PRODUTTIVITÀ

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

PRODUTTIVITÀ

Martino Lo Cascio
Vincenzo Lo Iacono

(App. III, II, p. 493)

Il termine p. è usato nella teoria economica per indicare l'apporto di uno o più fattori (input) al processo produttivo di un bene o servizio o di un insieme di beni e servizi; oppure, in altre parole, il rapporto tra risultato (output) dell'attività produttiva e i mezzi (quantità di fattori) impiegati per realizzarla. A fini operativi è utile analizzare soprattutto le variazioni di p., per cui risultano cruciali per il concetto di p. o delle sue variazioni le relazioni che legano input e output, data una certa tecnologia o al variare della stessa. Queste relazioni, che definiscono il processo di conversione degli input in output, vanno sotto il nome di funzione di produzione. È chiaro perciò come la p. sottenda una teoria della produzione.

Secondo la scuola marginalista, è necessario distinguere, a parità di tecnologia, tra p. media, ossia la quantità prodotta divisa per il numero di unità di uno specifico fattore necessario per la sua realizzazione, e p. marginale, ossia l'incremento della quantità prodotta che deriva dall'accrescimento di un'unità di un determinato input.

Se il mercato dei fattori viene considerato perfettamente concorrenziale e i fattori utilizzati perfettamente omogenei e ''malleabili'', p. media e marginale hanno un andamento di tipo parabolico e s'incrociano nel punto in cui la p. media raggiunge un massimo. Se si suppone che il mercato dei beni e servizi sia perfettamente concorrenziale, la sola parte rilevante per il calcolo economico dell'imprenditore (o del complesso degli imprenditori di un'industria, di una regione o di un paese) è, in realtà, quella in cui la p. marginale è decrescente e le combinazioni di fattori decise dall'imprenditore, a parità di prodotto, individuano la combinazione ottimale degli stessi. Si può dimostrare, ma è anche intuitivo, che tale combinazione è quella per la quale viene minimizzato il costo di produzione: questa situazione si verifica quando il rapporto tra p. marginale di ciascun fattore rispetto a ciascun altro fattore è uguale ai corrispondenti prezzi relativi. Sempre secondo la scuola marginalista la p. marginale di un fattore misura il valore della sua remunerazione: infatti un imprenditore non può pagare ogni singolo fattore più di quanto lo stesso contribuisca, al margine, alla produzione; né, d'altra parte, le condizioni di concorrenza tra i vari imprenditori consentono remunerazioni inferiori.

Se si abbandonano le ipotesi di concorrenzialità nei mercati dei fattori e dei prodotti, occorre distinguere tra p. ed efficienza. Data una certa tecnologia, le possibilità di scelta in materia di processi di produzione sono definite dall'insieme delle possibilità di produzione. Se alcuni o tutti i fattori non sono ''malleabili'' e/o non c'è competitività nei mercati, o se all'imprenditore è consentito dal mercato di gestire i fattori di produzione con motivazioni che eccedono quella della minimizzazione dei costi, è possibile che si verifichi la cosiddetta x-inefficiency. Un processo di produzione è invece efficiente se non è possibile ottenere uno stesso volume di output utilizzando una quantità inferiore di uno o più input da esso impiegati (Fuss, McFadden e Mundlak 1978). In questo caso può essere definita la funzione di produzione ''frontiera'' come relazione che esprime la massima quantità di output che è possibile ottenere per ogni data combinazione di input.

I vincoli posti da una data tecnologia determinano la curvatura della funzione di produzione (da cui possono essere tratte le caratteristiche e gli andamenti della p. media e marginale). Al variare nella stessa proporzione delle quantità di tutti i fattori impiegati, la quantità di output può variare nella stessa proporzione, e allora si dice che si hanno rendimenti di scala costanti, oppure può variare più o meno che proporzionalmente e allora si dice che i rendimenti di scala sono rispettivamente crescenti o decrescenti.

Al variare nello spazio e nel tempo della tecnologia, il livello e curvatura della funzione di produzione possono modificarsi. Nel tempo, la variazione della tecnologia riduce il fabbisogno di input a parità di produzione o fa aumentare la produzione a parità di input. Per conseguenza, a parità di remunerazione dei fattori si riduce il costo unitario di produzione: si parla in questo caso di ''progresso tecnico''. Il progresso tecnico è ''neutrale'' (nell'accezione di Hicks) se non altera la curvatura della funzione di produzione, ossia se, a parità di prezzi dei fattori, non ne altera le proporzioni impiegate nel processo produttivo. Se, in conseguenza del progresso economico, a parità dei prezzi dei fattori la curvatura della funzione di produzione si modifica, la p. marginale di un fattore rispetto a tutti gli altri cambia, con la conseguenza di determinare scelte dell'imprenditore che progressivamente modificano le quantità relative dei fattori impiegati (processi capital-using, labor-using, ecc.).

Da quanto detto sopra sono evidenti le connessioni fra efficienza, progresso tecnico e produttività. Tuttavia le tre nozioni non possono essere confuse o sovrapposte se non adottando restrittive ipotesi a priori sul funzionamento sia del singolo mercato, sia del complesso dei mercati nel cui ambito si compiono le scelte delle imprese. In linea del tutto generale, la distinzione tra efficienza e progresso tecnico può essere evidenziata dicendo che quest'ultimo rappresenta la trasposizione in un contesto temporale e spaziale della prima.

La tecnologia disponibile in un certo istante o in una certa area/mercato definisce i vincoli per le scelte dell'imprenditore nell'impiego di diverse proporzioni di input per ottenere lo stesso output o, se si vuole, per ottenere diversi set di output a parità di input disponibili. L'allentamento dei vincoli tecnologici nel tempo (o nello spazio) qualifica il progresso tecnico nel senso che un differenziale di efficienza positivo individua il progresso tecnico.

Le nozioni di p. e di efficienza tendono a coincidere in un certo istante (o in una determinata area economica omogenea) solo nel caso in cui il comportamento delle singole imprese, dato quello di tutti gli altri agenti economici, è vincolato rigidamente alle tecniche potenzialmente utilizzabili; in altre parole, solo quando la relazione tra output e input è una funzione di produzione ''frontiera''. I processi produttivi realmente impiegati possono differire da quelli teoricamente corrispondenti a uno standard di ottimalità, sicché un differenziale di produzione, a parità di apporti dei fattori impiegati, registrato in due diverse circostanze (temporali, spaziali, ecc.) può essere superiore o inferiore al differenziale di efficienza e quindi può avvenire in assenza o, in alternativa, può dipendere totalmente dal progresso tecnico.

D'altra parte, anche in presenza di funzioni di produzione ''frontiera'', se esistono rendimenti di scala crescenti (decrescenti), un livello maggiore (minore) di output, a parità di contributo dei fattori impiegati, ossia una maggiore (minore) p. può avvenire anche in assenza di progresso tecnico. Un differenziale di p. si traduce in un pari differenziale di efficienza solo nel caso di funzioni di produzione ''frontiera'' a rendimenti di scala costanti. In questo caso la variazione di p. riferita al complesso dei fattori impiegati − indicata come variazioni di produttività globale dei fattori- è totalmente attribuibile al progresso tecnico (Jorgenson, Gollop e Fraumeni 1987).

Sul piano operativo, l'analisi della p. globale e i rapporti che la legano al progresso tecnico devono tener conto di un insieme di circostanze, tra le quali principalmente: a) l'effettiva struttura dei mercati in cui operano le imprese e altri operatori economici nel breve e lungo periodo; b) le caratteristiche del progresso tecnico e le interazioni con la struttura dei mercati nel tempo. Le soluzioni a questi due problemi influenzano un tema sinora adombrato ma non affrontato. Supposto che si misuri la p. di un'impresa che produce più beni o di un complesso di imprese di un settore o dell'intera economia è chiaro che occorre definire una funzione di aggregazione dei singoli beni e servizi; ugualmente è necessaria una funzione di aggregazione degli input (materie prime, lavoro, capitale, risorse naturali, ecc.) persino a livello di singola impresa che produce un singolo bene o servizio. Gli argomenti in queste funzioni di aggregazione sono le misure degli output e degli input ed esiste un'interdipendenza tra queste misure e la funzione di aggregazione adottata. D'altra parte i criteri con cui misurare gli output e gli input dipendono o possono influenzare le funzioni di produzione che stanno alla base della produttività.

L'analisi della p. globale dei fattori e del progresso tecnico è stata affrontata in molti studi di carattere teorico ed empirico nell'ambito di un quadro di riferimento caratterizzato dalle seguenti ipotesi a priori: tutti gli input sono istantaneamente aggiustabili; esistono piena utilizzazione dei fattori e aspettative statiche in tutti gli istanti del tempo, senza alcuna distinzione fra breve e lungo periodo. Se i prezzi dei prodotti sono determinati in ultima analisi dalle preferenze dei consumatori, esiste un equilibrio in tutti i mercati delle merci e dei servizi in tutti gli istanti del tempo. Il sistema dei prezzi che risulta dall'equilibrio all'interno e fra i mercati delle merci e dei fattori è quello che definisce i prezzi, ossia i parametri delle diverse funzioni di aggregazione. Sotto il profilo dinamico diventa utile separare slittamenti della funzione di produzione e modifiche nella sua curvatura per effetto del progresso tecnico, sia che esso influenzi in modo neutrale la frontiera delle tecniche efficienti sia che esso incida in modo diseguale sui diversi input (cfr., per es., May e Denny 1979). In studi più recenti (cfr., per es., Morrison 1986), le ipotesi a priori citate in precedenza sono state in qualche modo rese più elastiche. In primo luogo si è cercato di tener conto del diverso grado di malleabilità dei fattori e particolarmente del capitale che è una variabile di stock. Grado di utilizzazione del capitale e costi e tempi di aggiustamento nell'allocazione dei diversi fattori sono stati inseriti in molte stime quantitative.

La valutazione di p. globale dei fattori che ne deriva è stata così articolata tra breve e lungo periodo. Mentre le stime di breve periodo risultano assai variabili per le diverse specificazioni e situazioni considerate, quelle relative al lungo periodo non differiscono da quelle ottenute assumendo ipotesi più restrittive: in sintesi, l'interdipendenza tra traiettorie di breve periodo e traiettorie di lungo periodo non emerge. Ciò è chiaro se si pensa che il raggiungimento di un equilibrio di lungo periodo non per tatonnement (ossia con aggiustamento progressivo nella dotazione di risorse per tutti gli agenti economici), necessario per definire una misura non equivoca del costo d'uso del capitale, ossia del suo prezzo, richiederebbe di considerare dinamicamente la circolarità fra consumo e produzione, le interdipendenze fra prezzi e quantità di domanda e di offerta in tutti i mercati, essendo cruciali le variabili distributive del prodotto netto fra fattori primari.

La gamma di tali misure è assai ampia e comporta, per l'utilizzatore, la piena comprensione delle ipotesi sottostanti ciascuna di esse.

In linea del tutto generale, via via che gli indici di p. e delle sue variazioni risultano più strettamente connessi con la teoria economica, crescente risulta il numero delle ipotesi a priori che ne stanno alla base in modo esplicito o implicito. Il massimo di coerenza con la teoria della produzione e delle preferenze del consumatore si ha con la stima di indici a catena di indici Törnqvist. Questi ultimi, che rappresentano un'approssimazione accettabile di numeri indice esatti sviluppati nell'ambito dell'approccio funzionale (Diewert 1981, 1983; Diewert e Morrison 1986), hanno alla loro base l'esistenza di funzioni di produzione ''frontiera'' e un comportamento diretto a massimizzare i profitti (o a minimizzare i costi) su tutti i mercati degli input e degli output. Tali indici non sono vincolati a particolari ipotesi restrittive sulle tecnologie di produzione. Tuttavia, la loro utilizzazione deve tener conto dell'assunzione implicita di equilibrio di quantità e di prezzo di domanda e di offerta in tutti i punti dell'intervallo temporale per cui sono calcolati.

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Metodi di calcolo. - Per l'analisi delle differenti configurazioni della p. economica sono state proposte varie misure che esprimono concetti che s'identificano, per es., con il risultato del lavoro umano, con l'efficienza con la quale le risorse disponibili vengono impiegate nella produzione, con le forze che imprimono l'andamento osservato nei salari reali, con l'economicità della produzione, ecc. I vari aspetti della p. economica vengono misurati da particolari indici o indicatori di p. semplici o complessi, medi o marginali, distinti nelle categorie riguardanti gli indici di p. calcolati direttamente sui dati osservati a qualsiasi livello (di singole aziende, di settori produttivi o dell'intero sistema economico) e, rispettivamente, gli indici o indicatori ottenuti da funzioni matematiche (funzioni di produzione) raffiguranti combinazioni di fattori produttivi. Entrambe le categorie di indici appaiono, spesso, di difficile interpretazione non solo in rapporto agli aspetti della p. che si propongono di misurare, ma anche in relazione alla numerosità dei fattori cui la p. stessa può essere riferita.

Così, all'inizio, la misura della p. veniva limitata alla p. parziale, detta anche specifica, data dal rapporto tra una certa misura della produzione e una certa misura di uno o più fattori (lavoro, capitale, energia, ecc.) della produzione stessa, e si parlava di p. del lavoro o di prodotto per unità di lavoro e di p. del capitale o prodotto per unità di capitale, con l'ulteriore qualificazione di p. generica o specifica a seconda che il rapporto veniva istituito tra l'intera produzione o la parte di essa che competeva al fattore e il fattore stesso.

Le prime ricerche sulla p. hanno riguardato la p. del lavoro, misurata in termini di prodotto per occupato o per ora lavorata e, nonostante i limiti che tale indicatore presenta, non è raro ritrovare nelle fonti statistiche indici di p. del lavoro, utilizzabili per finalità differenti. Le ragioni di ciò sono da ricercare, tra l'altro, nella facilità con cui possono essere reperite le necessarie informazioni statistiche, essendo sufficiente la disponibilità di un indice della produzione e di un indice dell'occupazione, e nella semplicità e immediatezza delle elaborazioni richieste. Infatti, uno dei metodi più semplici per la determinazione delle variazioni nel tempo del prodotto per unità di lavoro consiste nel combinare opportunamente gli indici della produzione industriale (che sono disponibili in quasi tutti i paesi) con gli indici del volume del lavoro impiegato per conseguire la produzione, anch'essi facilmente ottenibili dalle rilevazioni sull'occupazione. Il risultato è sempre una misura parziale condizionata della p. economica, con tutti gli inconvenienti che la caratterizzano. La p. del lavoro tende ad aumentare nel tempo per numerose circostanze, tra le quali la migliore qualificazione dell'occupazione esercita un ruolo di fondamentale importanza. Pertanto le variazioni nel tempo della p. del lavoro forniscono una misura composita dei progressi realizzati nella produzione a causa di molteplici circostanze di ciascuna delle quali non è agevole misurare l'influenza.

Per evitare gli inconvenienti insiti nelle misure parziali della p. si ricorre al concetto di p. globale, secondo il quale si deve fare riferimento a tutti i fattori contemporaneamente, anche se in pratica si finisce quasi sempre con il limitare il riferimento al lavoro e al capitale. La necessità di considerare il complesso dei fattori nel calcolo della p., già evidenziata da J. Tinbergen nel 1942, è stata ribadita da H.S. Davis nel 1946 in occasione della 1ª Conferenza della p. di Washington. Solo attraverso il concetto di p. totale e delle corrispondenti misure è possibile accertare se si è effettivamente realizzato un risparmio nei costi per unità di prodotto. A livello aggregato, il rapporto tra il prodotto ottenuto in un determinato intervallo di tempo e il complesso dei fattori impiegati nel processo nello stesso periodo misura la p. globale o totale dei fattori (PTF), quale efficienza produttiva del sistema economico di riferimento.

Così intesa, ossia espressa in termini di livello, la p. totale appare scarsamente significativa; essa acquista invece rilievo quando si calcolano le sue variazioni temporali e spaziali e si tenta d'individuare i fattori cui esse possono essere imputate. Se, per es., da un determinato anno, assunto come base, a un anno successivo la produzione aumenta più di quanto sarebbe stato giustificato dall'aumento delle quantità impiegate di lavoro e di capitale, ferme restando le p. parziali dell'anno base, ciò significa che è cresciuta la p. totale. Questo viene interpretato nel senso che il progresso tecnico ha permesso di utilizzare in modo più efficiente ogni unità di lavoro e ogni unità di capitale.

Il problema della misura della PTF è stato affrontato alla luce di criteri differenti che consentono di pervenire a significative aggregazioni dei prodotti e dei fattori. Prescindendo dal procedimento che discende dall'analisi input-output di Leontieff, con il quale si ottiene un indice del cambiamento strutturale il cui calcolo richiede la disponibilità di serie storiche di coefficienti di spesa omogenei desunti da tavole di interdipendenze settoriali a prezzi costanti, si possono considerare gli approcci fondati sulle funzioni di produzione e di costo e sulle più recenti tecniche di costruzione dei numeri indici per l'aggregazione dei prodotti e dei fattori. Quando, a qualsivoglia livello di aggregazione (di azienda, di settore, o dell'intero sistema), si cerca di stabilire la relazione che intercorre tra produzione e quantità dei vari fattori impiegati, viene compiuta una certa analisi che va sotto il nome di funzione di produzione. La produzione P viene rappresentata come funzione delle disponibilità di lavoro L, di capitale K, e di un fattore residuo, I, sinonimo di progresso tecnico, quasi sempre associato a scoperte, invenzioni e nuove applicazioni tecniche di leggi naturali conosciute o di recente accertamento.

Qualunque sia la funzione di produzione, la misura di qualsivoglia aspetto della p. da essa desumibile risulta complicata dal fatto che la produzione è un processo dinamico: nel passaggio da un periodo a un altro si presenta il problema di accertare se vi è stato un movimento lungo la stessa funzione (nell'ambito della stessa tecnologia), oppure se si è verificato uno spostamento della funzione di produzione con la realizzazione di una tecnologia più efficiente.

Per spiegare, sulla base di una funzione della produzione aggregata, l'andamento nel tempo del prodotto per unità di lavoro, si è cercato di separare gli incrementi di p. del lavoro dovuti a movimenti lungo la funzione della produzione, in relazione all'accumulazione del capitale per occupato, da quelli dovuti a spostamenti dell'intera funzione in conseguenza del progresso tecnico. Questo tipo di approccio ha preso le mosse da un contributo di R. Solow del 1957 basato sull'ipotesi di una sottostante funzione di produzione: a) omogenea di primo grado (rendimenti di scala costanti e p. marginali decrescenti); b) stabile, ossia che l'incremento della produzione non spiegato alla luce della relazione viene attribuito al progresso tecnico.

Il progresso tecnico è pertanto assunto essere esogeno o residuo, variabile a tasso costante e neutrale nel senso di J.R. Hicks (per un dato rapporto capitale/lavoro, il rapporto tra le p. marginali dei due fattori resta immutato qualora la produzione per occupato aumenti per effetto del progresso tecnico). Solow ha adottato una funzione della produzione neoclassica della forma

P(t) = A(t)F(K,L)

dove A(t) rappresenta appunto il fattore di spostamento nel tempo. Sulla base di serie storiche di dati della produzione per unità di lavoro e del capitale per unità di lavoro e di una stima della quota (costante) di prodotto attribuibile al capitale, si può ottenere una stima del fattore di spostamento, A(t), che può essere impiegata per depurare l'andamento della produzione per unità di lavoro dall'influenza del progresso tecnico. Solow ha, altresì, dimostrato che

A'/A = P'/Pa(L'/L)−b(K'/K)

dove b rappresenta la quota della produzione che affluisce al capitale, a è la quota della produzione che affluisce al lavoro, e A', P', K' ed L' denotano le derivate rispetto al tempo del progresso tecnico (A), della produzione (P), del capitale (K) e del lavoro (L). Nell'ipotesi che la funzione di produzione sia di tipo Cobb-Douglas, ponendo A(0) = 1, e sostituendo le differenze tra l'anno t e l'anno t-1 alle derivate, si ha

Così, A(t) può essere considerato un indice della p. totale dei fattori (indice PTF). Questa interpretazione ha offerto il fianco a considerazioni critiche da parte di alcuni economisti (J. Robinson, L. Pasinetti, e altri), i quali hanno messo in discussione la possibilità di far uso del concetto stesso di funzione aggregata di produzione.

L'indice della PTF di Solow, per come è stato elaborato, presuppone la conoscenza della forma della funzione di produzione; in pratica, non essendo nota tale funzione, ed essendo difficilmente giustificabile l'assunzione di funzioni del tipo Cobb-Douglas o CES (a Costante Elasticità di Sostituzione), il procedimento comunemente seguito si risolve nella costruzione di un numero indice definito come rapporto fra un indice della produzione e un indice aggregato dell'andamento dei fattori impiegati. L'aggregazione, effettuata con il metodo del Divisia index, porta a esprimere il saggio di variazione dell'aggregato dei fattori come somma ponderata dei tassi di variazione dei singoli fattori, con pesi dati dall'incidenza dei costi dei fattori medesimi sul costo totale. Si perviene, in definitiva, a determinare un tasso di variazione della p. dei fattori che, se riferito, come solitamente accade, a variazioni temporali discrete, richiede l'impiego dell'indice di Törnqvist quale approssimazione nel discreto dell'indice Divisia.

Com'è stato evidenziato nella letteratura più recente, l'indice di Törnqvist è compatibile con una forma funzionale flessibile translogaritmica che, a differenza delle funzioni di tipo Cobb-Douglas e CES, consente di cogliere gli effetti di sostituzione connessi a variazioni dei prezzi relativi dei fattori della produzione. Bisogna, comunque, tener presente che la sostituzione dell'indice di Divisia con l'approssimazione di Törnqvist non comporta alcun inconveniente soltanto nel caso in cui l'incidenza (quote) dei costi dei singoli fattori sul costo totale rimane costante; in caso contrario, il calcolo dell'indice per intervalli finiti di tempo introduce un errore che dipende dalla variabilità delle quote di costo e dall'ampiezza degli intervalli temporali. Nel caso continuo, il tasso di variazione della p. totale dei fattori risulta dato da

PTF' = P'−F'

dove P' ed F' sono i saggi di variazione della produzione e, rispettivamente, dell'aggregato dei fattori della produzione, misurati con l'indice di Divisia. Per il caso discreto, l'adozione dell'approssimazione di Törnqvist porta a esprimere, nell'intervallo t, t-1, la variazione della p. totale dei fattori come

dove

essendo si, t = Wi, t Xi, tWi, t Xi, t (con Xi = quantità del fattore i-esimo e Wi = prezzo del fattore i-esimo) l'incidenza (quota) sul costo totale del costo del fattore i-esimo.

A una formulazione sostanzialmente analoga, anche se concettualmente diversa da quella di Solow, è pervenuto J. Kendrick, il quale ha seguito un approccio che consente di ottenere un indice della p. totale dei fattori che prescinde dall'assunzione di esistenza di una funzione della produzione, e che sotto particolari assunzioni economiche e per piccole variazioni nelle quantità della produzione e dei fattori non differisce dall'indice di Solow.

L'espressione formale di tale indice è

dove α e β indicano le quote della produzione imputate ai fattori lavoro e capitale.

Numerose altre descrizioni alternative dell'indice della p. totale dei fattori si possono trovare nella letteratura più recente. In realtà, la p. può essere considerata da punti di vista alquanto diversi, che, com'è facile intendere, condizionano le differenti teorie economiche e le particolari misure che ne derivano. Le più significative impostazioni teoriche hanno, comunque, consentito di accertare, oltre all'equivalenza degli indici della p. totale dei fattori, anche la possibilità di ricondurre gli indici stessi alle consuete espressioni dei numeri indici di Laspeyres, Paasche e Fisher. W.E. Diewert ha evidenziato, in particolare, la consistenza delle classiche formule dei numeri indici con le diverse funzioni che vengono comunemente assunte per descrivere la sottostante relazione tra la produzione e i fattori. Le verifiche empiriche, effettuate mediante alcuni degli ''indici esatti'' di Diewert, hanno permesso, altresì, di dimostrare che le diverse funzioni di produzione introducono differenze trascurabili nei valori assunti dai corrispondenti indici della p. totale dei fattori.

Tuttavia l'indice della p. totale dei fattori, nelle diverse forme in cui viene posto, tende a evidenziare la variazione della produzione che non può essere direttamente imputata alla variazione dei fattori della produzione. Sotto questo aspetto, tale variazione viene considerata come un residuo da attribuire all'azione di fattori che possono aver contribuito a determinarla. La scomposizione della variazione della p. totale dei fattori, assieme alla stima della distorsione introdotta dall'azione dei beni intermedi di origine esterna al sistema produttivo considerato e alle complesse problematiche inerenti alla misura della produzione e dei fattori, sono temi ricorrenti nella recente letteratura.

Particolari problemi presenta la misura della p. di servizi, sia privati che pubblici, in relazione soprattutto alle difficoltà che s'incontrano per esprimere una misura in termini reali della produzione.

Una vasta letteratura esiste, inoltre, sulla determinazione delle funzioni di produzione di frontiera per la misura dell'efficienza tecnica, con dati statistici di tipo cross-section. La definizione della ''frontiera'' (stocastica o deterministica) fa riferimento, in conformità con la teoria economica neoclassica, alla produzione massima che può essere ottenuta, date le conoscenze della tecnologia, da una serie di inputs. L'indice di efficienza tecnica esprime lo scarto percentuale tra le quantità effettivamente impiegate dai fattori e quelle corrispondenti alle condizioni di efficienza per ottenere un dato livello di produzione, ovvero lo scarto percentuale tra la produzione realizzata e quella ottenibile con le stesse quantità di fattori impiegate in modo efficiente.

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