PROSTATA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

PROSTATA (XXVIII, p. 363)

Ermanno Mingazzini

Per le malformazioni congenite, per i traumi, per i rari tumori benigni, per i calcoli, per le infezioni croniche, rimangono consigliabili le cure già conosciute. Per le flogosi acute prostatiche i sulfamidici e la penicillina possiedono un'azione modesta. Una vera e propria cura contro l'ipertrofia prostatica ancor oggi non esiste: tuttavia gli ormoni maschili, sia sintetici (propionato di testosterone), sia naturali possiedono una indiscutibile efficacia palliativa nel primo ed anche nel secondo periodo della malattia. Essi rivelano la loro efficacia nel diminuire la frequenza delle minzioni, nel migliorare lo svuotamento della vescica. Ma il risultato non si deve a modificazioni della prostata, bensì ad una diminuzione della soglia di eccitabilità e ad un'ipertrofia della muscolatura trigonale destinata all'apertura del collo vescicale all'inizio della minzione.

La resezione endoscopica non è riuscita a diffondersi, in Europa, nella cura dell'ipertrofia prostatica, in quanto il volume abitualmente osservato dell'organo malato è già troppo grande perché sia applicabile questa cura. La sua tecnica rimane difficile e i pericoli sono sempre esistenti. Con i moderni antibiotici ed emostatici la mortalità dell'intervento radicale è diminuita notevolmente, di guisa che la perdita del paziente è di solito dovuta più a complicazioni extraurinarie che a quelle dell'apparato in questione. Si assiste quindi ad una ripresa di metodi preconizzati e poi abbandonati per l'immaturità dei tempi: per questo oggi è giustificata la tendenza di alcuni autori all'esecuzione della cosiddetta prostatectomia ideale, ossia all'asportazione dell'organo ipertrofico seguita dalla chiusura "per prima" della vescica (Hey). Un'altro metodo che è riassommato è la prostatectomia perineale, ma già di nuovo si tende ad abbandonarla per i possibili inconvenienti (lesioni del retto, fistole urinarie, incontinenza, impotenza sessuale). Ad esso si preferisce - quando si possa - il retropubico (Millin) per il quale la prostata ipertrofica viene asportata dalla via alta (addominale), ma portandosi sull'organo al di fuori e al davanti la vescica.

Nel cancro prostatico lo stilbestrolo, associato o meno alla castrazione sottoalbuginea, rappresenta un enorme progresso nella terapia palliativa. L'efficacia è bensì transitoria, ma sempre di qualche anno, ed è così evidente da far scomparire i dolori e la difficoltà alla minzione. Spesso consente l'abolizione del drenaggio vescicale soprapubico, e permette una vita quasi normale. Anche il reperto locale regredisce quasi sempre in modo straordinariamente notevole. Ma poi le metastasi che in genere non si modificano con la cura e una cachessia progressiva conducono a morte il malato, e tanto più rapidamente quanto prima s'interrompe la cura. L'asportazione dell'organo cancerigno dopo la cura con lo stilbestrolo è stata proposta, ma i risultati non ancora accertati.

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