FONTANA, Prospero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997)

FONTANA, Prospero

Vera Fortunati

Nacque a Bologna nel 1512 e la sua prima formazione è documentata da tutte le fonti a Bologna presso Innocenzo da Imola. Borghini (1584, I) informa di un suo soggiorno a Genova, dove fu attivo nel palazzo Doria e nel palazzo della Signoria.

Nell'ambito della produzione grafica relativa al cantiere di palazzo Doria sono stati riconosciuti al F. alcuni disegni: Saturno, Vulcano e altre figure (Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi) e Pelias che convince Giasone ad andare alla ricerca del vello d'oro (Berlino, Gemäldegalerie), che ne confermano la presenza a Genova al seguito di Girolamo da Treviso (Nova, 1983). A Genova il F. conobbe un ambiente artistico ricco di prestigiose presenze (Giulio Romano, Perino, Pordenone): l'esperienza si riflette in alcuni dipinti di devozione privata, collocabili sulla metà del quarto decennio, come l'Adorazione dei pastori (Bologna, Collezioni della Cassa di Risparmio), che riprende motivi della pala Basadonne di Perino (Washington, National Gallery), e la Sacra Famiglia con s. Anna e s. Giovannino (Vicenza, Museo civico; Fortunati Pietrantonio, 1986, p. 341).

La permanenza dell'artista a Genova fu saltuaria se nel 1534 il cardinale del Monte, allora vicelegato a Bologna, lo ricorda come suo "famigliare" (S. Bernicoli, Governi di Ravenna e di Romagna dalla fine del sec. XII alla fine del sec. XIX, Ravenna 1898, p. 63). A Bologna nel 1539 il F. sposò Antonia de Bonardis, che apparteneva ad una delle più importanti famiglie di tipografi bolognesi (Sorbelli, 1929, p. 98), iniziando un contatto fecondo con l'universo poliedrico dell'illustrazione dei testi (disegni, incisioni, stampe), che alimenterà nel tempo il suo metodo di lavoro. Nello stesso anno la presenza a Bologna del Vasari e di C. Gherardi detto il Doceno, impegnati nel complesso decorativo del refettorio di S. Michele in Bosco, e l'arrivo della pala di F. Salviati nella chiesa di S. Cristina costituiscono una tappa fondamentale nella formazione dell'artista.

Lo Sposalizio di s. Caterina, che Oretti ricorda nel monastero delle monache di S. Giovanni Battista, firmato e datato 1540, identificabile con la pala già a Wiesbaden, oggi di nuovo a Berlino (Sassu, 1996), è la prima opera documentata del F., dove si segnalano tangibili accostamenti al Vasari e al Doceno accanto ad eleganti e raffinate debitrici a Perino e a Parmigianino. E il dipinto di Salviati tuttavia a stimolare il F. nella sperimentazione di una maniera moderna in grado di assimilare i più prestigiosi modelli tosco-romani nel fascino cortigiano di Parmigianino senza dimenticare le radici naturalistiche del raffaellismo padano (Girolamo da Treviso e Girolamo da Carpi). È quanto si può vedere in alcuni dipinti devozionali a destinazione privata collocabili nel pnmi anni del quinto decennio: Sacra Famiglia con s. Giovanni Battista e santa martire (Verona, Museo di Castelvecchio), Sacra Famiglia con s. Giovannino e s. Francesco (Bologna, Collezione Banca del Monte), Sacra Famiglia con s. Cecilia e s. Giovannino (Bologna, Museo Davia Bargellini).

Nei primi anni Quaranta il F. andò acquisendo un ruolo di prestigio impegnandosi nell'allestimento di scenografie teatrali (Prodi, 1959, p. 60) e segnalandosi come valente frescante. Verso il 1542 infatti collaborò con Girolamo da Treviso negli affreschi a chiaroscuro con "storie romane", andati perduti, nella facciata di palazzo Torfanini (Lamo, 1560, p. 29). Sono pure irreperibili i disegni degli affreschi eseguiti dal Fratta nel 1735 e in seguito venduti in Inghilterra.

Nel 1545 i due lavori, firmati e datati, Sacra Famiglia con s. Giovannino (Bologna, chiesa di S. Maria del Baraccano) e la Beata Diana Andalò che fa professione nelle mani di s. Domenico (Bologna, Museo di S. Domenico) possono considerarsi la sintesi delle diverse esperienze della sua formazione giovanile nella fusione tra tradizione raffaellizzante, classicismo padano e le novità importate a Bologna da Vasari e Salviati. Tra il 1544 e il 1546 il F. fu impegnato a Roma nel cantiere di Castel Sant'Angelo. La sua presenza, che non compare nei pagamenti, è stata riconosciuta in varie sale (sala dell'Adrianeo, sala dei Testoni, sala di Amore e Psiche, sala del Perseo). Il coinvolgimento nell'équipe del cantiere di Castel Sant'Angelo consentì al F., di nuovo collaboratore di Perino, di entrare nel circolo delle committenze farnesiane addestrandosi ad uno stile decorativo fluido nelle eleganze ritmiche fra Perino e Primaticcio, ricco di citazioni antiquariali, alimentato da una fervida erudizione letteraria e mitologica.

Tra il 1547 e il 1548 il F. riannodò a Rimini e a Ravenna i rapporti con il Vasari e il Doceno (Vasari, 1568, VII, p. 410; Id., sec. XVI, pp. 58-60). A questo momento sembrano appartenere l'Adorazione dei Magi (Berlino, Gemäldegalerie) e la Deposizione (Bologna, Pinacoteca nazionale). Nella Deposizione, un tempo nell'oratorio della Morte, la lezione vasariana viene esorcizzata in un elegante montaggio di elaborate citazioni da Raffaello a Perino nella rielaborazione dell'incisione dureriana d'analogo soggetto. Nel 1548 il F. firmò e datò il ritratto che rappresenta un Uomo con fanciullo (Baldinucci, 1681-1728), ancora non rintracciato: un importante indizio della privilegiata vocazione alla ritrattistica elogiata da Lanzi (1789). Il F. era un artista ormai maturo, in grado di accostare le diverse tendenze artistiche presenti a Roma intorno alla metà del secolo alle novità in fieri nella civiltà manieristica bolognese. Intensi furono anche i suoi contatti con la reggia di Fontainebleau tramite Primaticcio. E quanto si vede nel complesso decorativo con le Storie di Costantino e papa Silvestro (Bologna, palazzina della Viola), eseguito allo scadere del quinto decennio dal F., che, secondo Vasari, sarebbe subentrato alla morte di Innocenzo da Imola. Durante il pontificato di Giulio III il F. assunse un ruolo di grande prestigio nella politica artistica promossa dalla corte pontificia, fatto che lo costrinse a spostarsi continuamente da Bologna a Roma. Del 18 ag. 1550 è il breve di Giulio III (Galli, 1923) nel quale il papa stabilì un vitalizio mensile di cinque scudi per l'artista. Il F. ottenne ufficialmente l'incarico di fare il ritratto di Giulio III già ultimato nell'agosto 1550. Nelle due versioni del ritratto note (Bologna, Biblioteca universitaria; vendita Spinelli Pesaro 1928) alla ripresa di modelli illustri (Raffaello e Tiziano) si affianca una resa naturalistica del volto secondo la tradizione ritrattistica bolognese-emiliana.

Tra il dicembre 1550 e l'agosto 1551 il F. è documentato di nuovo a Roma al servizio di Giulio III impegnato "nella Fabbrica di Belvedere et altre occorrenze" (Fortunati Pietrantonio, 1982) nello stesso periodo in cui vi erano attivi Daniele da Volterra e Pellegrino Tibaldi.

Nel 1551 a Bologna il F. firmò e datò la Disputa di s. Caterina (Bologna, S. Maria del Baraccano), una delle rare opere bolognesi documentate di questi anni, dove si svela una preziosa tessitura di luce e colore che rimanda a Mazzola Bedoli e che diventò l'aspetto specifico delle opere migliori della sua vasta produzione. Durante questo periodo bolognese (settembre 1551 - marzo 1552) collaborò con Tibaldi nella cappella Poggi della chiesa di S. Giacomo Maggiore dove eseguì nella volta gli scomparti con le Storie del Battista e gli ottagoni con gli Evangelisti, questi ultimi attribuiti da Lamo (1560, p. 36), esibendo una raffinata maniera nutrita d'accenti tosco-romani (Vasari, il Doceno, Perino) e di un gusto antiquariale negli splendidi stucchi.

Di nuovo a Roma tra l'aprile 1553 e il febbraio 1555, il F. si occupò della direzione dei cantieri di villa Giulia e di palazzo Firenze, imprese artistiche su cui si concentrò l'interesse del nuovo pontefice.

Nella direzione del cantiere di villa Giulia il F. fu affiancato da una équipe di collaboratori fra cui il giovane Taddeo Zuccari. Gere (1965) attribuisce senza dubbi al F. la sola decorazione della sala nord al piano terreno con affreschi raffiguranti Scene di Bacco e Ninfe. La presenza del F. in realtà sembra più ampia in quanto suoi motivi anche se non direttamente eseguiti si ritrovano nella decorazione del ninfeo (Trionfi delle stagioni), nel fregio della sala delle Quattro stagioni o di Venere (particolare dell'Inverno, particolare con Venere ed amorini), nella decorazione della sala delle Virtù e delle arti liberali (particolare della Logica). A villa Giulia il F. ripropose quello stile decorativo la cui prima manifestazione è in Castel Sant'Angelo: un revival della cultura delle logge, arricchito tuttavia da una più matura conoscenza del Doceno e del Salviati. L'accento personale dell'artista si manifesta in eleganze formali degne di Fontainebleau e nei motivi naturalistici che incorniciano l'evocazione dei miti. Un concettoso progetto iconografico, probabilmente suggerito da Rainero, segretario di Balduino dei Monte (Nova, 1983, p. 68), regola il complesso decorativo di palazzo Firenze eseguito dal F. negli stessi anni: gli affreschi della loggia del piano terreno, che alludono in maniera apologetica alla figura del pontefice; le tre tavole, Ninfe e Cupidi, l'emblema Del Monte ed Ercole nel giardino delle Esperidi nella sala del granduca, dove originariamente era collocata anche la Contesa delle Reridi. Perino e Primaticcio, disegni e stampe, alimentano la fantasia decorativa del F. che raggiunge esiti di preziosa raffinatezza nella dimora privata del fratello del papa.

La stessa maturità stilistica accompagnata dalla verità ottica di incantevoli particolari si riscontra in alcuni lavori coevi come la Sacra Famiglia con s. Cecilia e una santa martire (Dresda, Gemáldegalerie). Alla morte di Giulio III il F. rientrò a Bologna, dove collaborò con Bonasone all'edizione delle Simbolicarum quaestionum ... libri quinque di Achille Bocchi pubblicati a Bologna nel 1555. Nello stesso tempo il F. probabilmente eseguì il soffitto con "Virtù e Deità" (Malvasia 1678, p. 176) nella sala a piano terreno del palazzo Bocchi, sede dell'Accademia Hermatena.

La tipologia decorativa rimanda al Doceno (sala degli dei pagani, palazzo Bufalini a San Giustino), mentre il progetto iconografico riflette la poliedrica cultura bocchiana. Il linguaggio maturato a Roma nella cerchia famesiana si purifica da ogni corsività e improvvisazione in una resa stilistica autografa anche nei minimi dettagli decorativi e in una elaborata sintesi formale per visualizzare l'ermetico programma dei virtuosi dell'Accademia. Sostenuto dalla forza intellettuale del Bocchi, il F. visualizzò una mitografia complessa per intricati rimandi a stampe, disegni, incisioni e per esoterici contenuti simbolici propri alla singolare personalità del commitente. Questa coltivatissima interpretazione della più nobile "maniera modema" si ritrova anche nella quasi coeva Sacra Famiglia con s. Gerolamo, s. Giovannino e santa martire (Melboume, Gallery of Victoria).

Tra il 1555 e il 1561, anno in cui il F. firmò e datò il Battesimo per la cappella Poggi nella chiesa bolognese di S. Giacomo Maggiore, non si conoscono lavori datati. Verso il 1556 sono da collocarsi gli interventi del F. e della sua équipe in alcune sale di palazzo Poggi (sala di Davide, sala di Mosè). È stata recentemente riconosciuta la presenza del F. nell'équipe vasariana impegnata tra il 1554 e il 1558 in palazzo Vecchio nel quartiere degli Elementi (sala di Ercole e ricetto della sala di Giove) dove l'artista bolognese lavorò insieme con Marco Marchetti da Faenza e a C. Gherardi (Coliva, 1993, pp. 47-51). Sono anni in cui il F. iniziò a dirigere i cantieri impegnati in vasti complessi decorativi nelle dimore di famiglie aristocratiche legate ai Farnese tramite complicate trame di alleanze politiche e dinastiche in un intreccio di committenze artistiche che sembrano trovare un punto di riferimento importante anche nel Vasari. Probabilmente il F. subentrò al Doceno, morto nel 1556, nella direzione del cantiere del palazzo Vitelli a Sant'Egidio, iniziando una collaborazione che durò fino agli inizi degli anni Settanta. A questo primo periodo sembra doversi collocare la decorazione della sala dell'Olimpo, dove sono rievocate invenzioni iconografiche e stilistiche già esperite tra Roma (villa Giulia e palazzo Firenze) e Bologna (palazzo Bocchi) con l'aggiunta di "capricci" formali propri al Doceno.

Verso lo scadere del sesto decennio il F. si recò a Fontainebleau come attesta Vasari (1568, VII, pp. 410, 414) e come confermano il Battesimo (Bologna, chiesa di S. Giacomo Maggiore), firmato e datato 1561, e gli affreschi con le Storie della Vergine della cappella del legato, ultimati nel 1562 (Fortunati, 1996).

Le Storie della Vergine affrescate dal F. sono una sorta di Bibbia illustrata per gli occhi di aristocratici, coltissimi personaggi curiali nel momento in cui il potere della chiesa si sovrappone al potere temporale del Senato e degli oligarchi. E la devozione al potere curiale nell'ultimo splendore di un Rinascimento in via d'estinzione. L'importante commissione della cappella del Legato, la Sistina bolognese, documenta che il F. all'inizio del settimo decennio godette di una singolare considerazione nella seconda città dello Stato della Chiesa proprio negli stessi anni in cui intensificò i contatti con il Vasari e con l'ambiente fiorentino.

Tra il 1562 e il 1563 il F. continuò a lavorare nell'ambito delle committenze farnesiane: a Poli nel palazzo di Torquato Conti e a Bolseria nel palazzo di Tiberio Crispo (Coliva, 1993) esibendo la sua "maniera lombarda" soprattutto nei paesaggi e nelle grottesche dove sono al lavoro gli stessi collaboratori presenti anche a Città di Castello.

A Bologna nel 1563 il F. fu in contatto con Vasari e Giambologna, quest'ultimo suo stesso ospite. Nel settembre dello stesso anno il F. giunse a Firenze a prestare "la sua opera nelle pitture delle tavole da porsi nel palco della Sala grande" in palazzo Vecchio come aiuto del Vasari, insieme con Naldini, Giovanni Stradano e Iacopo Zucchi; nel 1565-1566 collaborò con Sabatini e Baglione nell'allestimento dei carri allegorici in occasione delle nozze di Francesco de' Medici con Giovanna d'Austria (Mellini, 1568); nel 1565 fu ammesso all'Accademia fiorentina delle arti e del disegno insieme a Marco da Faenza e a Livio Agresti.

A ridosso dell'esperienza fiorentina risale probabilmente la direzione del cantiere nella palazzina Vitelli a S. Egidio a Città di Castello (Cirillo - Godi, 1982, pp. 19-22).

Spetta al F. l'ideazione complessiva del progetto decorativo che fonde tendenze decorative fiorentine e bolognesi-parmensi, farnesiane, con la novità ottica di particolari naturalistici, in cui si rispecchiano suggestioni e contatti con la scienza di Aldrovandi.

Intorno al 1566 il F. eseguì a Città di Castello anche la sala degli Dei nel palazzo Vitelli a Sant'Egidio. Nel complesso decorativo alcune parti si avvicinano ai pochi dipinti coevi firmati e datati: nella Venere che piange la morte di Adone i due protagonisti sono simili alla Maddalena e al Cristo nella Pietà (Sidney, Art Gallery of New South Wales), firmata e databile in base all'iscrizione in parte scomparsa 1563 o 1568, che a sua volta richiama la miniatura d'analogo soggetto di Giulio Clovio presente nelle collezioni medicee; il volo di cupidi della Venere e Amore ritorna speculare nell'Assunta con angeli in gloria e apostoli al sepolcro (Bologna, coro interno del monastero del Corpus Domini), firmata e datata 1565.

Questi riscontri aiutano a comprendere il metodo di lavoro del F. che crebbe su infinite variazioni di idee grafiche (Lugli, 1982). Una metodologia che è soprattutto progettazione più che esecuzione affidata nei complessi decorativi generalmente agli aiuti e che permette al F. di realizzare in breve tempo "infiniti lavori" "avendo egli solo dipinto più che quattro altri pittori insieme" (Malvasia).

Nella seconda metà del settimo decennio si collocano anche il Ritratto di astronomo (Roma, Galleria Spada) e il Ritratto di gentildonna (Bologna, Museo Davia Bargellini) che nelle diverse tipologie mostrano emblematicamente gli aspetti poliedrici della sua produzione divisa fra impegni cortigiani e rapporti con le personalità dello Studio bolognese, fra mito e letteratura, scienza e collezionismo. Vicino a Bocchi e amico di Aldrovandi, il F. fu protagonista di spicco nella vita culturale della seconda città dello Stato Pontificio: a Bologna la sua casa fu "il ridotto e l'emporio" di tutti "i virtuosi" e dei forestieri (Malvasia, 1678, p. 174).

Allo scadere del settimo decennio la collaborazione con Bertoia nella cappella Pepoli di S. Domenico a Bologna prelude ai soggiorni a San Secondo (Parma) e a Città di Castello, dove si allestivano fastosi progetti decorativi destinati a celebrare le gesta di famiglia, sul modello di Caprarola e palazzo Vecchio (Kliemann, 1993). Sul 1570 nel castello dei Rossi a San Secondo l'intervento del F. sembra ridursi alla progettazione dei tre riquadri nella volta del salone eseguiti probabilmente da Ercole Procaccini.

A Città di Castello il ruolo del F. è definito in un contratto stipulato a Parma il 1° apr. 1571 che lo impegnava con il committente Paolo Vitelli per tre anni (Kliemann, 1987).

La decorazione del salone terminata nel 1573 ha subito nel tempo radicali manomissioni che la rendono illeggibile. Fra gli studi preparatori ritrovati fino ad ora appartiene al F. il disegno con Carlo VIII re di Francia nomina Camillo Vitelli duca di Gravina (Oxford, Christ Church; ibid.), mentre gli altri disegni si attribuiscono a Samacchini suo collaboratore insieme con il Circignani e con altri. Che a Città di Castello la progettazione e la direzione dei lavori spetti tuttavia al F. è chiaramente delineato in una lettera del Vitelli del 6 marzo 1572 indirizzata senza il nome del destinatario al sovrintendente dei lavori, probabilmente un maggiordomo (Rosini, 1986; Eliemann, 1987). La regia del F. nel palazzo Vitelli sfrutta al massimo i virtuosismi prospettici e gli effetti scenografici, le citazioni antiquariali, apprese in una lunga carriera presso i cantieri più prestigiosi della civiltà manieristica da Foritainebleau a Roma e a Firenze. È l'ultima attività svolta nell'ambito delle committenze farnesiane.

Nel 1573 il F. rientrò a Bologna, dove si stabilì definitivamente. Nell'età di Gregorio XIII (1572-1585) il F., collaborando con il Paleotti, divenne primo protagonista di un'arte sacra "riformata", chiara e persuasiva, "libro popolare" secondo i pressanti suggerimenti e le invocate attese del cardinale bolognese.

Nell'Elemosina di S. Alessio (Bologna, chiesa di S. Giacomo Maggiore), documentata 1573, il F. propose una "macchina" d'altare che divenne a Bologna importante archetipo per la successiva pittura di Controriforma. Il recupero dell'ultimo classicismo di Raffaello (il Raffaello degli arazzi) e richiami al manierismo classico romano di Livio Agresti allontanano ogni ricordo di torsione michelangiolesca mentre frammenti di verità ottica rendono "verisimile" il mondo dei poveri che educatamente circondano Alessio, elemosiniere, simbolo dell'Ecclesia riformata promossa dall'azione pastorale del vescovo bolognese. La pala nell'ingegnosità persuasiva della sua coerenza interna lascia immaginare un fitto dialogo fra il F. e il Paleotti sui temi del "decoro", del "vivo", del "vero" e del "verisimile", quali saranno delineati con chiarezza più tardi nel Discorso (1582) paleottiano scritto con la consulenza dello stesso artista.

Poco dopo verso il 1575 l'Annunciazione (Milano, Pinacoteca di Brera) testimonia il cammino progressivo dell'artista per raggiungere un'arte sacra comprensibile a tutti e persuasiva per la "casta" bellezza della pittura e per la verosimiglianza della narrazione evangelica in sintonia con le istanze riformatrici di Paleotti. Nell'imponente tela il ritratto della committente richiama il capolavoro di Girolamo da Carpi (pala Muzzarelli, Washington, National Gallery), denunciando tuttavia un'aderenza puntigliosa alla reale immagine dell'effigiata secondo le motivazioni disciplinari relative alla moda del ritratto delineate da Paleotti nel Discorso.

Sul finire dell'ottavo decennio il F. accanto a B. Cesi, C. Aretusi, C. Procaccini, G. Morina intervenne nel complesso decorativo della zona absidale di S. Pietro realizzato secondo un programma iconografico suggerito dallo stesso Paleotti, affrescando i sottarchi e la volta a crociera con Dio benedicente ed angeli musicanti (1579). È l'ultima importante commissione pubblica, che lasciò sempre più spazio all'attività della figlia Lavinia.

Nel decennio 1580-1590 l'attività dei F. rallentò anche se non mancarono esiti di buona qualità come la Crocifissione (Bologna, Museo del convento di S. Giuseppe), firmata e datata 1580. Nel secondo trimestre del 1581 il F. si fece eleggere massaro della corporazione dei pittori bolognesi (Zapperi, 1991): è un indizio importante del ruolo strategico del F. nel controllo della politica artistica cittadina. Alle novità del naturalismo carraccesco il F. rispose esibendo con rinnovato vigore quelle lucidità ottiche che lo accompagnarono fino dalla giovinezza (Madonna e i Ss. Pietro e Antonio Abate, Bologna, Sant'Antonio di Savena, 1585 circa) o rifugiandosi in quelle curiosità di erudizione letteraria o scientifi ca che hanno costituito un aspetto fondamentale della sua attività (Insegna dell'Accademia dei Gelati, Bologna, Collezioni comunali d'arte, 1588).

L'ultima opera conosciuta è la Depqsizione dalla Croce (Marsiglia, Musée Saint-Etienne), firtnata e datata 1593, dove il F. rielaborò probabilmente una stampa o un'incisione nordica.

Il F. morì a Bologna nel 1597.

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