POTONE

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

POTONE

Federico Marazzi

– Decimo abate di San Vincenzo al Volturno, Potone guidò la comunità monastica molisana nella prima metà degli anni Ottanta dell’VIII secolo, probabilmente fra l’inizio di novembre 782 e il 20 aprile 785.

Il Chronicon Vulturnense (1925, I, p. 203) tratta il suo profilo biografico molto brevemente, limitandosi a dire che egli successe a Hayrirad e fu il predecessore di Paolo I, reggendo il cenobio per due anni, cinque mesi e sedici giorni, morendo nel decimo giorno antecedente le calende di maggio dell’anno 783. Vincenzo Federici, l’editore della fonte, ritenne che, sulla base dei calcoli cronologici, Potone fosse stato eletto alla carica il 6 novembre del 780, quattro giorni dopo la morte del predecessore (Federici, 1941, p. 105). Dopo questo accenno, il nome di Potone non ricorre più nelle pagine della cronaca, né è noto alcunché riguardo alla sua origine e alla sua provenienza familiare.

Le date stesse dell’abbaziato, così come proposte da Federici, sono state riconsiderate da un successivo studio di Jacques Winandy (1949, pp. 206-210), sulla base di un confronto fra il Chronicon e il cosiddetto Frammento Sabatini (una sorta di redactio prior della cronaca di San Vincenzo al Volturno, databile tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo; Braga, 2003, p. 71).

Lo studioso francese partì da un attento scrutinio delle date riportate dalle due fonti sull’abbaziato di Ambrogio Autperto, predecessore di Hayrirad, rilevando che la sua cessazione dalla carica non era avvenuta nell’ottobre del 778, bensì alla fine di dicembre. Inoltre, fece rilevare che il Frammento Sabatini annota che la fine dell’abbaziato di Autperto non sarebbe coincisa con la sua morte, bensì che questi sarebbe sopravvissuto sino alla fine di gennaio del 784, morendo dopo Hayrirad (Braga - Palma, 2003, pp. 55 s.).

Tutto ciò implicherebbe che quest’ultimo divenne abate all’inizio di gennaio del 779 e morì all’inizio di novembre del 782. Succedendogli, Potone avrebbe quindi guidato l’abbazia fra l’inizio di novembre del 782 e, all’incirca, il 20 aprile del 785. La proposta del Winandy sembra quella più attendibile, anche in relazione ad altre fonti – esterne alle cronache vulturnensi – che di Potone fanno menzione.

Allo scarno resoconto del Chronicon (e a quello altrettanto laconico del Frammento Sabatini) fa infatti da contrappunto una più ricca documentazione offerta dal Codex Carolinus, in cui la figura di Potone ricorre in due lettere (nn. 66, 67) quale protagonista di una scabrosa vicenda che aveva pesantemente turbato l’armonia del cenobio molisano (Houben, 1987). Le due missive, indirizzate da papa Adriano I a Carlo Magno, sarebbero da datarsi – secondo Hubert Houben, che segue l’interpretazione di Winandy – la prima a dopo l’aprile del 783 e la seconda, presumibilmente, al febbraio dell’anno seguente.

Nella prima lettera il papa si rivolge a Carlo manifestandogli come l’intera comunità di San Vincenzo al Volturno avesse espresso il desiderio di riconsiderare l’accusa di infidelitas nei confronti del re, mossa contro il loro abate, ciò che aveva condotto Carlo a decidere la destituzione di quest’ultimo. Il papa affermava infatti che tale accusa era del tutto infondata e che quindi sarebbe stato giusto reinstaurare l’abate nella sua carica. Che l’abate in questione fosse Potone lo si apprende dalla lettera successiva (n. 67). Essa costituisce in realtà il resoconto di un’udienza processuale tenutasi a Roma, nella basilica vaticana. La corte era composta, oltre che dal pontefice, dall’arcivescovo Possessore (della sede di Tarentaise, in Savoia, inviato di Carlo) e da diversi abati, fra cui Ragimbaldo di Farfa; insieme a loro, troviamo il duca di Spoleto Ildeprando con altre due persone e diversi alti funzionari del palazzo pontificio.

Nella circostanza, l’abate vulturnense era stato sottoposto a giudizio per due capi d’accusa. Il primo – senza dubbio il più grave – gli era stato mosso dal confratello monaco Rodicauso, il quale aveva affermato che un giorno l’abate non solo si sarebbe rifiutato di cantare le lodi in onore del re, ma avrebbe addirittura profferito parole insolenti all’indirizzo suo e dei Franchi. Potone reagì sdegnato alle accuse, asserendo che egli non si era mai rifiutato di cantare le lodi di Carlo e che, nella circostanza richiamata da Rodicauso, si era solo dovuto allontanare dal coro per faccende urgenti; quanto poi agli insulti antifranchi che gli venivano attribuiti, egli non aveva nulla da dire, se non che quelle parole non gli erano mai uscite di bocca ed erano perciò del tutto false. Nel controinterrogatorio, Rodicauso non fu in grado di addurre altri testimoni che avessero udito le parole di Potone, e inoltre venne a sua volta accusato di aver agito per risentimento contro il proprio abate, poiché da questi spogliato degli ordini sacerdotali in quanto colpevole di aver stuprato la propria nipote. La seconda imputazione per cui Potone era stato incriminato era di aver fatto incarcerare tre monaci rei di aver chiesto di allontanarsi dal monastero per recarsi presso il re. A ciò Potone rispose che ai monaci era stato solo vietato di andare vagabondando fuori del monastero e che tale infrazione gli era stata segnalata dai custodes dello stesso. Inoltre, proseguì l’abate, il fatto era accaduto quando lui non era neppure sul posto, ma era a sua volta in viaggio per recarsi da re Carlo. Alla fine, il processo si concluse in favore di Potone, che si emendò dalle accuse pronunciando un pubblico giuramento con il quale ribadiva la falsità delle medesime, dichiarando al contempo la sua assoluta fedeltà al re carolingio. In conclusione, un gruppo di dieci primati monachi vulturnensi, cinque Franchi e cinque Longobardi, presero l’impegno di recarsi dal re per riferirgli l’esito del processo e testimoniare sull’integrità del loro abate. Fra questi, forse vi furono anche Paulus presbyter e Iosue diaconus, testimoni al processo, che non è difficile riconoscere nei due successori dello stesso Potone sul seggio abbaziale.

In realtà, come viene ricordato all’inizio della lettera 67, il dissidio non era sorto solo fra Potone e alcuni monaci, bensì aveva coinvolto direttamente il suo predecessore Ambrogio Autperto, che evidentemente si era dimesso (o era stato costretto a farlo) dalla carica abbaziale per contrasti sorti all’interno della comunità monastica che dovevano aver visto coinvolto anche Potone. Autperto, abbandonato San Vincenzo e rifugiatosi forse presso il duca di Spoleto, avrebbe dovuto partecipare al processo romano, ed è abbastanza intuibile che una sua testimonianza non avrebbe giovato alla causa di Potone. Caso però volle che l’ex abate morisse durante il viaggio verso Roma, rendendo più facile la mediazione papale nei confronti di Carlo.

È probabile che i contrasti sorti nel cenobio molisano derivassero da beghe accese fra i monaci dalle manovre compiute dai duchi di Spoleto e Benevento, nell’intento di far schierare il monastero – in virtù della sua strategica posizione geografica – su posizioni rispettivamente favorevoli o avverse alla supremazia carolingia. Contrasti che forse il franco Autperto non era riuscito a sedare, vedendosi infine costretto a lasciare l’abbazia e serbando rancori verso coloro – tra cui probabilmente anche Potone – che potevano aver fomentato le contentiones inter monachos cui fa cenno la seconda lettera a Carlo di Adriano I (Erhart, 2006, pp. 378-380). La morte di Autperto privò la corrente più favorevole ai Franchi di un protagonista fondamentale, ma la successiva elezione di Paolo prima e di Giosuè poi al soglio abbaziale segnò probabilmente l’allineamento definitivo del cenobio vulturnense all’obbedienza carolingia (Marazzi, 2010, pp. 174-176).

Fonti e Bibl.: Codex Carolinus, a cura di W. Gundlach, in MGH, Epistolae, III, Epistolae Merwingici et Karolini Aevi I, Berolini 1892, pp. 594-597; Il Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, I-III, in Fonti per la Storia d’Italia, LVIII-LX, Roma 1925-1938, I, p. 203; G. Braga - M. Palma, Il testo, in Il Frammento Sabatini. Un documento per la storia di San Vincenzo al Volturno, Roma 2003, pp. 55 s.

V. Federici, Abati Franchi e abati Longobardi nel monastero di S. Vincenzo al Volturno, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano, LVII (1941), pp. 104-114; J. Winandy, Les dates de l’abbatiat et de la mort d’Ambroise Autpert, in Revue bénédictine, LIX (1949), pp. 206-210; H. Houben, Carlo Magno e la deposizione dell’abate Potone di San Vincenzo al Volturno, in Id., Medioevo monastico meridionale, Napoli 1987, pp. 43-53; G. Braga, Analisi del testo per un’ipotesi di datazione, in Il Frammento Sabatini…, cit., pp. 61-72; P. Erhart, Contentiones inter monachos. Etnischee und politische Identität in monastischen Gemeinschaften des Frühmittelalters, in Texts and identities in the Early Middle Ages, a cura di R. Corradini et al., Wien 2006, pp. 378-383; F. Marazzi, Varcando lo spartiacque. San Vincenzo al Volturno dalla fondazione alla conquista franca del Regnum Langobardorum, in L’VIII secolo. Un secolo inquieto, a cura di V. Pace, Cividale del Friuli 2010, pp. 174-176.

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