Privilegi [dir. trib.]

Diritto on line (2015)

Simone Ghinassi

Abstract

Viene esaminata la tematica dei privilegi fiscali, quale specifica applicazione del generale istituto civilistico del privilegio nella materia tributaria. Dopo la trattazione di taluni aspetti di carattere generale, viene approfondita la disciplina dei privilegi fiscali nei vari settori del diritto tributario (imposte dirette, indirette, IVA e tributi locali).

Aspetti generali

Nell’ambito delle garanzie del credito d’imposta al privilegio deve essere senz’altro riconosciuto un ruolo centrale, ancorché, come meglio si vedrà, nella più recente evoluzione normativa il legislatore sembra attribuire maggior rilievo ad altre forme di garanzia, ritenute più efficaci per la tutela del credito erariale.

Non sembra potersi dubitare al riguardo che l’istituto del privilegio fiscale sia riconducibile alla nozione di privilegio delineata dagli artt. 2745 c.c., normativa che, derogando al principio generale in base al quale tutti i creditori hanno uguale diritto nel soddisfarsi, se del caso in via esecutiva, sui beni del debitore (art. 2741 c.c.), prevede talune “cause legittime di prelazione” tra le quali, per l’appunto, i privilegi.

In tal caso, ai sensi dell’art. 2745 c.c. e contrariamente a quanto si verifica di regola per il pegno e l’ipoteca, non è la volontà dei privati, bensì la legge ad accordare una preferenza ad un determinato creditore in virtù della particolare meritevolezza della causa del credito di cui è titolare. Risulta al riguardo evidente la particolare meritevolezza del credito erariale, il soddisfacimento del quale consente allo Stato il reperimento dei mezzi necessari a far fronte alle spese di pubblica utilità.

Il privilegio fiscale non si discosta dunque, quanto alla sua natura, da quello che assiste gli altri crediti, partecipando quindi dei medesimi caratteri che peraltro assumono talora aspetti peculiari (sui caratteri generali dei privilegi cfr. Ciccarello, S., Privilegio (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1987, XXXV, 723 ss. e Tucci, G., I privilegi, in Tratt. Rescigno, II ed., XIX, Torino, 1997, 582 ss.).

Uno dei principali caratteri del privilegio, che per quanto sopra detto deve ritenersi proprio anche del privilegio fiscale, è costituito dall’accessorietà: ciò nel senso che lo stesso, costituendo un accessorio del credito garantito, partecipa pertanto di tutte le relative vicende.

In materia fiscale tale caratteristica del privilegio si interseca con l’annoso dibattito in ordine alla genesi dell’obbligazione tributaria. Invero, posto che in conseguenza della sua accessorietà il privilegio medesimo nasce unitamente al credito erariale, si è discusso se la relativa nascita, al pari dell’obbligazione d’imposta, debba individuarsi nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo (secondo la nota tesi dichiarativa), ovvero contestualmente all’atto impositivo (secondo l’opposta teoria costitutiva) (cfr. sull’argomento, in relazione al previgente art. 2772 c.c., le divergenti posizioni di Russo, P., Diritto e processo nella teoria dell’obbligazione tributaria, Milano, 1969, 90-91 e Berliri, A., Principi di diritto tributario, III, Milano, 1964, 346 nota 18).

Tale questione è di notevole rilevanza in quanto dall’individuazione del momento della nascita del privilegio discendono le modalità applicative del suo esercizio nei confronti di terzi aventi causa, ai sensi degli artt. 2747, co. 2, e 2772, co. 4 e 5, c.c., nonché la decorrenza del termine, spesso previsto dal legislatore, entro il quale lo stesso deve essere esercitato.

Al riguardo la disciplina normativa non fornisce soluzioni univoche in quanto, per quanto concerne, ad esempio, la decorrenza del termine per l’esercizio, talora si riferisce al momento della realizzazione del presupposto d’imposta (v. art. 41, d.lgs. 31.10.1990, n. 346, in tema di imposta di successione), talaltra ad un evento successivo (v. art. 56, u.c., d.P.R. 26.4.1986, n. 131, che, quanto all’imposta di registro, fa decorrere il termine dalla data di registrazione, mentre, secondo l’opinione prevalente il presupposto impositivo si realizza già per effetto della stipulazione dell’atto soggetto a registrazione; v. sulla questione, Ghinassi, S., Imposte di registro e di successione. Profili soggettivi ed implicazioni costituzionali, Milano, 1996, 1 ss. ed ivi ampi riferimenti alle diverse opinioni formulate in materia).

Tende comunque a prevalere al riguardo, sia in dottrina che in giurisprudenza, la tesi che la nascita del privilegio vada ricollegata al verificarsi del presupposto impositivo (cfr. Tucci, G., I privilegi, cit., 735-736 e Batistoni Ferrara, F., I privilegi, in Trattato di diritto tributario, diretto da A., Amatucci, Padova, 1994, II, 338; in giurisprudenza resta fondamentale, ancorché alquanto risalente, Cass. 12.5.1978, n. 2294, in Foro it., 1979, I, 444).

Peraltro la problematica in esame non appare influire, come invece potrebbe a prima vista ipotizzarsi, su un’altra questione pratica di notevole rilevanza, ossia sull’individuazione della norma applicabile in caso di successione di diverse leggi nel tempo.

Invero, deve aderirsi, almeno limitatamente a tale profilo, alla tesi, autorevolmente sostenuta, della natura processuale dell’istituto, in quanto destinato ad esplicarsi nell’ambito della procedura esecutiva (cfr. in tal senso Allorio, E., Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 158; sulla questione relativa alla natura sostanziale e processuale del privilegio cfr., più di recente, tra i tributaristi Batistoni Ferrara, F., I privilegi cit., 321 ss. e Glendi, C., Privilegi. II) Privilegi del credito d’imposta, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, XXIV); per tale motivo risulterà comunque applicabile, in base al canone generale tempus regit actum, la disciplina vigente nel momento in cui si procede in via esecutiva (cfr. Cass., 15.2.1995, n. 1622, in Corr. trib. 1995, 1992).

Assai discussa, specie in passato, è stata poi la questione relativa all’estensione del privilegio alle sanzioni ed in particolare alla soprattassa, stante la sua discussa natura. Da ultimo la giurisprudenza, mutando indirizzo, aveva aderito alla tesi della dottrina prevalente (per la quale v. Falsitta, G., Spunti critici e ricostruttivi in ordine alla applicabilità dei privilegi fiscali alle soprattasse, in Giur. it. 1968, I, 1, 1107 ss.; Micheli, G.A., Dubbi in materia di soprattassa e di estensione del privilegio in materia di imposte, in Riv. dir. fin. 1970, II, 41 ss.; Cobau, O., Note in materia di privilegi sul credito d’imposta, in Dir. prat. trib., 1977, I, 529 ss.), escludendo che il privilegio potesse estendersi alla soprattassa, in considerazione della natura afflittiva e non risarcitoria di quest’ultima (Cass., S.U., 6.5.1993, n. 5246).

È evidente come in forza di tale principio, dovesse in linea generale escludersi l’estensione del privilegio alle sanzioni e, in particolare, alla pena pecuniaria, salvo le ipotesi, ritenute eccezionali, nelle quali fosse stato il legislatore a prevedere tale estensione (v. ad es. l’art. 2752, co. 3, c.c. in materia di IVA).

La tematica in oggetto ha avuto peraltro rilevanti evoluzioni in tempi più recenti in quanto, oltre all’abolizione dell’istituto della soprattassa per effetto della riforma delle sanzioni tributarie (d.lgs. 18.12.1997, nn. 471, 472 e 473), il d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito in l. 15.7.2011, n. 111, nel modificare l’art. 2752, co. 1, c.c., ha espressamente esteso alle sanzioni il privilegio generale mobiliare in materia di imposte dirette ed IRAP (applicabile anche ai tributi locali in forza del co. 4 della medesima disposizione).

Ciononostante sembra doversi ritenere che tali previsioni costituiscano tuttora delle eccezioni rispetto al principio generale di inestensibilità del privilegio fiscale alle sanzioni tributarie, quale delineato dalla dottrina e giurisprudenza sopra richiamate.

I privilegi in materia di imposte dirette

Il privilegio generale

La disciplina in tema di privilegi fiscali è quasi integralmente rinvenibile nel codice civile, limitandosi di norma le singole leggi d’imposta a rimandare alle disposizioni del codice o a regolare solo aspetti specifici.

La normativa codicistica è stata radicalmente innovata dalla l. 29.7.1975, n. 426, essendosi reso necessario adeguarla al nuovo sistema tributario scaturito dalla radicale riforma dei primi anni ’70, con la quale erano stati aboliti i previgenti tributi a carattere reale, con riferimento ai quali era conformata una disciplina, in punto di privilegi, divenuta del tutto sfasata rispetto alle nuove imposte improntate su base personale.

Tale disciplina è stata poi oggetto di varie modifiche e integrazioni nel tempo, fino all’ultima, cui si è già accennato nel precedente paragrafo ad opera del d.l. n. 98/2011.

In materia di imposte dirette l’art. 2752, co. 1, c.c. prevede in primo luogo un privilegio generale sui mobili del debitore (per la distinzione tra privilegio generale e speciale cfr. per tutti Ciccarello, S., Privilegio, cit., 727 ss.). Più precisamente, per effetto della recente modifica della norma operata dal citato d.l. n. 98/2011, il privilegio si applica ai crediti erariali relativi ad irpef, ires, irpeg, nonché alla ormai da tempo abrogata ilor; come già accennato nel precedente paragrafo il medesimo decreto ha esteso il privilegio in oggetto alle sanzioni.

Sempre con quest’ultimo decreto è stato eliminato l’ultimo inciso della norma in oggetto in forza del quale il privilegio risultava esteso ai soli crediti iscritti nei ruoli esecutivi nell’anno in cui l’agente della riscossione promuove l’esecuzione o vi interviene e nell’anno precedente. Ciò in ragione del fatto che (come si legge nella circ. 5.8.2011, n. 41/E, par. 11, in Boll. trib., 2011, 1230) considerati i lunghi tempi tecnici delle esecuzioni e la complessità delle relative procedure, la predetta limitazione finiva nella sostanza per vanificare il privilegio.

Tale nuova disciplina, in forza dell’art. 23, co. 37, del citato d.l. si applica anche ai crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore del decreto; peraltro il successivo comma 40, al fine di evitare che ciò possa pregiudicare le ragioni dei creditori privilegiati già intervenuti nell’esecuzione o ammessi al passivo fallimentare, prevede che tali creditori possano contestare i crediti che per effetto delle nuove norme sono stati loro anteposti nel grado del privilegio, valendosi del rimedio di cui all’art. 512 c.p.c., relativo alle controversie in sede distributiva, oppure proponendo l’impugnazione prevista dall’art. 98, co. 3, l. fall.

Sempre per quanto concerne i limiti temporali di esercizio del privilegio, deve ricordarsi che il d.lgs. 26.2.1999, n. 46 aveva abrogato il secondo comma dell’art. 2752 c.c. ai sensi del quale in caso di ruoli suppletivi con riferimento ai quali si procedesse per imposte relative a periodi anteriori agli ultimi due, il privilegio non poteva esercitarsi per importo superiore a quello degli ultimi due anni, qualunque fosse il periodo cui le imposte si riferivano (per i delicati problemi che tali limitazioni temporali ponevano cfr. Miglietta, M.-Prandi, F., I privilegi, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, Torino, 1995, 337 ss.).

Il privilegio generale di cui all’art. 2752, co. 1, è stato infine ritenuto applicabile anche al credito erariale nei confronti del sostituto d’imposta che non abbia proceduto al versamento di ritenute d’acconto (v. Cass., 23.11.1982, n. 6329, in Dir. prat. trib., 1983, II, 292, con nota sostanzialmente adesiva di Tesauro, F., “Sostituzione d’imposta”, “sostituzione d’acconto” e privilegio ex art. 2752 c.c.).

Il privilegio speciale mobiliare

L’art. 2759 c.c. riconosce a favore del credito erariale per imposte dirette, in aggiunta al privilegio generale di cui al precedente paragrafo, un privilegio speciale, limitato peraltro all’imposta o alla quota di imposta imputabile al reddito d’impresa (per la nozione di reddito d’impresa v. per tutti, da ultimo, Giovannini, A., Impresa commerciale e lucro nelle imposte dirette e nell’IVA, in Riv. dir. trib., 2012, I, 467 ss., ed ivi ampi riferimenti dottrinali).

Detto privilegio è esercitabile sopra i mobili che servono all’esercizio dell’impresa commerciale e sopra le merci che si trovano nel locale adibito all’esercizio stesso o nell’abitazione dell’imprenditore. Nella prima categoria si ritengono rientrare non solo le macchine e gli utensili, ma anche i beni materiali e i mobili (ivi compresi i crediti) vantati dal debitore escusso nei confronti dei terzi (in tal senso Tucci, G., I privilegi, cit., 748). Per quanto concerne invece la seconda, costituita dalle merci, è poi prevista la necessaria localizzazione delle stesse all’interno dell’esercizio o dell’abitazione dell’imprenditore.

Sempre con riferimento ai beni oggetto del privilegio, il comma 3 della norma prevede che lo stesso si renda applicabile anche se gli stessi appartengono a persona diversa dall’imprenditore, «salvo che si tratti di beni rubati o smarriti, di merci affidate all’imprenditore per la lavorazione o di merci non ancora nazionalizzate munite di regolare bolletta doganale». Sembra al riguardo evidente la deroga rispetto al precedente art. 2747, co. 2, c.c. che pone invece in linea generale l’opposto principio in base al quale il privilegio speciale non è esercitabile in pregiudizio dei diritti acquistati anteriormente dai terzi (cfr. Andrioli, V., Dei privilegi, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Libro sesto. Della tutela dei diritti (artt. 2740-2899), Bologna-Roma, 1958, sub. art. 2759, 169).

Il terzo comma della norma disciplina poi l’ipotesi in cui il reddito sia stato determinato sinteticamente dall’amministrazione finanziaria e non risulti pertanto possibile individuare la quota di imposta imputabile al reddito d’impresa; si prevede al riguardo che la ripartizione proporzionale dell’imposta di cui al primo comma venga effettuata sulla base dei redditi iscritti o iscrivibili ai fini ilor.

Orbene, a parte la ormai probabile inapplicabilità della disposizione a distanza di molti anni dall’abrogazione di quest’ultima imposta (avvenuta con effetti dall’1.1.1998 a seguito dell’istituzione dell’IRAP), erano già stati evidenziati in dottrina problemi di coordinamento con l’art. 41, u.c., del d.P.R. 29.9.1973, n. 600, ai sensi del quale il reddito determinato d’ufficio in via sintetica era considerato agli effetti ilor di capitale, fatta eccezione per i redditi fondiari, determinati in ogni caso, ai sensi del comma 3 della medesima norma, su base catastale (Cobau, O., op.cit., 548; Glendi, C., Privilegi, cit., 3). E in effetti il problema è reale ove, sulla base della lettera della norma, non si ritenga opponibile da parte del contribuente alcuna prova contraria in ordine alla qualificazione presuntiva del reddito, che pertanto non potrebbe essere in nessun caso qualificato d’impresa ai fini dell’operatività del privilegio in esame.

Quanto all’accertamento in rettifica disciplinato dall’art. 38, d.P.R. n. 600/1973, modificata la norma originaria che in caso di determinazione in via sintetica presumeva anche qui a fini ilor la qualificazione del reddito come di capitale (salva prova contraria per il contribuente), la disciplina vigente non dispone alcuna qualificazione presuntiva del maggior reddito accertato in via sintetica. Sembra pertanto che sia onere del creditore procedente (id est  l’agente della riscossione) fornire la prova che trattasi di reddito qualificabile d’impresa al fine di far valere il privilegio.

Deve tenersi peraltro presente che tale fattispecie sarà del tutto eccezionale in quanto, ove il reddito d’impresa non sia stato indicato nella dichiarazione, si procederà a rettifica della dichiarazione ex art. 39 d.P.R. n. 600/1973 e pertanto la qualificazione del reddito risulterà in re ipsa.

Dovrebbe pertanto pensarsi all’ipotesi, abbastanza anomala, nella quale, successivamente ad un accertamento sintetico ex art. 38 d.P.R. n. 600/1973, venga a risultare che il maggior reddito accertato sia riferibile ad un’attività d’impresa del contribuente.

Quanto infine ai limiti temporali di esercizio del privilegio in oggetto, l’art. 2759, co. 1, c.c. prevede che lo stesso assista i crediti d’imposta relativi ai due anni anteriori a quello in cui si procede. Al riguardo si è affermato in dottrina che debba farsi riferimento, contrariamente al principio posto dall’art. 2752 c.c. per quanto concerne il privilegio generale, all’anno di produzione del reddito e non a quello d’iscrizione a ruolo (Glendi, C., I privilegi, cit., 3; Tucci, G., I privilegi, cit., 748); anche in giurisprudenza si è ritenuto che la norma limiti l’efficacia del privilegio a due periodi d’imposta e cioè ai due anni più recenti tra quelli in cui è sorto il credito tributario (Cass., 14.1.1999, n. 330).

Il privilegio speciale immobiliare

L’art. 2771 c.c. prevedeva un privilegio speciale immobiliare con riferimento alla quota d’imposta imputabile ai redditi immobiliari e a quelli di natura fondiaria non determinabili catastalmente; si era ritenuto al riguardo che dovessero essere compresi nell’ambito applicativo della norma anche altri redditi immobiliari ancorché non qualificabili come fondiari (ad es. in quanto rientranti nel reddito d’impresa ai sensi degli artt. 43 e 90 t.u.i.r.; v. al riguardo Ghinassi, S., Privilegi fiscali, in Enc. dir., Aggiornamento, II, Milano, 1998, 728).

La norma in esame, in palese collegamento con il previgente sistema fondato su tributi a base reale, disponeva che il privilegio gravasse non già sugli immobili cui si riferiva l’imposta oggetto di riscossione, bensì sugli «immobili tutti del contribuente situati nel territorio del comune in cui il tributo si riscuote»; onde ne era stata evidenziata l’irrazionalità a fronte del nuovo sistema tributario fondato su base personale (Cobau, O., op.cit., 541; Glendi, C., Privilegi, cit., 4).

Era poi prevista l’estensione del privilegio anche ai frutti, fitti e pigioni degli immobili (co. 1) e la limitazione temporale «alle imposte iscritte nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio di riscossione procede o interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente» (co. 2).

Infine l’ultimo comma della norma prevedeva un criterio di qualificazione del reddito, per l’ipotesi di accertamento sintetico, analogo a quello già sopra esaminato con riferimento al privilegio mobiliare.

Peraltro, di recente, l’art. 23, co. 38, del più volte citato d.l. n. 98/2011 ha integralmente abrogato la norma, in quanto, come si legge nella relazione parlamentare e nella circ. ministeriale esplicativa (41/E del 2011 cit., par. 11), la stessa non appariva più idonea a tutelare il credito erariale, anche in considerazione dei limiti territoriali e temporali per l’esercizio del privilegio ivi previsti. Si tratta dunque di un indizio, cui si è già accennato, della tendenza legislativa a una minor considerazione del privilegio nell’ambito delle garanzie del credito d’imposta, venendo con ciò ad attenuarsi la posizione di centralità che all’istituto era in precedenza riconosciuta.

I privilegi in materia di imposte indirette

Il privilegio speciale mobiliare

Con riferimento alle imposte indirette l’art. 2758, co. 1, c.c. dispone che il credito erariale sia privilegiato sui mobili ai quali i tributi si riferiscono e sugli altri beni indicati dalle leggi relative.

Le due imposte, tradizionalmente annoverate tra quelle indirette e come tali individuate anche dalla norma in esame, cui principalmente il principio in questione attiene, sono quelle di registro e di successione (discorso a parte merita l’IVA di cui ci occuperemo nel successivo par. 4).

Con riferimento all’imposta di registro, il privilegio, la cui esistenza è ribadita dall’art. 56, u.c., d.P.R. n. 131/1986, che a sua volta rimanda alla normativa codicistica, grava dunque sui beni mobili che hanno costituito oggetto del negozio soggetto a tassazione. Al riguardo si è ritenuto che il privilegio stesso non possa comunque riferirsi al corrispettivo in denaro risultante dall’atto soggetto a registrazione, ma solo a beni specifici e individuati (in tal senso Miglietta, M.–Prandi, F., I privilegi, cit., 352).

Anche con riferimento all’imposta di successione l’esistenza del privilegio è ribadita dall’art. 41 d.lgs. n. 346/1990, ritenendosi al riguardo che lo stesso gravi su tutti i beni mobili compresi nell’attivo ereditario in caso di successione a titolo universale ed invece sul singolo bene in caso di successione a titolo particolare (Del Vecchio, F., I privilegi nella legislazione civile fallimentare e speciale, Milano, 1994, 145).

Per quanto concerne l’efficacia nei confronti dei terzi acquirenti del bene soggetto a privilegio, non esiste una norma specifica quale l’art. 2772, co. 4 e 5, c.c. in tema di privilegio immobiliare (sulla quale v. infra par. 3.2). Risulterà pertanto applicabile il principio generale posto dall’art. 2747, co. 2, c.c., ai sensi del quale il privilegio può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati posteriormente dai terzi. Vertendosi in materia mobiliare si pone peraltro la questione del coordinamento tra detta norma e l’art. 1153, co. 2, c.c., ai sensi del quale l’acquirente di buona fede che consegue il possesso del bene mobile ne acquisisce la proprietà libera da diritti altrui e, pertanto, anche da privilegi, per chi qualifichi questi ultimi come veri e propri diritti reali (in tal senso l’opinione dominante; v. Ravazzoni, A., Privilegi, in Dig. civ., XIV, Torino, 1996, 377-378).

Un’altra deroga specifica al principio generale di cui all’art. 2747, co. 2, c.c. è posta, con riferimento all’imposta di successione, dal terzo comma dell’art. 2758, ai sensi del quale il privilegio «non ha effetto in pregiudizio dei creditori che hanno esercitato il diritto di separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede» ai sensi dell’art. 512 c.c.

Tale principio è ritenuto estensibile a favore dei creditori del defunto anche nelle ipotesi di accettazione beneficiata e di fallimento post mortem; non invece in quella di legatari separatisti (su tali fattispecie v. amplius Miglietta, M.-Prandi, F., I privilegi, cit., 355 e Gaffuri, G., L’imposta sulle successioni e donazioni, II ed., Padova, 2008, 413).

Quanto infine ai limiti temporali del privilegio, con riferimento ai tributi in esame il legislatore definisce il fenomeno, negli artt. 56 d.P.R. n. 131/1986 e 41 d.lgs. n. 346/1990, in termini di vera e propria estinzione. Più precisamente, l’ultimo comma dell’art. 56 prevede un termine di estinzione quinquennale decorrente dalla registrazione dell’atto, mentre il primo comma dell’art. 41 dispone che il medesimo termine decorra dall’apertura della successione o, in caso di dilazione del pagamento, dal giorno di scadenza dell’ultima rata.

Di difficile interpretazione è invece l’ultimo inciso dell’art. 41, co. 1, ai sensi del quale si prevede che il termine possa decorrere dal giorno in cui si è verificata la decadenza prevista dal precedente art. 27, norma quest’ultima che prevede un termine di decadenza triennale per la liquidazione dell’imposta da parte dell’ufficio in caso di regolare presentazione della dichiarazione e quinquennale ove la dichiarazione medesima sia omessa. Non è infatti facile comprendere il senso di una disposizione che sembra presupporre il sopravvivere del privilegio all’estinzione del credito d’imposta per sopravvenuta decadenza.

Si è ipotizzato al riguardo che la norma possa riferirsi alla fattispecie di presentazione volontaria della dichiarazione oltre il termine quinquennale dall’apertura della successione (in tal senso Altana, E.,-Silvestri, L., L’imposta sulle successioni e donazioni nel testo unico, Milano, 1991, 908 e, dubitativamente, Gaffuri, G., op. cit., 409-410). In quest’ottica la norma sarebbe naturalmente ricollegabile solo al termine di decadenza quinquennale di cui all’art. 27, co. 4, relativo all’ipotesi di omessa dichiarazione e non anche a quella triennale, di cui all’art. 27, co. 2, conseguente a ritardo nella liquidazione nell’imposta.

Con riferimento al termine di estinzione quinquennale deve infine ricordarsi che, al fine di poter far valere il privilegio, l’amministrazione ha l’onere, entro tale termine, di iniziare l’azione esecutiva, procedendo al pignoramento del bene (Basilavecchia, M., Problemi interpretativi ed applicativi concernenti il privilegio speciale immobiliare per i tributi indiretti, studio C.N.N. 31/2005/T, in Studi e materiali, 2/2005, 1383; ritiene invece che entro il quinquennio si debba addirittura pervenire alla vendita forzata del bene Gaffuri, G., op. cit., 410; su tale specifica problematica cfr. altresì Lomonaco, A., Privilegio speciale immobiliare per tributi indiretti e sua estinzione, in Studi e materiali C.N.N., Milano, 2003, I, 176).

Il privilegio mobiliare in oggetto non è invece applicabile ad altri tributi indiretti quali in specie:

a) le imposte ipotecarie e catastali il cui oggetto non può che essere per definizione immobiliare e che sono comunque state in parte trasformate in diritti fissi, a decorrere dall’1.1.2014, per effetto dell’art. 26 d.l. 12.9.2013, n. 104;

b) l’imposta di bollo in quanto, come correttamente rilevato, detto tributo «colpisce l’atto unicamente in considerazione del suo aspetto formale e non anche del suo contenuto» (Cobau, O., op.cit., 552).

Il privilegio speciale immobiliare

I crediti per tributi indiretti hanno inoltre privilegio speciale, ai sensi dell’art. 2772 c.c., «sopra gli immobili ai quali il tributo si riferisce».

A tale riguardo il comma 4 della norma dispone che detto privilegio non possa essere esercitato in pregiudizio di diritti che terzi abbiano acquistato anteriormente sul bene, riproponendosi al riguardo il problema di carattere generale esaminato nel precedente par. 1 relativo al momento di nascita del privilegio; ciò al fine di stabilire se il diritto del terzo possa o meno ritenersi anteriore al sorgere dello stesso (per un’applicazione di tale problematica in tema di recupero d’imposta di registro a seguito di decadenza da benefici fiscali cfr. Ghinassi, S., Operatività del privilegio speciale immobiliare per tributi indiretti nell’ipotesi di decadenza da agevolazioni fiscali, in Riv. not. 2005, 951 ss.).

Con riferimento al principio sancito da detta norma si ritiene che tra i diritti acquistati anteriormente da terzi debbano comprendersi anche quelli reali di garanzia, quali le ipoteche; ciò in deroga al principio generale in base al quale, ai sensi dell’art. 2748, co. 2, c.c., i creditori muniti di privilegio immobiliare sono preferiti a quelli ipotecari (v. al riguardo Miglietta, M.,-Prandi, F., op.cit., 360-361 ed ivi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali).

Il successivo comma 5 dispone poi che, quanto all’imposta suppletiva (ossia liquidata a seguito di errori compiuti dall’ufficio in sede di liquidazione), il privilegio non possa essere esercitato neppure in pregiudizio di diritti acquistati successivamente da terzi. In tal caso sembra che il legislatore abbia inteso tutelare l’affidamento del terzo avente causa che, in conseguenza della (errata) liquidazione d’imposta da parte dell’ufficio, abbia ritenuto non sussistere ulteriori e successive pendenze fiscali.

I tributi indiretti cui la norma si riferisce sono sicuramente l’imposta di registro, le imposte ipotecarie e catastali e l’imposta di successione. Il primo comma richiama poi tuttora espressamente l’INVIM, imposta peraltro abrogata a seguito dell’istituzione dell’ICI per effetto del d.lgs. 30.12.1992, n. 504 (sulle rilevanti problematiche che il privilegio poneva in tema di INVIM v. Ghinassi, S., Privilegi fiscali, cit., 730-731).

Mentre peraltro per quanto concerne le imposte di registro, ipotecarie e catastali il privilegio in esame non ha mai posto particolari problemi applicativi, numerose sono le questioni sorte con riferimento all’imposta di successione.

In primo luogo, l’ultimo comma dell’art. 2772 c.c., oltre a sancire un principio del tutto analogo a quello già esaminato con riferimento al privilegio mobiliare, in base al quale la prelazione non ha effetto «a danno dei creditori del defunto che hanno esercitato il diritto di separazione» ai sensi dell’art. 512 c.c., aggiunge che la medesima inefficacia si ha per quanto concerne i creditori del defunto che abbiano iscritto ipoteca nei tre mesi dal decesso.

Altra questione che si è posta è quella della divisibilità o meno del privilegio, ossia se lo stesso debba o meno considerarsi frazionatamente per ogni singolo bene caduto in successione, in proporzione alla quota d’imposta riferibile al bene stesso.

Ciò si verifica sicuramente per l’imposta dovuta dai legatari, ma è stato ritenuto che lo stesso debba valere per gli eredi e che pertanto, anche per l’imposta dovuta dagli stessi, il privilegio non possa che gravare sul singolo bene e non sulla massa ereditaria, «nella stessa proporzione in cui il medesimo bene concorre a determinare la misura complessiva del carico tributario» (Gaffuri, G., op. cit., 418-419).

Sempre con riferimento all’imposta di successione è stato recisamente escluso che il privilegio possa farsi valere sui beni situati all’estero, ancorché l’imposta possa talora gravare sugli stessi (Gaffuri, G., op. cit., 419).

Quanto infine ai limiti temporali, valgono gli stessi principi esposti nel precedente paragrafo con riferimento al privilegio mobiliare. Invero gli artt. 56 d.P.R. n. 131/1986 e 41 d.lgs. n. 346/1990, rispettivamente riferibili all’imposta di registro (nonché, in virtù di richiamo, ipotecaria e catastale) ed all’imposta sulle successioni e donazioni, prevedono l’estinzione con il decorso di cinque anni dalla registrazione o dall’apertura della successione senza operare alcuna distinzione tra privilegio mobiliare ed immobiliare.

Il privilegio in materia di IVA

Con riferimento all’IVA l’art. 2752, co. 3, c.c. prevede in primo luogo un privilegio generale sui beni mobili del debitore che, come già accennato (v. retro par. 1) è qui esteso dal legislatore alle sanzioni.

L’art. 18, co. 5, del d.P.R. 26.10.1972, n. 633 (come modificato dalla l. n. 687/1974) prevedeva inoltre un privilegio sulla generalità dei mobili del debitore (con il medesimo grado del privilegio generale di cui sopra cui tuttavia era posposto) per il credito di rivalsa vantato dal cedente di beni mobili nei confronti del cessionario.

In materia di IVA, infatti, come meglio si dirà esaminando i privilegi speciali, è di norma tutelato anche detto credito di rivalsa, in quanto lo stesso risulta essenziale nel meccanismo applicativo dell’imposta, fondato sulla traslazione dell’onere economico del tributo nei confronti del consumatore finale (su detto meccanismo applicativo v. più ampiamente Padovani, F., L’imposta sul valore aggiunto, in Manuale di diritto tributario – Parte speciale, Milano, 2009, 332 ss).

Peraltro tale ulteriore e specifica applicazione del privilegio generale è da ritenersi tacitamente abrogata a seguito della già ricordata integrale revisione della normativa ad opera della l. 29.7.1975, n.426. Infatti detto privilegio non è stato in tale occasione espressamente previsto nell’ambito delle novellate disposizioni del codice civile, onde, dopo un primo periodo di incertezza, si è decisamente affermata la tesi della sua abrogazione in conseguenza della integrale e sopravvenuta disciplina della materia (Cass. 21.1.1985, n. 205, in Rass. trib., 1986, II, 132 con nota di Glendi, C., Non esiste più nel nostro ordinamento alcun privilegio generale per i crediti di rivalsa IVA: la Corte costituzionale e la Suprema Corte si riconoscono impotenti a superare lo “squilibrio normativo” provocato dal legislatore, ove vengono evidenziate le problematiche derivanti dall’abrogazione; C. cost., 15.2.1984, n. 25, in Rass. trib. 1984, II, 215).

Venendo al privilegio speciale, l’art. 62, co. 5, d.P.R. 633/1972 prevede che il credito erariale goda di detto privilegio sui beni mobili ed immobili oggetto della cessione o a cui si riferisce il servizio con riferimento alle imposte (e sanzioni) dovute dal cessionario e dal committente.

Al riguardo la disciplina codicistica cui l’art. 62 rinvia pone taluni dubbi in quanto, da un lato, l’art. 2772, co. 2, sembrerebbe prevedere l’esistenza del privilegio solo per l’ipotesi di «responsabilità solidale del cessionario», non riferendosi espressamente al committente; dall’altro, l’art. 2758, con riferimento al privilegio mobiliare, non contiene neppure una disposizione analoga a quella dell’art. 2772, co. 2.

Ciononostante si era ritenuto che, quanto all’ipotesi del committente, la mancata menzione non potesse che essere imputata ad una svista del legislatore (Cobau, O., op. cit., 550) e che l’espressa previsione del privilegio mobiliare nell’ambito dell’art. 62 dovesse prevalere sul suo mancato richiamo nell’art. 2758 c.c. (per l’esistenza del privilegio speciale mobiliare cfr. Pratis, C.M., Privilegi (diritto civile e tributario), in Nss. D. I., Appendice, V, Torino, 1984, 1262 e Cobau, O., op. loc. ultt. citt.).

Si ricorda peraltro al riguardo che la responsabilità solidale del cessionario, una volta abrogata la previgente normativa risultante dall’art. 41, risulta oggi disciplinata, per effetto delle modifiche apportate dalla l. 24.12.2007, n. 244 e tralasciando la specifica e peculiare fattispecie di responsabilità para sanzionatoria di cui al comma 2 dell’art. 60 bis del d.P.R. n. 633/1972 volta a prevenire le cd. “frodi carosello” (v. al riguardo Mondini, A., La nuova responsabilità del cessionario IVA e la sua compatibilità con il diritto comunitario, in Rass. trib. 2005, 755 ss.), dal medesimo art. 60 bis, co. 3 bis, ai sensi del quale qualora «l’importo del corrispettivo indicato nell’atto di cessione avente ad oggetto un immobile e nella relativa fattura sia diverso da quello effettivo, il cessionario, anche se non agisce nell’esercizio di impresa, arti o professioni, è responsabile in solido con il cedente per il pagamento dell’imposta relativa alla differenza tra il corrispettivo effettivo e quello indicato, nonché della relativa sanzione»; ciò salva la possibilità per il cessionario non agente nell’esercizio di impresa, arti o professioni (cioè non soggetto IVA) di regolarizzare la violazione, versando la maggiore imposta dovuta entro sessanta giorni dalla stipula dell’atto.

Da tale nuovo panorama normativo sembra emergere che l’applicabilità del privilegio speciale, limitato per effetto del disposto sia dell’art. 62, co. 5, che dell’art. 2772, co. 2, c.c. alle ipotesi di responsabilità (solidale) del cessionario, non può che determinarsi nei casi in cui oggi tale responsabilità è prevista, ovvero in quella, come si è detto assai specifica, di cui al comma 2 dell’art. 60, nonché in quella, più rilevante e ricorrente, di cui al successivo comma 3 bis. Con la conseguenza che, in entrambi i casi, la responsabilità e, conseguentemente, il privilegio sussiste solo ove l’operazione sia riferibile ad un “cessionario” e non anche ad un “committente”, risultando pertanto superato il problema interpretativo posto dalla lettera dell’art. 2772, co. 2, e sopra evidenziato; inoltre, per quanto concerne la fattispecie di cui al comma 3 bis, la stessa si riferisce alla sole cessioni di immobili e quindi, in tal caso, il privilegio erariale collegato a tale ipotesi di responsabilità solidale potrà essere solo quello immobiliare.

Con riferimento a quest’ultimo, vale comunque il principio generale sancito dal comma 4 dell’art. 2772 c.c., cui abbiamo già fatto riferimento per i tributi indiretti, in base al quale il privilegio non può essere esercitato in pregiudizio dei diritti che i terzi hanno anteriormente acquistato sugli immobili, dovendosi agli effetti di detta anteriorità ritenere che il credito erariale e quindi il privilegio sorga con il perfezionamento dell’operazione imponibile, aspetto disciplinato ai fini IVA dall’art. 6, d.P.R. n. 633/1972.

Minori problematiche pone la disciplina del privilegio relativo al credito di rivalsa nei confronti del cessionario o del committente. In tal caso infatti la normativa civilistica prevede espressamente che sussista sia il privilegio speciale mobiliare «sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali il servizio si riferisce» (art. 2758, co. 2, c.c.), sia, sui medesimi beni, ove si tratti di immobili, quello immobiliare (art. 2772, co. 3, c.c.). Anche in quest’ultimo caso varrà il principio più volte ricordato in base al quale il privilegio non può farsi valere in pregiudizio dei diritti acquistati anteriormente dai terzi (art. 2772, co. 4, c.c.).

Quanto poi ai limiti temporali, è stato evidenziato come nessun limite specifico è previsto in materia di IVA e, pertanto, l’estinzione del privilegio, in base al principio di accessorietà, non potrà che coincidere con l’estinzione del credito. Ciò determina, secondo la dottrina, una tutela del credito IVA molto più intensa rispetto a quella propria dei restanti crediti tributari, con riferimento ai quali, come si è visto, vigono al contrario specifici termini entro i quali il privilegio deve essere esercitato (Batistoni Ferrara, F., op. cit., 328-329).

Infine, l’art. 2783 bis c.c. assimila ai crediti IVA, quanto alla disciplina inerente ai privilegi, quelli derivanti dall’applicazione dei prelievi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), previsti dagli articoli 49 e 50 del relativo Trattato del 18.4.1951.

In termini ancor più generali, da ultimo, l’art. 2783 ter, c.c., introdotto dall’art. 9, co. 3, d.l. 2.3.2012, n. 16, ha equiparato ai crediti IVA, ai fini dell’applicazione della normativa in tema di privilegi fiscali, i «crediti dello Stato attinenti alle risorse proprie tradizionali» (per la cui definizione la norma rinvia alla decisione n. 2007/436/CE/Euratom del Consiglio, del 7.6.2007) di pertinenza del bilancio generale dell’U.E., tra i quali sono compresi in prima battuta i crediti doganali.

I privilegi in materia di tributi locali

L’ultimo comma dell’art. 2752 c.c. riconosce un privilegio generale sui beni mobili del debitore con riferimento ai «crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni e delle province previsti dalla legge per la finanza locale e dalle norme relative all’imposta comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni».

È evidente il riferimento del legislatore dell’epoca alla disciplina relativa ai tributi comunali e provinciali di cui al R.d. 14.9.1931, n. 1175 (t.u. fin. loc.), tributi che peraltro risultano oggi soppressi ovvero oggetto di integrale revisione da parte di leggi più recenti. Tra questi ultimi sono da annoverare, in particolare, la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) e la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) entrambe disciplinate dal d.lgs. 15.11.1993, n. 507. Il primo tributo era peraltro stato abolito dal d.lgs. 446/1997 e poi reintrodotto dall’art. 31, co. 4, l. 23.12.1998, n. 448. Ancora più travagliata è stata la vita del secondo (TARSU), prima affiancato da una tariffa detta di igiene ambientale (T.I.A.) ad opera dell’art. 49, d.lgs. 5.2.1997, n. 22, tariffa che avrebbe dovuto sostituire la TARSU, ma che molti comuni non hanno adottato continuando, in base a continue proroghe concesse dal legislatore, ad applicare quest’ultimo tributo fino al 31.12.2012.

Con riferimento alla tariffa d’igiene ambientale, modificata in tariffa integrata ambientale dall’art. 238 del d.lgs. 3.4.2006, n. 152, seguendo l’opinione che attribuisce alla stessa natura di corrispettivo e non di tributo (v. in tal senso Cass., S.U., ord. 15.2.2006, n. 3274), il problema del privilegio naturalmente neppure si porrebbe; tendeva peraltro a prevalere al riguardo la tesi della natura tributaria (v. Cass., S.U., ord. 11.2.2008, n. 3171 e C. cost. 24.7.2009, n. 238, nonché, da ultimo, Cass., sez.trib., 9.3.2012, n. 3756, in Boll. trib. 2012, 625 con nota adesiva di Righi, E., In tema di rimborso dell’IVA versata sull’importo riscosso per la TIA), fintanto che il legislatore con norma interpretativa contenuta nell’art. 14, co. 33, d.l. 31.5.2010, n. 78, ha previsto, con specifico riferimento alla tariffa integrata ambientale, la natura non tributaria; principio ritenuto estensibile anche alla tariffa di igiene ambientale da parte dell’amministrazione finanziaria (v. circ. 11.11.2010, n. 3/DF, in Boll. trib., 2010, 1709, con nota critica di Righi, E., Tariffa di igiene ambientale: una circolare poco credibile).

Dall’1.1.2013 è poi entrato in vigore il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES) per effetto dell’art. 14 del d.l. 6.12.2011, n. 201, mentre dall’1.1.2014 è previsto il coordinamento di TARES e IMU, nell’ambito del cd. “federalismo fiscale municipale”, con istituzione di una nuova service tax comunale, denominata “IUC” (imposta unica comunale).

Tornando comunque ai privilegi, si riteneva che con riferimento a tali tributi locali, ancorché gli stessi siano stati oggetto di completa revisione rispetto all’originario testo del t.u.f.l., il privilegio comunque sussistesse, stante la riconducibilità degli stessi a quelli disciplinati da detto testo unico finanza locale, cui, come detto, si richiama l’art. 2752 c.c. (Tucci, G., op.cit., 659-660; Miglietta, M.–Prandi, F., op. cit., 347). Non ci sono poi mai stati dubbi sull’esistenza del privilegio per quanto concerne l’imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni, specificamente richiamata dal medesimo art. 2752 c.c.

Si riteneva al contrario che per i tributi di nuova istituzione, che non trovassero uno specifico pendant nel t.u.f.l., il privilegio, ove non espressamente previsto, non poteva ritenersi esistente. Ciò era stato in particolare affermato per l’abrogata ICIAP, nonché per il principale tributo comunale, costituito dall’ICI, imposta oggi sostituita dall’IMU, con effetti dall’1.1.2012, in forza dell’art. 13 del citato d.l. 201/2011 (per tale impostazione cfr. Ghinassi, S., op. cit., 732).

Deve peraltro ricordarsi come, da un lato, la giurisprudenza abbia di recente smentito tali conclusioni, affermando, con riferimento all’ICI, che possa ritenersi estensibile il privilegio di cui all’art. 2752, co. 4, c.c., nonostante l’espresso riferimento della norma al t.u.f.l. (in tal senso Cass., S.U., 17.5.2010, n. 11930, in Corr. trib., 2010, 1887).

Dall’altro, il predetto d.l. n. 201/2011 ha precisato all’art. 13, co. 13, che ai fini del citato art. 2752, co. 4, c.c. il riferimento alla «legge per la finanza locale» deve intendersi effettuato a tutte le disposizioni che disciplinano i tributi comunali e provinciali. Con il che il problema in esame risulta, quantomeno per il futuro, risolto nel senso della operatività del privilegio.

Discorso in parte diverso deve farsi per i tributi regionali, non menzionati espressamente dall’art. 2752 c.c. e neppure interessati dall’ultima modifica sopra citata. A tale riguardo si propendeva per l’inapplicabilità agli stessi del privilegio in esame, in quanto né la normativa codicistica né quella relativa ai singoli tributi prevedeva alcunché (cfr. Glendi, C., op.cit., 3; Miglietta, M.–Prandi, F., op.cit., 347).

Peraltro l’art. 39 del d.l. 1.10.2007, n. 159 ha modificato il primo comma dell’art. 2752 c.c., inserendo espressamente l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) tra quelle cui è riconosciuto privilegio generale sui beni mobili del debitore (sulla natura di tributo locale dell’IRAP cfr. Boria, P., Il sistema dei tributi locali, in Russo, P., Manuale, cit., 454, il quale, pur annoverandola in tale categoria, evidenzia la limitata autonomia normativa delle Regioni in ordine alla disciplina dell’imposta; v. altresì Schiavolin, R., L’imposta regionale sulle attività produttive, in Falsitta, G., Manuale di diritto tributario – Parte speciale, Padova, 2008, 839 ss, il quale, pur ritenendo che l’imposta non possa ritenersi “tributo proprio” delle Regioni ai sensi dell’art. 119 Cost., riconosce tuttavia che la stessa possa essere considerata regionale da altro punto di vista, richiamandosi all’autorevole posizione di Gallo, F., L’irap è un tributo regionale?, in Rass. trib., 1996, 1389 ss.).

A tale riguardo la giurisprudenza è giunta a sostenere che il privilegio generale mobiliare, in virtù di un’interpretazione estensiva del testo originario dell’art. 2752 c.c., debba essere riconosciuto anche per i crediti sorti in periodo anteriore alla modifica di cui al citato d.l. n. 159/2007 (in tal senso Cass., 1.3.2010, n. 4861, in Riv. dir. trib. 2010, II, 453, con nota contraria di Ghinassi, S., Il privilegio fiscale a garanzia del credito IRAP).

Ordine dei privilegi fiscali

Del tutto conseguente all’essenza stessa del privilegio, riconosciuto come si è visto dal legislatore in considerazione della causa particolarmente meritevole del credito cui accede, è l’esistenza di un ordine, disciplinato dagli artt. 2777 ss. c.c., dei privilegi medesimi, determinato da un ulteriore giudizio di valore operato dallo stesso legislatore sulla meritevolezza di tutela dei vari crediti privilegiati.

Venendo dunque all’esame di tale normativa, in primo luogo l’art. 2777 citato pone il principio generale di preferenza dei crediti per spese di giustizia di cui agli artt. 2755 e 2770 c.c. ad ogni altro credito e ciò vale sia per i privilegi mobiliari che per quelli immobiliari; in grado immediatamente successivo la norma in oggetto pone i crediti derivanti da rapporti di lavoro (o a questi assimilati) di cui all’art. 2751 bis c.c. e, ancora successivamente, quelli che le leggi speciali dichiarano preferiti ad ogni altro credito.

Posti tali principi generali, l’ordine dei privilegi è poi dettagliatamente disciplinato dai successivi artt. 2778 c.c., quanto a quelli mobiliari, e 2780 c.c., quanto a quelli immobiliari.

Quanto ai privilegi mobiliari, l’art. 2778, co. 1, n. 2, c.c. prendeva in considerazione i crediti per le imposte sui redditi immobiliari di cui all’art. 2771 c.c., ma, come già esposto (v. retro par. 2.3), quest’ultima norma è stata di recente abrogata e, conseguentemente, anche la disposizione relativa in tema di ordine del privilegio, ancorché non espressamente abrogata, risulta priva di contenuto e di efficacia.

Sono invece tuttora collocati al settimo posto, nell’ordine di cui alla norma in esame, i crediti per tributi indiretti e diretti di cui agli artt. 2758 e 2759 c.c.; al diciottesimo quelli per tributi indiretti di cui all’art. 2752 c.c.; al diciannovesimo i crediti IVA di cui all’art. 2752, co. 3, c.c.; al ventesimo quelli per tributi locali.

Quanto invece ai privilegi immobiliari, anche in tal caso deve intendersi venuto meno il n. 1 del co. 1, che si riferiva ai privilegi di cui all’abrogato art. 2771 c.c., mentre al quarto posto sono collocati i crediti per tributi indiretti di cui all’art. 2772 c.c. Al quarto erano poi menzionati i crediti relativi all’abrogata INVIM.

Deve infine ricordarsi che l’art. 2776, co. 3, c.c. prevede una collocazione immobiliare sussidiaria per il credito IVA di cui all’art. 2752, co. 3, in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili; ciò, peraltro, con preferenza rispetto ai creditori chirografari, ma successivamente ai crediti indicati nel co. 2 del medesimo art. 2776 (crediti per spese funebri, infermità e alimenti di cui all’art. 2751 c.c., crediti di lavoro e assimilati di cui all’art. 2751 bis c.c. nonché relativi a T.F.R. e crediti previdenziali di cui all’art. 2753 c.c.).

Fonti normative

Artt. 2752-2758-2759-2772-2776 ss. c.c.; d.P.R. 26.4.1986, n. 131, art. 56; d. lgs. 31.10.1990, n. 346, art. 41; d.P.R. 26.10.1972, n. 633, art. 62.

Bibliografia essenziale

Batistoni Ferrara, F., I privilegi, in Trattato di diritto tributario, diretto da, A. Amatucci, Padova, 1994, II, 317; Ghinassi, S., Privilegi fiscali, in Enc. dir., agg., II, Milano, 1998, 722; Glendi, C., Privilegi. II) Privilegi del credito d’imposta, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, XXIV; Miglietta, M.-Prandi, F., I privilegi, in Giur. sist. civ. comm. Bigiavi, Torino, 1995, 319 ss.; Pratis, C.M., Privilegi (diritto civile e tributario), in Nss. D. I., App., V, Torino, 1984, 1241; Tucci, G., I privilegi, in Tratt. Rescigno, II ed., XIX, Torino, 1997, 575 ss.

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