PROSTITUZIONE

Enciclopedia Italiana (1935)

PROSTITUZIONE

Stefano LA COLLA
Silvio LESSONA
Giuseppe CAVARETTA
Uberto PESTALOZZA

. Tanto nel linguaggio corrente quanto in quello degli esploratori e dei sociologi questa parola ha applicazioni talvolta notevolmente diverse, sì da comprendere usi svariati sia come portata sociale, sia come origine; è quindi necessario definirla esattamente per evitare confusioni e circoscrivere con precisione questo fenomeno sociale. Prostituzione è il prestarsi abitualmente a rapporti sessuali con chiunque a fine di lucro; sue caratteristiche sono dunque la retribuzione e la mancanza di discriminazione di carattere sentimentale circa le persone ammesse ai rapporti sessuali.

Non appartiene quindi propriamente a questa classe di fenomeni la cosiddetta prostituzione ospitale, cioè il costume esistente presso certi popoli primitivi (Galla, Damara montanari, antichi Germani, Eschimesi, Ciukci) di mettere a disposizione dell'ospite la propria moglie o una figlia o anche una serva, quantunque in progresso di tempo esso si sia trasformata in vera e propria prostituzione, perché l'ospite a sua volta era tenuto a fare dei regali alla donna o al padrone di casa. Forse è una sopravvivenza di quest'uso un fatto attestato per Sparta e Roma: la facoltà che aveva il marito di prestare la propria moglie a un altro uomo. Di questo strano costume l'ultimo esempio è dato da Catone Uticense, che cedette la moglie Marcia al vecchio Ortensio, l'oratore, e la riprese alla morte di questo. La prostituzione ha esistito ed esiste presso tutti i popoli del mondo, sia come fatto riconosciuto o tollerato sia come fenomeno illecito e clandestino. Spesso essa riveste carattere di prostituzione sacra (v. appresso), ma dappertutto dove questa esiste, accanto alle prostitute sacre, si hanno anche meretrici professionali, per lo più vedove o donne ripudiate che non sono più sotto il dominio e la protezione sia del marito e della famiglia maritale, sia della famiglia paterna, e che, non essendo "proprietà" di nessuno, si mettono a disposizione di tutti.

Non tutti i popoli hanno la condizione di prostituta in dispregio: presso gli Oulad-Naïl dell'Algeria le ragazze prima di maritarsi con un componente della tribù si formano una dote esercitando la prostituzione nelle città; e anche presso popolazioni di civiltà molto progredita, come i Giapponesi, la prostituzione non è considerata disonorante. In Egitto la prostituzione doveva essere abbastanza diffusa, se gli scritti morali rimastici non mancano di mettere in guardia la gioventù contro le male arti delle donne venali.

In Babilonia essa era connessa coi templi; la parola gagum indicava un quartiere in prossimità del tempio, separato dal resto della città da mura, dove abitavan0 le sacerdotesse del dio; ma spesso il gagum non era se non un luogo di prostituzione. Uno di tali quartieri è stato messo alla luce dagli scavi di Sippar.

In Palestina e in Siria, la prostituzione era di carattere religioso; certamente è questo il motivo per cui essa è così severamente condannata dal Pentateuco e dai profeti; l'apostasia della religione mosaica è designata come "fornicazione con gli dei stranieri". Però le rigorose proibizioni non impedivano affatto che in Israele ci fossero ierodule e ieroduli, e anche meretrici, che si distinguevano per il loro modo di vestire. In alcune città del paese di Canaan, gli stranieri prendevano alloggio presso le prostitute; di ciò si ha ricordo nel libro di Giosuè, II. Del resto, sembra che la prostituzione non fosse considerata come uno stato d'inferiorità, e in ogni modo nessun disonore ricadeva sui figli, come mostra l'esempio di Jefte.

Presso i Greci vi sono esempî di prostituzione sacra, come a Corinto e ad Erice, connessa col culto di Afrodite e diffusa specialmente nei porti; si fa risalire a Solone l'istituzione di case di prostituzione statali, per il buon ordine e la moralità pubblica. Accanto a questi postriboli pubblici, ve n'erano anche di privati: le donne erano per lo più schiave, ma sempre di una classe più elevata che non le abitatrici delle case pubbliche; spesso univano alla loro occupazione quelle della danza, del canto e della musica e intervenivano ad allietare i conviti. La commedia nuova greca, le commedie romane che l'imitarono, i Dialoghi delle meretrici di Luciano ci dànno precise notizie su di loro. A una classe ancora più elevata appartenevano infine le etere (v.).

A Roma dapprincipio non c'erano se non meretrici della classe più bassa (prostibula); per i giovani il frequentarle non era considerato come cosa riprovevole, e Orazio (Sat., I, 2, 31) riferisce un detto attribuito a questo proposito a Catone il Censore. Ma dopo la seconda guerra punica i costumi romani cominciarono ad ammollirsi, e allora anche a Roma cominciarono a comparire, e ben presto a moltiplicarsi, le cortigiane (meretrices), che corrispondono alle etere greche, e che erano fatte segno alle attenzioni dei giovani denarosi e dei celibi impenitenti.

Sulla prostituzione si hanno copiose notizie non solo dai testi, ma anche da monumenti; e a Pompei sono stati trovati non meno di due lupanari. Del resto, nelle città, thermopolia, taverne, panetterie, bagni non erano se non luoghi di prostituzione; e questo stesso ufficio compivano anche le numerose osterie con alloggio disseminate lungo le grandi vie romane dell'Italia. Alla vasta schiera delle meretrici appartenevano cantatrici, suonatrici, mime e ballerine.

Così ad Atene come a Roma (da Caligola in poi) le meretrici pagavano al fisco una tassa speciale. Non sembra che in Grecia le prostitute fossero obbligate a portare un costume speciale; invece a Roma era loro proibito di portare la stola e la palla, indumenti riservati alle matrone; dovevano indossare invece una corta tunica e la toga maschile, di colore scuro. Risale ai Romani l'obbligo per le prostitute di farsi iscrivere in uno speciale registro, tenuto dagli edili.

Col tempo tutte queste disposizioni vennero cadendo in disuso; la tassa fu però abolita solo nel sec. V d. C. da Anastasio I. Giustiniano, sotto l'influsso della moglie Teodora, che aveva in gioventù esercitato il meretricio, dettò disposizioni per favorire la redenzione delle prostitute e per difenderle dallo sfruttamento dei lenoni.

La Chiesa non chiuse la porta della salvezza alle prostitute pentite; e, pur severamente condannandola, considera la prostituzione come un male da tollerare, per evitare eccessi peggiori.

Durante il Medioevo, l'atteggiamento dei principi rispetto alla prostituzione fu uguale a quello tenuto verso gli ebrei: ora essa era proibita e le prostitute erano fatte segno a gravi pene; ora invece predominava la tolleranza. La Chiesa invece continuò nei suoi sforzi per convertire le meretrici e riportarle sulla buona strada; furono fondati monasteri speciali per le convertite, furono organizzate missioni, furono istituite fondazioni di ogni genere.

Ma in complesso, le cose continuarono come prima, se non peggio. Le prostitute furono quasi considerate come una corporazione; a capo ebbero "dame" o "badesse" o custodi, che avevano una certa giurisdizione su di esse e che pagavano dei diritti alle autorità comunali. Esse erano relegate in determinate vie e per lo più dovevano portare un segno speciale, o abiti che le distinguessero dalle donne oneste. Durante i secoli XIII e XIV in molte città come Londra, Tolosa, Montpellier, Avignone, Amburgo, Ratisbona, Zurigo, Basilea, Vienna, i postriboli erano proprietà comunale e venivano appaltati; e quando un personaggio importante passava per una città, le abitatrici venivano messe gratuitamente a disposizione del seguito. Quest'uso durò a lungo: si ha ricordo di esso nel 1414 a Berna e nel 1434 a Ulm per il re, poi imperatore, Sigismondo e quando Enrico III re di Francia passò nel 1574 per Venezia, nella sua fuga dalla Polonia, la repubblica gli presentò un album con le miniature delle più belle cortigiane messe a sua disposizione, perché egli potesse scegliere.

Gli eserciti, nel Medioevo, erano accompagnati da vaste schiere di donne pubbliche, che si occupavano della cucina dei soldati e li servivano. S. Luigi impedì che ciò avvenisse per la crociata da lui guidata; ma i suoi uomini, e specialmente i capi, fecero venire a sé delle schiave musulmane. Ogni riunione numerosa, come le fiere e i mercati, vedeva accorrere schiere di meretrici, e si sa che in occasione del concilio di Costanza più di 1500 prostitute invasero la città. A Napoli nel 1470 fu fondata una speciale "corte" o "gabella delle meretrici" in cui sedeva il "padrone" o "affittatore dei diritti" che pagava un canone allo stato; essa aveva giurisdizione sugli affari del meretricio; avendo dato origine ad abusi fu riformata nel 1589 e cessò nel 1678, quando si tentò di abolire la prostituzione.

Oltre alle meretrici accasermate, esecitavano la prostituzione anche le serve delle taverne, delle locande e specialmente dei bagni o "stufe", tanto che bagno e stufa furono in alcune lingue parole usate a designare senz'altro i locali di prostituzione.

Il Rinascimento vide in Italia ripetersi il fenomeno delle etere; si ebbero le cortigiane - così dette dal loro seguire le corti - donne belle, eleganti, spesso ammirate per lo spirito e per la cultura, delle quali i letterati esaltavano e decantavano i pregi: celebri i nomi di Imperia, della petrarcheggiante Lucrezia detta "Madrema non vuole", e poi di Tullia d'Aragona, di Veronica Franco, di Camilla Pisana, che scrissero versi, al loro tempo assai lodati.

Ma da un lato l'enorme diffusione delle malattie veneree, e specialmente della sifilide, durante tutto il Cinquecento, dall'altro il vasto e profondo movimento moralizzante dovuto alla Riforma e alla Controriforma, influirono a modificare radicalmente l'atteggiamento degli stati di fronte al fenomen0 della prostituzione. I postriboli pubblici furono chiusi, e si rinnovarono quasi dappertutto i tentativi di sopprimerla, ma anche questa volta i provvedimenti, per quanto draconiani, riuscirono infruttuosi.

Anzi, in Francia data proprio da questo periodo il regno della galanteria, di cui davano l'esempio le dame della corte e che durò sino a tutto il Secondo Impero, con qualche breve parentesi. Molte delle cortigiane francesi più in vista si sono create una celebrità pari a quella delle etere greche e delle meretrices honestae del Rinascimento italiano: da Marion Delorme e Ninon de Lenclos alla contessa du Barry, salita a poco a poco dal famigerato couvent di M. me Gourdan al grado di favorita di Luigi XV; e poi giù giù sino a Marie Duplessis, la "dame aux camélias", e a Thérèse Lachmann, divenuta marchesa de Païva e poi contessa Henckel von Donnersmarck. Anche altri paesi diedero simili esempî nel Sei e nel Settecento; basti accennare ad Emma Lyon, per tacere delle infinite attrici, ballerine, cantanti, per le quali il teatro non fu che un mezzo per dare maggiore pregio alle loro grazie.

Del resto, anche l'atteggiamento dell'opinione pubblica verso le prostitute si era venuto modificando: da oggetto di scherno, di spregio, di scandalosa curiosità divenivano, per opera dei letterati, degne di pietà e di commiserazione: la cortigiana redenta dall'amore, e specialmente dall'amore materno, era diventata popolarissimo soggetto di romanzi: basti citare la Manon Lescaut dell'abate Prévost, la Signora dalle camelie di A. Dumas figlio, la Fantina dei Miserabili di Victor Hugo.

Da parte dei governi, per i quali la prostituzione ha sempre costituito un difficile problema, sono stati studiati i più varî sistemi per sorvegliarla e per proteggere dalle sue tristi conseguenze l'ordine pubblico, la morale e l'igiene. La proibizione si è dimostrata impossibile quasi dappertutto: essa è in vigore soltanto nell'U. R. S. S., dove chi si dà alla prostituzione è deportato alle isole del Mar Bianco e nel nord della Russia.

La libertà, con tutti i suoi gravi inconvenienti, esiste negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dove fu attuata nel 1886 in seguito alla vigorosa campagna, iniziata da Josephine Butler, Harriet Martineau, Mary Carpenter ed altre eminenti donne, contro la legge del 1869, che sottoponeva le prostitute alla visita medica in alcune città con forte popolazione militare o della marina. Da questo movimento inglese è sorta, nel 1875, l'International Federation for the Abolition of State Regulation of Vice, e nel 1900 l'International Society of Sanitary and Moral Prophylaxis.

Più diffuso è il sistema della sorveglianza della polizia che si esercita mediante la registrazione delle meretrici, la visita sanitaria e il rilascio di licenze alle case di tolleranza.

L'obbligo delle prostitute di sottoporsi alla visita medica è assai antico: in Inghilterra se ne ha traccia sin dal 1161, ad Avignone fu praticato durante il periodo di permanenza dei papi, in Valenza era prescritto due volte la settimana; la registrazione è molto più antica e rimonta, come s'è detto, all'epoca romana.

In Germania, le prostitute devono farsi iscrivere presso l'autorità di polizia e sottoporsi a regolari visite mediche; però il lenocinio è punito in ogni caso e le case di tolleranza sono proibite.

L'Olanda, la Polonia, la Cecoslovacchia, la Svizzera e i paesi scandinavi seguono il sistema tedesco.

La Francia, il Belgio, il Portogallo, la Romania, la Grecia, l'Ungheria e l'Austria, tranne Vienna, hanno un sistema più complesso: oltre alla registrazione delle prostitute, con relativa visita, esistono le licenze per le case di tolleranza. La Spagna, che seguiva questo sistema, lo ha abolito nel luglio 1935. L'Argentina segue il sistema francese, il Brasile quello anglo-americano.

Disgraziatamente, la prostituzione clandestina è dappertutto assai diffusa, specialmente per lo sviluppo dell'urbanismo e la conseguente difficoltà di esercitare una efficace sorveglianza sugli estesissimi agglomeramenti umani, che costituiscono le grandi città, dove molte donne che esercitano la prostituziorie nascondono la loro vera attività con altre occupazioni.

Dei varî sistemi proposti, la sorveglianza statale ha certamente il vantaggio di riconoscere i pericoli igienici della prostituzione e di cercare di combatterli; ma una grandissima parte delle prostitute, come si è detto, riesce a sfuggire. D'altro canto, la registrazione ha i suoi inconvenienti: rende più difficile, e in certi casi impossibile, alla prostituta di cambiar vita; le case autorizzate implicano il riconoscimento degl'interessi pecuniarî di terze persone, che porta all'aumento della prostituzione ed è causa di un fatto anche più doloroso della prostituzione stessa: la tratta delle bianche (v. appresso); il controllo colpisce le donne, ma non gli uomini che possono essere causa di infezioni veneree.

Il problema resta quindi insoluto; anche in questo caso, bisognerebbe risalire alle cause del fenomeno ed eliminarle. Secondo la scuola di antropologia criminale di Cesare Lombroso, ciò è impossibile, perché la causa più importante è biologica, e le prostitute, come i delinquenti, presentano caratteri distintivi fisici, mentali e morali congeniti. Quand'anche ciò fosse vero, è però innegabile l'influenza grandissima del fattore economico: quasi tutte le prostitute sono reclutate con le lusinghe di una vita migliore, lusinghe tanto più irresistibili quanto più basso è il tenore di vita a cui esse sono state costrette. Accanto al fattore economico non sono da trascurare altri fattori, quali l'eccessivo affollamento delle abitazioni, l'esempio di parenti e vicini, la scarsa educazione. Molti di questi fattori vanno lentamente scomparendo, e di grande efficacia si sono dimostrati la maggior cura per la gioventù, i tribunali per i minorenni, il modo con cui vengono rieducate le minorenni traviate, la maggiore sorveglianza sui balli pubblici e gli altri locali di divertimento. Ogni provvedimento volto a combattere l'eccessivo urbanismo e a favorire il ritorno alla vita rurale, come anche l'assistenza alle ragazze-madri, non potrà non contribuire efficacemente alla diminuzione, se non alla scomparsa totale, di questo doloroso fenomeno.

Bibl.: La letteratura sull'argomento è vastissima, ma spesso di scarso valore.

Per l'antichità classica: F. Jacobi, Vermischte Schriften, 2ª ed., 1848, IV, pp. 312-554 (con la biogr. di nove etere famose); W. A. Becker e H. Göll, Charikles, nuova ed., Berlino 1877-78, II, p. 85 segg.; id., Gallus, 2ª ed., Berlino 1882, III, p. 89 segg.; É. Dupouy, La prostit. dans l'antiquité, 4ª ed., Parigi 1898.

In generale: P. Dufour [P. Lacroix], Histoire de la prostitution chez tous les peuples, voll. 6, Parigi 1851-53 (trad. tedesca, completata, 7ª ed., Berlino 1925); É. Rabutaux, De la Prostitution en Europe depuis l'antiquité jusqu'à la fin du XVIe siècle, 2ª ed., Parigi 1865; C. Lombroso e G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, Torino 1893; 5ª ed., rifusa da Gina Lombroso, Torino 1927; W. Harriet, Geschichte der Prostitution aller Völker, Berlino 1904; H. Ellis, The Task of Social Hygiene, Boston 1912: id., Sex in relation to Society, Filadelfia 1927; J. Bloch e G. Löwenstein, Die Prostitution, voll. 2, Berlino 1912-1925 (non ancora completato); M. Vieillard, La prostitution. Étude critique de droit comparé, Nyon 1918; W. W. Sanger, The history of Prostitution, New York 1919; A. Pappritz, Einfürhung in das Studium der Prostitutionsfrage, Lipsia 1919; W. Sorge, Gesch. d. Prostitution, Berlino 1920; H. B. Woolston, The Prostitution in the United States, New York 1921; A. Dalla Volta, I fond. biol. della prostituzione, Roma 1924; N. Boiron, La prostit. dans l'histoire, devant le droit, devant l'opinion, Parigi 1926; F. De Napoli, Sesso e amore nella vita dell'uomo e degli altri animali, Torino 1927, II, cap. XIX e XX, pp. 675-756.

Diritto italiano vigente. - La legge italiana non vieta né disciplina l'esercizio della prostituzione individuale per parte di donne maggiorenni che non si compia abitualmente in uno stesso locale. Punisce l'istigazione alla prostituzione e il favoreggiamento di essa quando si tratti di minorenni o di persone in stato d'infermità e deficienza psichica oppure di congiunti; punisce anche la costrizione in ogni caso (articoli 531-533 cod. pen.). È invece disciplinato l'esercizio delle case di prostituzione. Tra i sistemi opposti (abolizione, riconoscimento) il legislatore italiano (legge di pubblica sicurezza, testo unico 18 giugno 1931, n. 773, tit. VII; reg. 21 gennaio 1929, n. 62) ha adottato quello intermedio della tolleranza. È consentito l'esercizio della prostituzione nei locali di meretricio, dichiarati tali dall'autorità di pubblica sicurezza. Sono locali di meretricio le case, i quartieri e qualsiasi luogo chiuso, dove, col consenso del proprietario o di chi vi abbia diritto, si esercita abitualmente il meretricio anche da una sola persona. Prima di consentire la dichiarazione, l'autorità locale di pubblica sicurezza deve accertare che l'esercizio della prostituzione nel locale di cui si tratta non presenti pericoli per il buon costume e per l'ordine pubblico. L'esercizio delle case di tolleranza è sottoposto a regole, che hanno per scopo la tutela della morale, dell'igiene, dell'ordine pubblico, e a disposizioni dell'autorità di pubblica sicurezza.

Non possono accedere alle case di tolleranza i minori di 18 anni; non possono esservi accolte donne minorenni; le maggiorenni non possono esservi trattenute contro volontà, anche se obbligatesi alla permanenza. Per evitare mezzi di coazione indiretta, è vietato agli esercenti le case di tolleranza di chiedere o accettare dalle prostitute denari, indumenti, oggetti sotto qualsiasi titolo ed è stabilita una presunzione di proprietà delle prostitute per le loro vesti, biancheria, cose mobili. Le prostitute non possono essere ammesse in una casa di tolleranza se non siano state riconosciute immuni da manifestazioni contagiose di malattie veneree; debbono essere visitate periodicamente; riconosciute ammalate, o presunte tali (la presunzione si verifica se rifiutino la visita), non possono rimanere nella casa di tolleranza per nessun titolo; non possono esserci riammesse senza attestazione di completa guarigione (v. al riguardo articolo 307 testo unico leggi sanitarie 27 luglio 1934 e reg. 25 maggio 1923, n. 846, per profilassi malattie veneree e sifilitiche). Nelle case di tolleranza è vietato l'accesso agli individui armati o ubriachi; non vi si possono organizzare giuochi e feste, tenere riunioni troppo numerose o pericolose, spacciare cibi o bevande, detenere o spacciare sostanze stupefacenti, o accogliere persone dedite all'uso di esse. La contravvenzione alle norme circa le case di tolleranza è punita con sanzioni amministrative (chiusura) e penali (pecuniarie e personali).

Diritto internazionale. - Si deve all'iniziativa dell'associazione inglese di moralità (The National Vigilance Association) la convocazione a Londra nel 1890 di un congresso, nel quale vennero gettate le basi di un'attività comune e discussi i criterî da adottare per rimuovere le cause della tratta delle bianche. La via battuta per combattere la cosiddetta tratta dei negri costituì una buona guida in ordine ai mezzi da mettere in pratica. A questa attività, di natura puramente privata, a cui non venne meno l'aiuto di certe associazioni di carattere religioso per la tutela e la difesa della donna, seguì una serie di provvedimenti ufficiali. E, difatti, dietro invito del governo francese, si riunì a Parigi il 15 luglio 1902 una conferenza internazionale. Vi convennero numerosi delegati di molti stati e furono riprese in esame le grandi linee del progetto già elaborato dal congresso di Londra nel 1890 sulla opportunità di creare organi di collegamento fra i varî stati mediante l'opera di comitati nazionali e di un comitato centrale di direzione.

In seguito ai lavori di tale conferenza, un primo accordo, tendente a stabilire una cooperazione internazionale per la repressione della tratta delle donne, venne firmato a Parigi l'8 maggio 1904. Una seconda conferenza internazionale, convocata dal governo francese, si tenne a Parigi nel 1910. Essa, riprendendo il progetto elaborato nella prima conferenza, portò alla conclusione di una convenzione per la repressione della tratta delle bianche (Parigi, 4 maggio 1910). Gli stati aderenti a tale convenzione si obbligano ad avere nel loro ordinamento interno norme penali che puniscano la tratta, consistente nel fatto d'ingaggiare, indurre o avviare, anche col suo consenso, una minorenne a scopo di prostituzione, anche se i diversi atti, che sono elementi costitutivi del reato di tratta, siano compiuti in paesi diversi. Ai fini della convenzione si deve intendere per minorenne la donna che non ha compiuto gli anni venti. L'età di protezione così convenzionalmente fissata ha carattere di età minima; ogni stato ha la facoltà di stabilire nelle proprie leggi un'età più elevata, a condizione però che essa sia la stessa per le donne di qualsiasi cittadinanza. Deve pure essere punita la tratta delle donne di età superiore ai venti anni se il fatto è compiuto con violenza, minacce, abuso di autorità o qualsiasi altro mezzo di coercizione. La convenzione, inoltre, prevede una cooperazione amministrativa e giudiziaria degli stati per la repressione della tratta. In seguito alla creazione della Società delle nazioni, che per una espressa disposizione del patto (art. 23) è investita del controllo generale sugli accordi relativi alla tratta delle donne e dei fanciulli, il movimento di cooperazione internazionale per la repressione della tratta ha avuto nuovi sviluppi. Sotto gli auspici della Società delle nazioni, in conformità a una risoluzione della prima assemblea del 15 dicembre 1920, una conferenza internazionale della tratta delle donne e dei fanciulli fu convocata a Ginevra nel 1921 (30 giugno-5 luglio). L'atto finale, contenente i voti degli aderenti a tale conferenza, alla quale parteciparono i delegati di 34 stati, venne esaminato dalla seconda assemblea della Società delle nazioni, che raccomandò agli stati un progetto di convenzione che, per incarico del governo inglese, era stato elaborato sulla base di quei voti. La convenzione internazionale per la soppressione della tratta delle donne e dei fanciulli, che così venne aperta alla firma a Ginevra il 30 settembre 1921, è stata firmata e ratificata da circa 50 stati, fra cui l'Italia. Tale convenzione estende e rafforza la disposizione dell'accordo del 1904 e della convenzione del 1910. In particolare, essa eleva a 21 anni il limite di età, entro il quale l'ingaggio di una donna, anche col suo consenso, a scopo di prostituzione deve essere qualificato come reato di tratta. In conformità a un voto della conferenza del 1921, il consiglio della Società delle nazioni istituì, come organo consultivo permanente, un comitato della tratta delle donne e dei fanciulli. In seguito agli studî preparatorî compiuti da questo comitato, una nuova conferenza, convocata dalla Società delle nazioni a Ginevra nel 1933, adottò l'11 ottobre 1933 un'altra convenzione relativa alla repressione della tratta delle donne maggiorenni.

In Italia, la convenzione del 1921 fu resa esecutiva, insieme con quella del 1910, con r. decr. 31 ottobre 1923, n. 2749, mentre con precedente atto legislativo (r. decr. legge 25 marzo 1923, n. 1207) già erano state emanate le norme necessarie per conformare l'ordinamento italiano alle due convenzioni, sia per quanto riguarda le norme penali relative alle varie forme di tratta delle donne ivi contemplate, sia per quanto concerne la polizia delle agenzie di collocamento e l'istituzione di un ufficio centrale italiano per la repressione della tratta.

Bibl.: Il testo delle convenzioni internazionali 4 maggio 1910 e 30 settembre 1921 è pubblicato in Riv. di diritto internazionale, 1924, p. 445 segg. V. poi: Renault, La traite des blanches et la conférence de Paris, in Revue générale de droit intern. public, 1902, p. 407 segg.; Matter, La compétence pénale des tribunaux français et les conflits de lois, in Journal de dr. int. pr., 1904, pp. 590-620; G. C. Buzzati, La conf. de Paris contre la traite des blanches et les publications obscènes, in Rev. de dr. int. privé, 1910, p. 313 segg.; T. Perassi, Convenz. internaz. relativa alla tratta delle bianche, in Riv. di dir. int., 1924, p. 450; G. Diena, Dir. int., parte 1ª, 3ª ed., 1930, pp. 341 e 381 segg.; Boll. mensile della S. d. N., XII (1932); XIII (1933), pp. 31, 59, 157, 171, 205.

Prostituzione sacra. - Bisogna, per ben comprenderne l'origine e l'essenza, rifarsi all'atmosfera violentemente afrodisiaca, che avvolgeva le primitive celebrazioni della divina maternità della Terra. La nudità rituale, la suggestiva mimica dei cori, maschili e femminili, naturalmente ignara di ogni pudore; l'elementare istintivo bisogno di accordare la libertà delle parole con quella degli atteggiamenti e dei gesti, e, finalmente, il sacro coito della coppia sacerdotale sopra il nudo terreno, rigato dai solchi aperti dalla virile fatica del vomero: tutto ciò non poteva non stimolare straordinariamente i sensi e non dar luogo a quegli eccessi della licenza sessuale collettiva che erano caratteristici (e tali sono ancora presso molti popoli primitivi) delle cerimonie agricole di stagione. Sagre ufficiali della carnalità vigorosa e prepotente, inquadrata nella religiosa esaltazione del mistero della vita in seno alla natura vegetale, animale e umana, che l'antico costume tollerava, forse perché vedeva in esse l'attuarsi di quel "simpatico" scambio di influenze tra le forze generative operanti nella terra, negli armenti, nell'uomo, da cui sarebbe derivato alla comunità intera aumento di fecondità e di benessere (v. magia).

È questo stesso orgiastico bisogno di sfogo degli istinti sessuali durante le feste sacre alla divinità della Terra, che tutto, si può dire, il mondo antico, dalla Babilonia e dall'Asia Minore alla Grecia (Corinto), dalla Palestina alla Sicilia (Erice) e a Cartagine ci presenta religiosamente sistemato nell'istituzione del cortigianato sacro. Veri e proprî collegi di sacre prostitute esistevano presso i templi di Innauna-Ishtar, di Astarte, di Athargatis, di , di Afrodite Urania, con nomi diversi, che però adombravano tutti il concetto di consacrazione (nugig o mugig in sumerico, qadishtu o zērmasītu in assiro, e qedeshah in ebraico e in fenicio, ἱεροδούλη in greco); e l'opera di carne, da esse assiduamente compiuta, era come la perenne celebrazione dell'imperiosa sessualità della dea. Queste "consacrate", che affollavano i cortili dei templi, non costituivano certo la minore attrattiva per le folle maschili, indigene e forestiere, da vicino e da lontano accorrenti alle feste della divinità. Vogliono alcuni che, secondo il senso vero e reale della istituzione, queste cortigiane vadano considerate non soltanto come strumento di piacere, ma anche come le viventi incarnazioni della dea, le sacre trasmettitrici, attraverso la voluttà carnale, di cui erano ministre, delle virtù feconde e fecondatrici della loro divina signora. Qadishtu e nugig, infatti, sono epiteti abituali di Ishtar; così come l'epiteto di ishtaritu, derivato dal nome della dea, è un sinonimo di nugig e di qadishtu. Ishtar è quindi - essa medesima - "la grande prostituta", colei che divinamente e incessantemente si prodiga ai fini della propagazione della vita universa. Perciò la consacrazione di vergini a cosiffatto servizio veniva quasi a rivestire il carattere di un pio atto sociale, e tale consacrazione, separandole dal mondo profano, dove dominavano le leggi della purità morale, le immetteva nel mondo sacro, dove regnavano invece sovrane le leggi della purità rituale, che erano spesso con quelle in assoluto contrasto. La purità rituale, infatti, non subiva offesa dalla natura dell'atto compiuto, bensì dell'inadempienza delle formalità, che il compimento dell'atto esigeva; ond'essa era perfettamente salva nell'esercizio del meretricio sacro purché fossero rispettate le norme prescritte di purificazione esteriore.

Il cortigianato sacro vive oggi ancora, ad esempio, nelle danzatrici dei templi di Siva nell'India Meridionale, nelle prostitute sacre delle popolazioni Ewe lungo la Costa degli Schiavi e degli Akikuyu dell'Africa orientale inglese (spose del dio-pitone), nonché delle popolazioni Tsi lungo la Costa d'Oro.

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