PRATO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1998)

PRATO

V. Ascani

Città della Toscana, capoluogo di provincia, situata allo sbocco della valle del Bisenzio nella piana dell'Osmannoro, espansione settentrionale del medio Valdarno.Un centro abitato nella posizione dell'od. nucleo storico di P. si andò formando presumibilmente in età imperiale, lungo assi trasversali che collegavano tra loro differenti percorsi subappenninici tra Firenze e Pistoia, paralleli al tracciato della via Cassia, che correva forse poco a S dell'od. città. Le prime testimonianze documentarie provano che in età carolingia l'abitato, con il nome di Burgum Cornii, doveva essere già di qualche rilievo, rispetto ai villaggi posti tra Firenze e Pistoia, poiché sede di giudici e notai. Intorno al Mille il centro era composto dal borgo sorto intorno alla pieve di S. Stefano (od. cattedrale) e dai due nuclei fortificati, uno a N, presso la riva del Bisenzio e la chiesa di S. Stefano, e uno a S, il castello dei conti Alberti. Quest'ultimo attrasse nei decenni successivi numerosi abitanti, che vi affiancarono un castrum ben fortificato, quadrangolare, incentrato sulla chiesa di S. Maria del Castello, delle cui mura sono state rinvenute tracce a varie riprese. Questo nucleo, che prese nome dal prato che circondava l'isolato mastio feudale, si estese sino a essere separato dal borgo unicamente dalle mura e dal loro fossato.La definitiva fusione dei due centri e il decadimento, sull'opposto lato settentrionale del borgo, del nucleo fortificato che vi sorgeva, dettero vita all'od. città, racchiusa da mura ad andamento irregolare - di cui restano tratti con torri a N del duomo - già alla metà del sec. 12°, in uno con lo sviluppo delle prime istituzioni comunali. L'età romanica vide la ricostruzione dei principali edifici cittadini: la pieve, ancora in tutto dipendente dai vescovi di Pistoia, il castello e numerose chiese, tra cui il battistero di S. Giovanni Rotondo, dinanzi alla facciata del duomo, demolito alla fine del Duecento. Il grande sviluppo economico dovuto al diffondersi delle attività manufatturiere, e in specie alla produzione e al commercio dei panni di lana, comportò, tra il Duecento e l'inizio del Trecento, con l'ulteriore rinnovamento delle principali architetture, una sensibile dilatazione del nucleo primitivo lungo le principali direttrici, che condusse alla definitiva conformazione del centro urbano, sancita dalla costruzione della nuova cerchia di mura, a partire dal terzo decennio del Trecento.Il centro storico di P. resta esempio notevolissimo di città medievale, per molti versi pienamente paradigmatico, soprattutto nei suoi aspetti urbanistici, data la sostanziale mancanza di vincoli monumentali preesistenti e la prevalente facies due-trecentesca delle sue architetture. Ne sono elementi qualificanti: lo spontaneo ricorso agli exempla urbanistici antichi nella griglia delle strade del centro, con assi principali e vicoli di servizio, al pari delle coeve 'città nuove', con l'intento di regolarizzare il precedente, disomogeneo tracciato altomedievale, peraltro ancora evidente lungo l'od. via Garibaldi, asse del primitivo borgo; il tripolarismo, raro in Italia ma qui ben accentuato, tra sede religiosa, comunale e feudale; la posizione e l'estensione dei conventi mendicanti, che occupano per intero gli ampi spazi periferici sino alle ultime mura in ogni direzione; infine, la vastissima area destinata al commercio all'aperto e alle fiere, il Mercatale, consistente in un apposito piazzale porticato, razionalmente posto presso gli scali fluviali, una porta urbica e un ponte, tuttora ben studiabile.Del primo Romanico si conservano soprattutto costruzioni religiose esterne al nucleo urbano, tra cui numerose pievi e chiese minori della piana e della collina pratese, come le pievi di S. Ippolito a Sant'Ippolito in Piazzanese e S. Pietro a Iolo, e le chiese di S. Pietro a Figline e S. Pietro a Galciana, oltre alla precoce pieve di S. Maria a Filettole, in gran parte distrutta durante la seconda guerra mondiale. In città rimangono i notevoli frammenti, della fine del sec. 11° o dei primi anni del successivo, di pavimento musivo, a girali abitati, nel duomo e in S. Fabiano. Quest'ultima chiesa è un'abbaziale benedettina ricostruita nel sec. 12° con irregolare struttura a tre navate su pilastri e semplice facciata con portale a decorazioni bicrome.Il duomo di S. Stefano, pieve innalzata alla dignità episcopale solo nel 1653, si presenta nella ricostruzione protoduecentesca operata da Guidetto (v.), architetto della cattedrale di S. Martino a Lucca, che stipulò nel 1211 il contratto per questi lavori. Vi fu forse attivo nei decenni successivi il marmorario Albertino, noto da atti documentari pratesi (Fantappiè, 1991). L'edificio, a pianta basilicale su pilastri cilindrici, originariamente concluso da triplice abside, fiancheggiato da una canonica con chiostro a decorazione bicroma, resta uno dei più chiari e felici esempi del rinnovato classicismo e del decorativismo propugnati dalle maestranze ticinesi di stanza a Lucca, che qui si dovettero peraltro incontrare, oltre che con artefici di tradizione pistoiese, con gli artisti di identica origine lombarda attivi a Firenze, come provano le numerose consonanze iconografiche e stilistiche tra i motivi decorativi dei fianchi e opere fiorentine come S. Miniato al Monte, di cui negli stessi anni si doveva terminare la facciata e si approntavano gli arredi interni. Elementi non trascurabili di novità risiedono nei potenti capitelli, a motivi vegetali e protomi, dalla matura pienezza volumetrica e formale, che aggiornano modelli pisani guglielmeschi alla luce degli intercorsi capolavori padani, soprattutto antelamici. La bicromia trova piena espressione nella stessa struttura interna, dai verdi pilastri in serpentino pratese del Monteferrato limitati da capitelli e, in origine, basi in calcare bianco, e sorreggenti una parete a fasce bicrome bianco-verdi, mentre all'esterno si assiste alle eleganti variazioni decorative del fianco meridionale con i suoi portali e del più arcaico chiostro, con fantasiosi capitelli, in parte reintegrati nei restauri novecenteschi.La chiesa conserva dal tardo sec. 12° la reliquia della supposta cintola della Madonna. Proprio l'intento di riparare a un tentativo di furto del venerato oggetto portò, negli anni successivi al 1312, all'abbattimento del corpo orientale del duomo e alla sua ricostruzione in ampia veste gotica, con transetto e cappelle terminali su modello mendicante, sopraelevati su cripta, forse in parte preesistente. L'intervento, attribuito senza prove a Giovanni Pisano, terminato solo intorno al 1365, condusse a P. aggiornate maestranze, alla cui attività sono da legare anche il completamento, facciata esclusa, di S. Francesco, fabbrica avviata con più semplice veste stilistica a partire dal 1281, nonché le principali fasi delle chiese di S. Domenico e S. Niccolò, rimaneggiate poi in parte, contraddistinte da lineari quanto monumentali forme gotiche, evidenti nella struttura dei fianchi e negli ampi portali. Il lascito del cardinale domenicano Niccolò Albertini da Prato consentì nel 1322 di ultimare la prima e di iniziare i lavori per la seconda delle due costruzioni del suo stesso ordine. Le chiese mendicanti pratesi sono - a parte il più tardo S. Agostino - lunghe aule uniche in laterizio coperte a capriate, talora rivestite in marmo nelle parti focali, come portali e facciate. La scultura è di lontana ascendenza pisanesca, sebbene secondo le forti variazioni comuni in ambito mendicante fiorentino, in primis in S. Maria Novella, con serie di capitelli fogliati di derivazione classica e di morbida esecuzione ma di disegno semplificato e talora ripetitivo. Il duomo e S. Domenico furono completati da eleganti campanili, nel primo caso a piani di bifore e trifore entro una nobile struttura decorata a marmi bicromi, liberamente ispirata al prototipo fiorentino, di intenzionale valenza simbolica e gerarchica su scala urbana.A metà Duecento, in decenni di preponderante ghibellinismo, il desiderio di un affrancamento dalla vicina e troppo potente Firenze e dalla mai amata sede vescovile di Pistoia, e le coincidenti mire imperiali a spezzare le resistenze della Lega guelfa delle città toscane, tanto più in un punto nodale di transito appenninico, furono le principali concause dell'edificazione - caso unico nell'Italia centrosettentrionale - del grande castello dell'imperatore. L'impresa, concordata tra i Pratesi e lo stesso Federico II (v.), portò alla graduale realizzazione di una struttura difensiva quadrilatera ad ali subregolari, talmente simile nella concezione e nei particolari costruttivi e decorativi alle contemporanee fortezze della Sicilia orientale, castello Ursino a Catania, castel Maniace a Siracusa, e in particolare il castello di Augusta (Agnello, 1954), che non sorprende la conferma documentaria della presenza a P. nel 1246 e del diretto intervento del provisor castrorum dell'imperatore, Riccardo da Lentini, cui è dunque legittimo attribuire la direzione dell'opera. È tuttavia da pensare che il castello non sia stato allora terminato, data l'esistenza di alcune testimonianze documentarie che lo provano ancora incompiuto all'inizio del Trecento (Fantappiè, 1991). La stessa conclusione è stata peraltro raggiunta dalla critica dato lo stato di incompletezza che vari indizi all'interno lasciano ipotizzare (Kappel, Tragbar, 1996).Pur riutilizzando due piccole torri quadrate della fortificazione preesistente, sottratta ai conti Alberti già dalla metà del sec. 12°, ricostruita e passata sotto diretto controllo imperiale, il castello presenta una struttura relativamente omogenea, con le sue cortine in pietra bianca calcarea locale con torri angolari, sul cui lato interno si trovano tracce degli attacchi delle membrature che sorreggevano le volte degli spazi interni e parte delle relative mensole. Il portale timpanato rientra pienamente nella tipologia federiciana, sovrapponibile com'è all'ingresso di Castel del Monte, di cui riprende anche i leoncini su mensole. Al contempo, la bicromia bianco-verde lo riporta ai locali canoni decorativi di cui in quegli anni il duomo pratese costituiva nella zona il repertorio più recente e completo.Tra le altre costruzioni monumentali della città occorre ricordare le strutture dell'ospedale della Misericordia e Dolce, con la cappella di S. Barnaba di origine duecentesca introdotta da un portalino che ripete ancora le forme guidettesche del duomo, al pari della chiesa suburbana e del pulpito di S. Maria a Colonica; ancora, le poche tracce della magione degli Ospedalieri di s. Giovanni, con oratorio, forse del primo Duecento, di cui resta parte della facciata con decorazioni in cotto.Per l'architettura civile è da menzionare il complesso dei palazzi pubblici. Un primo palazzo comunale, con piano terreno porticato, che sorgeva dirimpetto al duomo, fu demolito e sostituito, a partire dal nono decennio del Duecento, dall'edificio nell'attuale posizione, poi trasformato nel Cinquecento e ancora in seguito. Della struttura medievale del palazzo Nuovo del Comune restano alcuni varchi del porticato, su pilastri in pietra, che lo accomunano ai modelli padani, al contrario della struttura interna, articolata superiormente in più vani, come nel caso appena successivo del palazzo del Comune di Pistoia e, probabilmente, di alcuni degli edifici pubblici di Lucca e di Pisa, quasi del tutto perduti; è così possibile intravedere l'esistenza di una specifica tipologia in Toscana, peraltro ancora da indagare appieno. Il palazzo Pretorio, che sorge sulla piazza del Comune di fronte al precedente, è costituito dall'accorpamento di più costruzioni, di differente tecnica e datazione: una primitiva, in laterizio, tardoduecentesca, in origine porticata; una seconda, più monumentale, in pietra, del pieno Trecento, a grandi saloni sovrapposti con copertura piana, aperti da eleganti bifore; infine, una nuova fase in cotto, quattrocentesca, rialzata e rimaneggiata in seguito.Per quanto riguarda le arti figurative, a parte i precoci brani di affreschi nell'ospedale della Misericordia e Dolce con una serie di santi risalenti al terzo quarto del Duecento, e i più tardi affreschi, nel medesimo ospedale, di Bonaccorso di Cino (v.) con il Trionfo della Morte, restano da segnalare il Cristo deposto del duomo, parte di un gruppo ligneo duecentesco, e soprattutto la statuetta della Madonna della Cintola di Giovanni Pisano, nella cappella del Sacro Cingolo nel duomo, opera dell'ultima maturità dell'artista, intorno al 1317, variazione sui modelli di sue precedenti opere pisane, in cui il tema della cintola è sfruttato per originare una rotazione del panneggio e della figura che rende la statua una delle più dinamiche e potenti opere dello scultore. A Giovanni è attribuito nel duomo anche un drammatico crocifisso ligneo.Un'ultima stagione artistica di rilievo fu vissuta dalla città a cavallo tra il Trecento e l'inizio del secolo successivo grazie alla committenza di Francesco di Marco Datini, ricco mercante e banchiere pratese. A lui e a famiglie satelliti si devono realizzazioni come il palazzo Datini o come la cappella Migliorati, sala capitolare francescana affrescata nel 1395 da Niccolò di Pietro Gerini (v.) e bottega. Gli stessi pittori eseguirono anche una croce dipinta e affreschi nel convento domenicano, oltre a numerose opere di minore importanza.All'ultimo quindicennio del Trecento risalgono la costruzione e la decorazione della nuova cappella del Sacro Cingolo nel duomo, i cui lavori comportarono anche l'addossamento di una nuova facciata - terminata a metà Quattrocento - a quella duecentesca, in parte ancora conservata dietro l'attuale (Marchini, 1957). Gli affreschi di Agnolo Gaddi (v.) del 1392-1395, che ricoprono per intero le pareti della cappella, costituiscono uno dei più completi cicli mariani di tutta la pittura medievale, comprendendo Storie di Maria e della sua famiglia che si integrano con la Leggenda della cintola, fino all'arrivo e alle vicende della reliquia a P., città che viene a costituire così il termine stesso del lungo racconto sacro, dando valore universale alla propria storia e al contempo contestualizzando, con l'esaltazione del suo orgoglio civico, uno dei più diffusi temi dell'arte medievale.Le collezioni pratesi custodiscono interessanti opere medievali: nel Mus. dell'Opera del Duomo è il rilievo con la Madonna con il Bambino in trono di Giroldo da Como (v.) dalla badia di S. Maria di Montepiano, mentre nell'annessa cripta si trovano rilievi scolpiti da un artista senese della seconda metà del Trecento, con Storie della Sacra Cintola, da un distrutto altare del duomo; nella Pinacoteca Com. spiccano il polittico di Bernardo Daddi (v.) per l'altare maggiore del duomo e un polittico di Giovanni da Milano (v.), opera firmata dell'artista, oltre a pitture di tardi artefici locali, come Pietro di Miniato, del gruppo dipendente dalla committenza di Francesco di Marco Datini. Tali pittori, presenti anche in S. Domenico (Mus. di Pittura murale), avrebbero protratto la propria attività sino alla vigilia dell'arrivo a P. di maestri del primo Rinascimento come Donatello e Paolo Uccello.

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