Profeta

Enciclopedia Dantesca (1970)

profeta

Vincent Truijen

Il vocabolo indica " colui che annuncia " sotto la diretta ispirazione divina, quindi che " parla in vece " di Dio. Da questo valore originario - presente anche nelle Scritture - il termine passò, con falsa etimologia, a quello vulgato di " colui che parla in anticipo ", che " annuncia il futuro " che ‛ prevede ', ma sempre in virtù di un potere eccezionale; cfr. Isidoro (Etym. VII VIII 1): " [prophetae] Quos gentilitas vates appellant, hos nostri prophetas vocant, quasi praefatores, quia porro fantur et de futuris vera praedicunt ". Da notare che il termine è per lo più usato da D. per designare i p. dell'Antico Testamento (v. oltre).

In relazione al valore specifico del termine, ‛ falso p. ' (solo in Cv IV XVI 10 Guardatevi da li falsi profeti, che traduce Matt. 7, 15) indica colui che vanta il proprio titolo senza esservi chiamato e reso idoneo da Dio.

Nell'uso vulgato di " preveggente " invasato da Dio p. si ha in Pd XII 60 che, ne la madre, lei fece profeta, in riferimento a s. Domenico, il cui spirito fu ricolmato e posseduto dalla virti divina (in grazia di una " repletio Spiritus Sancti ", come dicevano i medievali), che diede alla madre virtù profetica, quando egli era 'ancora nel seno materno (la donna, secondo la leggenda, previde in un sogno simbolico la futura vocazione religiosa del figlio).

Col medesimo valore di uomo che, per dono soprannaturale, manifesta agli altri verità o eventi di cui essi non hanno percezione, è da rilevare, infine, l'uso proverbiale della voce in Cv I IV 11 ciascuno profeta è meno onorato ne la sua patria (cfr. Matt. 13, 57 " Non est propheta sine honore, nisi in patria sua "; Luc. 4,24; Ioann. 4, 44 " Propheta in sua patria honorem non habet "; ma andrà ricordata anche la tradizione proverbiale del Medioevo: " Spernitur in patria quivis, licet ipse propheta "; " In patria natus non est propheta vocatus ").

I Profeti Biblici. - Con il termine p. vengono indicati gli " uomini di Dio " che, secondo l'etimologia del termine greco (προφήτης), " parlano in nome di Dio ".

In tutte le antiche religioni è dato incontrare questi uomini destinati da Dio che, partendo da un'esperienza particolare di lui, costituirono l'elemento dinamico della loro religione (Mosè, Balaam, Maometto, Zaratustra). Nella Bibbia ebraica essi portano il nome di ‛ nābhī ' (" il chiamato "), ‛ naẑir ' (" il consacrato ") o di ‛ mašiah ' (" l'unto "). Per missione divina (carisma) il p., attraverso atti o parole, trasmette a coloro cui è inviato i giudizi, gli ordini e le rivelazioni che Dio gli comunica per via soprannaturale (cfr. Deut. 18, 18 ss). È solo in via subordinata che al p. può venir attribuita la funzione di annunziare l'avvenire, attribuzione operata, soprattutto a partire dal Medioevo, sulla base di una cattiva etimologia del termine greco (v. sopra). Salvo poche eccezioni i p. non sono sacerdoti, e perciò assumono più facilmente una funzione critica nei confronti della religione stabilita, del culto che ne è l'espressione ufficiale, e della società che ne è imbevuta. Notizie sui p. si hanno attraverso i libri storici della Bibbia, i quali dal ‛ canone ' ebraico vengono indicati come ‛ p. anteriori ' o ‛ primi profeti '. Di qui sappiamo che esistevano p. alla corte dei re, come Natan presso David, che altri vivevano in gruppi da cui uscirono Elia ed Eliseo, e che altri ancora erano talvolta chiamati improvvisamente da Dio per una missione speciale. A partire da Amos, nel sec. VIII - allorché comincia già a delinearsi il declino del movimento profetico in Israele - le profezie vengono riunite in libri o brevi raccolte, designati come ‛ p. posteriori ' dalla Bibbia ebraica: cioè i grandi p., Isaia, Geremia ed Ezechiele, a cui le Bibbie latine aggiungono Daniele, e i dodici profeti minori.

D. è soprattutto cosciente del ruolo ‛ magistrale ' dei p. scritturali, testimoni della verità rivelata. Egli afferma che è lo Spirito Santo a parlare nei p. (Mn III IV 11), per rivelare la verità soprannaturale necessaria alla salvezza degli uomini (XVI 9). con p. D. designa i grandi p. della Scrittura: Isaia (Cv XXI 12, Mn II XII 5), Geremia (Vn XXX 1 ed Ep XIII 62), Ezechiele (Ep XI 6). In Pd XII 136 ricorda Natàn profeta. Più spesso, però, secondo l'uso del tempo D. designa con il nome di Propheta o Profeta il Salmista, cioè David, con uso antonomastico (Cv II I 6, III IV 8; Mn II I 5, III III 12). Talvolta D. fa allusione o cita testi del Nuovo Testamento dove si fa menzione dei p., ma senza che questo possa fornire un argomento valido a dimostrare la comprensione del carisma profetico da parte di D. (Cv I IV 11 = Matt. 13, 57; Cv II V 1 = Hebr. 1, 1; Pd XXIV 136 = Luc. 24, 44).