PRETERINTENZIONALITÀ e CONCAUSA

Enciclopedia Italiana (1935)

PRETERINTENZIONALITÀ e CONCAUSA

Giovanni Novelli

L'art. 42 del codice penale del 1930 fissa il principio della volontarietà come base dell'imputabilità penale, stabilendo che "nessuno può essere punito per un'azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà"; e precisa ulteriormente l'elemento soggettivo dei delitti dettando la norma che "nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge". Il successivo art. 43 dà la nozione del delitto doloso, o secondo la intenzione, che si verifica "quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere la esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione", ossia quando l'evento è conforme all'intento. Se, invece, l'evento supera l'intento, ossia per usare le parole del codice, "se dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente", si ha l'ipotesi del delitto preterintenzionale. Vi è perciò in questa forma delittuosa un plus che è legato solo fisicamente all'azione dell'agente, mentre difetta per esso l'elemento psicologico.

Tutte le legislazioni mettono a carico dell'agente questo plus, pur con attenuazioni di pena, ma la dottrina non è concorde nel dare la giustificazione di tale ordinamento. Secondo l'antica dottrina si tratta d'imputabilità a titolo di dolo misto a colpa: per la parte dell'evento voluto si risponderebbe a titolo di dolo, per la parte non voluta si risponderebbe a titolo di colpa; secondo una dottrina più recente, del plus si risponderebbe a titolo di responsabilità oggettiva. Per il codice italiano si debbono ritenere respinte tali teoriche, perché l'art. 43 tiene del tutto distinte le ipotesi di delitto preterintenzionale, di delitto colposo e di responsabilità obiettiva. Si è inclini invece a ritenere che il legislatore italiano abbia fondato la responsabilità per la parte dell'evento non voluto sul principio della causalità, messo in relazione con lo stato d'animo dell'agente, il quale, pur sapendo che dalla sua azione possono derivare conseguenze maggiori o diverse da quelle attese, vuole la causa, e perciò vuole anche tutti gli effetti che la causa stessa è capace di produrre (V. Manzini).

L'ordinamento della preterintenzionalità nel nuovo diritto è soggetto ai principî seguenti: a) si tratta di responsabilità eccezionale e, perciò, può essere affermata solo nei casi espressamente indicati dalla legge. Così non puo affermarsi per il delitto di lesioni personali, mentre è preveduto espressamente per l'omicidio (art. 584); b) deve essere dimostrato il rapporto di causalità fisica tra l'azione del colpevole e il plus nell'evento, a norma dell'art. 40; c) il plus non deve costituire un evento essenzialmente diverso dal voluto, perché altrimenti si applica l'art. 83, secondo il quale, se si cagiona un evento diverso dal voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. Se ha cagionato anche l'evento voluto, si applicano le regole sul concorso dei reati.

Da quanto si è detto appare che la teoria della preterintenzionalità, studiando il rapporto dell'evento con la volontà del colpevole, attiene all'elemento soggettivo del reato, ossia a quello che l'antica scuola chiamava imputatio iuris. Ma la considerazione dell'evento è importante anche nello studio dell'elemento oggettivo del reato, e precisamente per quanto riguarda il rapporto di causalità materiale tra l'azione del colpevole e l'evento. L'evento, infatti, può essere il prodotto di una sola causa o di un complesso di cause della più opposta indole: animate o inanimate; umane o naturali; indipendenti o interdipendenti o associate; simultanee, precedenti, successive; mediate o immediate, ecc. Sorge, perciò, nell'ipotesi di concorso di cause, il problema di determinare l'imputabilità materiale dell'evento a questa o quella causa ai fini di stabilire i limiti della responsabilità dell'agente o dei varî agenti. Il codice penale del 1889 si occupava del concorso di cause nella produzione dell'evento solo a proposito dell'omicidio (art. 367 e 368) e stabiliva che, quando la morte non sarebbe avvenuta senza il concorso di condizioni preesistenti ignote al colpevole o di cause sopravvenute e indipendenti dal fatto del colpevole stesso, la pena stabilita per l'omicidio andava diminuita secondo le varie ipotesi. Questo era il contenuto dell'istituto, conosciuto nella pratica col nome di "concausa".

Il nuovo codice ha trattato del problema della causalità materiale come problema generale dell'imputabilità fisica dell'evento elemento del reato negli articoli 40 e 41. Stabilito nell'art. 40 il principio fondamentale della necessità del rapporto di causa fra azione ed evento, perché questo si possa mettere a carico del colpevole, nell'art. 41 il legislatore eleva al valore di una disposizione generale l'affermazione che un evento possa dipendere da più antecedenti, invece che da uno soltanto di essi, e intende stabilire che gli antecedenti, in tal caso, adempiono ognora una funzione causale, anche se ciascuno di essi non sia da solo sufficiente a produrre l'evento: purché però tutti concorrano, nel loro insieme, alla produzione dello stesso. Di tale regola costituisce un'applicazione, più che un'eccezione, il primo capoverso dell'articolo: col quale si stabilisce che le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità, quando siano state (come fu corretto su proposta della commissione parlamentare) da sole sufficienti alla determinazione dell'evento. Tale disposizione particolare si riferisce all'ipotesi, in cui vi sia un concorso di cause successive e fra loro indipendenti. Viceversa, quando le cause siano simultanee, non sarebbe possibile riferire l'evento all'una piuttosto che all'altra causa: e, in conseguenza, l'evento si deve considerare ea necesse come prodotto di tutte le cause. Quando invece le cause siano tra loro dipendenti, anche se successive, non potrebbe egualmente escludersi il rapporto di causalità, perché l'evento, attraverso il legame derivativo delle cause, finisce per risalire anche agli antecedenti non prossimi, di guisa che trova piena giustificazione il principio: causa causae est causa causati. Con questo sistema l'istituto della concausa, concepito come un'ipotesi di attenuazione dell'imputabilità dell'autore del reato è scomparso dall'ordinamento del diritto penale positivo italiano.

Il nuovo sistema ha influenzato anche l'ordinamento del concorso di più persone nel reato, che è un'ipotesi di cause associate, perché il nuovo codice ha abbandonato la distinzione tra correità e complicità, fondata, com'è noto, sulla maggiore o minore efficienza materiale del concorso dei diversi agenti nella preparazione e consumazione del reato. Tuttavia lo stesso codice accoglie qualche deroga al principio dell'uguaglianza del valore delle cause produttive dell'evento ai fini della responsabilità. Così, mentre nell'ultima parte dell'art. 41 stabilisce che il principio consiste nel fatto illecito altrui, nell'art. 62 n. 5 considera come causa di attenuante l'aver concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione od omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa. Così, ancora per il concorso di più persone nel reato, mentre nell'art. 110 è detto che, quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, nell'art. 114 è disposto che il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da taluna delle persone che sono concorse nel reato abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena.

Bibl.: M. von Buri, Über Causalität und deren Verantwortung, Lipsia 1873; id., Die Causalität und ihre strafrechtlichen Beziehungen, Stoccarda 1885; A. Stoppato, Evento punibile, Padova 1898, pp. 61-62; F. Carrara, in Opuscoli, I, Firenze 1898, p. 308; E. Massari, Il momento esecutivo del reato, Pisa 1923, pp. 171 a 222; F. Magri, Causalità materiale e causalità psichica dei reati, Torino 1924; M. Finzi, Il delitto preterintenzionale, Torino 1925, pp. 98-116; Lavori preparatori del codice penale, V, i, Roma 1929, pp. 84-85; Jovene, Rapporto causale del reato, in Foro italiano, II (1932), col. 84; G. Marciano, Il nuovo codice penale, Napoli 1932, p. 31; E. Jannitti Piromallo, Corso di diritto criminale, Roma 1932, pp. 112 e 142; G. Paoli, La causalità nel nuovo codice penale, in La giustizia penale, 1932, parte 2ª, col. 1546; V. Manzini, Trattato di diritto penale, I, Torino 1933, p. 590 segg.; A. Santoro, Teoria delle circostanze del reato, Roma 1933, p. 177; F. Carnelutti, Teoria generale del reato, Padova 1933, p. 239; G. Sabatini, istituzioni di diritto penale, Catania 1933, p. 156.