PRIMATICCIO, Francesco, detto il Bologna

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PRIMATICCIO, Francesco, detto il Bologna

Vittoria Romani

PRIMATICCIO (Primaticci, Primadizzi), Francesco, detto il Bologna. – Nacque a Bologna nella parrocchia dei Ss. Simeone e Giuda il 30 aprile 1503 da Giovanni Primatizzi, notaio, e da una Giovanna (Fanti, 2007, pp. 153, 156 s.); la famiglia vantava ruoli nella vita pubblica e rapporti con il patriziato bolognese.

Il primo documento noto risale al luglio del 1524, quando Federico II Gonzaga ordinò un pagamento a «Francesco Bologna pictore» che era a Venezia; a fine anno è menzionato di nuovo nella corrispondenza mantovana in relazione a una tazza di porfido proveniente dall’Oriente, ricercata, a quanto sembra, da Isabella d’Este (Gozzi, 1977). Poco dopo è attestato nel cantiere decorativo di palazzo Te a Mantova da pagamenti per lavori a stucco nella Sala delle Aquile (27 settembre 1527) e da una relazione di Giulio Romano (31 agosto 1528). Nel 1530 Gonzaga lo coinvolse nella commissione di un ritratto di Cornelia Malaspina, damigella d’onore di Isabella Gonzaga Pepoli, destinato a Francisco de los Cobos, segretario di Carlo V. Giunto presso di lei a Bologna, il pittore vi trovò Tiziano, cui era stato affidato lo stesso incarico (Bodart, 1998, pp. 77 s., 215 s.). Dal principio del 1531 e fino al primo aprile appare nella contabilità delle fabbriche gonzaghesche per nove settimane di lavori non precisati. Pur scarne, le carte mantovane (Ferrari, 1992) rivelano indizi di familiarità di Federico Gonzaga con l’artista, che prestò la propria opera come stuccatore, pittore e, forse, mercante di antichità, fornendo appoggio all’affidabile inserto biografico delle Vite di Giorgio Vasari (1568), costruito su informazioni ricavate da un incontro con Primaticcio a Bologna nel 1563.

La fonte pone l’accento sull’esperienza condotta sotto la guida di Giulio Romano in palazzo Te, dove, lavorando «lo spazio di sei anni […] imparò a benissimo maneggiare i colori e a lavorare di stucco»; indica poi la collaborazione al fregio con il trionfo imperiale nella Sala degli Stucchi e non precisate opere di pittura, notizie che hanno dato adito a varie proposte di identificazione.

Se rimangono privi di conferma i rapporti di alunnato con i raffaelleschi bolognesi Bartolomeo da Bagnacavallo e Innocenzo da Imola segnalati da Carlo Cesare Malvasia (1678), le prime imprese riferibili a Primaticcio testimoniano il debito verso Giulio Romano sia per l’aspetto figurativo, sia per la varietà delle competenze tecniche acquisite, che dovettero tornargli utili non meno dell’esperienza di gestione di un grande cantiere. Il fatto che nel 1524 Primaticcio sia già ricordato come pittore pone tuttavia la questione di una prima formazione, anteriore all’arrivo di Giulio a Mantova.

Del 1532 è la prima evidenza del rapporto con Francesco I di Valois, di cui è noto l’orientamento culturale italianizzante. Primaticcio fu pagato per portare a Bruxelles il modello preparatorio per uno degli arazzi raffiguranti le Gesta di Scipione, realizzati per il re su disegno di Giulio Romano (Jestaz, 1978). Un documento del 2 aprile 1533 riferisce di una visita all’atelier di Pierre de Pennemaker, dove si tessevano una serie di arazzi su cartoni del veronese Matteo del Nassaro (Leproux, 2001, p. 18): il Bologna vi è ricordato con la carica di «valet de chambre» e pittore ordinario del re.

Nella versione di Vasari lo spostamento in Francia, a breve distanza dall’arrivo a corte di un altro italiano, Rosso Fiorentino (novembre 1530), sarebbe stato l’esito della richiesta di un giovane dotato in opere di stucco e di pittura espressa da Francesco I a Federico II, e certamente avvenne in un momento di trasformazioni radicali del castello di Fontainebleau.

La Chambre du Roi nell’ala della Corte ovale del castello (distrutta) inaugurò una lunga serie di decorazioni d’interno, in parte perdute, in parte alterate da interventi posteriori, che si possono ricostruire attraverso le descrizioni delle fonti (Dan, 1642; Guilbert, 1731), i numerosi disegni preparatori, le copie e le stampe d’après. Sul versante documentario rimangono i Comptes des Batiments du Rois, editi sotto forma di trascrizioni selettive, tratte da un manoscritto anteriore al 1680 (De Laborde, 1877), che risultano non sempre facili da interpretare (cfr. le recenti revisioni di Clouet, 2012). Per l’ambiente citato i pagamenti corrono tra il 1533 e il 1537, in parallelo con i lavori della Chambre della Reine (1533-37), di cui sopravvive un camino. Nello studio per il fregio della Chambre du Roi (Parigi, Louvre, inv. n. 3497), già riferito a Giulio Romano, le storie di Proserpina sono racchiuse entro ricche cornici in stucco alternate a erme a tutto tondo, annunciando un tratto distintivo delle decorazioni primaticcesche, che innova le formule decorative di palazzo Te nella direzione di una maggiore complessità, di una eleganza più ricercata e di una accentuazione dell’aspetto scultoreo nel trattamento dello stucco, con esiti paralleli ma distinti rispetto a quelli, segnati dall’esperienza michelangiolesca, sperimentati da Rosso nella galleria di Francesco I. La ricezione Oltralpe di questi apparati, di cui è documentato l’uso diplomatico attuato da Francesco I, è nella testimonianza dell’ambasciatore inglese Henry Wallop, che li definisce «very singulier» e ne sottolinea il carattere all’antica. La decorazione delle pareti era completata all’uso francese con i lambris, spalliere in legno intagliato e dorato. Meno chiaro è il contributo di Primaticcio alla galleria di Francesco I, cantiere avviato nel 1533 sotto la guida di Rosso. Secondo la testimonianza dell’ambasciatore mantovano Giovanni Battista Gambara, Primaticcio sarebbe intervenuto negli stucchi, mentre Vasari ricorda che, dopo la morte di Rosso (novembre 1540), il pittore, richiamato da Roma, avrebbe completato l’ambiente. A lui è concordemente attribuito l’affresco con Giove e Danae, preparato da un foglio del Museo Condé di Chantilly (inv. n. 150).

Il 13 febbraio 1540 il Bologna fu inviato a Roma per conto del re, in veste di consulente per l’acquisto di opere antiche («antiquailles exquisses»), che documentò con disegni e di cui organizzò la spedizione in Francia. Nel corso del soggiorno, protrattosi fino all’inizio del 1541, entrò in contatto con il cardinale Georges d’Armagnac e con il suo segretario Guillaume Philandrier. Rimonterebbe all’artista, secondo l’autobiografia di Benvenuto Cellini, il suggerimento al re di eseguire i calchi in gesso delle statue antiche del Belvedere vaticano, per trarne delle copie da gettare in bronzo. Per questa impresa Primaticcio potrebbe essere tornato a Roma già nel 1541 (Clouet, 2012), mentre un nuovo soggiorno risale al 1542, come risulta da una licenza di esportazione per 58 casse di oggetti antichi. Nella realizzazione dei calchi, Primaticcio si affiancò il Vignola, che condusse in Francia come aiuto nelle fusioni – già in corso nel 1543 – dei bronzi, per le quali a Fontainebleau fu appositamente allestita una fonderia. Una nuova presenza a Roma è attestata nel marzo del 1544, se il documento è datato all’uso romano (1545 se all’uso francese), per realizzare nuovi calchi affidati a Vignola e a Domenico Fiorentino. Furono gettati dieci bronzi: l’Apollo del Belvedere, la Venere cnidia, il Laocoonte, l’Ercole Commodo, la Cleopatra, il Tevere, due sfingi e i Satiri della Valle (Museo del Louvre, in deposito a Fontainebleau). L’impresa, emblematica dell’intenzione del re di fare di Fontainebleau «quasi una nuova Roma» (Vasari, 1568), ebbe vasta risonanza e fu di grande rilievo per la storia del collezionismo antiquario. Su questo sfondo si colloca l’episodio del confronto tra i bronzi di Primaticcio e il perduto Giove in argento di Cellini, narrato nell’autobiografia dello scultore (1558-1566 circa, 1968, pp. 451-454).

A intreccio con le trasferte romane il Bologna completò la decorazione, interrotta per la morte di Rosso, del padiglione di Pomona nel Giardino dei Pini (distrutto nel 1766; pagamenti del 1541; Clouet, 2012), raffigurando entro una cornice di stucco il Giardino di Pomona, del quale esistono uno schizzo preparatorio (Parigi, Louvre, inv. n. 8571) e un’acquaforte di Léon Davent. Entro il mese di aprile del 1542 furono conclusi gli affreschi della galleria Bassa (distrutta nel 1750), affacciata sullo stagno della corte della Fontana, per i quali esiste una serie di studi raffiguranti le Muse, Pallade, Venere e Giunone (Parigi, Louvre, inv. nn. 8553-8558, 8560-8562). Tra il 1542 e il 1543 circa Primaticcio sovrintese all’allestimento, nella stessa corte, di una base monumentale per la statua di Ercole, un’opera del giovane Michelangelo acquistata dal re durante l’assedio di Firenze. Nel progetto di revival antiquario promosso da Francesco I si inscrive pure l’Appartamento dei Bagni, composto di sette ambienti dalle volte ornate con stucchi, affreschi di tema mitologico e grottesche, concepiti anche come luogo di esposizione dei dipinti della collezione reale, secondo il modello delle terme di Marco Agrippa descritte da Plinio. Ricordati nel trattato dell’antiquario Guillaume du Choul (1555), dei ‘bagni’ restano i disegni preparatori per gli affreschi, tra i quali sono le storie di Giove e Callisto (Parigi, Louvre, inv. nn. 8521, 8536; British Museum, inv. n. 1895,9.15,676). Stufe simili, di più modeste proporzioni, furono allestite da Primaticcio per Ippolito d’Este al Gran Ferrara, residenza bellifontana del cardinale, ultimata da Sebastiano Serlio nel 1544-45 (Occhipinti, 1998, p. 172). In questa fase il Bologna fornì anche il disegno (San Pietroburgo, Ermitage, inv. n. OP 5169) con il ritratto a busto del re, circondato da figure allegoriche, per il bassorilievo del timpano esterno del castello di Saint-Maur, villa all’italiana del cardinale umanista Jean du Bellay; potrebbe inoltre aver lavorato al servizio di François de Dinteville, che intanto si faceva costruire un castello a Polisy, dove il pittore è documentato il 15 dicembre 1544.

Nel biennio 1543-44 il Bologna progettò gli affreschi del vestibolo della Porta dorata, accesso monumentale al castello, con temi dell’Iliade, uno dei quali fu inciso nel 1544 da Antonio Fantuzzi. In precedenza aveva decorato il portico con la storia di Ercole e Onfale (disegni a Vienna, Albertina, inv. n. 1977, e Chatsworth, Devonshire Collection, inv. n. 182). Sopravvive, pure alterato, il ciclo della Chambre di Madame d’Etampes, favorita del re: le cartelle in stucco che inquadrano le storie di Alessandro, con coppie di flessuose cariatidi a tutto tondo, furono incise nel 1544 da Jean Mignon. Tra gli studi preparatori, la Mascherata di Persepoli (Parigi, Louvre, inv. n. 8568) dà piena misura delle doti di Primaticcio disegnatore e della sua sensibilità per la luce. Allo stesso momento risale l’allestimento del Cabinet du Roi, condotto sotto la direzione di Serlio: il pittore fornì i disegni per la decorazione degli armadi, che recavano appaiati nelle ante un eroe antico e una virtù dipinti a camaieux. Nello studio per Cesare (Chantilly, Musée Condé, inv. n. 153) si riconoscono le fattezze del re.

L’importanza raggiunta dal Bologna nel ruolo di direttore artistico della corte è confermata dalla nomina ad abate commendatario dell’abbazia di Saint-Martin-les-Ayres, presso Troyes, dotata di una ricca rendita, un fatto già registrato da Vasari nell’edizione torrentiniana delle Vite (1550), in chiusura della biografia di Rosso, del quale l’artista appare come l’erede.

Abile imprenditore di cantieri, fitti di presenze di artisti emiliani (Bagnacavallo junior, Ruggero de’ Ruggeri), ingegno ricco d’invenzioni e versatile nel praticare le tre arti, Primaticcio creò un linguaggio raffinato ed erudito che divenne rappresentativo della corte bellifontana e conobbe ampia risonanza in Europa, grazie anche alla produzione di un gruppo di acquafortisti, attivi soprattutto negli anni Quaranta (Zerner, 1969). Nella sua maniera, l’ispirazione all’antica è sottoposta al filtro della grazia di Parmigianino e interpretata con una sensibilità di marca emiliana per la luce; i continui viaggi nella penisola gli consentirono un puntuale aggiornamento sull’opera di Michelangelo, nota in Francia anche grazie all’arrivo di disegni portati da Antonio Mini (Joannides, 1994; Romani, 1997), e sui modi degli eredi di Raffaello, in particolare di Perino del Vaga.

Rari sono i dipinti mobili noti; tra questi la Sacra Famiglia con s. Anna, eseguita su pietra nera (San Pietroburgo, Ermitage), e un frammento della Fucina di Vulcano (Wiesbaden, Museum Wiesbaden), composizione attestata da uno studio autografo (Parigi, Louvre, inv. n. 8533). Un recente restauro ha recuperato gli affreschi della cappella dedicata alla Vergine Maria nell’abbazia reale di Chaalis, concessa da Francesco I al cardinale d’Este nel 1541, impresa ideata dal maestro e condotta con la collaborazione di aiuti.

Una lettera del re (8 febbraio 1546) annuncia l’incontro di Primaticcio con Michelangelo a Roma nella primavera successiva, preordinato allo scopo di ottenere un’opera del maestro e il permesso di eseguire i calchi della Pietà di S. Pietro, poi gettata in bronzo per la cappella di S. Saturnino a Fontainebleau, e del Cristo portacroce di S. Maria sopra Minerva. Agli ultimi anni del regno di Francesco I appartengono l’allestimento della Grotta dei Pini, padiglione con una facciata di ordine rustico, sorretta da atlanti, liberamente riprodotta in una stampa di Fantuzzi datata 1545. L’interno simula una grotta naturale con pietre di varia origine e affreschi. Se resta indiziario il contributo di Primaticcio al progetto architettonico, due fogli del Louvre (inv. nn. 8590, 8593) provano la sua responsabilità per la decorazione degli sfondati della volta; la realizzazione dovette prolungarsi nei primi anni del regno di Enrico II. La stessa vicenda toccò ai pannelli in smalto raffiguranti i dodici apostoli (Chartres, Musée des beaux-arts), realizzati da Léonard Limosin nel 1547 su invenzioni del bolognese (Parigi, Louvre, inv. nn. 8590, 8593, 33648), dove Francesco I è celebrato nei panni di Tommaso, patrocinatore degli architetti. Nel 1552 la serie fu destinata da Enrico II alla cappella del castello di Diana di Poitiers, favorita del nuovo sovrano, ad Anet. Per questo cantiere, coordinato da Philibert Delorme, Primaticcio fornì, tra il 1547 e il 1553, i disegni con storie di Fedra e Ippolito e storie di Aretusa (Cordellier, 2008; Py, 2008).

L’impresa più significativa di questi anni fu la decorazione delle volte della galleria di Ulisse, un complesso lungo 150 metri, demolito nel 1738-39. Evidenze documentarie emerse di recente tendono a restringere la prima fase dei lavori tra il 1546 e il 1547 (Clouet, 2012); alla morte di Francesco I (31 marzo 1547) circa la metà delle volte mostrava, entro partiture a stucco, apparizioni di divinità olimpiche, scorciate contro il cielo, e segni zodiacali, secondo un piano iconografico che resta da decodificare. Negli studi preparatori – il nucleo più importante è al Louvre – Primaticcio portò a maturazione un’originale rilettura della tradizione dell’illusionismo propria dell’Italia settentrionale, nella quale l’eredità di Giulio Romano e di Correggio viene riletta alla luce dell’esperienza michelangiolesca. Di questo esito era consapevole Vasari (1568), che definisce l’artista uno specialista delle «cose del cielo».

Con l’interruzione dei cantieri di Fontainebleau seguita all’avvento di Enrico II, Primaticcio entrò in contatto con la committenza asburgica: gli scambi epistolari con lo scultore Leone Leoni e con Antoine Perrenot di Granvelle, consigliere di Maria d’Ungheria, rivelano che l’artista si rese disponibile a inviare le forme in gesso realizzate a Roma, assieme a un suo collaboratore di fiducia, Luca Lancia, per ricavare nuove statue ordinate dalla sovrana, sorella di Carlo V, per la sua residenza di Binche, e da Eleonora d’Asburgo, vedova di Francesco I, ritiratasi nella residenza di Mariemont (Boucher, 1981; Cupperi, 2004a e 2004b). La corrispondenza con Granvelle attesta inoltre che Primaticcio soggiornò «per alquanti mesi» in Italia nel 1550, con tappe a Bologna e a Ferrara, dove incontrò Renata di Francia, moglie di Ercole II d’Este, e quindi tornò a Fontainebleau entro il primo di novembre 1550. Nel corso del viaggio si recò anche a Milano, in casa di Leone Leoni. Dopo la morte di Claudio, primo duca di Lorena (12 aprile 1550), Primaticcio fu incaricato dalla vedova Antonietta di Borbone del progetto del monumento funerario per la chiesa di S. Lorenzo a Joinville, per il quale esistono alcuni studi preparatori (Parigi, Louvre, inv. nn. 8579-8580, 8588). Le sculture, conservate solo in parte (Louvre, Comune di Joinville, e Musée d’art et d’histoire di Chaumont), furono pagate tra il 1551 e il 1552 a Domenico Fiorentino e a Jean Le Roux, detto Picart. Si registra a questo punto nella storia dell’artista un impegno crescente sul versante della scultura monumentale, entro il quale si è suggerito di attribuirgli il progetto del monumento del cuore di Francesco I, nella basilica di Saint Denis, commissionato nel 1550 a Pierre Bontemps (Bresc-Bautier, 2004).

Al servizio di Enrico II, Primaticcio fornì i disegni, divisi tra Parigi (Louvre), Londra (British Museum) e Vienna (Albertina), per la decorazione murale della Sala da ballo del castello di Fontainebleau, progettata da Philibert Delorme, dal 1548 «ordonnateur des bâtiments du Roi». La decorazione di soggetto mitologico, ancora oggi esistente, fu condotta, come ricorda Vasari (1568), con il contributo del modenese Nicolò dell’Abate, giunto in Francia il 25 maggio 1552, che diventò il principale interprete dei suoi disegni. Attorno al 1556 ripresero i lavori alla galleria d’Ulisse, dove, sempre su disegno del Bologna, fu compiuta la volta e fu avviata la progettazione delle Storie di Ulisse destinate alle pareti, per le quali risultano alcuni pagamenti a Nicolò dell’Abate (1559, 1560, 1561, 1566). L’aspetto del grandioso ciclo omerico è restituito da un gran numero di fogli autografi (Béguin - Guillaume - Roy, 1985), eseguiti con una raffinata tecnica a matita rossa, su carta preparata rosa, e rifiniti a biacca.

Questi studi rivelano un ritorno su Parmigianino declinato in una chiave luministica franta; le molte copie tratte dalle storie di Ulisse ne testimoniano la fama e l’importanza per i successivi svolgimenti della pittura francese. Diversamente dal cromatismo chiaro e vivo della Sala da ballo, qui l’effetto degli affreschi era assai più scuro, a detta di Vasari, grazie all’uso di terre pure, prive di bianco, per cui le figure, dipinte contro fondi cupi, emergevano con grande rilievo. L’episodio di Penelope e Ulisse nel letto nuziale è protagonista pure dell’algido dipinto del Toledo Museum of art (inv. nn. 1964-60), che potrebbe precedere la versione del soggetto dipinta nella Galleria, una rara testimonianza pittorica di un artista il cui ruolo era sempre più concentrato sull’ideazione e sulla direzione di cantiere.

Altro riferimento importante per Primaticcio in questi anni fu la famiglia dei Guisa, in forte ascesa durante il regno di Enrico II. Prima del 1555, per Francesco, duca di Lorena, l’artista ristrutturò l’hotel parigino di Clisson, acquistato nel 1553, allestendovi stufe dipinte e una cappella affrescata con storie della Natività di Gesù, dove rinnovò il suo spettacolare illusionismo (distrutta a inizio Ottocento). I disegni preparatori furono posti in opera nel 1556 da Nicolò dell’Abate. Si deve al cardinale Carlo di Lorena, colto collezionista di antichità e mecenate di orientamento italianizzante, il primo rilevante incarico di Primaticcio come architetto, con l’ampliamento del castello di Meudon, affacciato sulla Senna, e la costruzione del Palazzo della Grotta (fine del 1552-58), ricordato da Vasari per la straordinaria grandezza e per la somiglianza con gli edifici termali antichi, e già prima celebrato dal poeta Pierre de Ronsard (1556) e da Gabriele Symeoni (1558; Frommel, 2005). Gli edifici sono entrambi perduti.

A partire dal 1559 Primaticcio fu di fatto alle dipendenze di Caterina de’ Medici, vedova di Enrico II, e reggente per conto dei figli minorenni Francesco II e Carlo IX. Il 12 luglio fu nominato sovrintendente di tutte le fabbriche reali, con l’eccezione del Louvre, con una patente che gli riconosceva fedeltà, oltre che grande competenza in materia, e un’entrata di 1200 lire annue, incarico che conservò fino al 1570. Si intensificò allora l’attività di architetto (Boudon - Blécon, 1998; Frommel, 2005), difficile da restituire a causa delle alterazioni subite nel tempo dalle sue realizzazioni, o della distruzione, come nel caso della «Laiterie» (1561), un padiglione di campagna, e della «Salle de bois», una grande pergola ornata da statue lignee (1559-60 circa). Sul versante dell’architettura monumentale Primaticcio ereditò i cantieri lasciati incompiuti da Delorme; in particolare, a Fontainebleau, portò a termine l’ala del Pavillon des Poêles (1564-66), destinata ad alloggio di Caterina, e costruì l’ala di Carlo IX (entro il 1570), puntando a un’opera di monumentalizzazione e disciplinamento delle facciate che culminò nella Cour de la Fontaine. Procedette poi a riallestire gli appartamenti del re e della regina nell’area della Cour Ovale. Nel 1565, nel clima di timore alimentato dalle guerre di religione, fornì il progetto per la fortificazione del castello con un fossato e per la costruzione di una nuova porta monumentale di accesso. L’impresa di maggior rilievo fu la Rotonda di Saint Denis, imponente cappella funeraria dei Valois, promossa da Caterina, novella Artemisia, e descritta da Vasari, che doveva conoscere il progetto tramite disegni. Distrutta la cappella a pianta centrale, che risulta soltanto avviata alla morte dell’artista, resta la tomba, iniziata nel 1561, in forma di tempietto marmoreo, ospitante le statue in bronzo dei sovrani giacenti sul sepolcro, e inginocchiati in preghiera sul coronamento. Tra i collaboratori per la parte scultorea, che coinvolgeva anche la cappella, furono Germain Pilon, Ponce Jacquiot, Frémin Roussel, Domenico del Barbiere e Lorenzo Naldini. A Primaticcio si deve pure il progetto del monumento del cuore di Enrico II, eseguito da Domenico Fiorentino e da Pilon (1561-66; Parigi, Louvre, inv. n. MR 1591). L’impresa pittorica meglio documentata di questa fase è la decorazione della Chambre du Roi (1570), di cui restano alcuni disegni per storie tratte dall’Iliade, messi in opera da Nicolò dell’Abate.

Morì a Parigi nel settembre del 1571.

Curò sempre con attenzione i suoi cospicui interessi economici, tornando a Bologna nel 1556, nel 1557 e nel 1563; seguì con sollecitudine gli affari familiari, predisponendo la dote per i matrimoni delle nipoti, figlie del fratello Raffaele. Claudia andò sposa ad Antonio Anselmi, già segretario di Pietro Bembo e pure procuratore degli interessi dell’artista a Bologna, e Costanza a Giovanni Battista Beccadelli. Possedette una collezione di antichità che custodiva opere appartenute a Girolamo Casio. Sono noti quattro testamenti: il primo, olografo, redatto a Bologna nel 1557, il secondo, del 1562, compilato a Saint-Germain-en Laye, il terzo del 9 giugno 1563, rogato a Bologna, e l’ultimo sottoscritto il 15 maggio 1570, in cui nominò erede universale il nipote Giovanni, che viveva in Francia (Fanti, 2007, pp. 152-156, 166-170).

L’Autoritratto degli Uffizi, identificato da una iscrizione molto antica sul rovescio, cui non tutti danno credito, è probabilmente opera giovanile, del periodo italiano. L’effigie di Primaticcio è stata anche riconosciuta in un disegno dell’Albertina di Vienna (inv. n. 1965), che si è voluto mettere in relazione con il ritratto inserito nelle Vite di Vasari (1568).

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