Protezione civile

Il Libro dell'Anno 2003

Guido Bertolaso

Protezione civile

…tutelare l'integrità della vita,

i beni, gli insediamenti e l'ambiente

(l. 225/92)

Struttura e metodi

della Protezione civile italiana

di Guido Bertolaso

2 giugno

Nella tradizionale parata che si tiene in occasione della Festa della Repubblica lungo la via dei Fori Imperiali a Roma, per la prima volta accanto ai militari sfilano gli uomini e i mezzi dei Corpi e delle organizzazioni che fanno parte del sistema della Protezione civile, definita dal presidente Ciampi "una delle funzioni essenziali dello Stato, che lo Stato deve fornire al cittadino, in termini di prevenzione, di previsione del rischio, di tempestiva attivazione delle misure di urgenza".

Un paese ad alto rischio

L'Italia è un paese straordinario e bellissimo, un'antologia delle bellezze del creato allungata nel Mare Mediterraneo. In pochi altri posti al mondo si ha un susseguirsi così serrato di paesaggi diversi, di ambienti, di climi, di luce, di orizzonti, di culture. Terra stretta, scoscesa, tortuosa, avara di larghe pianure, con la sola eccezione della Valle Padana, lascia vedere ovunque i segni di una antica e intensa presenza dell'uomo, che ha saputo, nel corso dei millenni, insediarsi e convivere con ognuno dei mille piccoli mondi naturali che la compongono. Una presenza spesso saggia e sapiente, misurata e rispettosa, capace di equilibrio con ambienti diversi, anche difficili e scarsamente accoglienti; altre volte, invece, già dai tempi antichi, più aggressiva e rapace.

La bellezza è fragile, delicata, richiede attenzione, garbo e grazia per non essere minacciata e compromessa. Il nostro territorio, così vario e multiforme, non è sfuggito a questo abbinamento affascinante e drammatico. Lo schermo dei nostri panorami mozzafiato cela una gamma di rischi naturali incomparabilmente maggiore di altri territori. Condividiamo con gli altri paesi europei i rischi idrogeologici, dalle alluvioni alle frane, ma siamo l'unico con vaste regioni a ridosso di vulcani attivi, due dei quali, Etna e Stromboli, di recente hanno dato segnali forti della loro vitalità. Un altro, il Vesuvio, è ancora più pericoloso perché sembra dormire. Siamo un paese a elevato rischio sismico: il terremoto accompagna la storia lontana e recente dell'Italia, confine d'Europa verso l'Africa sollecitato dalla deriva dei continenti. Chi vive al centro dell'Europa non conosce lo sgomento della terra che trema, sobbalza, si scuote con violenza e poi ancora si agita in scosse via via decrescenti, fino a un nuovo stato di precario e provvisorio equilibrio. Gli incendi dei boschi sono comuni e frequenti anche altrove, ma è diverso un incendio che divampa su una zona quasi di pianura o sui versanti scoscesi e i dirupi delle nostre montagne.

Tutta l'Italia è costellata di ricordi di antiche tragedie, segni di un equilibrio naturale continuamente rimesso in discussione, che ha sempre sfidato l'ostinazione dell'uomo indisponibile a farsi cacciare, a stare lontano. Pompei ed Ercolano, città sommerse dall'eruzione vulcanica più famosa della storia; Noto, con il suo circondario, diventata capitale del barocco siciliano quando dovette essere ricostruita dopo un terremoto spaventoso e riscoperta nel suo valore quando è stata colpita da un nuovo sisma nel 1990; Civita di Bagnoregio, nell'alto Lazio, magnifico piccolo borgo, gioiello di architettura e di ambiente, abbandonato sul picco di un monte che frana; San Galgano, meravigliosa abbazia gotica aperta verso il cielo, privata delle sue volte a crociera da una scossa tellurica: solo pochi esempi tra le migliaia di testimonianze, tracce e ricordi delle sciagure e dei disastri che hanno accompagnato la nostra storia, aggiungendo il loro carico di dolore e sofferenza alle pestilenze, alle guerre, alle invasioni, alle crisi economiche.

Questa Italia bellissima e fragile, terra delicata, è stata teatro nel 20° secolo di una trasformazione senza precedenti. Uscita dalla Seconda guerra mondiale come paese ancora in gran parte agricolo, ha costruito in cinquant'anni un'economia del tutto diversa: industriale, metropolitana, globalizzata. Un cambiamento profondo realizzato nell'arco di vita di due o tre generazioni, che ha prodotto benessere e ricchezza tali da impedire a chiunque di rimpiangere il passato, ma anche scompensi e nuove sofferenze. Le campagne si sono rapidamente svuotate, le città ingigantite, milioni di famiglie hanno vissuto l'esperienza dell'abbandono della propria terra e del radicamento altrove, ma soprattutto l'intera popolazione si è confrontata con un fenomeno nuovo e mai sperimentato in precedenza su scala così vasta: l'accelerazione del tempo.

Nell'arco di venti o trent'anni, siamo passati dai tempi lenti e costanti dell'economia e del mondo rurale a un ritmo segnato dal 'tempo reale' dell'economia globalizzata, con una fretta, una frenesia, un dinamismo a noi sconosciuti, che non ci hanno permesso di metabolizzare i cambiamenti, di costruire una cultura organica della nuova modernità, di condividerla e socializzarla. Per la prima volta l'esperienza dei padri è diventata del tutto inutile ai figli, che i padri hanno fatto studiare accettando di essere scavalcati e messi da parte dalle nuove generazioni più colte, informate e moderne di loro. Non abbiamo più saputo che farcene della saggezza dei vecchi, dell'esperienza di chi aveva abitato la nostra casa, la nostra terra prima di noi. Ci siamo urbanizzati, spopolando i borghi e i paesi, abbandonando i campi, i boschi, i fiumi, le terre di fatica e di stentata sopravvivenza, affidando all'industrializzazione agricola e ai suoi effetti incisivi e pesanti sul territorio le zone più fertili e ricche. Abbiamo abbracciato con furia un futuro reso facile e confortevole dalle macchine, fidandoci di esse, emulando prima, competendo e sovente vincendo poi con chi, nel mondo, seguiva lo stesso sogno di una felicità resa certa dalla tecnologia. Abbiamo impiantato fabbriche, abbiamo prodotto e consumato a ritmi sempre più accelerati, storditi dall'idea che potesse diventare 'di massa' ciò che nelle generazioni passate era riservato a pochi fortunati. Abbiamo costruito dappertutto, innamorati di ciò che il cemento armato ci consentiva di fare: case, villette, nuovi quartieri, nuovi insediamenti, nuovi capannoni, ovunque vi fosse spazio anche solo sufficiente, in una sorta di insofferenza per ogni limite, ogni segnale di pericolo. Abbiamo vissuto ogni residuo avviso di prudenza e saggezza come un ingiusto impedimento a mettersi al passo, a partecipare al sogno collettivo della felice ricchezza a portata di ognuno. Soltanto pochi anni fa abbiamo cominciato ad accorgerci che per questa ubriacatura collettiva stavamo pagando dei prezzi esorbitanti; che il tempo nuovo della modernità, così serrato e invasivo da non permettere di pensare e riflettere, aveva costi pesanti, lasciava segni e conseguenze. Segni evidenti sul bilancio dello Stato e sul gigantesco debito pubblico accumulato in pochi decenni. Segni celati nel cuore e nella mente delle persone, pagati in stress e sofferenze dei singoli, delle coppie, delle famiglie, delle relazioni sociali, non evidenti all'esterno, privatizzati e nascosti da un atavico senso del pudore e dal disagio di ammettere pene e drammi interiori in un mondo così ansioso di dimenticare fatiche e dolore. Segni visibili sul territorio, rughe profonde sulla bellezza del nostro paese.

Nel giro di nemmeno cinquant'anni siamo diventati uno dei paesi a più alto sviluppo nel mondo, tagliando traguardi di benessere, ricchezza e miglioramento delle condizioni di salute e di qualità della vita impensabili anche solo per i nostri nonni. Tuttavia non siamo riusciti a mantenere, nelle nuove condizioni, un equilibrio accettabile con la natura e l'ambiente, nonostante la crescita di sensibilità e di consapevolezza promossa da singoli testimoni, da movimenti e associazioni e fatta propria da nuove normative, nuove leggi, nuove istituzioni - come il Ministero dell'Ambiente - e soprattutto dall'attenzione crescente di milioni di cittadini. La buona gestione assicurata un tempo dal Genio civile non ha retto alla brusca accelerazione dell'uso e del consumo del territorio, e il progressivo decentramento delle competenze e delle responsabilità ai livelli regionali e comunali non ha dato origine a strutture più capaci, consapevoli e consistenti di quella statale, progressivamente smantellata. Sono perciò cresciuti al di fuori di ogni controllo i rischi industriali, conseguenza dell'avanzamento delle tecnologie costellato di lasciti di sostanze chimiche tossiche e pericolose; nello stesso modo sono aumentati i problemi che ci vengono dall'enorme quantità di metri cubi costruiti ovunque senza tener conto dei rischi preesistenti; quelli aggravati dall'abbandono delle zone più impervie di montagna e collina; quelli creati dalla insofferenza verso le indicazioni di prudenza e consapevolezza che pure non sono mai mancate. Abbiamo costruito in zone sismiche, in aree e territori che erano paludi, nell'alveo di fiumi, sulle coste di montagne da sempre franose. Abbiamo usato tecnologie pesanti, adatte ad altri territori meno densi di rischi, per risparmiare tempo, lavoro, materiali. Abbiamo trattato la natura come una nemica ostile, reagendo a colpi di cemento armato lungo gli argini dei fiumi a ogni segnale di irrequietezza dell'acqua, credendola al contempo infinitamente capace di sopportare e assorbire i cascami e le scorie del nostro operare tecnologico, deviando falde, costruendo sulle coste, abbattendo dune, inquinando sorgenti e pozzi. Creando, in sintesi, nuovi rischi e aumentando la pericolosità di quelli naturali.

Stiamo sperimentando, infine, gli effetti delle mutazioni globali del clima e, alla lista dei rischi che si manifestano nel nostro paese, dobbiamo aggiungere ora, sebbene in forme meno violente che altrove, anche gli uragani, le piogge improvvise, intensissime e violente, le bufere di vento, d'acqua e di grandine. Così abbiamo chiuso il secondo millennio e iniziato il terzo obbligati a prendere atto che la risorsa territorio è esaurita e che nessun angolo del paese è esente da rischi, vecchi o nuovi che siano.

È questo il contesto in cui opera la Protezione civile italiana, uno strumento istituito "al fine di tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi" (art. 1 della l. nr. 225 del 1992, istitutiva del Servizio nazionale della Protezione civile), reso necessario proprio dalla storia che abbiamo raccontato e che, in funzione di questa storia, ha assunto caratteristiche particolari.

La storia della Protezione civile italiana

Dal 1970, anno in cui fu approvata la l. nr. 996 ("Norme sul soccorso e l'assistenza alle popolazioni colpite da calamità-Protezione civile"), la prima ad affrontare in modo organico l'argomento, alla recentissima l. nr. 286 del 2002 ("Interventi urgenti a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali nelle regioni Molise e Sicilia, nonché ulteriori disposizioni in materia di protezione civile"), la Protezione civile italiana ha cambiato radicalmente assetto, assumendo progressivamente la fisionomia particolare che oggi la caratterizza.

Nel 1970 la Protezione civile era ancora intesa come una struttura organizzata per il soccorso immediato delle popolazioni colpite da catastrofi ed eventi calamitosi. Con questo orizzonte, era simile, in quegli anni, a quanto ancora oggi è presente nella maggioranza degli altri paesi europei, che meno di noi hanno dovuto organizzarsi per fronteggiare emergenze così numerose e frequenti. La legge creava un direttore generale della Protezione civile presso il Ministero dell'Interno, individuava competenze riguardanti solo lo Stato centrale - lungo la linea che va dal Ministero dell'Interno al commissario straordinario alla Protezione civile, ai commissari di governo a livello regionale, fino ai prefetti e ai sindaci - e si fondava di fatto sul personale e sulle competenze del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco.

Questo accentramento di competenze non ha retto alla prova dei fatti e di lì a poco ha iniziato a scontrarsi con il nascente regionalismo. L'effettiva capacità di coordinamento, in una situazione di emergenza, di una struttura soltanto statale, organizzata nel Ministero dell'Interno, risultava limitata: più ampie del previsto si sono rivelate, sul campo, le materie da affrontare, le responsabilità da coinvolgere, le energie da mobilitare per giungere a risultati adeguati ai bisogni in tempi accettabili. Soprattutto è risultata non autorevole una struttura ministeriale centralizzata nel mutato clima culturale e politico del paese, che dagli anni Ottanta non ha smesso di cercare nuovi assetti e nuove distribuzioni del potere centrale verso le istituzioni più vicine ai cittadini, le Regioni e i Comuni, in un processo spesso disordinato e confuso, ma chiaro nelle sue linee di tendenza.

Già nel terremoto che colpì il Friuli nel 1976 la Protezione civile iniziò ad assumere una fisionomia propria e diversa, più articolata, soprattutto grazie all'attività di Giuseppe Zamberletti, che della Protezione civile italiana in quegli anni fu animatore e anima, rivestendo i ruoli di commissario straordinario in Friuli, poi di sottosegretario e di ministro. Ma bastò l'esperienza del terremoto in Irpinia, quattro anni dopo - un'area priva di caserme e soldati dell'esercito, che tanto avevano fatto in Friuli - per capire che l'Italia non era ancora attrezzata in modo adeguato. Grandi difficoltà si registrarono soprattutto su due piani diversi: da un lato la scarsità, frammentarietà e parzialità dell'informazione necessaria per organizzare interventi tempestivi ed efficaci, dall'altro l'inadeguatezza del coordinamento affidato al ministro dell'Interno, in evidente difficoltà a organizzare colleghi e pari grado gelosi della propria autonomia.

Una prima soluzione a quest'ultimo problema si ebbe con la l. nr. 400 del 1988, che ha unificato la struttura operativa centrale nel Dipartimento della Protezione civile presso la Presidenza del Consiglio, accogliendo il principio che il coordinamento, se vuole essere efficace, non può essere esercitato inter pares, ma richiede il supporto di una posizione funzionalmente sovraordinata. Questo passaggio suscitò reazioni contrarie e diffusi malumori. Si tentò di limitarli affidando la responsabilità della Protezione civile, incardinata tra i dipartimenti della Presidenza del Consiglio, prima a un ministro senza portafoglio, poi a un sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, poi al ministro dell'Interno come delegato del presidente del Consiglio, poi ancora a un sottosegretario delegato dal ministro dell'Interno. Solo nel 2002 il sistema ha finalmente acquisito un'organizzazione coerente: il presidente del Consiglio ha assunto direttamente la responsabilità della Protezione civile e si avvale del Dipartimento della Protezione civile, al cui capo sono attribuiti i poteri di commissario delegato nel momento stesso in cui si verifichi un evento calamitoso di grandi dimensioni; sulla base di questi poteri il capo del Dipartimento dispone, con l'autorità necessaria, in funzione di un effettivo, indiscusso e perciò efficace coordinamento.

La soluzione del primo problema emerso con chiarezza durante il terremoto del 1980 e legato alla difficoltà di intervenire con efficacia immediata per la scarsità di informazioni disponibili, si deve all'evidenza dei fatti e all'esperienza sul campo maturata da Zamberletti e dai suoi successori, fino a Franco Barberi, scienziato di fama internazionale, vulcanologo, appassionato prima ancora che operatore di protezione civile. Zamberletti in particolare ha fatto suo il concetto di una protezione civile estesa oltre l'area e il momento del soccorso, che includa precisi compiti in materia di previsione e prevenzione dei rischi e che rappresenti non più una struttura dello Stato centrale ma una funzione da estendere su tutto il territorio. Questa nuova impostazione è stata recepita nella l. nr. 225 del 1992, che ha dato alla Protezione civile italiana le linee della fisionomia che ancora oggi conserva. La Protezione civile diventa così un servizio nazionale a tutto campo per la previsione, la prevenzione e l'emergenza, un sistema articolato che collega il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio con tutte le altre amministrazioni dello Stato, al centro come in periferia, in un reticolo di competenze e di compiti che coprono l'intero paese, trovando nella figura del sindaco il punto di contatto tra il sistema e la popolazione. Tale sistema coinvolge nella Protezione civile sia i Corpi organizzati di cui lo Stato dispone, dai Vigili del fuoco - componente fondamentale - alle Forze armate, dal Corpo forestale alla Croce Rossa, sia direttamente la società civile, che si esprime anche attraverso la comunità scientifica, le imprese pubbliche e private, e soprattutto attraverso la rete sempre meglio organizzata delle organizzazioni di volontariato.

Con la legge del 1992 gli obiettivi del Servizio nazionale risultano definiti in modo preciso a livello sia centrale sia periferico, così come sono ben codificati i quattro settori che costituiscono l'area di attività del sistema - oltre a prevenzione, previsione e soccorso è previsto l'impegno della Protezione civile nel ripristino delle condizioni di normalità -, i gradi di competenza e responsabilità dei livelli centrali e periferici, le procedure di intervento e di coordinamento al loro interno, le possibilità di deroga alle normative vigenti quando l'emergenza impone soluzioni tempestive.

Solitamente, per l'enfasi che viene dedicata dai mezzi di comunicazione di massa al momento della legislazione, è radicata l'idea che l'approvazione di una legge di riforma importante corrisponda al momento in cui i problemi oggetto di tale riforma sono risolti, mentre in realtà un nuovo strumento legislativo è solo l'inizio di un processo che deve portare a risultati concreti nel tempo.

L'attuazione del Servizio nazionale della Protezione civile

Nel corso degli anni Novanta l'attuazione della riforma della Protezione civile, lineare e precisa nell'impostazione di fondo, si è confrontata con le difficoltà di un disegno assai complesso, ambizioso, oggettivamente difficile da organizzare e costruire. Un sistema, per funzionare, deve trovare sinergie positive tra tutti i punti che lo compongono, costruirsi una propria cultura, crearsi un proprio linguaggio, permettere a tutti i soggetti che ne fanno parte di esprimersi e farsi capire dagli altri. Occorre armonizzare logiche, storie, situazioni anche molto differenti tra loro, confrontarsi con la diversità degli interessi, delle abitudini, degli stili di governo e di amministrazione, ma anche con la molteplicità delle sensibilità individuali, dei criteri di valutazione e di giudizio, del senso civico, delle tradizioni, frutto delle tante culture che in Italia convivono e nelle quali si esprime l'attaccamento alla propria terra.

Un impegno difficile, reso spesso drammatico dal fatto che la Protezione civile diventa oggetto dell'attenzione pubblica in casi di calamità, di catastrofi, di eventi che sconvolgono la normalità della vita delle persone e provocano un formidabile impatto emotivo. La luce dei riflettori si accende sulla Protezione civile solo in queste occasioni e l'esame di quanto è stato fatto in precedenza, sul livello di preparazione, di definizione delle procedure, di efficacia e tempestività dell'azione diventa immediato e si svolge sotto gli occhi di tutti. Per questa singolare coincidenza tra visibilità e momenti ad altissima intensità emotiva, gli errori, i ritardi, le sottovalutazioni, i tentativi non riusciti o sbagliati, i casi anche gravi di incapacità gestionale di singoli episodi e vicende che riguardano la Protezione civile sono, a buon diritto, sanzionati in modo severo dal giudizio della pubblica opinione. Nel corso del tempo, nonostante tutto, il sistema della Protezione civile italiana è cresciuto seguendo un trend di potenziamento e di miglioramento delle proprie capacità. Si sono stabiliti metodi e procedure sempre più precisi per affinare le capacità di previsione, per definire in modo più incisivo gli indirizzi e le linee della prevenzione nei vari settori di rischio, si è lavorato molto per migliorare l'efficienza e la tempestività degli interventi e dei soccorsi. La scelta di impostare la Protezione civile come sistema distribuito sul territorio ha pagato e il ruolo di guida del Dipartimento, riconosciuto dalle aree più attive e solide del sistema, ha dato buoni risultati: oggi sono numerose le Regioni ben attrezzate per fronteggiare le situazioni di rischio sul loro territorio, in grado anche, nel caso di emergenze nazionali importanti, di intervenire con tempestività ed efficacia nelle operazioni di soccorso, dando concreta attuazione ai principi di solidarietà e di sussidiarietà.

Progressivamente è migliorata la capacità del sistema di lavorare in rete e si è diffusa a ogni livello la convinzione che ciascuno, per ottenere buoni risultati nel proprio ambito di competenza, deve saper e poter operare in stretta sinergia con tutti gli altri soggetti del sistema. Un contributo formidabile a trasformare il sistema della Protezione civile italiana in una rete sinergica è venuto dal lavoro sui tre fronti principali di impegno: previsione, prevenzione e soccorso.

Sul piano della previsione, sembrano lontanissimi i tempi in cui non esistevano reti di monitoraggio dei fenomeni su scala nazionale, o esistevano piccole reti, circoscritte e incapaci di dialogare tra loro. In occasione del terremoto in Irpinia del 1980 si scoprì che un territorio vasto come il Belgio era monitorato solo da pochissimi sismografi. Le reti di monitoraggio del rischio idraulico erano parziali e scompensate e in alcuni casi affidate a enti diversi, con evidenti ricadute in termini di incomunicabilità e ritardi nella conoscenza dei fenomeni fisici. Oggi per ogni tipo di rischio sono state costruite strumentazioni collegate, protocolli di scambio dei dati e soprattutto reti di scienziati, ricercatori e tecnici della Protezione civile che hanno imparato a capirsi e a dialogare tra loro. Essi hanno definito, grazie anche all'esperienza e alla frequentazione assidua, quali dati raccogliere, come elaborarli e come trasmetterli in funzione delle necessità specifiche della Protezione civile, che richiede scienza applicata e non ricerca pura, velocità di interpretazione dei dati e conclusioni operative in tempi molto diversi da quelli tradizionali. Queste reti operative, realizzate in anni di lavoro, sono composte di strumentazioni e impianti tecnologici ma soprattutto di know how e di un numero crescente di scienziati, tecnici e specialisti che nel tempo hanno partecipato ai lavori della Commissione grandi rischi, dei comitati scientifici organizzati per ogni tipologia di evento calamitoso, degli istituti e dei centri di ricerca che collaborano con il Dipartimento: è grazie a loro che si sono ridotti i tempi necessari per individuare l'epicentro di un sisma, l'area colpita da un evento alluvionale o il percorso di un'onda di piena, perché si dispone di misure e banche dati in continuo aggiornamento. Ciò ha permesso di integrare, tra le possibilità di intervento in caso di calamità, anche l'evacuazione preventiva di un'area a rischio, misura da adottare con le necessarie cautele e prudenze, giacché, sebbene estremamente utile ed efficace, significa imporre alle persone un disagio e una rottura delle abitudini quotidiane. Nel 1994 l'alluvione che colpì il Piemonte causò circa settanta morti. L'alluvione di pari gravità che ha colpito la stessa regione nell'ottobre del 2000 ha fatto registrare soltanto quattro vittime, grazie alle conoscenze ormai acquisite sulle aree a rischio e alla possibilità che ne è derivata di allertare, proteggere e, quando necessario, far spostare la popolazione prima del verificarsi dell'evento. Nel campo del rischio idrogeologico, disponiamo delle prime stazioni di una rete radar che consente non solo di 'fare le previsioni del tempo', ma di produrre, insieme alla rete idrometrica e pluviometrica, i dati necessari per prevedere l'effetto dell'intensità di pioggia su territori sensibili al problema, e quindi prepararsi ad agire in tempo utile. Purtroppo, però, alcuni eventi, come i terremoti, non possono essere previsti e altri, come i fenomeni vulcanici, hanno tempi di previsione brevissimi. In questi casi, la protezione della popolazione e la riduzione del danno dipendono dalla qualità dell'azione di prevenzione realizzata prima del verificarsi della calamità. Di qui l'attenzione posta al problema dell'aggiornamento della carta sismica del nostro paese, sulla base delle informazioni più complete che oggi possediamo sulla pericolosità sismica nelle diverse aree, sulla vulnerabilità degli edifici, sul rischio relativo alla popolazione. L'Ufficio servizio sismico nazionale della Protezione civile lavora a un aggiornamento sistematico dei dati disponibili, alla produzione di carte tematiche e di modelli di previsione sugli effetti di un terremoto in ogni parte della penisola interessata al fenomeno. Questo notevole patrimonio di informazioni e di capacità di elaborazione dei dati ha permesso, nel terremoto in Molise dell'ottobre 2002, di definire l'epicentro entro cinque minuti e di rendere disponibile il modello previsionale per orientare i soccorsi in meno di mezzora. Lo stesso patrimonio informativo sta alla base della revisione delle normativa antisismica, che detta indicazioni per le nuove costruzioni e la messa in sicurezza degli edifici già esistenti nei comuni classificati sismici, rielaborate tenendo conto delle più recenti esperienze. Segue la stessa logica lo sforzo di potenziamento dei sistemi di monitoraggio dei vulcani italiani, non solo l'Etna o lo Stromboli, ma anche Vulcano, i Campi Flegrei, il Vesuvio, con l'obiettivo di avere sotto costante controllo il loro stato e ogni segnale di attività con il massimo anticipo possibile. Il potenziamento della capacità di acquisizione e di elaborazione delle informazioni scientifiche da parte del sistema della Protezione civile ha ricadute positive nell'ambito del soccorso e dell'intervento in caso di emergenza. Abbiamo infatti imparato sul campo che un'efficace azione di soccorso ha l'assoluta necessità di un supporto previsionale specifico, il piano d'emergenza, che individua cosa fare e dove farlo se si verifica un evento calamitoso. Dagli studi finalizzati alla riduzione del rischio derivano un aumento delle conoscenze e la possibilità di definire i programmi di interventi e di opere necessarie a ridurre il rischio. Ma non solo: ne derivano anche le indicazioni per il potenziamento delle reti di monitoraggio e infine i dati necessari a elaborare scenari, cioè ricostruzioni preventive di un possibile evento futuro, distinguendo la condizione di rischio normale - e dunque accettabile - dalla situazione di rischio straordinario, in cui il pericolo per le persone e i beni supera una soglia critica, che richiede interventi precisi e finalizzati. A sua volta il piano di emergenza prende le mosse dagli scenari più probabili e genera indicazioni operative che devono essere note ai soccorritori e alla cittadinanza. Il piano di emergenza definisce le zone sicure dove radunare la popolazione colpita da una calamità, le aree dove costruire i campi di accoglienza, le tipologie di interventi immediati da attuare.

La responsabilità per la definizione dei piani di emergenza è stata attribuita da numerosi provvedimenti normativi alle Regioni e agli enti locali, cioè ai soggetti decentrati del sistema, che meglio possono conoscere la situazione del loro territorio. Il lavoro non è ancora completato, ma occorre riconoscere che si tratta di un impegno gigantesco, che diventa realizzabile, e sostenibile economicamente, solo se suddiviso e parcellizzato tra tutti i soggetti che partecipano al sistema della Protezione civile. Il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio collabora con tutte le amministrazioni locali impegnate in questo sforzo per assistere, aiutare e assicurare standard di qualità adeguati.

Sul piano della capacità di mobilitazione e di organizzazione dei soccorsi, siamo passati dalla improvvisazione generosa e disordinata degli anni Settanta alla costruzione di un metodo di lavoro in emergenza definito in modo rigoroso. L'adozione da parte di tutto il sistema della Protezione civile del metodo Augustus ha permesso, sia al centro sia in periferia del sistema stesso, di disporre di un unico modello organizzativo e operativo. Il metodo Augustus individua con precisione le procedure per una corretta valutazione della dimensione del fenomeno calamitoso e della scala in cui affrontarlo, i soggetti che devono intervenire nei diversi casi, le modalità da seguire nell'azione, le procedure per lo scambio delle informazioni e il coordinamento. È un modello costruito attorno all'idea che il soccorso consista soprattutto nel gestire in modo straordinario le funzioni che assicurano, in condizioni normali, la vivibilità a un territorio e la qualità della vita ai suoi abitanti, per fronteggiare l'emergenza finalizzando sin dal primo istante il lavoro a un rapido ripristino della normalità sconvolta dall'evento. Questo metodo adottato dalla Protezione civile ha consentito al sistema di avere un suo linguaggio, condiviso da chiunque vi partecipi, dal capo del Dipartimento al vigile del fuoco, fino al singolo volontario. Tutti sanno come funziona una sala operativa e chi deve esserci dentro, come si prendono le decisioni e chi deve attuarle e in quali modi. Il linguaggio comune e la condivisione di un unico schema operativo sempre valido non bastano tuttavia ad assicurare l'efficacia dei soccorsi. Abbiamo imparato dall'esperienza a dare grande importanza alla formazione, per assicurare che tutti i protagonisti del soccorso siano adeguatamente preparati, e alle esercitazioni, per passare da una preparazione teorica alla sperimentazione diretta delle diverse situazioni di emergenza. Ci siamo impegnati nel potenziamento dei mezzi a disposizione per la Protezione civile; senza mezzi e strumenti adeguati alle necessità non si opera con efficacia: gli interventi del sistema sarebbero spesso solo velleitari se mancassero elicotteri, aerei, strumentazioni tecniche sofisticate, impianti di trasmissione, ma anche i materiali necessari alle prime assistenze alla popolazione colpita. Soprattutto abbiamo imparato che il sistema della Protezione civile, in caso di emergenza, si trasforma in una 'macchina per i soccorsi' e come qualsiasi macchina funziona al meglio solo se a pilotarla vi è personale esperto, collaudato, sicuro. È questa la ragione per cui, in occasione degli ultimi eventi, dall'eruzione dell'Etna in poi, sono giunti sul luogo dell'emergenza non solo il capo del Dipartimento della Protezione civile, ma anche i dirigenti del Dipartimento stesso, che sono poi rimasti sul posto per mesi, continuando dall'Etna, così come da San Giuliano oppure da Stromboli anche il loro lavoro ordinario, mettendo a punto un metodo basato sulla capacità di collaborare, di cooperare, di valorizzare tutte le risorse disponibili, di dialogare, di decidere in fretta e altrettanto rapidamente mettere in atto le decisioni prese.

Solo grazie a queste modalità di azione il sistema è riuscito a rafforzarsi, pur vedendo cambiare in modo straordinario i soggetti a disposizione: se in Friuli nel 1976 la maggior parte dell'impegno di soccorso venne assolto dai giovani di leva dell'Esercito e dai mezzi forniti dalle Forze armate, oggi le risorse disponibili e pronte a intervenire sono costituite per il 50% dalle organizzazioni del volontariato della Protezione civile, per il 25% dai Vigili del fuoco, per un 10% circa da personale facente parte delle autonomie regionali e locali delle zone colpite e solo per un 10% da militari delle tre armi, oltre a un 5% di uomini delle Forze dell'ordine. Il volontariato è diventato, negli anni, una delle risorse strategiche per la capacità di intervento della Protezione civile, un punto di snodo del sistema che ha saputo, grazie alla formula associativa, coniugare la disponibilità personale e la generosità dei singoli con l'esigenza di sapere in anticipo su quali risorse contare, di mobilitare in tempi certi le forze da impiegare, di lavorare con persone preparate e capaci di svolgere al meglio il compito loro assegnato. Abbiamo saputo fare buon uso, nel corso degli anni, della generosità, della disponibilità e delle capacità di aiuto gratuito e solidale rivelatesi una risorsa straordinaria già con i giovani che, numerosissimi, l'alluvione del 1966 in Trentino e a Firenze trasformò in 'angeli del fango' per sottrarre all'acqua, senza distinzione, i poveri beni di migliaia di famiglie colpite e i beni eccelsi di un patrimonio di cultura e arte unico al mondo. Da allora molte associazioni sono sorte, si sono rafforzate, hanno seguito con entusiasmo e partecipazione tutte le fasi di creazione e consolidamento del sistema nazionale della Protezione civile, adeguandosi con grande flessibilità al decentramento del sistema e dimostrandosi capaci di organizzarsi e prepararsi al pari dei professionisti. I volontari sono riusciti in questo modo a imporre l'indispensabilità del loro ruolo e della loro presenza, non accampando pretesi diritti ma dimostrando concretamente nei fatti, in ogni emergenza, da quelle locali a quelle più gravi che hanno coinvolto l'intero paese, la loro importanza.

L'ultimo impegno della Protezione civile, quello della responsabilità, in collaborazione con le autorità delle zone colpite, per il rientro a condizioni di normalità, è stato sempre giudicato un aspetto meno importante e incisivo degli altri, generando spesso l'idea che la revoca dello stato di emergenza rappresenti un atto negativo, un chiudere un canale di accesso a risorse economiche straordinarie e aggiuntive. Al contrario, oggi riteniamo che la rapidità per il ripristino di condizioni normali per le popolazioni colpite da calamità di ogni tipo debba essere assicurata come parte integrante degli interventi di Protezione civile. Il Dipartimento si sta organizzando a questo fine con comitati detti di 'rientro', che accompagnino ogni evento con un'attenta attività di monitoraggio, di supporto e di indirizzo, se necessario, delle attività che le autorità locali devono programmare e realizzare per riportare alla condizione abituale, nella misura del possibile, il territorio che governano e il tenore di vita della popolazione, con l'obiettivo di ridurre al minimo necessario la situazione di emergenza.

Nel prossimo futuro, il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio e tutto il sistema nazionale saranno impegnati a investire di più per completare le reti di monitoraggio e i sistemi informativi, fino alla realizzazione completa di ventuno centri funzionali che, presso il Dipartimento e in ogni regione italiana, saranno collegati in un circuito informativo permanente, per potenziare ulteriormente la capacità di intervento in emergenza e per razionalizzare al massimo l'uso dei mezzi tecnici, delle risorse economiche e umane disponibili. Il modello che abbiamo realizzato e attuato per costruire un sistema di protezione efficace ha dato buona prova, coniugando la capacità di intervento con un crescente rigore amministrativo e con un costante lavoro di affinamento delle norme, delle regole e delle procedure, solo in parte reso pubblico da ordinanze, decreti e circolari sempre più numerosi. Un lavoro non appariscente, seguito solo dagli addetti ai lavori, che rappresenta però una componente essenziale nell'impegno della Protezione civile la quale resta, nonostante la sua atipicità, una pubblica amministrazione, giustamente soggetta a regole, procedure e controlli.

L'affidabilità raggiunta dalla Protezione civile ha indotto il governo ad assegnarle compiti nuovi, come la gestione dei cosiddetti grandi eventi, che null'altro sono, sul piano operativo, se non situazioni particolari e temporanee che generano una pressione abnorme sulle condizioni normali di una città o di un'area, per la quantità inusuale di persone coinvolte o per le condizioni della loro presenza, e richiedono dunque di essere gestite con le stesse modalità di una qualsiasi altra situazione di rischio. Si apre quindi una stagione che, prevedibilmente, vedrà crescere la domanda di intervento rivolta al sistema della Protezione civile. Se da un lato nulla consente di sperare in una miracolistica riduzione dei rischi già noti che minacciano la popolazione e il territorio, dall'altro constatiamo che la storia contemporanea moltiplica la probabilità di insorgenza di altri pericoli, come quelli che possono derivare da atti di terrorismo internazionale. Di fronte a questi pericoli si conta sul metodo sperimentato dal Dipartimento e da tutto il sistema della Protezione civile: studiare i rischi, individuare i sistemi di monitoraggio, elaborare scenari e modelli, costruire procedure, indicazioni, sistemi di allerta, modalità operative, distribuirli e farli circolare in rete, prevedere, prevenire, prepararsi ad agire coordinando l'azione di tutte le istituzioni del paese.

Una sfida continua, che assorbe energie, richiede professionalità, investimenti, cultura, grandi fatiche, molto amore per le persone e per il nostro paese e una logica di fondo diversa dalle mode contemporanee indotte dalla società dell'immagine, dell'apparire, dell'essere visibili: il sogno di chiunque lavori al Servizio nazionale della Protezione civile è quello di essere talmente efficace da non essere notato, talmente bravo a prevenire da non attrarre mai su di sé l'attenzione, in un omaggio appassionato all'efficienza messa al servizio della semplice normalità della vita quotidiana di ciascuno di noi.

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I fondamenti normativi della Protezione civile italiana

Pur essendo riconosciuto che tra i compiti della pubblica amministrazione attinenti a finalità di conservazione rientra la salvaguardia della pubblica incolumità e che in proposito hanno particolare rilevanza tutte le attività preordinate alla prevenzione delle pubbliche calamità e all'adozione delle misure necessarie a eliminarne gli effetti, a lungo le disposizioni legislative che disciplinano tali attività sono rimaste prive del carattere dell'organicità, essendo contenute in leggi di portata più generale. Con la l. 8 dicembre 1970, nr. 996, vi è un tentativo di normativa unitaria, ma indirizzata soltanto al soccorso e all'assistenza alla popolazione. La materia trova la sua prima regolamentazione organica soltanto con la l. 24 febbraio 1992, nr. 225, istitutiva del Servizio nazionale della Protezione civile. L'art. 1 dispone che il presidente del Consiglio, o per sua delega il ministro per il coordinamento della Protezione civile, promuova e coordini le attività delle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, degli enti pubblici nazionali e territoriali e di ogni altra istituzione e organizzazione pubblica e privata. La struttura adibita allo svolgimento delle attività indicate è il Dipartimento della Protezione civile, istituito nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 21 della l. 23 agosto 1988, nr. 400. La legge fissa inoltre la tipologia degli interventi di competenza della Protezione civile e istituisce un Consiglio nazionale della Protezione civile e una Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi. Il coordinamento degli interventi spetta al Comitato operativo in cui sono rappresentati le amministrazioni e gli enti interessati. La legge riserva al Consiglio dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio o, su sua delega, del ministro per il coordinamento della Protezione civile, la dichiarazione dello stato di emergenza e riconosce al presidente del Consiglio o al ministro il potere di emanare ordinanze in deroga alla normativa vigente. Il Servizio nazionale della Protezione civile, con una innovazione significativa, assicura la più ampia partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni di volontariato all'attività di previsione, prevenzione e soccorso, in vista o in occasione di calamità naturali, catastrofi e altri eventi straordinari. Successivamente, in attuazione della delega contenuta nella l. 15 marzo 1997, nr. 59, il d.lgs. 30 luglio 1999, nr. 300, nel riformare l'organizzazione del governo, istituisce l'Agenzia di Protezione civile, attribuendo a essa i compiti già svolti dal Dipartimento della Protezione civile e dal Servizio sismico nazionale. Il primo governo della XIV legislatura, con d.l. 7 settembre 2001, nr. 343, convertito nella l. 9 novembre 2001, nr. 401, dispone la soppressione della istituenda Agenzia di Protezione civile e abroga tutte le disposizioni del d.lgs. nr. 300 del 1999 che a essa fanno riferimento, confermando relativi compiti e funzioni al Dipartimento della Protezione civile istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il medesimo d.l. attribuisce anche al presidente del Consiglio (come si verifica nell'attuale governo), oppure al ministro dell'Interno da lui delegato, il compito di determinare le politiche di protezione civile, affidandogli i poteri di ordinanza in materia, e il compito di coordinare e promuovere le attività delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, degli enti pubblici nazionali e territoriali e di ogni altra istituzione e organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale, finalizzate alla tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi o da altri grandi eventi che determinano gravi situazioni di rischio. Il d.l. fa in ogni caso salve le previsione del d.lgs. 31 marzo 1998, nr. 112, con il quale sono trasferiti alle Regioni e agli enti locali compiti e funzioni amministrativi, anche in materia di protezione civile. In particolare, in base all'art. 107 del d.lgs. nr. 112 del 1998, spettano allo Stato, oltre ai citati compiti attribuiti al presidente del Consiglio, quelli relativi alla deliberazione e alla revoca, d'intesa con le Regioni interessate, dello stato di emergenza al verificarsi degli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lettera c, della l. 24 febbraio 1992, nr. 225 (calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari); all'emanazione, sempre d'intesa con le Regioni interessate, di ordinanze per l'attuazione di interventi di emergenza, per evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o cose; inoltre, alle funzioni operative riguardanti gli indirizzi per la predisposizione e l'attuazione dei programmi di previsione e prevenzione in relazione alle varie ipotesi di rischio, la predisposizione dei piani di emergenza, il soccorso tecnico urgente, la prevenzione e lo spegnimento degli incendi e lo spegnimento con i mezzi aerei degli incendi boschivi. Alle Regioni, alle Province e ai Comuni spettano, ai sensi dell'art. 108 del d.lgs. nr. 112 del 1998, i compiti non attribuiti allo Stato, sulla base dell'ambito territoriale coinvolto nell'evento calamitoso o nell'emergenza. Per assicurare il coordinamento tra lo Stato e le Regioni in materia, il d.l. nr. 343 del 2001, convertito dalla l. nr. 401 del 2001, ha previsto l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un comitato paritetico Stato-Regioni-enti locali, nel cui ambito la conferenza unificata designa i propri rappresentanti. Sempre nel quadro della Presidenza del Consiglio operano il Servizio sismico nazionale, la Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi e il Comitato operativo della Protezione civile. La Commissione nazionale svolge attività consultiva di tipo tecnico-scientifico; il Comitato operativo assicura la direzione unitaria e il coordinamento delle attività di emergenza, stabilendo gli interventi di amministrazioni ed enti interessati al soccorso. Al Dipartimento della Protezione civile è anche affidato il compito di promuovere l'esecuzione di periodiche esercitazioni e l'attività di informazione alle popolazioni interessate, l'attività tecnico-operativa volta ad assicurare i primi interventi effettuati in concorso con le Regioni e da queste in raccordo con i prefetti e con i Comitati provinciali di Protezione civile. Particolare rilievo in materia di protezione civile hanno poi le organizzazioni di volontariato, il cui intervento è disciplinato dal d.p.r. 8 febbraio 2001, nr. 194.

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La struttura della Protezione civile in altri paesi

Anche se l'organizzazione della Protezione civile fuori dall'Italia presenta consistenti differenze da paese a paese, in generale essa può essere ricondotta a due modelli fondamentali: nel primo è gestita direttamente dal governo (per es. in Francia, Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi, Grecia), mentre nel secondo i poteri sono concentrati nell'ambito delle autonomie locali (per es. in Danimarca, Irlanda, Gran Bretagna, Svizzera).

In Belgio il coordinamento è svolto dal governatore della provincia e solo in casi più gravi interviene il governo attraverso il Ministero dell'Interno e altri ministeri; è previsto anche l'intervento dell'esercito. In Francia a livello centrale la Protezione civile è assicurata dal Ministero dell'Interno, mentre a livello periferico è svolta dai prefetti; essa si fonda sull'azione dei Vigili del fuoco e dell'esercito. In Gran Bretagna le competenze primarie sono affidate alle autorità locali cui spetta il compito di preparare i piani d'intervento e coordinare i soccorsi, ricorrendo alla partecipazione del governo soltanto in casi eccezionali; largo spazio viene dato al volontariato reclutato presso centri operativi locali. In Norvegia non esiste uno specifico organismo di Protezione civile e in caso di calamità le operazioni sono dirette dal Ministero della Giustizia e dalla polizia. In Portogallo l'autorità centrale di Protezione civile è il primo ministro che affida i compiti al ministro dell'Interno; le strutture permanenti di Protezione civile sono i pompieri e la polizia, mentre in casi particolari interviene anche l'esercito; l'azione delle autorità locali è supportata da un centro operativo istituito al momento dell'emergenza. In Svizzera la Protezione civile è essenzialmente intesa come protezione della popolazione in caso di guerra; in condizioni ordinarie le attività di protezione civile vengono svolte direttamente dalla popolazione. Il servizio di Protezione civile è obbligatorio per gli uomini di età compresa tra i 20 e i 60 anni che non prestano il servizio militare; inoltre, tutti i cittadini dopo i 16 anni possono svolgere le funzioni di volontariato. Negli USA gli organi di Protezione civile sono presieduti dal presidente degli Stati Uniti e dai governatori dei singoli Stati: al primo competono il coordinamento degli interventi e la predisposizione di piani generali contro le calamità, oltre all'azione di controllo sui governatori affinché predispongano le strutture adatte; è da notare che l'organizzazione della protezione civile non prevede l'intervento delle forze armate. In Cina il governo predispone i piani di prevenzione che vengono attuati dai ministri competenti con la collaborazione delle autonomie locali; in particolare i Comuni hanno la funzione di stimolare la partecipazione dei cittadini alle operazioni di soccorso.

In Giappone l'organismo centrale è a livello ministeriale e le operazioni di soccorso si fondano su una struttura specializzata alla quale concorrono tutti gli enti pubblici e privati, le forze armate e il volontariato.

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L'Unione Europea e la Protezione civile

Il 19 dicembre 1997 la Comunità Europea ha istituito un primo piano d'azione comunitario a favore della Protezione civile, con l'obiettivo di creare un programma volto a promuovere la cooperazione tra gli Stati membri in questo settore. Questo primo progetto era destinato agli anni 1998 e 1999; il 9 dicembre 1999 è stato messo a punto un secondo programma d'azione comunitario, per il periodo dal gennaio 2000 al dicembre 2004, per sostenere gli Stati membri nella prevenzione dei rischi e delle lesioni alle persone, all'ambiente e ai beni in casi di catastrofe naturale o tecnologica. Il nuovo programma mira a perseguire cinque obiettivi: 1) prevenzione di rischi e di danni a persone, ambiente e beni in caso di catastrofi naturali o tecnologiche; 2) miglioramento del grado di preparazione degli operatori della Protezione civile negli Stati membri; 3) contributo a individuare e studiare le cause delle catastrofi; 4) perfezionamento dei metodi di intervento e di ripristino in seguito a casi di emergenza; 5) informazione, istruzione e sensibilizzazione del pubblico.

Questo programma di azione comunitario è stato completato dalla decisione del Consiglio Europeo del 23 ottobre 2001, che istituisce un meccanismo comunitario inteso ad agevolare una cooperazione rafforzata negli interventi di soccorso della Protezione civile. Ciò al fine di migliorare il coordinamento degli interventi di soccorso in caso di catastrofi naturali, tecnologiche, radiologiche, ecologiche o ambientali, compresi i casi di grave inquinamento marino, che si verifichino all'interno o all'esterno della Comunità. Il meccanismo preposto, operativo dal 2002, comprende il censimento dei mezzi di intervento disponibili, un programma di formazione per migliorare la capacità di reazione, la costituzione di squadre di valutazione e coordinamento, un sistema comune di comunicazione delle emergenze e un centro di informazione e monitoraggio. La decisione è inoltre finalizzata a meglio rispondere alle esigenze delle regioni europee più isolate e lontane in caso di emergenza.

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Esempi di intervento della Protezione civile italiana

Il lago effimero di Macugnaga

Il ghiacciaio del Belvedere, ai piedi della parete est del Monte Rosa, è soggetto, dall'estate 2001, a un raro fenomeno (noto come surge glaciale) di rapido aumento della velocità di scorrimento e del conseguente sollevamento della massa glaciale. A questo fenomeno si è associata la formazione, dal mese di ottobre dello stesso anno, di un lago epiglaciale (intorno a quota 2150 m) 'effimero', che raccoglie le acque di fusione dei ghiacciai sovrastanti. Nel giugno 2002 il lago si è accresciuto fino a raggiungere dimensioni preoccupanti per la sicurezza dei luoghi e delle persone in caso di tracimazione o di svuotamento improvviso per sifonamento. Il 22 e il 23 giugno, in seguito a un repentino innalzamento del livello del lago, la Protezione civile ha dichiarato lo stato di emergenza per il territorio interessato dai rischi connessi alla presenza dell'invaso epiglaciale del Belvedere. Nello stesso tempo veniva istituito nel comune di Macugnaga un Centro operativo misto, al fine di agevolare il coordinamento dei servizi e degli interventi di emergenza per fronteggiare i rischi delineati. Il 4 luglio veniva disposta l'immediata attuazione del piano di emergenza, finalizzato alla riduzione del rischio, attraverso un sistema di pompaggio per l'abbassamento controllato del livello dell'invaso. L'attivazione del sistema di pompaggio ha provocato, insieme a un naturale drenaggio, un abbassamento complessivo della superficie di quasi 5 m rispetto al massimo livello raggiunto alla fine di giugno.

Il terremoto in Italia centro-meridionale

A partire dalle ore 1.25 del 31 ottobre 2002 l'Italia centro-meridionale è stata colpita da una serie di eventi sismici che hanno interessato 91 Comuni, di cui 65 in provincia di Campobasso e 26 in provincia di Foggia, coinvolgendo la maggioranza della popolazione residente, cioè circa 370.000 abitanti. L'attività sismica si è ripetuta con impressionante continuità (circa 200 scosse nelle prime 60 ore dall'inizio dell'evento) fino alla fine del mese di novembre, interessando in particolare il Molise e la Puglia. Il primo evento di grande intensità con magnitudo 5,4 della scala Richter, è stato registrato il 31 ottobre alle 11.32 ed è stato seguito da numerosi altri eventi con magnitudo comprese tra 2,5 e 3,8, fino a un secondo evento forte, registrato il 1° novembre alle 16.08, di magnitudo 5,4. L'epicentro della prima scossa è stato localizzato nelle vicinanze dei paesi di San Giuliano di Puglia e Bonefro. L'epicentro della seconda è risultato spostato verso ovest rispetto al primo, nelle vicinanze di Ripabottoni. L'evento principale del 31 ottobre è stato avvertito in una vasta area dell'Italia centro-meridionale, da Roma e Napoli fino ad Ancona e Foggia. L'area con il livello di danneggiamento più elevato è stata quella circostante il paese di San Giuliano di Puglia, che ha presentato un elevato grado di distruzione nel settore di crinale argilloso compreso tra il centro storico e il versante montuoso; qui si è verificato il crollo di un edificio scolastico che ha causato la morte di 27 alunni e di una maestra. Durante la gestione dell'emergenza la Protezione civile ha provveduto all'organizzazione di sistemazioni alloggiative provvisorie e di servizi di assistenza e soccorso. Sono stati realizzati 31 tendopoli e 18 concentramenti di roulotte, con 14 cucine da campo, che hanno ospitato una popolazione di quasi 12.000 persone. Nei 60 giorni successivi all'evento sono state impiegate nelle zone colpite circa 140.000 'unità giornaliere lavorative', il che significa che in media ogni giorno 2270 persone hanno prestato la loro attività in aiuto alla popolazione. Successivamente hanno avuto inizio gli interventi riguardanti sia la riparazione dei danni, allo scopo di restituire gli edifici utilizzabili agli abitanti, sia la demolizione degli edifici pericolanti. Molte operazioni hanno interessato il ripristino immediato delle infrastrutture e delle attrezzature nei settori dell'elettricità, delle condutture idriche, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della sanità e dell'istruzione, come anche la messa in sicurezza e l'adozione di misure di protezione del patrimonio artistico, culturale e naturale.

Le alluvioni in Italia settentrionale

Nel mese di novembre 2002 gran parte dell'Italia settentrionale è stata interessata da condizioni meteorologiche particolarmente avverse. L'evoluzione dei fenomeni è stata caratterizzata da due distinti avvenimenti meteorici: il primo ha riguardato soprattutto la Liguria, il Piemonte e la Lombardia occidentale con precipitazioni intense che, a partire dal 14 novembre, si sono protratte per circa 72 ore; il secondo, della durata di almeno sei giorni a partire dal 24 novembre, ha interessato i territori di Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia-Romagna. In tutte le regioni interessate i valori pluviometrici sono risultati molto elevati e stimati pari a circa la metà dell'altezza di precipitazione che mediamente si verifica in un anno in tali zone. L'entità dei danni nelle regioni interessate dall'evento è subito apparsa elevata, in particolare nell'interruzione dei servizi essenziali (energia elettrica, gas, acqua, fognature, strade principali e secondarie con isolamento di interi paesi), nella distruzione e nei crolli di importanti strutture e infrastrutture pubbliche e private, nel danneggiamento, a volte irreversibile, dei comparti produttivi della piccola industria, del commercio, del turismo e dell'agricoltura. Tra le conseguenze più rilevanti degli eventi alluvionali si sono segnalati dissesti idrogeologici con frane localizzate ed erosioni delle scarpate, talvolta di entità importante, con danni diffusi alla viabilità ordinaria, alle abitazioni private e alle strutture pubbliche. Inoltre vi sono stati notevoli danni anche al settore agricolo, con perdita o compromissione dei raccolti. Per fronteggiare le situazioni di maggiore gravità e consentire una seppur minima ripresa delle attività nelle aree interessate, le Regioni e gli enti locali hanno disposto, e in massima parte eseguito, interventi di somma urgenza mirati al ripristino dei servizi essenziali, della viabilità, della pulizia delle strade e delle aree interessate dalle esondazioni, e all'assistenza della popolazione evacuata dalle abitazioni danneggiate dalle alluvioni e di coloro che hanno abbandonato per precauzione le proprie case. In tutte le zone, le strutture regionali della Protezione civile avevano dichiarato uno stato di allerta meteorologico già nei giorni precedenti il picco dei fenomeni, comunicandolo anche alle Prefetture e al Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nella fase di gestione dell'emergenza, vi è stato un vasto impiego di Vigili del fuoco e di volontari per gli interventi di soccorso alle popolazioni colpite; nello stesso tempo, la Protezione civile ha fornito assistenza geologico-tecnica alle amministrazioni, ha coordinato il censimento dei danni, ha raccolto ed elaborato le segnalazioni provenienti dagli enti territoriali e infine ha avviato le procedure per il ripristino di una situazione di normalità, contribuendo, per es., ai lavori di ricostruzione di argini fluviali danneggiati.

L'attività vulcanica di Stromboli

Il 30 dicembre 2002 un'esplosione sul vulcano ha provocato il distacco di un enorme costone di roccia sul versante della Sciara del Fuoco. La frana si è riversata in mare facendo ritirare le acque di un centinaio di metri e determinando la formazione di un'onda anomala alta circa 20 m, i cui effetti sono stati avvertiti fin sulla costa siciliana. La Protezione civile ha immediatamente dichiarato lo stato di emergenza, ordinando l'evacuazione della frazione di Ginostra; inoltre ha istituito un centro operativo avanzato. Qui pervengono i dati provenienti dalle reti di monitoraggio installate sull'isola e vengono coordinate tutte le attività di Protezione civile. I sistemi di monitoraggio attivi a Stromboli sono di tipo sismico, sismoacustico, geochimico, magnetico, gravimetrico e visivo, con telecamere. È stata anche sviluppata una rete di telecomunicazioni che collega via radio tutte le isole Eolie, la Sicilia nord-orientale e la Calabria, fino al Golfo di Policastro.

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Le 'parole' della Protezione civile

aree di emergenza - aree destinate, in caso di emergenza, a uso di protezione civile. In particolare, le aree di attesa sono luoghi di prima accoglienza per la popolazione immediatamente dopo l'evento; le aree di ammassamento dei soccorritori e delle risorse rappresentano i centri di raccolta di uomini e mezzi per il soccorso della popolazione; le aree di ricovero della popolazione sono luoghi in cui saranno installati i primi insediamenti abitativi o le strutture in cui si potrà alloggiare la popolazione colpita

attivazioni in emergenza - predisposizioni immediate che devono essere attivate dai centri operativi

attività addestrativa - formazione degli operatori di Protezione civile e della popolazione tramite corsi ed esercitazioni

calamità - evento naturale o legato ad azioni umane, nel quale tutte le strutture fondamentali della società sono distrutte o inagibili su un ampio tratto di territorio

catastrofe - evento, non importa di quale entità e con quali conseguenze sulle persone e sulle cose, provocato sia da cause naturali sia da azioni umane, nel quale però le strutture fondamentali della società rimangono nella quasi totalità intatte, efficienti e agibili

centro operativo - in stato di emergenza, organo di coordinamento delle strutture di Protezione civile sul territorio colpito. È costituito da un'area strategica, alla quale afferiscono i soggetti preposti a prendere decisioni, e da una sala operativa, strutturata con funzioni di supporto. La direzione comando e controllo esercita, sul luogo dell'evento, il coordinamento nazionale; il centro coordinamento soccorsi gestisce gli interventi a livello provinciale attraverso i centri operativi misti che agiscono sul territorio di più comuni; il centro operativo comunale provvede alla direzione dei soccorsi e dell'assistenza alla popolazione del Comune

centro situazioni - centro nazionale che raccoglie e valuta informazioni e notizie relative a qualsiasi evento che possa determinare l'attivazione di strutture operative di Protezione civile. In situazioni di emergenza si attiva come sala operativa a livello nazionale

commissario delegato - incaricato da parte del Consiglio dei Ministri per l'attuazione degli interventi conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza

coordinamento operativo - direzione unitaria delle risposte operative a livello nazionale, provinciale e comunale

evento - fenomeno di origine naturale o antropica in grado di arrecare danno alla popolazione, alle attività, alle strutture e infrastrutture, al territorio. Ai fini dell'attività di Protezione civile, gli eventi si distinguono in: eventi, naturali o connessi con l'attività dell'uomo, che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria; eventi, naturali o connessi con l'attività dell'uomo, che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di più enti e amministrazioni competenti in via ordinaria; calamità naturali, catastrofi o altri eventi che per intensità ed estensione devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari

evento atteso - evento che la comunità scientifica si aspetta possa accadere in una certa porzione di territorio entro un determinato periodo di tempo

evento non prevedibile - evento non preceduto da alcun fenomeno (indicatore di evento) che ne consenta la previsione

evento prevedibile - evento preceduto da fenomeni precursori

fasi operative - insieme delle azioni di Protezione civile centrali e periferiche da intraprendere prima (per i rischi prevedibili), durante e dopo l'evento; le attivazioni delle fasi precedenti all'evento sono legate ai livelli di allerta (attenzione, preallarme, allarme)

funzioni di supporto - funzioni che costituiscono l'organizzazione delle risposte, distinte per settori di attività e di intervento, necessarie alle diverse esigenze operative. Per ogni funzione di supporto si individua un responsabile che in situazione ordinaria provvede all'aggiornamento dei dati e delle procedure, in emergenza coordina gli interventi dalla sala operativa

indicatore di evento - insieme dei fenomeni precursori e dei dati di monitoraggio che permettono di prevedere il possibile verificarsi di un evento

lineamenti della pianificazione - elementi che individuano sia gli obiettivi da conseguire per dare un'adeguata risposta di Protezione civile a una qualsiasi situazione di emergenza, sia le competenze dei soggetti che vi partecipano

livelli di allerta - livelli che scandiscono i momenti che precedono il possibile verificarsi di un evento; sono legati alla valutazione di alcuni fenomeni precursori o, in alcuni casi, a valori soglia e vengono stabiliti dalla comunità scientifica. A ogni livello corrisponde una fase operativa

modello di intervento - assegnazione delle responsabilità ai vari livelli di comando e controllo per la gestione delle emergenze, nella realizzazione del costante scambio di informazioni nel sistema centrale e periferico di Protezione civile, nell'utilizzazione delle risorse in maniera razionale. Rappresenta il coordinamento di tutti i centri operativi dislocati sul territorio

modello integrato - individuazione preventiva sul territorio dei centri operativi e delle aree di emergenza e relativa rappresentazione su cartografia, immagini fotografiche e da satellite.

pericolosità - probabilità che un fenomeno di una determinata intensità si verifichi in un dato periodo di tempo e in una data area

pianificazione di emergenza - attività di pianificazione consistente nell'elaborazione coordinata delle procedure operative d'intervento da attuarsi nel caso si verifichi l'evento atteso. I piani di emergenza devono recepire i programmi di previsione e prevenzione

potere di ordinanza - potere del Commissario delegato, in seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza, di agire anche tramite ordinanze, in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico

procedure operative - insieme delle azioni, organizzate in sequenza logica e temporale, che si effettuano nella gestione di un'emergenza. Tali azioni sono stabilite nella fase di pianificazione e vengono distinte per tipologie di rischio

programmazione - attività riguardante le fasi di previsione e di prevenzione dell'evento. Risultato della programmazione sono i programmi di previsione e prevenzione, presupposto per la pianificazione dell'emergenza

rischio - valore atteso delle perdite umane, dei feriti, dei danni alle proprietà e delle perturbazioni alle attività economiche dovuti al verificarsi di un particolare fenomeno di una data intensità. Gli eventi che determinano i rischi si suddividono in prevedibili (idrogeologico, vulcanico) e non prevedibili (sismico, chimico-industriale, incendi boschivi)

risposta operativa - insieme delle attività di Protezione civile in risposta a situazioni di emergenza determinate dall'avvicinarsi o dal verificarsi di un evento calamitoso

sala operativa - area del centro operativo, organizzata con funzioni di supporto, da cui partono tutte le operazioni di intervento, soccorso e assistenza nel territorio colpito dall'evento secondo quanto deciso nell'area strategia

salvaguardia - insieme delle misure volte a tutelare l'incolumità della popolazione, la continuità del sistema produttivo e la conservazione dei beni culturali

sistema di comando e controllo - sistema volto a esercitare la direzione unitaria dei servizi di emergenza a livello nazionale, provinciale e comunale

soglia - valore dei parametri monitorati al raggiungimento del quale scatta un livello di allerta

stato di calamità - stato che prevede il ristoro dei danni causati da qualsiasi tipo di evento alle attività produttive e commerciali

stato di emergenza - stato deliberato, al verificarsi di alcuni eventi, da parte del Consiglio dei Ministri, che ne determina anche la durata e l'estensione territoriale. Lo stato di emergenza prevede la nomina di un commissario delegato con potere di ordinanza

strutture effimere - edifici presso i quali di regola si svolgono attività ordinarie (scuole, palestre ecc.), ma che in emergenza diventano sede di centri operativi

valore esposto - valore economico o numero di unità relative a ognuno degli elementi a rischio in una data area

vulnerabilità - grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno di una data intensità

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