Preludio

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Brano strumentale in forma libera e a carattere introduttivo che precede una suite, una fuga, un atto d’opera; può essere anche una composizione a sé stante.

L’uso di un p. era frequente nelle composizioni degli aedi per trovare l’intonazione. Dalla civiltà greca quest’uso passò alle pratiche cristiane, nei pezzi con cui l’organista avviava le voci al canto religioso. Nel 16° sec. tale intonazione divenne un componimento organistico libero (a Venezia con G. Gabrieli, in Spagna con A. de Cabezón) svolto su elementi del cantico sacro. Il fantasioso improvvisare si evolse, cedendo il campo nel 18° sec. a meditate elaborazioni (canzoni, toccate, capricci, ricercari ecc.). Nel 18° sec. il p. fu incluso nella suite per organo e cembalo, oppure nel binomio p.-fuga (o toccata, fantasia ecc.). Nel tardo 18° sec. il p. diventò autonomo, perdendo sempre di più i caratteri improvvisatori e virtuosistici, conservando libertà e varietà formale. Ne sono esempi i p. di F. Chopin e C. Debussy.

Nella musica teatrale il termine p. distingue di solito una introduzione che, senza assumere la forma della ouverture o della sin­fonia, abbia però un senso di sufficiente appagamento formale. Ne sono esempi la toccata iniziale dell’Orfeo (1607) di C. Monteverdi, ma anche i p. di grandi operisti del 19° sec., specialmente quelli di G. Verdi (Traviata, Ballo in maschera, Aida) e di R. Wagner che utilizzò un p. (da lui detto Vorspiel) in quasi tutte le opere della maturità, dal Lohengrin in poi, con la sola eccezione dei Maestri Cantori.

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