio del nirvana' e collocare la morte, l'avversaria di Eros, in un grande dramma cosmico. Questa rimitizzazione parziale del discorso non resta senza effetto sulla concezione stessa della libido; sotto il nome di Eros, la libido non appare più soltanto come la pulsione che mette in pericolo l'Io, ma come ciò che ‟tiene unito tutto ciò che è vivente", ‟ciò che preserva ogni cosa" (v. Opere, vol. IX, pp. 236 e 237). Può darsi, dopo tutto, che l'acquisizione più preziosa di questa speculazione sia appunto quella - nel momento stesso in cui il vivente sembra rivolto alla morte - di far apparire Eros come ciò che fronteggia la morte.

3. La nozione di ‛destino' della pulsione è strettamente legata alla distinzione tra la meta e l'oggetto variabile della pulsione, come pure all'idea di una ripartizione variabile dell'energia tra l'Io e gli oggetti della pulsione. Il saggio intitolato Pulsioni e loro destini ( 1 9 1 5) presenta un quadro abbastanza completo di questi destini; la rimozione, unico ‛destino' considerato ne L'interpretazione dei sogni, si trova ora collocata tra la ‛trasformazione nel contrario' e il ‛volgersi sulla persona stessa del soggetto' da una parte, e la sublimazione dall'altra. Da queste vicissitudini pulsionali deriva che non soltanto l'oggetto diventa funzione della meta della pulsione, ma l'Io stesso diventa un oggetto della pulsione. In tal modo si viene a introdurre nella psicanalisi il narcisismo, il che equivale a radicalizzare la nozione stessa di pulsione, dato che la pulsione va allora concepita come più primitiva rispetto a ogni relazione soggetto-oggetto. Inoltre, l'introduzione del narcisismo permette di comprendere gli scambi economici tra l'Io e i suoi ideali; anticipando gli scritti del periodo 1920-1924, Freud tenta una prima genesi degli ideali partendo dal narcisismo attraverso il concetto di ‛Io ideale' (che non bisogna confondere con ‛l'ideale dell'Io', legato alla nozione di Super-Io). Quanto alla sublimazione - quarto destino della pulsione - si avvicina all'idealizzazione, pur distinguendosene per un tratto essenziale: ‟La sublimazione è un processo che interessa la libido oggettuale e consiste nel volgersi della pulsione a una meta diversa e lontana dal soddisfacimento sessuale. In questo processo l'accento cade sulla deviazione rispetto alla sessualità. L'idealizzazione è un processo che ha a che fare con l'‛oggetto'; in virtù di essa l'oggetto, pur non mutando la sua natura, viene amplificato e psichicamente elevato" (v. Opere, vol. VII, p. 464). A dire il vero, il meccanismo della sublimazione resta oscuro; Freud non gli ha dedicato alcuno scritto specifico ed esauriente: la sua trattazione resta episodica; così, nei Tre saggi sulla teoria sessuale la sublimazione è di volta in volta avvicinata a mete intermedie nella ricerca del soddisfacimento, alla fase di latenza nello sviluppo genetico, al transfert degli impulsi sessuali verso mete non sessuali; infine, essa appare come terzo esito (dei conflitti psichici) a fianco della nevrosi e della perversione. Freud non esita ad aggiungere che rimozione e sublimazione sono processi il cui ‟condizionamento interno ci è completamente ignoto" (v. Opere, vol. IV, p. 542). Il solo nuovo chiarimento sulla sublimazione deriva dal suo avvicinamento all'identificazione, essa stessa legata ai problemi del complesso di Edipo e del suo ‟sfacelo". L'abbandono della meta sessuale, richiesto dall'interiorizzazione d'un modello, è descritto nello stesso tempo come uno scambio tra l'oggetto e l'Io - la libido oggettuale mutandosi in libido narcisistica - e come desessualizzazione: ‟La trasformazione che [...] ha luogo della libido oggettuale in libido narcisistica implica ovviamente una rinuncia alle mete sessuali, una desessualizzazione, e quindi una specie di sublimazione. [...] E a una considerazione più approfondita si pone l'importante quesito se in via generale ogni sublimazione non si produca proprio a mezzo dell'Io: il quale dapprima trasformerebbe la libido oggettuale in libido narcisistica, per poi indicare eventualmente a quest'ultima un'altra meta" (v. Opere, vol. IX, p. 493). L'incertezza di Freud riguardo alla sublimazione è legata alle difficoltà teoriche circa l'origine del Super-Io, il quale per un verso sembra trarre, per differenziazione, tutte le sue energie dall'Es, mentre d'altra parte interiorizza un'autorità - anzitutto quella del padre - che, rispetto al campo pulsionale, si presenta come affatto esterna. La sublimazione del ‛più basso' nel ‛più alto' è la controparte dell'introiezione del ‛fuori'. Formazione reattiva, formazione d'ideale, sublimazione sono tutte modalità diverse ma affini del compromesso dottrinale con cui Freud si sforza di ridurre il divario di principio tra un'autorità inizialmente esterna (mancando un fondamento etico intrinseco alla posizione dell'Io) e il monismo energetico dell'Es, che esige che ogni formazione d'ideale proceda dall'Es per differenziazione. È per questo che la subumazione resta in gran parte il nome di una difficoltà piuttosto che di un'operazione economica trasparente all'analisi.

Quanto alla nozione d'identificazione, essa è strettamente solidale con il tentativo di dare un'interpretazione economica del rapporto tra le istanze della seconda topica: Es, Io, Super-Io. Il compito di una siffatta interpretazione consiste nel concettualizzare come una ‛differenziazione' del fondo pulsionale ciò che era stato descritto come interiorizzazione dell'autorità. Il Super-Io viene allora trattato come il risultato di una nuova ripartizione d'energie. L'autorità vi figura come una ‛varietà' del desiderio. È principalmente il ‟tramonto" - lo ‟sfacelo" - dell'Edipo che fornisce i materiali di questo riassetto pulsionale. Freud aveva già spiegato nella Introduzione al narcisismo come il narcisismo contribuisca alla formazione dell'ideale - all'idealizzazione - per differenziazione interna. Nella Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921) Freud aggiunge all'idealizzazione il processo d'identificazione. In questo saggio, il processo che era stato dapprima legato (in Lutto e melanconia) all'interiorizzazione dell'oggetto perduto, viene collocato nell'asse della relazione intersoggettiva: ‟L'identificazione è nota alla psicoanalisi come la prima manifestazione di un legame emotivo con un'altra persona" (v. Opere, vol. IX, p. 293). Inoltre, l'identificazione viene avvicinata per la prima volta al complesso di Edipo, che essa precede come, d'altronde, gli succede. C'è infatti un'identificazione primaria, che è piuttosto ‛desiderio d'essere come' che ‛desiderio d'avere'. È poi scontrandosi col desiderio di possedere la madre, che l'identificazione si muta in desiderio di morte; è una forma nevrotica d'identificazione, che procede dalla trasformazione regressiva della scelta oggettuale; si tratta dunque, qui, non dell'identificazione primordiale anteriore a ogni scelta oggettuale, ma di una identificazione derivata, che trae origine - regressivamente - da una scelta oggettuale narcisistica: bisogna pertanto distinguere per lo meno due specie di identificazione. Tutto queste considerazioni vengono poi integrate - ne L'Io e l'Es - in una sintesi di carattere risolutamente topico-economico, nella quale il Super-Io, dal punto di vista storico retaggio dell'autorità parentale, dal punto di vista economico deriva tutte le sue energie dall'Es.

d) Punto di vista economico e punto di vista genetico

Il punto di vista economico richiede un punto di vista complementare, quello genetico, al quale alcuni autori, come H. Hartmann, attribuiscono uno statuto autonomo.

Prim'ancora di farsi un'idea precisa delle ‛fasi' di organizzazione della libido, Freud s'era misurato con la ‛storia', attraverso la scoperta, fatta nel corso della propria analisi, del complesso di Edipo. Ogni lettore dei primi scritti di Freud è colpito dal carattere folgorante della scoperta dell'Edipo, raggiunta, d'un tratto e globalmente, come dramma individuale ‛e' come destino collettivo dell'umanità, come fatto psicologico ‛e' come fonte della moralità, come origine della nevrosi ‛e' come origine della cultura. Scoperto da Freud in se stesso nella sua storia personale, il complesso di Edipo ha bensì un carattere individuale, intimo, segreto; nel contempo, però, nella filigrana della sua esperienza personale, Freud ne intravede subito il carattere generale: ‟Qualcosa mi dice, come se io già lo sapessi - quantunque non sappia nulla affatto - che sto per scoprire la sorgente della morale" (v. Freud, 1950; tr. it., p. 147).

L'autoanalisi svela ‛l'effetto sorprendente', ‛l'aspetto coattivo' della leggenda greca; a sua volta, il mito attesta la fatalità, il carattere di destino non arbitrario, che è insito nell'esperienza individuale. Forse è in questa intuizione di una coincidenza di esperienza personale e destino universale che si deve cercare la motivazione profonda di tutti i tentativi freudiani di innestare l'ontogenesi - cioè il segreto individuale - sulla filogenesi - cioè il destino universale. Orbene, che cosa mai di un segreto individuale fa un destino universale se non il passaggio attraverso l'istituzione? Il complesso di Edipo è l'incesto sognato; ora, ‟l'incesto è antisociale, e la civilizzazione consiste in questa progressiva rinuncia" (v. Opere, vol. II, p. 66). Così la rimozione, che appartiene alla storia del desiderio in ognuno, viene a coincidere con una delle più formidabili istituzioni culturali, la proibizione dell'incesto. Ecco dunque posto, dall'Edipo, il grande conflitto fra la civiltà e gli istinti, che Freud non cesserà di commentare da La morale sessuale ‛civile' e il nervosismo moderno (1908) a Totem e tabù (1912), fino a Il disagio della civiltà (1930) e Perché la guerra? (1933). Rimozione e cultura, istituzione intrapsichica e istituzione sociale coincidono quindi in questo punto paradigmatico. L'interpretazione dei sogni ha trascritto pressappoco testualmente le grandi scoperte che le Lettere a Fliess ci fanno oggi conoscere, salvo il fatto che la loro portata - ai fini di una teoria della personalità - resta dissimulata dal trattamento del complesso di Edipo come semplice tema onirico, relegato tra gli esempi di sogni di morte di persone care; l' ‟energica e universale efficacia" della leggenda ‟riesce comprensibile soltanto ammettendo un'analoga validità generale delle premesse [...] tratte dalla psicologia infantile" (v. Opere, vol. III, pp. 242-243); e poco oltre: ‟La favola di Edipo è la reazione della fantasia a questi due sogni tipici [di rapporti sessuali con la madre e di morte del padre] e, nello stesso modo in cui i sogni di adulti sono vissuti con sentimenti di rifiuto, così la leggenda deve accogliere nel suo contenuto anche orrore e autopunizione" (ibid., p. 245).

Nella linea ontogenetica, i Tre saggi sulla teoria sessuale forniscono la trama tipica di una strutturazione della sessualità in fasi successive, dove il complesso di Edipo viene a trovare il suo posto originario.

Più che questa o quella tesi particolare riguardante le ‛aberrazioni sessuali', ‛la sessualità infantile' o le ‛trasformazioni della pubertà' (sono questi i titoli dei tre saggi), ciò che questo breve lavoro ha voluto mostrare è essenzialmente il peso della ‛preistoria' nella storia sessuale dell'uomo. Preistoria in qualche modo cancellata da una non casuale amnesia; soppresso il divieto che ci impedisce l'accesso alla sessualità infantile, grandi e terribili verità si fanno avanti: l'esistenza stessa della sessualità infantile, la sua struttura polimorfa e la sua costituzione potenzialmente perversa; l'incesto infantile, presupposto dal complesso di Edipo, non è che un caso particolare di questo tema generale. L'interpretazione del complesso di Edipo deve inoltre ai Tre saggi la prima elaborazione particolareggiata delle fasi e delle organizzazioni successive della libido. Questo tema genetico è il complemento indispensabile del tema strutturale; le edizioni successive dei Tre saggi, in particolare quelle del 1915 e del 1923, lo differenzieranno progressivamente, sino a distinguere, prima dell'instaurazione della fase propriamente genitale, una fase orale, poi sadico-anale e quindi fallica; è sull'organizzazione fallica che viene a cadere la minaccia di evirazione, il che permetterà di spiegare nel 1924 la dissoluzione dell'Edipo sia con la minaccia di evirazione che con il difetto d'organizzazione e di maturazione della fase corrispondente. Inoltre, insistendo sulla ‟predisposizione uniforme verso tutte le perversioni", nella quale ‟è definitivamente impossibile non riconoscere qualche cosa di universalmente umano e originario" (v. Opere, vol. IV, p. 500), i Tre saggi svelano perché l'istituzione provochi necessariamente sofferenze: l'uomo non si educa se non rinunciando a una organizzazione arcaica, abbandonando oggetti e mete sorpassati; l'istituzione è la contropartita della struttura ‛perverso-polimorfa'. È questa la ragione per la quale l'essere umano non può vivere l'ingresso nella cultura che in modo conflittuale.

Su questo sfondo oscuro si staglia il dramma edipico. Perché questa crisi e più importante delle altre, così importante che Freud le attribuisce nello stesso tempo, e a titolo quasi esclusivo, l'ingresso nella nevrosi e l'ingresso nella cultura? Tra tutti gli episodi caratterizzati dalla perdita di qualche oggetto libidico, la vicenda edipica è quella che comporta una dimensione culturale: ‟Il rispetto di questa barriera [l'incesto] è prima di tutto un'esigenza civile della società, che deve difendersi contro il pericolo che gli interessi di cui ha bisogno per instaurare superiori unità sociali vengano assorbiti dalla famiglia, e perciò agisce con tutti i mezzi onde allentare in ogni individuo, specialmente nell'adolescente, il legame familiare che nell'infanzia era il solo decisivo" (ibid., p. 530). Il divieto dell'incesto appare così come un'acquisizione di civiltà che, ove non sia già inscritta nell'eredità genetica, ciascun individuo deve assimilare. La spiegazione della sua origine è dunque rinviata dalla psicologia all'etnologia.

A questa linea interpretativa ontogenetica corrisponde una linea filogenetica. Nei due primi capitoli di Totem e tabù si trova un tentativo di spiegazione psicanalitica del fenomeno del tabù, quale viene descritto dagli etnologi all'inizio del secolo. Freud afferma che il selvaggio è il testimone tardivo di una fase anteriore del nostro stesso sviluppo, sicché la sua vita ci offre un'illustrazione della nostra preistoria; afferma inoltre che, per la sua grande ambivalenza affettiva, il selvaggio è il fratello del nevrotico. È in questo quadro di un'etnopsicologia abbastanza antiquata che Freud affronta il nocciolo del problema, cioè il divieto dell'incesto. Lo strumento di questo divieto è la famosa legge dell'esogamia, esposta da Frazer in Totemism and exogamy, che proibisce il matrimonio tra membri di uno stesso clan totemico. La psicanalisi si limita qui a gettare sulla paura dell'incesto la luce della nevrosi. È il tema incestuoso della nevrosi che fornisce il filo conduttore. La fobia dell'incesto, presso i selvaggi, reca soltanto la conferma, da parte dell'etnologia, di questo complesso centrale, oggi perduto nell'inconscio. Quanto all'origine dell'istituzione stessa, Freud tenta di spiegarla postulando, nei tempi primordiali, un complesso di Edipo ‛reale', un parricidio originario di cui tutta la storia culturale porterebbe la cicatrice. Non entreremo certo qui nell'esposizione di questo ‛mito scientifico', che occupa l'ultimo capitolo di Totem e tabù. È difficile sottrarsi all'impressione che sia stato il complesso di Edipo, decifrato nel sogno e nella nevrosi, che ha permesso di scegliere, tra i materiali etnologici disponibili, quelli che permettevano di ricostruire un complesso di Edipo collettivo dell'umanità e di concepirlo alla maniera di un avvenimento reale sopravvenuto all'origine della storia. L'interpretazione psicanalitica del complesso di Edipo si è così trovata proiettata in un'‛archeologia realistica'; essa contempla se stessa in un'interpretazione letterale del totemismo. Questa interpretazione lascia, d'altra parte, intatta la maggiore difficoltà, come cioè da un ‛parricidio' sia potuto scaturire il divieto del ‛fratricidio'; a questo proposito Freud scrive: ‟garantendosi reciprocamente la vita, i fratelli affermano che nessuno di loro può venir trattato da un altro fratello come il padre è stato trattato dai fratelli tutti insieme. Escludono una ripetizione del destino paterno. Al divieto, fondato sulla religione, di uccidere il totem, si aggiunge ora il divieto, fondato sul sentimento sociale, del fratricidio" (v. Opere, vol. VII, p. 149). Con questa rinuncia alla violenza sotto la minaccia della discordia, si ha tutto quello che è necessario alla nascita dell'istituzione; con il ‛patto dei figli' Freud ha scoperto il vero requisito di una spiegazione analitica, risolvendo quello che era stato il problema di Hobbes, di Spinoza, di Rousseau, di Hegel, ossia la trasformazione della ‛guerra' in ‛diritto'. Rimane la questione di sapere se questa trasformazione sia ancora di pertinenza di un'economia del desiderio. Torneremo su questo problema nel prossimo capitolo.

La scoperta del processo d'identificazione, in rapporto dapprima con la questione del narcisismo, poi con quella del Super-Io, doveva permettere d'introdurre una nuova fase nella costituzione della personalità, in particolare sotto il suo aspetto morale: ‟Poiché [il Super-Io] risale essenzialmente all'influsso dei genitori, degli educatori e così via, il suo significato risulterà ancora più chiaro se ci rivolgiamo a queste sue radici". Quest'asserzione, tratta dalle Nuove lezioni (v. Opere, vol. XI, p. 179), esprime bene la funzione della spiegazione genetica in una concezione antropologica che si presenta come una varietà di evoluzionismo morale. In una tale concezione, altro non è in giuoco se non il confronto dell'autorità esterna con la pulsione. Sui meccanismi d'idealizzazione dell'Io, d'interiorizzazione dell'autorità e soprattutto d'identificazione grava dunque l'intero peso della genesi della personalità etica. E sull'insieme di questi processi che s'innestano i processi descritti ne Il tramonto del complesso edipico, scritto un anno dopo L'Io e l'Es (Opere, vol. X, pp. 27-33). Se è vero che il Super-Io è il suo erede, lo ‟sfacelo" del complesso edipico e il conseguente abbandono degli investimenti oggettuali incestuosi assumono un rilievo decisivo. È infatti grazie a questo smantellamento che l'investimento oggettuale incestuoso viene abbandonato e sostituito dall'identificazione. Ormai il Super-Io, attingendo alla severità del padre e perpetuando all'interno dell'Io il divieto dell'incesto, è in grado di opporsi al resto dell'Io, il quale viene d'altra parte garantito contro il ritorno dell'investimento libidico incestuoso appunto dalla minaccia del Super-Io. Lo ‟sfacelo" dell'Edipo, infine, permette di ravvicinare, fino a un certo punto, gli effetti della rimozione e quelli della sublimazione.

Sono questi i successivi tentativi freudiani di dare un prolungamento genetico alla spiegazione economica. Ma in tal modo e nello stesso tempo la psicanalisi è costretta a ricorrere a diverse congetture circa l'evoluzione dell'umanità e la storia delle sue istituzioni. Viene posto, così, il problema dei rapporti della psicanalisi con una teoria della cultura.

5. Interpretazioni della cultura

Nella nostra esposizione ci siamo deliberatamente mantenuti entro i limiti fissati da una definizione di psicanalisi tratta dallo stesso Freud. Metodo d'indagine, procedimento terapeutico, teoria metapsicologica: questa è la psicanalisi; nessuna di queste tre componenti, presa separatamente, è tuttavia la psicanalisi.

Questa solidarietà fra i tre aspetti della teoria psicanalitica ci induce a interrogarci sul posto che occupano, nel campo della psicanalisi, le speculazioni sull'arte, sulla morale e sulla religione, nelle quali le considerazioni psicologiche non sono più sostenute dal metodo d'indagine, né soprattutto da un'applicazione della tecnica terapeutica fondata sul trattamento delle resistenze e del transfert. La questione sembra tanto più imbarazzante in quanto gli scritti sull'arte, sulla morale e sulla religione non sono affatto ampliamenti tardivi del campo psicanalitico. Certo, tutti i grandi testi sulla cultura - L'avvenire di un'illusione (1927), Il disagio della civiltà (1920), L'uomo Mosé e la religione monoteistica: tre saggi (1934-1938) - sono tardi; ma fin dall'inizio, accanto agli scritti propriamente psicanalitici, compaiono numerosi saggi che segnano l'intrusione della psicanalisi nel dominio della sociologia della cultura. Senza dubbio, è allo scoperta del complesso di Edipo che bisogna risalire per far emergere la prima connessione tra la psicanalisi e una teoria generale della cultura. Come si è detto sopra, questa scoperta conduce nello stesso tempo all'interpretazione di un sogno personale e di un mito collettivo. Fin dall'inizio, la psicanalisi è insieme una teoria della nevrosi e una teoria della cultura. Ne risulta che l'estensione della spiegazione psicanalitica a fenomeni quali l'arte, l'etica e la religione è perfettamente legittima; ma, ad onta del buon fondamento teorico, la sua applicazione si trova nondimeno assoggettata a una duplice limitazione. Anzitutto, in mancanza di un controllo attraverso il metodo d'indagine e la stessa tecnica analitica, l'applicazione della psicanalisi ai fenomeni culturali è condannata fin dall'inizio a restare congetturale: è soltanto in virtù della loro analogia con sintomi e fantasie che fenomeni appartenenti alla sfera della cultura - quali un'opera d'arte, ideali etici, miti e rappresentazioni religiose - cadono sotto la competenza della psicanalisi; in secondo luogo, la spiegazione psicanalitica di questi grandi fenomeni culturali non soltanto ha natura congetturale, ma risulta parziale, e ciò proprio in virtù dell'origine clinica dei suoi modelli. Certamente, la competenza della psicanalisi non conosce alcun limite quanto al suo oggetto: niente di ciò che è umano le è estraneo, poiché niente di ciò che è umano sfugge alla dialettica del desiderio e del divieto; ma tutto quel che è umano non può figurare nel suo campo se non sotto l'angolazione di una semantica del desiderio, cioè dal punto di vista di un bilancio dei fenomeni culturali in termini di piacere e dispiacere. Per vocazione, la psicanalisi vuol conoscere tutto, ma sotto l'angolazione limitata del costo economico dei fenomeni che entrano nel suo campo.

Questa duplice limitazione, lungi dal fornire motivi per la confutazione dei tentativi di spiegazione psicanalitica dei fenomeni culturali, ne sottolinea piuttosto il carattere peculiare e insostituibile.

La specificità della spiegazione psicanalitica, corrispondente al suo carattere semplicemente analogico e alla limitazione del suo punto di vista, appare chiaramente nella definizione stessa della cultura, presa nella sua globalità. L'avvenire di un'illusione comincia con un'interpretazione economica; la cultura vi è definita attraverso la sua triplice funzione: alleviare il peso dei sacrifici istintuali imposti agli uomini, riconciliarli con le rinunce ineluttabili, offrire agli individui delle compensazioni per questi sacrifici. Allo stesso modo, Il disagio della civiltà stabilisce il bilancio di piacere e dispiacere che spiega l'irrimediabile insoddisfazione che sembra accompagnare la vita della cultura. La distinzione tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, introdotta dall'ultima teoria delle pulsioni, trova qui una delle sue più brillanti applicazioni; infatti, di fronte all'ostilità primordiale dell'uomo nei riguardi dell'uomo, la ‟civiltà domina [...] dunque il pericoloso desiderio di aggressione dell'individuo infiacchendolo, disarmandolo e facendolo sorvegliare da una istanza al suo interno, come da una guarnigione nella città conquistata" (v. Opere, vol. X, pp. 610-61 1). La civiltà appare allora come un fragile compromesso tra Eros, che ‟preserva ogni cosa", e i mezzi con i quali la società tiene in scacco la pulsione aggressiva.

È in questo quadro generale che si può ricollocare la valutazione dei fenomeni estetici, etici e religiosi.

La spiegazione dei fenomeni estetici si sviluppa nell'estensione della teoria della fantasia, del sogno a occhi aperti, del motto di spirito. Il legame tra la tecnica formale dell'opera d'arte e la produzione di un profitto di piacere costituisce il filo conduttore dell'estetica analitica. Il Mosè di Michelangelo (1914) e Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci (1910) sono a questo riguardo le illustrazioni meglio riuscite del metodo. L'interpretazione del capolavoro di Michelangelo è condotta alla maniera dell'interpretazione di un sogno, partendo dai particolari, in modo da far apparire, nella postura e nel gesto, una formazione di compromesso tra più flussi di pensiero. Allo stesso modo, le opere di Leonardo sono trattate come il sintomo di inibizioni, persino di perversioni, ma anche di sublimazioni della libido nella curiosità: ‟Forse Leonardo ha superato con la forza dell'arte l'infelicità della sua vita amorosa, creando queste figure in cui la beata fusione della natura maschile con quella femminile rappresenta l'appagamento dei desideri del fanciullo infatuato della propria madre" (v. Opere, vol. VI, p. 258). L'opera d'arte appare così nello stesso tempo come sintomo del conflitto e come avvio alla sua cura. È per la sua duplice funzione economica che l'arte è così altamente apprezzata da Freud. D'altro canto, è facile rendersi conto di come la fecondità dell'interpretazione sia inseparabile dal suo carattere congetturale e ristretto.

Lo stesso approccio ‛economico' spiega la posizione di Freud riguardo ai fenomeni morali; Totem e tabù non esita a spiegare allo stesso modo il divieto dell'incesto e il funzionamento del divieto nella nevrosi ossessiva. Più tardi, all'epoca della seconda topica, le funzioni del Super-Io - autosservazione, coscienza morale e ideale dell'Io - sono avvicinate ai fenomeni patologici della nevrosi ossessiva e della melanconia: la sua natura analogica condanna la spiegazione psicanalitica a raggiungere l'etica dal suo lato ‛quasi nevrotico'. Nondimeno, il carattere strutturante dell'Edipo, il ruolo positivo dell'identificazione, i fenomeni di costituzione e di rafforzamento dell'Io legati allo ‟sfacelo" del complesso di Edipo tendono a provare che i rapporti fra Super-Io e Io non sono tutti di natura patogena e che l'Io non potrebbe emergere dall'Es senza la mediazione del Super-Io. L'insegnamento più prezioso della psicanalisi per la riflessione morale risiede senza dubbio nel fatto di dirigere l'attenzione da una parte su ciò che abbiamo chiamato sopra la patologia del dovere e, dall'altra, sulla funzione strutturante di un complesso di Edipo felicemente risolto.

L'interpretazione psicanalitica della religione è ancor meno di quella dei fenomeni morali suscettibile di un apprezzamento favorevole. L'approccio analogico ai fenomeni religiosi parte sia dalla nevrosi ossessiva, sia dalla melanconia, sia dalla paranoia. Il primo raffronto tende a mettere l'accento sull'affinità tra ‟azioni ossessive" e ‟pratiche religiose" (1907): ‟la nevrosi ossessiva non è che la caricatura, per metà comica e per metà tragica, di una religione privata" (v. Opere, vol. V, p. 343); il secondo raffronto sottolinea, in L'avvenire di un'illusione (1927), l'affinità con l'illusione e la fantasia: ‟Caratteristico dell'illusione è il suo derivare dai desideri umani [...]. Diciamo dunque che una credenza è un'illusione qualora nella sua motivazione prevalga l'appagamento di desiderio, e prescindiamo perciò dal suo rapporto con la realtà, proprio come l'illusione stessa rinuncia alla propria convalida" (v. Opere, vol. X, p. 461); il terzo raffronto, infine, mostra un'affinità tra la credenza religiosa e la formazione dei sintomi per proiezione, secondo il modello proposto dal ‛caso Schreber' (Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia, 1911). Si è visto sopra quale sostegno Freud abbia cercato nell'etnologia (Totem e tabù) e poi nella storia delle religioni (L'uomo Mosé e la religione monoteistica) per stabilire la realtà di un assassinio la cui vittima sarebbe stata il padre primordiale, nella memoria del quale gli uomini tenterebbero incessantemente di riconciliarsi. Un complesso di Edipo collettivo sarebbe così all'origine dei fenomeni religiosi, e l'assassinio del profeta sarebbe un anello importante nella trasmissione del complesso: ‟L'uccisione di Mosé ad opera del suo popolo ebraico [...] diviene così un pezzo indispensabile della nostra costruzione, un importante anello di congiunzione tra l'evento dimenticato dei primordi e il suo più tardo riapparire in forma di religione monoteistica" (v. Opere, XI, p. 411). Mai come in questo caso appare più chiaramente come l'acutezza delle idee di Freud sulla religione sia inseparabile dal carattere congetturale delle analogie e dalla ristrettezza del punto di vista economico, il che non rende peraltro l'apporto della psicanalisi meno interessante. La relazione della religione con il desiderio e con la paura è certamente un tema vecchio; quel che è proprio della psicanalisi è la sua decifrazione come una relazione dissimulata e il rapportare questa decifrazione a un'economia del desiderio. Quel che è in causa non è la verità del fondamento, ma la funzione delle rappresentazioni religiose nel bilancio di rinunce e di soddisfazioni attraverso cui l'uomo tenta di rendere sopportabile la sua ‛dura' vita. In quest'impresa non soltanto legittima ma necessaria la psicanalisi non si comporta affatto come una varietà di razionalismo; essa esercita una sua funzione peculiare. Per ognuno rimane poi il problema di sapere se la distruzione degli idoli è totale; ma questo problema non appartiene più alla psicanalisi.

6. Considerazioni conclusive

Il vero contributo della psicanalisi alla cultura contemporanea non consiste, forse, nella sua interpretazione dei fenomeni fondamentali della cultura, ma nell'atteggiamento etico connesso con la psicanalisi in quanto metodo d'indagine, tecnica terapeutica e teoria fondamentale. Quest'atteggiamento sembra dapprima puramente riduttivo di tutto ciò che la filosofia chiama ‛valori'. La spiegazione economica del fenomeno culturale induce la psicanalisi a smascherare le falsificazioni del desiderio che riguardano la vita ‛superiore' dell'uomo. La forza della psicanalisi è quella del ‛sospetto', non quella della giustificazione, della legittimazione, ancor meno quella della prescrizione. In un senso vicino a Nietzsche e alla sua Genealogia della morale, l'esplorazione degli arcaismi della coscienza morale rivela che l'uomo è anzitutto accusato a torto. Per questo è vano chiedere alla psicanalisi un'etica senza aver prima mutato la posizione della coscienza morale nei riguardi di se stessa.

Ma il significato etico della psicanalisi non si esaurisce né nella neutralità né nel ‛sospetto' dell'analista. La situazione analitica, che è in definitiva la pietra di paragone di tutte le interpretazioni, mette in gioco un valore, e uno solo, in cui l'etica della psicanalisi si riassume: la ‛sincerità'. Se la psicanalisi è una tecnica, essa non s'inserisce nel ciclo del dominio; è una tecnica della sincerità: la sua posta è il riconoscimento di se stessi, e il suo itinerario va dal misconoscimento al riconoscimento. A questo riguardo, essa trova il suo modello nell'Edipo re di Sofocle.

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Il movimento psicanalitico di Silvano Arieti

Sommario: 1. La scuola freudiana classica: a) concetti generali; b) pulsioni istintuali e teoria della libido; c) l'Es e il processo primario; d) i sogni; e) l'Io e le difese; f) il Super-Io e il complesso di Edipo; g) latenza e adolescenza; h) la terapia; i) sviluppi della psicanalisi postfreudiana; l) influssi su altri rami della psichiatria; m) scambi culturali fra la psicanalisi freudiana e altri campi. □ 2. I primi scissionisti: a) Carl G. Jung; b) Alfred Adler; c) Otto Rank. □ 3. Le scuole britanniche: a) Melanie Klein; b) Donald Fairbairn. 4. Le scuole neofreudiane americane: a) l'indirizzo interpersonale di Harry Stack Sullivan; b) l'indirizzo culturale di Erich Fromm; c) l'indirizzo olistico di Karen Horney. □ Bibliografia.

1. La scuola freudiana classica

a) Concetti generali

La psicanalisi è un metodo scoperto da Sigmund Freud per l'esplorazione della mente umana e il trattamento della malattia mentale, che differisce da altri metodi psicologici e psichiatrici in quanto si occupa in particolare di processi inconsci e si vale di tecniche speciali, quali le libere associazioni e l'interpretazione.

Il concetto di inconscio è rimasto quello fondamentale dei primi studi psicanalitici di Freud. Egli rifiutò l'idea sostenuta dalla maggior parte dei filosofi e degli psicologi che la coscienza fosse un presupposto necessario dei fenomeni psicologici, e riuscì a dimostrare che i fenomeni inconsci si potevano trasformare in fenomeni coscienti, avanzando l'ipotesi che alcuni desideri siano mantenuti allo stato inconscio dalla rimozione.

Le due date iniziali, d'importanza fondamentale nella storia della psicanalisi, sono il 1895 e il 1900, quando apparvero due libri di Freud che formarono la base della nuova scienza: nel 1895 gli Studi sull'isteria, scritti in collaborazione con Breuer, e nel 1900 L'interpretazione dei sogni. In realtà, per il lavoro compiuto negli anni fra il 1880 e il 1882, Breuer, un medico viennese vissuto dal 1842 al 1925, va considerato il precursore della psicanalisi. Egli credeva che i sintomi presentati da una paziente isterica fossero il risultato di stimoli cui era stata sottoposta quando curava il padre malato. Mentre la paziente si trovava in stato d'ipnosi, Breuer le fece ritrovare il nesso fra la situazione originaria col padre e i sintomi. Una volta stabilito questo nesso, i sintomi scomparvero. Breuer non proseguì nei suoi studi fino al momento della sua collaborazione con Freud nella stesura del libro ricordato.

I concetti fondamentali delle teorie successive sono già espressi in questo libro. Il processo mentale iniziale, che dà origine al sintomo, subisce la ‛rimozione' dalla coscienza e la ‛conversione' in un sintomo somatico. Il sintomo isterico è pertanto un sostituto di ciò che è stato rimosso dalla coscienza. La guarigione si verifica soltanto mediante il processo dell'‛abreazione', per mezzo della quale l'energia dell'atto mentale rimosso trova una normale via di scarica. L'intero processo venne chiamato col termine aristotelico di ‛catarsi', intendendo con ciò la liberazione o la purificazione della psiche da quanto in precedenza le causava disturbo. Ben presto Freud scoprì che il legame affettivo tra medico e paziente era molto importante nel determinare la catarsi. Egli inoltre sostituì l'ipnosi col metodo delle libere associazioni.

La psicanalisi fu dapprima studiata e praticata allo scopo di alleviare alcuni disturbi mentali. Freud scrisse che non si doveva considerarla una panacea per tutti i disturbi psichici, bensì un trattamento per alcune psiconevrosi quali l'isteria, le fobie e gli stati ossessivi. Egli aggiunse che essa poteva dare risultati favorevoli anche in forme quali i disturbi del carattere, le difficoltà sessuali e la depressione. Mise invece in dubbio il suo effetto terapeutico sulla schizofrenia e la paranoia, pur prevedendo esattamente che alcune modificazioni nella tecnica avrebbero in futuro permesso l'applicazione del trattamento psicanalitico alle psicosi. La psicanalisi si estese ben presto oltre i confini della psichiatria ed entrò a far parte del campo più vasto della psicologia.

Mentre le scuole precedenti di psicologia e psichiatria si occupavano soltanto di ciò che era cosciente, e soprattutto del comportamento esteriore, la psicanalisi si occupò prevalentemente, benché non esclusivamente, dei meccanismi inconsci e di ciò che viene denominato realtà psichica. Pertanto, nel momento stesso in cui essa apriva nuove prospettive, dava meno importanza ad altri aspetti tradizionali della ricerca scientifica, per esempio al riferimento quasi esclusivo a dati quantitativi e oggettivi. La psicanalisi, più di altri indirizzi psicologici precedenti, vede ogni processo mentale come il risultato di una serie longitudinale di fattori, i più importanti dei quali si verificano nell'infanzia. Pertanto, ogni funzione psichica va studiata non isolatamente o secondo una sezione trasversale, bensì secondo uno schema di riferimento storico, in cui la storia è rappresentata dallo sviluppo ontogenetico dell'individuo. Inoltre, la psicanalisi attribuisce al ‛conflitto' una particolare importanza nella vita dell'individuo, sia nella normalità che nella psicopatologia. Molte funzioni psicologiche, quando vengono studiate dalla psicanalisi, si rivelano espressioni di conflitti o di compromessi creati per far fronte a dei conflitti che, secondo la psicanalisi classica, hanno origine per la maggior parte nell'infanzia e riguardano la vita sessuale.

Esporremo ora alcuni dei fatti più importanti della storia della psicanalisi classica.

Sigmund Freud nacque a Freiburg, in Moravia, il 6 maggio 1856, e vi trascorse i primi quattro anni della sua vita. Egli visse poi sempre a Vienna, eccetto un breve periodo a Parigi e l'ultimo anno della sua vita a Londra. Nacque da famiglia ebrea, in un'atmosfera culturale in cui si fondevano la componente ebraica e quella mitteleuropea dell'impero austroungarico degli Asburgo. Poco dopo la pubblicazione dei due libri già ricordati, gli psichiatri svizzeri Eugen Bleuler e Carl Jung s'interessarono a questi studi e nel 1908 ebbe luogo a Salisburgo il primo Congresso internazionale di psicanalisi. Nel 1909 Freud e Jung furono invitati dalla Clark University a tenere una serie di conferenze a Worcester, nel Massachusetts. Da quel momento l'interesse generale per la psicanalisi crebbe in Europa e in America, ma la quasi totalità delle scuole di medicina continuò a rifiutare o a ignorare la nuova scienza fino agli anni quaranta. L'espansione, tuttavia, continuò, specialmente in virtù del lavoro di Freud stesso e di un gruppo di allievi. Due degli allievi più promettenti, Jung e Adler, si staccarono presto dal movimento psicanalitico e fondarono scuole proprie. Contemporaneamente, l'inglese Ernest Jones contribuiva a far conoscere la psicanalisi soprattutto nel mondo di lingua inglese. Quando il partito nazista prese il potere in Germania e più tardi in Austria, la maggioranza degli psicanalisti di origine ebraica emigrò negli Stati Uniti, dove la loro influenza determinò un rapido sviluppo della nuova scienza. Freud si rifugiò a Londra e vi morì il 23 settembre 1939. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la psicanalisi si diffuse ampiamente anche in Europa. Negli Stati Uniti essa continuò a diffondersi dal 1940 alla metà degli anni sessanta; ma dalla fine degli anni sessanta si è notato un rallentamento nello sviluppo della scuola freudiana ortodossa, benché l'influenza culturale della psicanalisi abbia continuato a crescere e a ramificare.

b) Pulsioni istintuali e teoria della libido

La teoria basata sulle cosiddette pulsioni istintuali e sulla libido svolge una funzione fondamentale nella psicanalisi classica, eppure, come vedremo piu avanti in questo articolo, questa teoria rappresenta la parte del sistema freudiano che ha subito le più aspre critiche ad opera delle scuole revisioniste. Alcuni autori ritengono che la resistenza ad accettare questa parte del sistema freudiano sia dovuta soprattutto al fatto che la parola tedesca Trieb è stata tradotta con la parola ‛istinto'.

Istinto, in inglese e nelle altre lingue in cui vengono usate parole equivalenti di derivazione latina, significa una proprietà o funzione innata, in contrapposizione con quelle acquisite. In tedesco, invece, la parola Trieb si riferisce a una pulsione potente dell'organismo vivente, che è insita nella natura biologica e comprende aspetti della vita quali la sessualità, la fame, la sete e l'autoconservazione.

Nella teoria psicanalitica le ‛pulsioni istintuali' vengono concepite come forze che spingono ad agire. Esse sono impulsive e impellenti e determinano in alcuni organi o nell'intera persona uno stato di tensione che dura finché il bisogno non è stato soddisfatto. Le pulsioni hanno tre caratteristiche: una fonte, un oggetto e una meta. La fonte è una parte del corpo, per esempio gli organi sessuali. L'oggetto è una persona o una cosa necessaria alla soddisfazione della pulsione, per esempio un partner sessuale. La meta è la particolare attività necessaria per ottenere la soddisfazione, per esempio il rapporto sessuale. Una pulsione istintuale possiede una certa quantità di energia chiamata ‛catessi'.

Le pulsioni istintuali sono di due tipi: quelle erotiche o libidiche e quelle aggressive. I primi studi di Freud riguardavano soltanto le pulsioni erotiche o sessuali, che fino a oggi rimangono le più conosciute. Tali pulsioni hanno origine in alcune zone particolari del corpo chiamate zone erogene: la bocca, l'ano e i genitali. La prima forma di sessualità, che prevale durante il primo anno di vita, è polarizzata attorno alla bocca e viene chiamata ‛orale'. La seconda forma, che prevale negli anni compresi fra uno e due e mezzo, viene chiamata ‛anale'. La terza forma, che è la più matura, è polarizzata attorno ai genitali e viene chiamata ‛genitale'. Mentre durante l'infanzia vi sono diversi tipi di sessualità, nell'adulto normale essa è fissata alle zone genitali, ma nelle perversioni e nelle deviazioni mantiene le fissazioni precedenti.

Intorno al concetto di sessualità sono sorti molti malintesi, perché talvolta tale parola viene usata come nel linguaggio comune per denotare e connotare soltanto ciò che si riferisce all'attività genitale adulta; altre volte essa si riferisce a qualsiasi tipo di tensione che ha origine nelle zone erogene e a ogni comportamento indotto da tali tensioni. Per esempio, la soddisfazione sperimentata dal bambino nel succhiare e nello stringere viene chiamata sessuale. Nei tipi pregenitali di sessualità non è necessario alcun partner: la libido è autoerotica. Tra i due e i tre anni il bambino comincia a cercare un oggetto sessuale, generalmente il genitore dell'altro sesso.

La sessualità femminile è più complicata di quella maschile. Essa presenta delle fasi pregenitali (orale e anale), come nei maschi, ma comprende inoltre una fase fallica di breve durata, caratterizzata da invidia del pene, prima di raggiungere uno stadio genitale con comportamento femminile. Vi è pertanto nelle donne un inizio bifasico della sessualità.

A partire dall'età di circa quattro anni, la sessualità viene rimossa e si ha un periodo di latenza. Il flusso dell'energia sessuale non viene pertanto interrotto, ma deviato da quelle che Freud chiamò metaforicamente ‛dighe'. Una pulsione che era in origine sessuale subisce un processo di desessualizzazione e cambia meta. Questo processo viene chiamato ‛sublimazione': l'energia dei desideri sessuali infantili viene ora utilizzata per scopi non sessuali e socialmente validi. Nel 1910 Freud scrisse: ‟È probabile che noi dobbiamo i nostri successi culturali agli apporti di energia forniti in questo modo alle nostre funzioni mentali". La sublimazione non spiega il meccanismo su cui si basano le attività superiori della mente, ma vuole piuttosto spiegare la forza propulsiva che vi sta dietro.

La teoria della sessualità e della sua rimozione ha svolto una funzione importante nella psicanalisi classica, specialmente prima della comparsa della cosiddetta psicologia dell'Io. I concetti fondamentali sono i seguenti: a) la sessualità viene rimossa, ma la rimozione non ottiene lo scopo desiderato. Come conseguenza delle mancate soddisfazioni della sessualità rimossa insorgono dei sintomi nevrotici; b) la sessualità comincia alla nascita, e non nella pubertà, come generalmente si crede. Essa raggiunge il suo primo punto culminante al quinto anno o prima e viene interrotta poco dopo, durante il periodo di latenza. Il secondo punto culminante si ha nella pubertà. Questo duplice culmine dello sviluppo sessuale rappresenta una delle caratteristiche più specifiche dell'uomo; c) la sessualità non va confusa con la genitalità. La genitalità è la forma ultima e più matura della sessualità.

La teoria psicanalitica è stata molto meno esplicita riguardo alla seconda pulsione istintuale, quella aggressiva. Le zone somatiche da cui essa trae origine, come pure le sue fasi di sviluppo, sono sconosciute. Sembra tuttavia che durante le fasi di sviluppo orale e fallica vi sia una certa fusione delle due pulsioni. La pulsione aggressiva viene anche chiamata Thanatos o istinto di morte.

Prima di proseguire con l'esposizione degli altri aspetti della teoria freudiana, è opportuna una breve valutazione - per quanto possibile, imparziale - della teoria della libido e delle pulsioni istintuali. Indubbiamente, si deve dare atto alla psicanalisi di avere rivelato in quale misura la sessualità sia rimossa e le conseguenze nascoste di tale rimozione. Si deve inoltre dare atto alla psicanalisi di avere scoperto l'esistenza della sessualità prepuberale. Tuttavia è ancora una questione dibattuta se la sessualità infantile sia davvero così importante nel determinare le nevrosi come pensava Freud. Molti neofreudiani ritengono che egli abbia sopravvalutato il significato patogeno della sessualità nel corso della vita e specialmente durante l'infanzia. Un altro punto controverso è se la sessualità rimossa sia veramente sublimata. Un terzo e più generale punto controverso è il cosiddetto aspetto economico della teoria psicanalitica. Secondo questo punto di vista, ogni evento psichico richiede una certa quantità di energia (catessi) o libido. Freud era spinto a valutare i fatti psicologici secondo concetti quantitativi e a interpretare la psicologia secondo i principi della fisica del sec. XIX. L'energia libidica, che secondo Freud trascende il sesso, non è però mai stata individuata, e i neurofisiologi ritengono che non sia necessario postulare la sua esistenza per spiegare come funziona il sistema nervoso centrale. L'eccitamento nervoso da un neurone all'altro e la motivazione sotto forma di emozioni, pulsioni, sentimenti, affetti e altre funzioni dell'organismo possono spiegare l'attività psicologica senza rendere necessario il ricorso alla teoria della libido.

c) L'Es e il processo primario

Secondo la psicanalisi classica, la psiche si divide in tre parti principali: Es, Io e Super-Io. L'Es è la parte primitiva, quella dove hanno origine le pulsioni istintuali. Si dice talvolta che l'Es si trova allo stato di natura, in contrasto con le altre parti della psiche che sono molto più sottoposte all'influenza dell'ambiente umano e culturale. Si dice anche che l'Es è una fonte ribollente di energia, che non ha struttura, che rappresenta una riserva di libido. L'Es stimola le altre parti della psiche ad allontanare la sensazione spiacevole causata da un accumulo di energia. Lo scopo è la scarica immediata. Pertanto, ‛psicologia dell'Es' è un'espressione che si usa spesso per indicare quell'insieme di funzioni che sono impulsive, incontrollabili o difficili da controllare. L'Es segue il cosiddetto principio del piacere: lo scopo è il piacere (o la scarica), indipendentemente dai limiti o dalle richieste della morale e della società.

Freud vede il conflitto umano come un conflitto tra l'Es che esige un soddisfacimento immediato e le altre parti della psiche che si oppongono a tale soddisfacimento. Prima che egli modificasse la sua teoria generale (topica) e adottasse la cosiddetta teoria strutturale che divide la psiche in tre parti, le funzioni successivamente attribuite all'Es venivano attribuite all'inconscio. Più tardi, Freud giunse a pensare che lo stato inconscio potesse competere non soltanto ai fenomeni dell'Es, ma anche a quelli delle altre due parti della psiche.

L'Es presenta un tipo di organizzazione che Freud chiamò ‛processo primario'. Benché questo processo regoli anche alcune attività dell'Io e del Super-Io, esso prevale specialmente nell'Es. La descrizione del processo primario e la sua separazione dal processo secondario furono fatte per la prima volta da Freud nel cap. VII dell'opera L'interpretazione dei sogni. Ernest Jones ha scritto: ‟Il contributo rivoluzionario di Freud alla psicologia è rappresentato non tanto dalla sua dimostrazione dell'esistenza dell'inconscio e forse nemmeno dall'esplorazione da lui compiuta del suo contenuto, quanto dalla sua affermazione che vi sono due tipi fondamentalmente diversi di processi mentali, che egli chiamò primario e secondario".

Freud fornì la prima descrizione dei due processi e cercò di differenziare le leggi particolari o i principi che regolano il solo processo primario. Egli lo chiamò così perché, secondo lui, esso si verifica più precocemente nello sviluppo ontogenetico, e non perché sia più importante di quello secondario. Anzi, Freud sottolineò il fatto che il processo secondario diventa dominante nell'adulto normale. Inoltre chiari molto bene due dei meccanismi mediante i quali opera il processo primario: i meccanismi dello ‛spostamento' e della ‛condensazione. Vi è spostamento quando un oggetto istintuale o uno scopo istintuale viene sostituito da un altro. Quando le catessi istintuali, da oggetti e scopi diversi, convergono e si fondono, si ha la condensazione. Questi due meccanismi saranno illustrati in riferimento all'analisi dei sogni.

d) I sogni

Secondo Freud, la motivazione e il contenuto onirici derivano dall'inconscio, generalmente dall'Es. Il suo libro L'interpretazione dei sogni è considerato un classico di tutti i tempi e senza alcun dubbio la sua opera più importante. Alcuni critici ritengono che la massima parte delle più importanti scoperte di Freud si trovi in questo libro, e che gli altri suoi scritti siano tentativi spesso infruttuosi di integrare i contributi rivoluzionari di quest'opera con una teoria psichica globale. Freud stesso affermò che quel suo lavoro rappresentava ciò che soltanto una volta nella vita una mente può concepire in modo creativo.

Secondo la teoria psicanalitica il sogno ha due contenuti: quello manifesto, o cosciente, e quello latente, o inconscio. Il sognatore vive il sogno al suo livello manifesto. Per esempio, se nel sogno vede un serpente, egli reagisce come farebbe di fronte a un serpente vero. Uno degli obiettivi della psicanalisi è di interpretare il sogno, vale a dire di scoprirne il significato latente o inconscio. Il nucleo originale del sogno è un desiderio infantile che esperienze successive hanno reso difficile da accettare. Il sogno rappresenta anche una richiesta fatta dall'Es del sognatore, richiesta che è rimasta insoddisfatta. Almeno una parte del sogno consiste nei cosiddetti residui diurni: il nucleo originario viene influenzato e modificato da impressioni e conflitti di origine recente.

Il ‛lavoro onirico' è l'insieme dei meccanismi attraverso i quali il desiderio inconscio, o il contenuto onirico latente, viene trasformato nel contenuto onirico manifesto, che è ciò che il sognatore percepisce. Per esempio, il desiderio di una donna di avere un pene può trasformarsi in un sogno in cui essa possiede un bastone. Nello stesso momento in cui la donna è felice di possedere il bastone (pene) essa non si punisce per aver desiderato un pene. In altre parole, secondo Freud, esiste un ‛censore' che inibisce, limita e neutralizza le forze istintuali che cercano soddisfacimento. In tal modo il lavoro onirico determina delle distorsioni oniriche. Il contenuto latente non è più riconoscibile da parte del sognatore. Se il sognatore si sottopone a un trattamento psicanalitico, finirà col diventare capace, con l'aiuto del suo analista, di comprendere il significato latente dei suoi sogni, vale a dire dei suoi desideri segreti, nascosti non soltanto agli altri ma anche a lui stesso. Secondo Freud, tutti i sogni sono dei tentativi di ottenere la realizzazione di un desiderio. Alcuni sogni, per esempio gli incubi, non sembrano realizzazioni di desideri perché il lavoro onirico ha trasformato il loro contenuto in un contenuto spiacevole. Altri sogni rappresentano dei tentativi di risolvere dei conflitti aventi origine in diverse parti della psiche, e risultano spiacevoli proprio nella misura in cui comportano dei conflitti. Il lavoro onirico è paragonabile all'elaborazione di un codice segreto che nasconde i significati reali. Ciò che appare nel sogno è pertanto simbolico, vale a dire sta al posto di un'altra cosa, così come i sintomi dei pazienti nevrotici stanno al posto di un'altra cosa che è stata rimossa.

L'interpretazione dei sogni consiste quindi nella comprensione dei simboli, dei meccanismi di distorsione e di rimozione e nella scoperta della motivazione inconscia. La motivazione inconscia nello studio dei sogni, così come nelle psiconevrosi, resta il tema più importante della psicanalisi. Come si è già accennato, i meccanismi dello spostamento e della condensazione vengono molto usati nel lavoro onirico. Per esempio, lo scopo e l'oggetto originari, un pene, vengono spostati su un bastone.

Secondo Freud, alcuni simboli sono universali, come la casa, che simboleggia il corpo umano, generalmente quello femminile. L'universalità di alcuni simboli può far pensare che l'inconscio contenga un'eredità comune derivata dal passato della specie. Benché Freud, in alcuni periodi della sua vita, sia sembrato favorevole a questa opinione, che trasse probabilmente da Jung, egli non la sostenne mai con convinzione. Ciò che invece egli affermò ripetutamente fu l'aspetto protettivo del sogno e del lavoro onirico. I desideri e i conflitti inconsci terrebbero sveglio il soggetto o ne interromperebbero il sonno, se non fossero mascherati dal lavoro onirico. Quando i sogni non sono sufficientemente deformati il sognatore si sveglia.

e) L'Io e le difese

L'Io è quella parte della psiche i cui compiti principali sono l'autoconservazione, l'adattamento alla realtà e i rapporti col mondo esterno. Esso è il grande mediatore fra le richieste istintuali cui bisogna opporre resistenza e le esigenze dell'ambiente. Benché l'Io abbia sempre avuto una funzione molto importante nel sistema teorico freudiano, esso ha svolto un ruolo piuttosto secondario nelle applicazioni e negli studi clinici di Freud. I contributi da lui dati alla comprensione di questa parte della psiche sono di gran lunga inferiori a quelli da lui dati alla comprensione dell'Es e del Super-Io.

Nei suoi primi lavori Freud mise in evidenza la passività dell'Io in contrapposizione alla natura primitivamente impetuosa dell'Es e alla rigidità del Super-Io, ma non spiegò mai con chiarezza l'importante funzione dell'Io come mediatore nei confronti della realtà. Freud considerava l'Io come uno strato dell'Es che, partendo dalla matrice comune, subisce un'ulteriore differenziazione. Successivamente l'Io acquistò maggiore importanza psicodinamica, quando si studiarono le sue cosiddette difese.

Una delle principali funzioni dell'Io è l'esame di realtà. Esso controlla il contenuto delle sue percezioni e delle sue esperienze psicologiche e lo confronta con la realtà esterna. Altre sue funzioni riguardano la regolazione dell'apparato motorio, il linguaggio, il ragionamento e la capacità d'identificarsi con gli altri. Il bambino si identifica con quelle persone del suo ambiente con le quali ha forti legami affettivi. Egli desidera diventare simile alle persone che ama e talvolta anche a quelle che odia.

Mentre l'Es esige un soddisfacimento immediato secondo il principio del piacere, l'Io fornisce i meccanismi che permettono un soddisfacimento differito, o una scarica differita di energia istintuale. Tale rinvio è reso possibile dall'adozione prevalente (ma non esclusiva) da parte dell'Io del ‛processo secondario'. Mentre Freud ha descritto in dettaglio alcuni dei meccanismi del processo primario, i suoi contributi allo studio del processo secondario sono molto scarsi. Egli presuppone che tale processo segua le modalità di funzionamento della mente sveglia, matura e logica. Quando nel pensiero si usa il processo secondario, si presume che si usi per lo più la logica aristotelica.

Un'altra importante funzione dell'Io è quella di affrontare e comporre il conflitto che, come si è già ricordato nel capitolo introduttivo, svolge una funzione molto importante nella psiche. Esso si rivela prevalentemente attraverso l'angoscia, che è un concetto fondamentale in psicanalisi. Fin dai primi contributi di Freud il conflitto ha sostenuto una parte molto importante non soltanto in psicanalisi ma in tutta la psichiatria. Freud aveva dapprima concepito l'angoscia come un eccesso di energia che non può essere scaricato, per esempio come il risultato del coito interrotto o di altre privazioni sessuali. Nella sua seconda teoria dell'angoscia egli interpretò questo fenomeno psicologico come un segnale di pericolo. Il pericolo si evidenzia nella consapevolezza che un bisogno istintuale non verrà soddisfatto. Nei primi anni della psicanalisi l'angoscia venne messa in rapporto con la paura dei bisogni sessuali, o con l'incapacità di soddisfarli, o con la previsione di una punizione per tali bisogni. Più tardi, l'angoscia venne anche interpretata come ‛angoscia di separazione', ossia come il timore di perdere l'affetto, l'aiuto, l'amore, la compagnia della madre. L'angoscia è una paura che si prova non soltanto in rapporto all'Es ma anche in rapporto al Super-Io e a una punizione prevista. Spetta all'Io costruire delle difese per comporre il conflitto e le sue espressioni di angoscia. La rimozione è forse la più tipica difesa psicanalitica. L'Io allontana dalla coscienza i desideri e le idee riprovevoli e ansiogeni. Ogni volta che il materiale rimosso tende a ritornare alla coscienza, le difese lo fanno tornare allo stato inconscio, e la rimozione può richiedere una grande quantità di energia o controcatessi.

La ‛formazione reattiva' è una difesa che consiste nel fare l'opposto di ciò che la tendenza primitiva spingerebbe a fare. Per esempio, se una persona odia il suo principale, essa diventa estremamente gentile e sollecita nei suoi confronti; se ha forti impulsi sessuali, può diventare esageratamente pudica e vittoriana per essere in grado di respingere o nascondere questi impulsi.

L'‛introiezione' è messa in rapporto dalla psicanalisi classica con la tendenza orale primitiva a inghiottire o incorporare l'oggetto d'amore. L'introiezione avviene assimilando alcune delle caratteristiche dell'oggetto d'amore, come le idee, i sentimenti, le abitudini, ecc. La ‛proiezione' è l'opposto dell'introiezione: è uno ‛sputare fuori' anziché un ‛inghiottire'. A un livello meno primitivo, essa significa attribuire agli altri idee e sentimenti che l'individuo ha e allo stesso tempo rifiuta di avere. Nelle sue forme più accentuate, la proiezione si trova nella paranoia e nella schizofrenia, ma in misura limitata si verifica anche nel nevrotico. L'‛isolamento' è una difesa usata spesso nella psiconevrosi compulsivo-ossessiva. L'affetto viene isolato dall'idea, così che un desiderio o un impulso possono apparire alla coscienza senza l'abituale componente emotiva. La ‛regressione' è un ritorno a livelli precedenti di sviluppo istintuale per sfuggire all'angoscia che insorge ai livelli superiori. La ‛razionalizzazione' consiste nel dare un'apparenza di razionalità o plausibilità a una richiesta irrazionale o riprovevole dell'Es. La ‛negazione' si riferisce generalmente all'impossibilità di percepire la presenza di qualcosa di indesiderabile o pericoloso nel proprio ambiente o in se stessi. L'‛annullamento retroattivo' consiste nel compiere azioni che tendono a neutralizzare desideri pericolosi o azioni precedenti.

La figlia di Freud, Anna, è l'analista che ha più contribuito a chiarire i meccanismi di difesa dell'Io.

f) Il Super-Io e il complesso di Edipo

Il Super-Io è la terza istanza della psiche, che si sviluppa all'età di quattro o cinque anni. Quando i genitori insegnano al bambino ad adottare certe forme di comportamento, specialmente per quanto riguarda l'educazione sfinterica, la pulizia in generale, le abitudini alimentari, ecc., essi sono precursori del Super-Io. I loro ammonimenti e le loro ingiunzioni vengono interiorizzati, così che dopo l'età di quattro anni il bambino comincia a dare a se stesso ordini e contrordini. Ciò che dapprima era paura della punizione e bisogno di amore e di affetto, è ora regolato da un'istanza della psiche, che agirà da coscienza. La formazione del Super-Io viene favorita da ciò che Freud chiamò il ‟complesso di Edipo". Con una certa analogia col personaggio di Edipo nella tragedia di Sofocle, il bambino che ha iniziato la fase fallica dello sviluppo libidico manifesta un attaccamento appassionato alla madre, vuole sposarla, mostra un'intensa rivalità nei confronti del padre e vorrebbe allontanarlo dal letto della madre. La bambina, a sua volta, desidera sposare il padre e prova gelosia per la madre che vorrebbe allontanare e sostituire. I desideri incestuosi e di morte nei confronti del genitore dello stesso sesso emergono come sentimenti e idee fortemente sentiti e temuti. È a questo punto che il bambino prova una grande paura dei genitori punitivi: egli ha paura di essere castrato e la bambina ha paura di perdere l'affetto della madre. La bambina può sentirsi già castrata, e ciò accresce in lei un senso d'inferiorità. Secondo Freud, è in questa fase che il bambino rinuncia al genitore amato come oggetto d'amore. Le figure parentali, cioè gli adulti che impongono le inibizioni e le proibizioni, vengono introiettate ed entrano a far parte del Super-Io.

Le proibizioni morali, o le esortazioni a conformarsi a determinati modelli di comportamento, costituiranno la parte della psiche che svolge approssimativamente le funzioni della coscienza. Si tratta tuttavia di una coscienza dura, severa e spesso irrazionale, perché svolge il ruolo che il bambino (spesso a torto) attribuisce agli adulti che minacciano e puniscono. Anche gli ideali ai quali - secondo il bambino - gli adulti si aspettano ch'egli si adegui, possono essere ideali di perfezione, impossibili da raggiungere. In alcuni stati nevrotici e psicotici si sviluppa un Super-Io crudele che è fonte di molta angoscia, senso di colpa e depressione per il soggetto. Nella teoria freudiana il nucleo della morale è rappresentato dalle reazioni ai desideri incestuosi nei confronti di uno dei genitori e ai desideri di morte nei confronti dell'altro, così come si verificano nella fase del complesso di Edipo.

L'amore e l'odio dei figli per i genitori si sviluppano nell'infanzia. La lotta contro queste intense emozioni dà origine alla coscienza. Il bambino sperimenta minacce e timori anche in rapporto alla masturbazione. Ulteriori identificazioni con figure autoritarie e personaggi mitici o reali contribuiscono in seguito alla formazione di altre parti del Super-Io, ma i conflitti che hanno avuto origine durante il periodo edipico conservano questa importante funzione restrittiva. La coscienza primitiva del Super-Io segue la legge del taglione, occhio per occhio e dente per dente. Le sue caratteristiche vengono riprodotte nella psicologia della folla e alcune di esse possono perfino essere trasmesse geneticamente.

g) Latenza e adolescenza

L'organizzazione del Super-Io viene seguita da un periodo di relativa quiete degli istinti. È il periodo di ‛latenza', caratterizzato da una relativa inattività della sessualità, che dura dall'inizio del sesto anno di vita all'insorgere della pubertà. Durante questo periodo il bambino rimuove i sentimenti incestuosi e aggressivi e si identifica generalmente col genitore dello stesso sesso. L'interesse sessuale scompare quasi completamente: l'amore per i genitori diventa desessualizzato e l'interesse per l'altro sesso è assente o quasi. In generale, i ragazzi preferiscono la compagnia dei ragazzi e le ragazze quella delle ragazze. Con il sopraggiungere della pubertà vi è una recrudescenza dei desideri sessuali e dei conflitti. Le vicissitudini della sessualità e i conflitti insorti in rapporto a essa si manifesteranno secondo le modalità difensive già adottate nella fase edipica. Tuttavia la madre non è più un oggetto sessuale per il ragazzo e il padre non è più un oggetto sessuale per la ragazza, a meno che non permangano delle fissazioni determinatesi in età precedente. Per Freud, l'adolescenza è la fine dello sviluppo.

Le fasi dalla nascita all'adolescenza sono in psicanalisi un derivato concettuale della teoria darwiniana. Vi è in Freud un tentativo, anche se incompleto, d'interpretare l'ontogenesi come una ricapitolazione della filogenesi. Il concetto di regressione o di ritorno a livelli precedenti di sviluppo deriva forse dalle teorie di Hughling Jackson. Il concetto di ‛fissazione' o di arresto a una determinata fase è invece freudiano; per Freud questo arresto è dovuto a una quantità di libido che rimane ‛fissata' a un certo stadio dello sviluppo e predispone il soggetto a ritornare psicologicamente a quello stadio.

h) La terapia

Benché la terapia psicanalitica sia stata più tardi applicata a parecchi disturbi mentali, la sua teoria e i suoi procedimenti tipici rimangono quelli sviluppati in rapporto al trattamento delle psiconevrosi. Lo scopo fondamentale della psicanalisi è l'eliminazione delle rimozioni presenti e specialmente di quelle passate. Con la tecnica psicanalitica i conflitti ritornano alla coscienza e quando il paziente ne diventa consapevole trova delle soluzioni non nevrotiche.

Per riportare alla coscienza tutti gli avvenimenti traumatici, sia quelli precoci sia quelli successivi, Freud all'inizio usava i metodi dell'ipnosi, cui abbiamo già accennato parlando dei suoi primi lavori con Breuer. Scontento di questo metodo, fece dei tentativi con quello che egli chiamava il ‟metodo della concentrazione", che consisteva nello stimolare il paziente a ricordare avvenimenti dimenticati, esercitando una leggera pressione sulla sua fronte. In seguito Freud sviluppò il metodo delle ‛libere associazioni', che è rimasto quello consueto in psicanalisi. Tale metodo mira a richiamare alla coscienza non soltanto ciò che è stato rimosso, ma anche le difese o i meccanismi della rimozione. Ciò che è rimosso non è costituito soltanto da traumi avvenuti veramente nella vita del paziente, ma anche da fantasie inconscie, e a volte è difficile distinguere fre le due cose. Freud fece un'importante correzione delle sue teorie quando si rese conto della confusione fra traumi reali e fantasie. Egli aveva creduto che i suoi pazienti gli descrivessero fatti reali quando gli riferivano di essere stati sedotti dai genitori nell'infanzia, ma più tardi si accorse che essi riferivano delle fantasie. Egli tuttavia non le scartò come materiale privo di senso, anzi il loro studio e la valutazione dei loro significati aprì alla sua ricerca tutto il campo della sessualità infantile (1905).

Il metodo delle libere associazioni esige che il paziente dica all'analista tutto ciò che gli viene in mente senza modificare, sopprimere o selezionare: questa è la ‛regola fondamentale'. Le idee vanno espresse liberamente, anche se appaiono futili, e il paziente non deve fare alcuno sforzo per dirigerle verso un certo scopo, organizzarle o imporre loro una struttura logica. La terapia psicanalitica richiede molte sedute e si protrae talvolta per molti anni, poiché il paziente impiegherà del tempo per dire molte cose che non sono pertinenti ai suoi problemi. Ma in un'atmosfera di ‛alleanza terapeutica', caratterizzata dall'assoluta sincerità del paziente e dall'assoluta riservatezza dell'analista, ha luogo un graduale emergere dapprima di materiale che si trova abitualmente alla periferia della coscienza, e poi di materiale inconscio. Le difese abituali cedono, appaiono i derivati dei conflitti e alla fine si giunge alla conoscenza dei conflitti originari.

Si chiede al paziente di sdraiarsi su un lettino e di mantenere la posizione supina. Il fatto che egli non veda l'analista e non senta in lui un censore lo aiuta a non esercitare una censura su se stesso. Il paziente resta spesso sorpreso da ciò che ricorda e da ciò che può dedurre dai suoi ricordi. Ciò che gli si chiede, tuttavia, non è facile a farsi e ben presto egli scopre di non collaborare pienamente. Ciò non è dovuto a una vera e propria amnesia, poiché tutto ciò che è avvenuto o è stato vissuto psicologicamente ha lasciato una traccia nella sua mente e secondo la psicanalisi può essere riportato alla coscienza. La difficoltà consiste nel fatto che il paziente ‛resiste'. Le resistenze, che si manifestano quando il materiale rimosso minaccia di riemergere, lo mantengono allo stato inconscio.

Un altro fenomeno importante si verifica in terapia: il ‛transfert'. Il paziente trasferisce sull'analista alcuni atteggiamenti, sentimenti, tendenze e comportamenti che un tempo egli ha avuto nei confronti di persone importanti della sua infanzia, generalmente i genitori. Il transfert è pertanto un ripetersi di situazioni o desideri infantili. Finché il paziente vive con l'analista questa situazione, egli si trova in una ‛nevrosi di transfert'. Anche l'analista può sviluppare un sentimento nei confronti del paziente: il ‛controtransfert'. Secondo Freud, l'analista non dovrebbe provare questo sentimento, che vizia la situazione analitica, ma dovrebbe comportarsi come uno specchio che riflette ciò che il paziente trasmette. Più tardi, S. Ferenczi e molti neofreudiani hanno contestato questa idea di Freud, ritenendo che il controtransfert sia una componente necessaria della terapia analitica. L'analista, tuttavia, è molto più di uno specchio anche nella psicanalisi freudiana classica. Uno dei suoi compiti principali, infatti, è quello d'interpretare. Egli è in grado di ricostruire le esperienze passate del paziente e pertanto di fornire ‛interpretazioni' delle esperienze passate e presenti grazie a tali ricostruzioni. Per esempio, un atteggiamento bizzarro che un paziente ha verso le donne più anziane può essere interpretato come una ripetizione di una situazione edipica che il paziente ha vissuto in passato con la propria madre. Le interpretazioni riguardano anche i sogni che il paziente è invitato a riferire all'analista. Come si è già detto, l'interpretazione dei sogni ha una funzione importante nella terapia.

Le interpretazioni possono dare un senso di sollievo, giacché rendono non più necessarie la resistenza e la rimozione. D'altra parte, esse possono anche indurre angoscia poiché il paziente può dover affrontare dei fatti spiacevoli che lo riguardano. Le interpretazioni devono dunque essere fornite quando egli è capace di tollerare l'angoscia che vi è associata o quando è in grado di utilizzare in modo positivo ciò che ora comprende. Le interpretazioni possono interessare materiale dell'Es, dell'Io e del Super-Io e la situazione di transfert. Secondo la maggior parte degli analisti, la terapia non può essere considerata completa finché non è stato risolto il transfert.

i) Sviluppi della psicanalisi postfreudiana

Fin dai primi tempi della storia della psicanalisi si distinse Karl Abraham, specialmente per il suo lavoro sulla malinconia. Nel 1912 egli ebbe l'idea originale di confrontare la depressione malinconica con il lutto normale. Entrambi questi stati vengono causati da una perdita subita dal soggetto, ma mentre chi è in lutto s'interessa della persona perduta, il paziente depresso è tormentato da sentimenti di colpa. Egli dirige verso se stesso l'ostilità inconscia che provava per l'oggetto perduto. Abraham fece anche l'ipotesi che vi fosse una regressione a uno stadio pregenitale ambivalente di rapporto oggettuale.

Tra parentesi, possiamo aggiungere che Freud accettò più tardi le idee di Abraham sul rapporto tra il lutto e la malinconia e mise in evidenza che, mentre nel lutto l'oggetto è perduto a causa della morte, nella malinconia vi è una perdita interna, perché la persona perduta è stata incorporata. Il sadismo presente nel rapporto ambivalente è allora diretto contro l'oggetto d'amore incorporato. Questo concetto d'introiezione aiutò Freud a sviluppare il concetto di Super-Io.

Anna Freud diede alcuni tra i più significativi contributi al campo di ricerche del padre, scrivendo un importante studio sulle difese dell'Io, che viene considerato un classico dagli analisti freudiani.

I problemi che riguardano l'Io sono stati recentemente oggetto di notevole interesse, poiché si è osservato che Freud non si era occupato di questa parte della psiche così estesamente come delle altre. Si svilupparono due scuole di psicologia dell'Io. Una fu rappresentata da Paul Federn, che formulò i concetti di confini dell'Io e di sentimento dell'Io e li applicò specialmente allo studio delle psicosi. La scuola di Federn non ha avuto un grande sviluppo: il suo allievo più importante è stato E. Weiss, uno psicanalista di Trieste emigrato negli Stati Uniti quando il governo fascista iniziò in Italia le persecuzioni antisemitiche.

La seconda scuola di psicologia dell'Io ebbe come suo maggiore esponente Heinz Hartmann. Altri autori, come E. Kris, R. Loewenstein, D. Rapaport e O. Klein, hanno dato importanti contributi in questo campo. Tutti questi studiosi hanno compreso che - se le funzioni dell'Io riguardano settori così disparati come la coscienza, le percezioni delle sensazioni e gli affetti, il pensiero, il linguaggio, la memoria, il controllo dell'attività motoria, i meccanismi di difesa, l'esame di realtà e la capacità d'integrare, armonizzare e sintetizzare tutte le funzioni della psiche - l'Io deve essere oggetto di molta più attenzione di quanta gliene abbia dedicata Freud.

Per Hartmann, l'Io non è soltanto un mediatore del conflitto o un verificatore della realtà. Esso ha anche un'importante funzione nell'adattamento e nella soluzione dei problemi dell'individuo. Hartmann vede le funzioni dell'Io come indipendenti dalle spinte motivazionali originali delle pulsioni: esse sono libere da conflitti. Egli vede pertanto l'Io come ‛autonomo'.

Molti lavori della scuola di Hartmann riescono difficili al lettore, poiché si occupano spesso di energetica, quella parte della psicanalisi che studia l'energia libidica. Molti studi riguardano le vicissitudini della libido, ossia le modalità con cui l'Io utilizza la libido che ha origine nell'Es. Uno dei principali concetti di Hartmann è infatti quello di ‛neutralizzazione' della libido. La libido acquisterebbe un carattere di forza indipendente e neutralizzata. Alcuni critici della scuola di Hartmann vedono nel lavoro degli psicologi dell'Io un tentativo d'integrare la teoria freudiana con la psicologia tradizionale o accademica. Tale tentativo è giustificato, perché, come si è detto, la struttura teorica originale di Freud trascura molti aspetti della psiche attribuiti all'Io. Resta il fatto però che uno schema di riferimento concepito specialmente in rapporto alla psicologia dell'Es e al concetto di libido non si presta molto bene a un'integrazione con la psicologia accademica. A questo proposito dobbiamo ricordare che vi sono stati parecchi tentativi non completamente riusciti, per esempio da parte di Odier e di O. Klein, d'integrare la psicologia di Freud con i risultati e le teorie di J. Piaget. Le scuole neofreudiane, che non ritengono che tutti i fenomeni motivazionali abbiano origine nell'Es e siano mediati da un Io non dinamico e libero da conflitti, non devono affrontare queste difficoltà.

Un terzo indirizzo, iniziato da Erik Erikson, si accentra sull'‛epigenesi dell'Io'. Erikson non usa lo stesso linguaggio e lo stesso schema di riferimento teorico del gruppo di Hartmann. Mentre Freud poneva l'accento sullo sviluppo della libido e Hartmann sullo sviluppo autonomo dell'Io, Erikson si occupa dell'Io nel suo rapporto con la società. I suoi studi non si fermano al momento in cui si raggiunge la maturità genitale, ma abbracciano tutto il ciclo della vita. Secondo Erikson, il ciclo vitale si divide in molte fasi, ciascuna delle quali ha un compito evolutivo e mira alla sua soluzione; inoltre non si tratta soltanto di una sequenza di fasi, bensì di una gerarchia: la soluzione di una fase conduce alla successiva.

Erikson sostiene che vi è una coordinazione o ‛reciprocità' fra l'individuo in via di sviluppo e il suo ambiente sociale. Gli adulti che si occupano dell'individuo in via di sviluppo sono rappresentanti della società. Essi possono essere istituzioni e persone specifiche per ogni fase (genitori, scuole, insegnanti, ecc.). Il carattere sociale dell'individuo viene fatto risalire all'incontro con questi rappresentanti. Più che aggiungere strati artificiali alla personalità, la società influenza il modo in cui l'individuo risolve i problemi specifici di ciascuna fase dello sviluppo. Erikson distingue le seguenti otto fasi.

1. La fiducia di base contrapposta alla sfiducia. Questa fase evolve a partire dal livello orale-sensoriale nel primo anno di vita. L'atteggiamento psicosociale di base che il bambino deve apprendere in questo stadio è che egli può avere fiducia nel mondo, rappresentato dalla madre. Il bambino deve avere fiducia che essa tornerà e lo nutrirà, che gli darà il cibo adatto nella quantità dovuta al tempo giusto e che lo metterà a suo agio quando si sentirà a disagio. La sfiducia, che viene anch'essa appresa dal bambino durante questa fase, nasce dal presentimento del pericolo e dall'anticipazione del disagio. Si ha un buon esito del primo stadio quando da un rapporto favorevole fra fiducia e sfiducia deriva la speranza nei confronti della vita.

2. L'autonomia contrapposta alla vergogna e al dubbio. Questa fase corrisponde allo stadio muscolare-anale freudiano. È l'età (due e tre anni) in cui il bambino comincia ad arrossire e può sentirsi imbarazzato quando viene 0sservato. L'autonomia sarà il risultato del superamento dei sentimenti di vergogna e di dubbio.

3. L'iniziativa contrapposta alla colpa. Questa fase corrisponde allo stadio genitale di Freud e inizia all'età di trequattro anni. Mentre Freud in questa età metteva in evidenza soltanto il complesso di Edipo, Erikson studia anche l'acquisizione di un comportamento finalistico o teso a uno scopo. Durante questa fase il bambino si sente colpevole per le fantasie edipiche e le fantasie di onnipotenza.

4. L'industriosità contrapposta al senso di inferiorità. Questa fase corrisponde al periodo di latenza di Freud. È l'epoca in cui il bambino comincia ad andare a scuola e prova il desiderio di imparare e di agire autonomamente, ma può sviluppare un senso d'inadeguatezza e d'inferiorità.

5. L'identità contrapposta alla dispersione dell'identità. Questa fase corrisponde all'adolescenza ed è specialmente in rapporto a essa che Erikson ha dato i suoi più validi contributi. Egli descrive come i valori dell'Io maturati nell'infanzia culminino ora in ciò che egli chiama un senso d'identità dell'Io. Il senso d'identità dell'Io è la fiducia che la propria capacità di mantenere un'identità e continuità interiore trovi una corrispondenza nell'identità e nella continuità di significato che si ha per gli altri. Superando crisi importanti, l'adolescente ha la sensazione che sta sviluppando una personalità ben definita, nell'ambito di una realtà sociale a lui comprensibile. L'incapacità di costruire una identità ben definita determina una sensazione di dispersione dell'identità.

6. L'intimità contrapposta all'isolamento. Questa fase corrisponde ai primi anni dell'età adulta, in cui si sviluppano intensi rapporti affettivi, quali l'amicizia, l'amore, i rapporti sessuali; e la consapevolezza delle proprie risorse interiori. Contrapposto all'intimità è l'isolamento: la tendenza a ripudiare ed, eventualmente, a distruggere.

7. La generatività contrapposta alla stagnazione. Questa fase corrisponde all'età adulta, in cui l'individuo può essere in vari modi produttivo o può stagnare.

8. L'integrità dell'Io contrapposta alla disperazione. Questa fase corrisponde alla vecchiaia. L'integrità è connessa all'accettazione del proprio ciclo vitale come di qualcosa che deve essere. La disperazione è dovuta alla non accettazione del proprio ciclo vitale e alla consapevolezza che manca il tempo per tentare d'iniziare una nuova esistenza.

Erikson è oggi il più noto analista della scuola freudiana negli Stati Uniti e la sua notorietà è crescente. Uno dei suoi allievi, R. Coles, è diventato il suo discepolo più convinto. Molti, che pur riconoscono e accettano il valore dei suoi contributi, mettono in dubbio la sua appartenenza alla scuola classica e ritengono che, sforzandosi di aderire a Freud, Erikson abbia complicato le cose e resa necessaria una doppia terminologia. L'adesione alla teoria generale di Freud ha reso Erikson accettabile alla scuola freudiana ortodossa e ha accresciuto la sua popolarità, ma numerosi analisti lo giudicano più vicino alle scuole neofreudiane.

l) Influssi su altri rami della psichiatria

L'influenza che la psicanalisi ha avuto su tutto il campo della psichiatria è stata immensa. Soltanto le scuole organiciste, che continuano a interpretare i disturbi mentali esclusivamente o prevalentemente come espressione di malattie neurologiche o di disturbi biochimici, minimizzano l'importanza della psicanalisi. Gli psichiatri che studiano il paziente da un punto di vista psicodinamico e longitudinale sono sempre più numerosi. Essi non si limitano ai sintomi attuali, ma studiano tutti gli avvenimenti d'importanza psicologica nella storia del paziente e tutte le forze emotive che hanno portato agli avvenimenti successivi e infine alla sintomatologia manifesta. La maggior parte degli psichiatri attualmente riconosce l'importanza preminente dei primi anni di vita, le conseguenze psicodinamiche dei fattori psicologici, l'aspetto simbolico del comportamento e dei processi mentali, compresi i sogni, l'esistenza di una realtà psicologica interiore, altrettanto importante di quella esterna, il carattere inconscio di una gran parte dei processi mentali, l'esistenza di un rapporto particolare, o transfert, da utilizzare come strumento terapeutico. (V. psichiatria).

'Psicoterapia', dal punto di vista etimologico, significa qualsiasi forma di terapia che utilizzi metodi psicologici (non somatici). La psicanalisi e la terapia esistenziale sono due forme di psicoterapia. Tuttavia, con il nome di psicoterapia o psicoterapia generale, s'intende generalmente una forma di psicoterapia che, oltre all'appoggio e alla persuasione, utilizza vari principi psicodinamici della psicanalisi. La psicoterapia viene attualmente utilizzata da un numero sempre crescente di psichiatri nell'esercizio della professione.

La ‛medicina psicosomatica' è una disciplina di confine tra la psicanalisi e la medicina somatica ed è di derivazione psicanalitica. Freud parlava del ‟salto misterioso" dalla psiche al corpo, cioè dai conflitti psicologici ai disturbi fisiologici e persino anatomici. Mentre nell'isteria i conflitti vengono ‛convertiti' o ‛tradotti' nei sintomi per mezzo di un ‛linguaggio somatico', nella medicina psicosomatica i disturbi fisiologici non hanno necessariamente un significato psicologico ben definito. La medicina psicosomatica descrive il ruolo delle emozioni e dei disadattamenti della personalità nella genesi delle disfunzioni fisiologiche e delle malattie. Le forme che vengono studiate più spesso sono l'ulcera peptica, l'ipertensione essenziale, l'artrite reumatoide, la colite ulcerosa, l'asma bronchiale e l'ipertiroidismo. I conflitti psicologici raggiungono gli organi del corpo attraverso la funzione intermedia del sistema nervoso autonomo. Nella misura in cui la malattia ha una motivazione simbolica inconscia, il suo studio psicosomatico è connesso alla psicanalisi. Tra i pionieri in questo campo sono F. Alexander, F. Dunbar e C. L. Engei. M. F. Reiser ha condotto studi importanti sulla psicologia dei disturbi cardiovascolari.

m) Scambi culturali fra la psicanalisi freudiana e altri campi

La psicanalisi ha esercitato un influsso culturale che trascende di molto il campo della psichiatria. È stato detto che Freud è una delle quattro personalità che hanno avuto la maggior influenza sulla civiltà occidentale negli ultimi cento anni. Le altre tre sono Darwin, Marx e Einstein.

Freud e Finstein si scrissero lettere su argomenti sociopolitici, ma fra i due non si è verificato un concreto e fecondo scambio culturale. Le opere di Darwin esercitarono un forte influsso su Freud, come già abbiamo detto (v. È g). Non sembra che Marx abbia avuto influenza su Freud. Alcuni critici della psicanalisi sostengono che essa rifletta solamente i problemi psicologici della borghesia e sia rimasta un tipo di trattamento adatto, o accessibile, solamente alle classi abbienti. Inoltre, questi stessi critici pensano che, sebbene Freud abbia descritto gli effetti della società sull'individuo secondo lo schema di riferimento del Super-Io come inibitore di istinti antisociali, egli non abbia preso in considerazione gli altri effetti della società sui problemi psicologici degli uomini. Freud ha studiato l'alienazione provocata dai conflitti interiori, ma non quella determinata dalla divisione della società in classi sociali. In effetti, la psicanalisi ha posto l'accento sullo studio dell'individuo, come molti movimenti culturali dal Rinascimento al Romanticismo. Eppure essa ha avuto ripercussioni immense.

Il primo libro di psicanalisi venne pubblicato nel 1895, lo stesso anno in cui ebbe luogo la prima esposizione di opere d'arte moderna (i quadri di Cézanne). Tale coincidenza può essere interpretata come espressione dell'inizio di una nuova era, in cui l'irrazionale non viene più immediatamente rimosso e dimenticato, ma viene accettato come oggetto di studio e di contemplazione, o per lo meno come una dimensione dell'esistenza umana. Freud stesso contribuì all'interpretazione psicanalitica dell'arte con i suoi studi sul Mosè di Michelangelo e su Leonardo da Vinci. Il concetto fondamentale di Freud è che anche nell'arte, come nei sogni, dobbiamo distinguere un contenuto manifesto da uno latente. Il contenuto latente non è accessibile all'osservatore medio e può essere recuperato da studi psicanalitici. Esso si riferisce generalmente a esperienze infantili e a conflitti sessuali. In tal modo Freud potè interpretare alcuni quadri di Leonardo come espressione delle sue tendenze omosessuali e del fatto che egli venne allevato non da una ma da due ‛madri'.

È difficile precisare quanti pittori, scultori e architetti siano stati influenzati direttamente o indirettamente dalla psicanalisi. Sembra certo però che essa abbia determinato anche nell'artista una maggiore tolleranza per i contenuti inconsci e lo abbia aiutato a rendere accessibile alla coscienza e di conseguenza a trasformare in forma artistica materiale psicologico di cui l'individuo una volta aveva paura. Molti critici d'arte (uno dei più illustri è H. Read) sono stati fortemente influenzati dalla psicanalisi.

La letteratura, specialmente nelle forme del romanzo e del teatro, è stata notevolmente influenzata da Freud. Th. Mann ha riconosciuto di aver tratto da lui molte intuizioni sulla natura umana e il suo libro La montagna incantata riflette chiaramente tale influsso. Si possono trovare influssi freudiani in Tenera è la notte di F. Scott Fitzgerald (1934), Arrivo e partenza di A. Koestler (1943) e La coscienza di Zeno di I. Svevo (1924). Tutti i romanzi di Kafka hanno un sapore psicanalitico.

Anche nel teatro troviamo un forte influsso freudiano. Vi sono concetti freudiani in alcuni lavori teatrali e commedie musicali di successo di Broadway, come Lady in the dark di M. Hart (1941). Tra le opere più significative debbono essere ricordati parecchi lavori di E. O'Neill (specialmente Il lutto si addice a Elettra, 1931) e di T. S. Eliot (specialmente The cocktail party, 1950).

Nel campo dell'educazione, la psicanalisi si è unita agli insegnamenti di J. Dewey e M. Montessori nel riorientare i metodi pedagogici. Lo scopo è stato di offrire al bambino un'atmosfera di maggiore libertà e di minore restrizione, nella quale non potesse svilupparsi un Super-Io tanto severo da inibire le tendenze sane della personalità in via di maturazione. Si è propugnato il rispetto dell'individualità e l'accettazione delle diverse velocità di sviluppo nei diversi bambini. La psicanalisi è penetrata anche nel campo della pediatria, specialmente attraverso le opere di B. Spock, del cui libro Il bambino, pubblicato nel 1946 e tradotto in molte lingue, sono state vendute finora 23 milioni di copie.

La psicanalisi ha anche influito molto sulla sociologia, specialmente attraverso le opere di T. Parsons e H. Marcuse. Nella sua interpretazione della famiglia come un sistema sociale, Parsons ha fatto largo uso di concetti derivati da Freud. Secondo Parsons, il primo sistema sociale, costituito dalla madre e dal bambino, si forma durante il periodo della dipendenza orale. Lo stadio successivo, quello della dipendenza dall'amore, corrisponde allo stadio anale di Freud. Nell'interazione diadica che ha luogo in questo piccolo sistema sociale, al bambino, benché dipendente, viene concesso di acquistare una certa autonomia. Parsons accetta e reintegra anche la crisi edipica freudiana, sostenendo che lo sviluppo più importante per il bambino durante il periodo edipico è rappresentato dal passaggio da un sistema a due, costituito dalla madre e dal bambino, a un sistema sociale a quattro, costituito dalla madre, dal padre, dal bambino e da un fratello dell'altro sesso.

Marcuse ha cercato di riconciliare Freud con uno schema di riferimento teorico hegeliano-marxista. Egli sembra accettare il concetto freudiano che vi è un contrasto tra la sessualità e la civiltà e che le realizzazioni culturali si possono ottenere al prezzo della rinuncia sessuale; ma ritiene, tuttavia, che a una repressione di base della sessualità, necessaria per il raggiungimento della civiltà, sia stata aggiunta una ‛repressione addizionale', imposta dalle classi sociali dominanti per i propri scopi. In un ambiente sociale basato sullo sfruttamento, la sessualità viene ridotta alla genitalità. Il resto del corpo umano viene desessualizzato: da oggetto di piacere esso diventa strumento di lavoro, al servizio delle classi dominanti. Come W. Reich, anche Marcuse riconosce a Freud il merito di aver capito l'importanza della sessualità, ma ritiene che non abbia fatto abbastanza per liberare la sessualità repressa. Marcuse reinterpreta anche l'uccisione del padre descritta in Totem e tabù. Mentre Freud pensava che i figli avessero ucciso il padre perché spinti dalla gelosia sessuale e dal desiderio di possedere le sue mogli, Marcuse ritiene che i figli costituissero una forza-lavoro proletaria, sfruttata dal padre capitalista. L'opera più importante di Marcuse che ha riferimento con la psicanalisi è Eros e civiltà, pubblicata nel 1954.

É difficile valutare l'influenza della psicanalisi sulla filosofia. Freud sosteneva di avere un'avversione intellettuale per la filosofia teoretica. Non vi è dubbio che le sue teorie e i suoi concetti più importanti, relativi allo stato inconscio dei processi psicologici, al simbolismo, al determinismo psichico, sollevino molti problemi metafisici che non sono ancora stati sufficientemente studiati dalle principali scuole di filosofia contemporanea.

2. I primi scissionisti

All'inizio degli anni venti parecchi discepoli di Freud si erano staccati dal movimento principale della psicanalisi. Tra questi vanno ricordati W. Stekel, S. Ferenczi (che non ruppe mai completamente con Freud) e W. Reich. Considereremo qui soltanto i tre principali dissidenti: Carl G. Jung, Alfred Adler e Otto Rank.

a) Carl G. Jung

Carl G. Jung nacque a Kesswil (Svizzera) nel 1875, e morì a Küsnacht nel 1961. Iniziò la carriera psichiatrica sotto la guida di Eugen Bleuler al Burghölzli, la clinica psichiatrica dell'Università di Zurigo. Nel 1907 pubblicò La psicologia della demenza precoce, che è rimasta un classico della psichiatria. In questo lavoro Jung applicò alla schizofrenia i concetti fondamentali sui meccanismi mentali illustrati da Freud nella Interpretazione dei sogni. Dal 1907 al 1913 Jung si considerò un allievo di Freud. Nel 1909, anzi, i due fecero assieme un viaggio in America, invitati a tenere delle lezioni alla Clark University. Nel 1913 Jung ruppe ogni rapporto con l'Università di Zurigo, con Freud e con la Società Psicanalitica Internazionale, che egli stesso aveva fondato.

Jung riteneva che Freud desse troppa importanza al sesso e alla sessualità infantile, alla realizzazione dei desideri, agli aspetti negativi dell'inconscio e in generale a ciò che vi è di primitivo nell'uomo. Egli accentuò gli aspetti spirituali dell'essere umano e fu meno influenzato di Freud dall'indirizzo prevalente positivistico-scientifico del sec. XIX. Molti, anzi, hanno considerato Jung molto meno scienziato di Freud e molto più metafisico. Alcuni attribuiscono queste caratteristiche al suo temperamento, altri al suo ambiente familiare e specialmente al fatto che vi erano stati molti influenti teologi protestanti nel ramo materno della sua famiglia. Jung viaggiò molto e si dedicò ad approfonditi studi di culture diverse per individuarne gli elementi e i motivi ricorrenti. Dopo il 1911 egli non si considerò più uno psicanalista e chiamò la sua teoria e la sua terapia ‟psicologia analitica". In realtà, egli prese da Freud parecchi concetti fondamentali, come quelli di libido, di inconscio, di interpretazione dei sogni, ecc., ma diede loro significati e accentuazioni diversi.

Il concetto fondamentale della teoria junghiana è quello di ‛inconscio collettivo'. Mentre Freud parlava quasi esclusivamente di un inconscio personale, comprendente gli effetti delle esperienze della vita, specialmente di quelle dell'infanzia, Jung riteneva insufficiente un'interpretazione ontogenetica dell'inconscio. Egli riteneva che, oltre all'inconscio personale vi sia anche in ogni individuo un inconscio collettivo che custodisce le immagini primordiali depositate come risultato di innumerevoli ripetizioni di situazioni identiche. Questo inconscio collettivo o razziale contiene le credenze e i miti della razza cui l'individuo appartiene, e i suoi livelli più profondi formano l'inconscio universale, comune a tutta l'umanità.

Le immagini primordiali dell'inconscio collettivo sono gli ‛archetipi', cioè delle forme, delle affermazioni, delle verità fondamentali e ricorrenti, che si trovano nelle culture più disparate, indipendentemente dalla geografia e dalla storia. La cultura utilizza l'archetipo, già presente nell'inconscio collettivo, e in una certa misura lo trasforma. L'‛analogo' è un equivalente dell'archetipo, dopo che la cultura ne ha modificato l'aspetto. L'archetipo di Jung, tuttavia, non è semplicemente una struttura formale; esso ha anche un contenuto che viene determinato dall'inconscio collettivo. Gli archetipi ricompaiono come simboli nei sogni. Mentre Freud dava dei sogni un'interpretazione prevalentemente sessuale, per cui, ad esempio, le scatole e le caverne rappresentano gli organi genitali femminili, e le penne, gli ombrelli e i bastoni rappresentano il pene, Jung pose l'accento sui simboli non sessuali. I simboli individuali nella teoria junghiana sono una riproduzione di un archetipo universale: per esempio, il ventre della propria madre rappresenta il ventre archetipico della Grande Madre di tutta l'umanità, il proprio padre è una riproduzione del padre archetipico, e così via.

È pertanto possibile trovare nei concetti fondamentali di Jung una fusione originale di due diverse concezioni basilari: una è la concezione platonica delle idee innate, l'altra è la concezione lamarckiana dell'evoluzione, in base alla quale i mutamenti biologici sono determinati dal ripetersi di fattori ambientali. Secondo Jung, la libido comprende non soltanto la sessualità ma tutta l'energia vitale, una forza vitale che forse corrisponde all'élan vital di Bergson.

La regressione non è necessariamente un fenomeno negativo, in quanto permette il contatto con i livelli più profondi e spirituali della psiche. Mediante la regressione ai livelli arcaici si può raggiungere un adattamento creativo o una nuova combinazione: ‟l'arcaico sostituisce la funzione recente che è fallita". Secondo Jung, il futuro svolge un ruolo più importante del passato nel determinare lo stato psicologico dell'individuo. La psicoterapia junghiana utilizza le libere associazioni, come la psicanalisi freudiana, e mira a mettere il paziente in contatto con l'inconscio collettivo. Gli insegnamenti di Jung hanno avuto ripercussioni sulla teoria estetica, sulla filosofia e sulla psichiatria in generale. Se dovessimo riassumere i suoi contributi in una frase, potremmo dire che, mentre Freud ha esplorato i recessi ‛personali' della psiche che prima erano sconosciuti, Jung ha tentato di esplorare le forze primitive più profonde e ‛impersonali'.

Sia negli Stati Uniti che in Europa si sono formati gruppi di terapisti che esercitano la psicologia analitica, ma sono rimasti in numero limitato. Dopo la seconda guerra mondiale Jung fu criticato per una presunta eccessiva indulgenza verso il regime nazista e per aver nutrito tendenze antisemite. Queste dicerie, che gli junghiani insistono nel dichiarare infondate, possono aver contribuito a limitare la popolarità della concezione junghiana, specialmente negli Stati Uniti. (v. psicologia analitica).

b) Alfred Adler

Alfred Adler nacque a Vienna da famiglia ebraica nel 1870 e morì ad Aberdeen (Scozia) nel 1937. Egli si unì dapprima al gruppo di Freud, ma dopo la pubblicazione del suo libro Studio dell'inferiorità d'organo e della sua compensazione psichica (1907) crebbero le divergenze tra lui e Freud, finché nel 1911 avvenne tra loro una rottura totale. Nel 1912 Adler chiamò la propria scuola ‟psicologia individuale". Dapprima la rottura con Freud non sembrava necessaria, poiché si potevano interpretare i lavori di Adler come contributi alla psicologia dell'Io, ancora compresa nello schema di riferimento più ampio della teoria freudiana. La scissione divenne inevitabile quando ciò che Adler aveva espresso nel suo libro sull'inferiorità d'organo sembrò diventare il punto centrale della sua teoria. Egli, infatti, considerava il senso d'inferiorità (che più tardi, nel 1925, chiamò complesso d'inferiorità) uno degli aspetti fondamentali della vita psicologica.

L'inferiorità può essere causata da un difetto fisico od organico e può determinare diverse compensazioni psicologiche. Talvolta la compensazione è soddisfacente. Per esempio, Demostene, che da ragazzo era balbuziente, educò con l'esercizio il suo modo di parlare e divenne un grande oratore. Napoleone, piccolo di statura, divenne per un certo periodo della storia europea l'autorità politica suprema.

Il difetto fisico o la deformità, tuttavia, non sono le cause uniche o più frequenti dell'inferiorità. Il bambino, soprattutto se non è sufficientemente amato, si sente inferiore, piccolo, indifeso e alla mercé degli altri in un mondo di adulti. Fin dai primi anni di vita il bambino sviluppa la sua strategia, ossia degli atteggiamenti per compensare questo sentimento d'inferiorità. Tali atteggiamenti costituiscono il suo ‛stile di vita'. Il sistema psicologico di Adler è più teleologico e meno deterministico di quello freudiano. In tutte le manifestazioni della vita egli vede una tensione e un orientamento verso uno scopo. Gli scopi principali sono la conquista di un posto di livello elevato nell'ambito sociale, l'aumento dell'autostima e il sentimento di superiorità.

Nel tentativo di superare i sentimenti d'inferiorità l'individuo può ritirarsi nella malattia. Il nevrotico può trovare in questo stato un pretesto per evitare le situazioni che potrebbero rivelare la sua inferiorità. Egli può servirsi del suo stato per esercitare un potere su altre persone disposte a prendersi cura di lui. Molti fenomeni che Freud considerava di natura sessuale vengono interpretati da Adler come tentativi di combattere i sentimenti d'inferiorità.

Secondo Adler, i tre problemi principali della vita sono quello professionale, quello sociale e quello sessuale. I problemi professionali riguardano il lavoro, mentre i problemi sociali riguardano tutte le funzioni umane sviluppate in rapporto agli altri. Nel 1910 Adler coniò l'espressione ‟protesta virile" per indicare la ricerca del potere in un individuo, machio o femmina, che si sente inferiore. Più tardi, l'espressione fu usata soltanto a proposito delle donne che non accettano un ruolo subalterno rispetto agli uomini nella società. Adler non pensava che le donne fossero fisicamente o psicologicamente inferiori agli uomini, come gli scritti di Freud sembrano sottintendere.

Pur dando meno importanza di Freud all'interpretazione dei sogni, anch'egli tuttavia ne fece oggetto di studio. Secondo lui, nei sogni il sognatore cerca di risolvere quei problemi che si sente incapace di affrontare da sveglio. Adler riteneva che le persone coraggiose e ben adattate sognino raramente.

La scuola di Adler non ha mai raggiunto l'importanza di quella freudiana né in Europa né in America. Il significato delle sue prime opere non fu compreso e il suo sistema è stato spesso considerato secondario rispetto a quello freudiano. In realtà, i suoi concetti fondamentali hanno trovato una larga diffusione, senza un riconoscimento esplicito della loro origine. Molte idee espresse più tardi da vari terapisti appartenenti a scuole diverse sono riformulazioni dei concetti fondamentali di Alfred Adler. Molti terapisti attualmente vedono nello sforzo di combattere un sentimento d'inferiorità il problema fondamentale del nevrotico. Questi stessi terapisti non sono propensi a vedere come problema fondamentale un complesso freudiano connesso esclusivamente o principalmente con l'attività sessuale. I figli di Adler, Alexandra e Kurt, hanno continuato negli Stati Uniti l'opera del padre. L'esponente principale, dal punto di vista teoretico, della scuola adleriana è oggi probabilmente Heinz L. Ansbacher.

c) Otto Rank

Otto Rank lavorò per molti anni con Ferenczi, tentando di mettere a punto una forma breve di psicoterapia. Il concetto fondamentale di Rank è quello del trauma della nascita. Egli osservò che molti attacchi d'angoscia sono accompagnati da fenomeni fisiologici simili a quelli che si verificano durante il processo della nascita. Questa osservazione condusse Rank a postulare che le nevrosi hanno origine dal trauma della nascita e non dalla situazione edipica, come sosteneva Freud. Qualunque tipo di separazione, come lo svezzamento (separazione dal seno), la castrazione (separazione dal pene) o la separazione da una persona amata, va ricollegato con la separazione originaria che avviene alla nascita. Connesse con questa angoscia di base sono la ‛paura della vita' e la ‛paura della morte'. Quando l'individuo diventa consapevole delle sue capacità creative e del suo bisogno di affermarsi, può andare incontro alla paura della vita. Se perde la propria individualità e si lascia sommergere dagli altri, va incontro alla paura della morte.

Il nevrotico non accetta le norme della società, come fa la persona normale, nè è capace di affermare la propria personalità, come fa la persona creativa. Il suo timore del conseguente isolamento lo immobilizza. Rank finì per adottare quella che chiamò ‟terapia della volontà", basata sull'‛adattamento attivo' e sul fatto di aiutare il paziente a liberarsi dal senso di colpa provato nell'atto di affermarsi.

3. Le scuole britanniche

Con l'avvento del nazismo, il centro della creatività psicanalitica si spostò dall'Austria, dall'Ungheria e dalla Germania alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti. In Gran Bretagna Anna Freud completò il suo importante lavoro sulle difese dell'Io, al quale abbiamo già fatto riferimento.

Ian Suttie è una significativa personalità di revisore della psicanalisi classica in Inghilterra. Egli criticò l'interpretazione freudiana del rapporto madre-bambino. Secondo lui, tale rapporto è basato sull'amore, non sul sesso. Le gratificazioni che ricava dal contatto con il corpo della madre diventano ben presto superflue per il bambino. Il giuoco, la collaborazione, la competizione e gli interessi culturali diventano dei sostituti del ‟rapporto reciprocamente carezzevole del bambino e della madre". L'intero ambiente sociale prenderà il posto occupato in precedenza dalla madre. Mentre per Freud la civiltà ha un'influenza prevalentemente repressiva sull'individuo, per Suttie la cultura deriva dall'attività ludica, che dà all'individuo un senso di sicurezza e di cameratismo quando la vicinanza della madre diventa meno importante.

Le due scuole britanniche più importanti sono quelle di Melanie Klein e di Douglas Fairbairn.

a) Melanie Klein

Melanie Klein nacque a Vienna nel 1882 e morì a Londra nel 1960. Non poté mai seguire gli studi di medicina, ma s'interessò ben presto di psicanalisi e fece la sua preparazione con S. Ferenczi e K. Abraham. Ella riconobbe sempre il suo debito verso Freud, ma sviluppò ben presto teorie e tecniche proprie. Contrariamente ad Anna Freud, che lavorava con bambini più grandi e applicava loro il metodo dell'analisi degli adulti, la Klein introdusse nuove tecniche per i bambini dai due ai sei anni di età. Ella dava loro dei giocattoli e interpretava i loro giuochi come se fossero libere associazioni verbali. Più tardi estese agli adulti le nuove intuizioni ottenute nel trattamento dei bambini.

La Klein insisteva sulla necessità di non rassicurare il paziente, per quanto angosciato fosse, e di non sottoporlo a tecniche educative nel corso del trattamento. Ella riteneva che a lungo andare questi metodi andassero a scapito del paziente. La Klein pensava anche che l'interpretazione debba riguardare tutto ciò che sembra essere la fonte attuale di angoscia per il paziente, ma considerava i fattori ambientali molto meno importanti di quanto facessero gli altri analisti. Il Super-Io, che secondo la scuola freudiana si sviluppa all'incirca all'età di quattro anni, secondo la Klein ha origine nei primi mesi di vita. La rivalità nei confronti del genitore del medesimo sesso inizia fin dallo stadio orale. Il padre viene interiorizzato come un oggetto che nega il seno al bambino. Durante questi primi mesi, il bambino non fa distinzione fra se stesso e il mondo e divide gli oggetti in due categorie: gli oggetti buoni, che gli procurano piacere, e gli oggetti cattivi, che gli procurano dolore. Il primo e il più importante oggetto del bambino è il seno della madre, fonte di piacere (quando elargisce il nutrimento) o di dolore (quando lo nega).

L'atto biologico della suzione del latte diventa, a livello psicologico, introiezione; l'atto della defecazione diventa, a livello psicologico, proiezione. Due fra i concetti più importanti della Klein sono quelli di posizione schizoparanoide e posizione depressiva. Queste posizioni si susseguono: prima si instaura la schizoparanoide e poi la depressiva. Pertanto, esse sono dapprima delle fasi di sviluppo, ma nella misura in cui restano come meccanismi psicologici fondamentali per tutta la vita dell'individuo, vengono chiamate posizioni.

Nell'ambito della posizione schizoparanoide, il bambino sdoppia l'oggetto seno in un seno buono che lo ama e un seno cattivo che lo odia. Questi sentimenti di amore e odio vengono proiettati sul seno, ma al bambino sembra che vengano dal mondo esterno. Essi vengono interiorizzati, diventano oggetti interni, e di conseguenza il bambino si sente alternativamente amato e attaccato dall'interno. Gli oggetti interni vengono alternativamente riproiettati e reintroiettati. La proiezione degli oggetti cattivi costituisce la posizione persecutoria. All'età di due o tre mesi il bambino si trova al livello di sviluppo orale e l'aggressione assume la forma di fantasie connesse col mordere, lacerare, distruggere. Più tardi il bambino teme che i suoi impulsi avidi e aggressivi abbiano distrutto il seno buono, o perfino la madre e il padre. Egli allora prova una tristezza che ricorda il lutto: è questa la posizione depressiva, che può risultare la crisi più importante del suo sviluppo. Il bambino accetta la responsabilità e vuole riparare; se non riesce in questo intento, può assumere posizioni difensive, come lo stato maniacale, o regredire alla posizione schizoparanoide. La terapia generalmente mira ad analizzare la riesperienza della posizione depressiva e a reintegrare le parti scisse del Sé.

M. Klein diede molta importanza all'invidia arcaica; mentre Freud vedeva il pene come il più importante oggetto d'invidia da parte delle bambine, la Klein considera il seno cone l'oggetto di un'invidia primitiva da parte sia dei bambini che delle bambine: al seno vengono attribuite tutte le buone qualità che mancano al bambino.

La scuola kleiniana ha avuto molti insigni seguaci in Inghilterra, fra cui i più importanti sono S. Isaacs, R. E. Money-Kyrle, H. Segal, D. W. Winnicott e H. Rosenfeld; in Italia ha un sostenitore convinto in F. Fornari; negli Stati Uniti non ha avuto praticamente alcun seguito, mentre domina la scena psicanalitica nell'America del Sud e specialmente in Argentina.

b) Donald Fairbairn

La scuola delle relazioni oggettuali ebbe inizio con gli scritti di Donald Fairbairn, più tardi reinterpretati ed elaborati da Harry Guntrip. Fairbairn prese molto da Freud e da Melanie Klein. Ma mentre Freud si occupava soprattutto della lotta sostenuta dall'Io per cercare di controllare, su intimazione del Super-Io, gli impulsi provenienti dall'Es, Fairbairn vide il principale ostacolo all'evoluzione psicologica nella difficoltà dell'Io a formare relazioni oggettuali. La persona schizoide è incapace di affrontare le relazioni oggettuali e il suo Io subisce una scissione.

Lo sviluppo della personalità individuale avviene attraverso i rapporti oggettuali interpersonali. Secondo Fairbairn non vi è alcuna divisione tra l'energia (Es) e la struttura (Io e Super-Io). Tutto è Io. Buone relazioni oggettuali promuovono uno sviluppo positivo dell'Io e viceversa.

Alla nascita l'Io presenta un'unità che poi subisce una scissione a causa delle esperienze negative precoci nei rapporti oggettuali. L'Io si divide in tre Sub-Io: a) un Io libidico infantile; b) un Io antilibidico infantile; c) l'Io centrale o Sé cosciente. La libido è l'impulso vitale primario verso le relazioni oggettuali ed è necessaria per la crescita dell'Io. L'aggressività è una reazione alla frustrazione e ha uno scopo difensivo.

4. Le scuole neofreudiane americane

Durante e dopo la seconda guerra mondiale si sono sviluppate negli Stati Uniti diverse scuole di psicanalisi generalmente chiamate neofreudiane. I seguaci di queste scuole non considerano i loro sistemi privi di rapporti con la teoria freudiana, come facevano i primi scissionisti, ma al contrario ammettono tutti il loro debito verso Freud. Allo stesso tempo, essi minimizzano o rifiutano una parte della teoria freudiana e rivolgono la loro attenzione ad aspetti della psiche umana che ritengono siano stati sottovalutati o trascurati da Freud.

Queste scuole hanno alcune caratteristiche in comune. Esse rifiutano tutte la teoria della libido di Freud. L'esistenza di un'energia sui generis che sia alla base di tutti i fenomeni mentali sembra loro un'ipotesi superflua: i neurofisiologi non sono riusciti a individuare questa energia, d'altra parte la propagazione dell'impulso nervoso da un neurone all'altro non richiede un'energia speciale e la motivazione, cosciente o inconscia, si può spiegare in termini di ‛affettività' piuttosto che di catessi. Tutti questi autori neofreudiani non credono che lo sviluppo della personalità dipenda da forze istintuali, che la sessualità sia il fattore principale e che la teoria edipica abbia un'applicabilità generale o debba essere interpretata allo stesso modo di Freud.

Un'altra caratteristica che queste scuole hanno in comune è l'importanza data ai fattori socioculturali. Anzi, alcuni dei loro seguaci, ma non tutti, si chiamano culturalisti.

a) L'indirizzo interpersonale di Harry Stack Sullivan

Sullivan nacque negli Stati Uniti nel 1892 e morì improvvisamente a Parigi nel 1949. Mentre Fairbairn parlava di relazioni oggettuali, Sullivan parla di relazioni interpersonali, poiché le relazioni che contano sono quelle con le altre persone, a cominciare da quelle con la propria madre. Secondo Sullivan - che fu molto influenzato dallo psichiatra A. Meyer, dal sociologo G. H. Mead e dall'antropologo E. Sapir - i comportamenti umani si possono dividere in due categorie: quelli necessari per la ricerca della soddisfazione e quelli necessari per la ricerca della sicurezza. I bisogni fondamentali del sonno, del riposo, del mangiare, del bere, di un asilo, del sesso e della vicinanza di un altro corpo, determinano uno stato di tensione. La soddisfazione è l'appagamento di tali bisogni. La sicurezza si basa invece su altri bisogni derivati dai rapporti con le altre persone e con la propria cultura. I modi in cui la persona cerca di soddisfare i propri bisogni si chiamano ‛dinamismi'.

Dapprima il bambino sente per empatia se è accettato o no. L'empatia è una specie di ‛contagio o comunione emotiva' tra il bambino e le persone che si prendono cura di lui. Queste persone importanti, generalmente i genitori, vengono chiamate da Sullivan ‟adulti significativi". I bisogni del bambino evocheranno una reazione di tenerezza nella madre. Mentre le teorie precedenti postulavano nella madre un istinto materno, Sullivan postula che la tenerezza della madre sia suscitata dai bisogni del bambino.

Poiché l'individuo in via di sviluppo richiede delle relazioni interpersonali per soddisfare i suoi bisogni, può essere difficile raggiungere uno stato di sicurezza. Il ‛sistema del Sé' si sviluppa dalle esperienze interpersonali che l'individuo ha con gli altri, le quali avvengono in tre modi. Il primo modo è quello ‛prototassico': l'esperienza è indifferenziata, non essendo divisa in unità o entità separate; gli stati momentanei del tipo prototassico sono per lo più impossibili da formulare e da comunicare. L'esperienza ‛paratassica' è prelogica e ha un significato personale, difficile da condividere. Il modo ‛sintassico' è condiviso dagli altri e può ricevere una ‛validazione consensuale'.

L'angoscia viene generalmente percepita nel modo paratassico. Il bambino può interpretare male ed essere frainteso, con una conseguente diminuzione nella validazione consensuale. Quando il bambino, a causa della sua angoscia, confonde la natura degli stimoli e resta danneggiato, ha luogo la ‛trasformazione malevola'.

L'angoscia è il concetto più importante nel sistema di Sullivan e va interpretata soltanto in un contesto interpersonale. Una quantità modesta di angoscia può essere perfino utile nell'esperienza dell'apprendimento, ma una quantità eccessiva può portare a stati patologici. Il ‛movente del potere' consiste nella capacità di evitare l'angoscia e di mantenere la sensazione della capacità di funzionare.

Il Sé viene concepito da Sullivan come costituito da ‛apprezzamenti riflessi', vale a dire l'atteggiamento degli altri verso il Sé diventa l'atteggiamento dell'individuo verso se stesso. Mentre Freud parlava dell'inconscio, Sullivan preferisce usare i termini ‛disattenzione selettiva' e ‛dissociazione'.

Una psicosi schizofrenica viene interpretata da Sullivan come il ritorno al livello della consapevolezza di contenuti che erano in precedenza dissociati, sicché il dinamismo del Sé non riesce a mantenere il controllo. L'irruzione di materiale dissociato impedisce un modo normale di vivere e suscita nel paziente uno stato di panico.

Lo stile difficile di Sullivan e la sua terminologia personale possono rendere il lettore meno disposto ad accettare le sue intuizioni originali. Nonostante queste difficoltà, il nucleo del suo messaggio è stato compreso. Il suo concetto fondamentale è che si diventa una ‛persona' in virtù dei rapporti con altri esseri umani e non in virtù di pulsioni istintuali innate. Un rapporto soddisfacente con la propria madre è il presupposto di una vita in cui ci si possa realizzare, ma un rapporto alterato nell'infanzia e nell'adolescenza determina delle alterazioni nei rapporti della vita adulta che si manifestano come disturbi psichiatrici. La parte importante della terapia consiste nello scoprire in che modo il paziente è arrivato a essere la persona che è. L'esame delle situazioni attuali porta alla rievocazione delle prime esperienze. Il terapista partecipa attivamente: nella situazione terapeutica egli non è soltanto un osservatore ma anche un partecipante.

Coloro che sono stati influenzati da Sullivan hanno proseguito il suo lavoro pionieristico nell'ambito dello schema di riferimento interpersonale. Essi hanno aperto nuovi campi d'indagine psichiatrica studiando la persona nel contesto sociale in cui la maggior parte dei fenomeni psicologici ha origine, si sviluppa e va incontro a deviazioni. La terapia della famiglia e la terapia di gruppo hanno ricevuto un impulso indiretto al loro sviluppo dal rilievo dato da Sullivan alla dimensione interpersonale. In particolare, lo studio di Th. Lidz sulla famiglia dei pazienti schizofrenici ha rapporti teorici con i concetti fondamentali di Sullivan.

Alcuni psichiatri criticano l'indirizzo esclusivamente sullivaniano. Essi ritengono che, in ciò che sembra la visione più ampia del contesto interpersonale o sociale, dobbiamo evitare accuratamente il pericolo di non rispettare la persona nella sua distinzione dalle altre, nella sua individualità e nella sua autonomia. Queste caratteristiche sono altrettanto importanti quanto quelle che derivano dall'appartenenza a una struttura sociale. Per esempio, sotto l'influenza indiretta della scuola sullivaniana, alcuni autori vanno più in là di Sullivan nell'indirizzo interpersonale e vedono la schizofrenia esclusivamente come un dramma sociale o intrafamiliare. Questi autori trascurano il fatto che il dramma deve essere interiorizzato in modi specificamente anormali affinché determini la schizofrenia.

Sullivan fu il fondatore della Washington School of Psychiatry a Washington e uno dei fondatori del William Alanson White Institute a New York, che è stato il più importante centro d'insegnamento della psicanalisi a indirizzo sullivaniano.

b) L'indirizzo culturale di Erich Fromm

Fromm, insieme a Sullivan, fu uno dei fondatori del William Alanson White Institute e rimase uno dei suoi insegnanti più in vista finché non si trasferì a Città del Messico. Come Sullivan, Fromm non si occupa dell'individuo in se stesso ma nei suoi rapporti col mondo. Mentre Sullivan si interessa soprattutto dei rapporti tra il paziente e le persone che entrano in stretto contatto con lui, specialmente i membri della sua famiglia e quanti appartengono al suo ambiente, Fromm si occupa soprattutto dei rapporti tra l'individuo e la società in generale.

In vari periodi della sua vita Fromm ha subito influenze marxiste, zen-buddiste ed esistenzialiste. Sembra che sia stato influenzato anche da J. Burckhardt, R. H. Tawney e Max Weber. Mentre Freud pensava sostanzialmente che la cultura è fatta dall'uomo, Fromm crede che in larga misura sia la cultura a fare l'uomo: la cultura determina molti bisogni dell'uomo. In Fuga dalla libertà, egli distingue due tipi di libertà: la libertà da (per esempio dalla schiavitù) e la libertà di (per esempio la libertà di vivere, di svilupparsi, di godere la vita). Quando le persone non sono capaci di usare la ‛libertà di', esse rifiutano la ‛libertà da' e possono perfino accettare un regime totalitario come quello nazista. Quando un individuo è incapace di affrontare le dicotomie fondamentali della vita può cercare dei meccanismi di fuga. Le dicotomie fondamentali o esistenziali sono le seguenti: far parte della natura e trascenderla, avere molte potenzialità e non realizzarle. Alcune dicotomie sono soltanto sociali e storiche (per esempio, la fame in mezzo all'abbondanza) e possono essere risolte dagli uomini se essi lo vogliono.

Le dicotomie esistenziali non possono essere risolte, anche se si cerca spesso di negarle con le ideologie o con illusioni, come quella dell'immortalità dell'anima. Mentre Freud vedeva la religione come una nevrosi, Fromm vede la nevrosi come una forma particolare di religione, che ne differisce soprattutto per le sue caratteristiche individuali e non istituzionalizzate.

Quando l'uomo, in mezzo alla sua nevrosi e a una società alienata, cerca di fuggire dalle sue sensazioni d'impotenza e di solitudine, ricorre a quattro meccanismi di fuga: 1) il masochismo morale. La persona è debole e dipendente, si appoggia agli altri, ma maschera il suo stato con un atteggiamento di amore, devozione, collaborazione, lealtà; 2) il sadismo, ovvero il bisogno di sfruttare gli altri o di renderli dipendenti da sé; 3) la distruttività. L'individuo sfugge alla sua sensazione d'impotenza eliminando qualunque termine di confronto. Egli raggiunge questo scopo distruggendo. Il suo atteggiamento viene formulato da Fromm nel modo seguente: ‟Posso sfuggire alla sensazione della mia impotenza nei confronti del mondo esterno distruggendolo"; 4) il conformismo da automa. Il soggetto cerca di eliminare completamente le differenze tra sé e gli altri e modella tutta la sua personalità in conformità con il modello culturale prevalente.

Secondo Fromm, la personalità è il risultato di un ‛temperamento' biologico (classificato in termini ippocratici come collerico, sanguigno, flemmatico e melancolico) e di un ‛carattere' che si forma nell'ambiente familiare. Fromm distingue cinque tipi di carattere: 1) il carattere recettivo. L'individuo si aspetta che tutto gli provenga da fonti esterne; egli accetta passivamente, è dipendente e vuole che ci si prenda cura di lui; 2) il carattere sfruttatore. Questa persona ricorre fondamentalmente a metodi sadici: è aggressiva, ostile, sfrutta gli altri; 3) il carattere accumulatore. Come il carattere anale freudiano, il carattere accumulatore basa la sua sicurezza sull'accumulo e sul risparmio; 4) il carattere mercantile, che basa la sua sicurezza sul conformismo da automa. Costui si socializza adattandosi agli altri, ‛vendendosi': è un prodotto della società moderna; 5) il carattere produttivo, che corrisponde al carattere genitale di Freud. Questa persona è capace di amare gli altri e di essere creativa; per poter amare gli altri deve amare se stessa.

Dal punto di vista terapeutico Fromm non ha elaborato tecniche particolari. Egli ritiene che l'analista debba avere una funzione attiva e interpreta i sogni come espressione delle parti razionali, oltre che di quelle irrazionali, della personalità.

c) L'indirizzo olistico di Karen Horney

La Horney fu uno dei primi analisti a mettere in discussione certi concetti fondamentali di Freud, come la teoria della libido, l'aspetto economico della psicanalisi e la divisione della psiche in Es, Io e Super-Io.

Ella vede l'individuo in uno schema di riferimento olistico, come un'unità chiamata il Sé. In realtà distingue tre tipi di Sé: 1) il ‛Sé reale', che è l'individuo com'è in realtà, così come lo hanno plasmato la vita e tutte le sue esperienze; 2) il ‛Sé vero', ovvero ‟quella forza centrale, comune a tutti gli esseri umani, eppure unica in ciascuno, che è la fonte profonda della crescita. Il nostro Sé vero, quando è forte e attivo, ci permette di prendere decisioni e di assumerne la responsabilità. Esso ci conduce pertanto a una integrazione genuina e a un sano senso d'interezza e di unicità". Il Sé vero è la parte dinamica della personalità, che guida l'individuo nei suoi tentativi di realizzazione di sé; 3) il ‛Sé idealizzato', che corrisponde a un'immagine grandiosa di sé che l'individuo si costruisce e cerca invano di realizzare. Il paziente cerca di adeguarsi alla sua immagine grandiosa fornendo prestazioni al di là delle sue capacità e compiendo grandi sacrifici. Ma l'immagine, per quanto irrazionale, ha un aspetto piacevole ed è difficile da abbandonare. Benché abbia origine da fantasie coscienti, essa diventa poi inconscia e finisce per influire su tutti gli aspetti della personalità. Ciò che l'individuo dovrebbe cercare di realizzare non è il Sé idealizzato ma quello vero. Lo scopo dell'individuo dovrebbe essere la realizzazione di sé, ma l'ostacolo è rappresentato dalla nevrosi.

La nevrosi si trova in un rapporto causale con l'‛angoscia di base', che ha origine nell'infanzia ed è il risultato di atteggiamenti parentali inappropriati, quali il rifiuto, l'ostilità, la preferenza per altri figli, ecc. Per controbilanciare le distorsioni degli atteggiamenti parentali e diminuire l'angoscia di base, il bambino sviluppa tre modalità di mettersi in rapporto con gli altri: l'‛andare verso', l'‛andare contro' e l'‛andare via'.

L'andare verso caratterizza un tipo di personalità che si può descrivere come compiacente, sottomesso, ingraziante, che cerca di essere accettato mostrandosi conciliante con gli altri e aderendo alle loro richieste. L'andare contro caratterizza un tipo di personalità aggressivo, ostile, prepotente. L'andare via caratterizza un tipo di personalità che si distacca e diventa disimpegnato e indifferente.

I tre tipi di personalità determinano diversi modi di vivere, ma non si trovano mai in forma pura. Un tipo prevale, mentre gli altri due restano sullo sfondo. Nel tentativo di realizzare il Sé idealizzato, il paziente fa agli altri delle richieste nevrotiche, non realistiche. Egli si aspetta di essere trattato dagli altri così come lo esigerebbe la grandiosa immagine che ha di sé. Egli fa anche a se stesso delle richieste non plausibili: deve far questo, non deve far quello. Si trova sottoposto a ciò che la Horney chiama ‟la tirannia dei devi"; senonché questi ‛devi' ‟mancano della serietà morale dei veri ideali". Essi comportano l'orgoglio nevrotico, o falso orgoglio: quando tale orgoglio viene offeso, si sente il bisogno di riparare in modo nevrotico, ad esempio con la ritorsione o la vendetta.

Nella ricerca della gloria l'individuo si estrania dal suo Sé reale e da quello vero. Non riuscendo ad adeguarsi alle aspettative del proprio Sé idealizzato, egli finisce con l'odiarsi.

La Horney distingue due tipi di conflitti: a) quello di base, che è un conflitto tra due soluzioni nevrotiche; b) quello centrale, che è un conflitto tra il Sé nevrotico e quello vero. Per risolvere i conflitti di base il nevrotico adotta tre soluzioni principali: l'autoannullamento, l'espansività e la rassegnazione.

Nello schema teorico della Horney il concetto di alienazione ha un'importanza particolare: l'individuo diventa impersonale, estraniato da se stesso, perde la capacità di essere consapevole dei suoi sentimenti genuini e talvolta persino delle sue sensazioni. La Horney vede la terapia soprattutto come un movimento verso la realizzazione di sé. I suoi principali seguaci sono M. Ivimey, H. Kelman, E. Kilpatrick, I. Portnoy e J. Rubins.

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