POTENZIALE

Enciclopedia Italiana (1935)

POTENZIALE

Giovanni GIORGI
Roberto MARCOLONGO

Sin dal 1777 G. L. Lagrange, sviluppando la dottrina matematica dei campi di forza newtoniani, ebbe a rilevare che questa trattazione si può semplificare grandemente introducendo nei calcoli, anziché le forze stesse e le loro componenti, una certa semplice funzione del generico punto del campo, dalla quale le componenti delle forze si ricavano per derivazione rispetto alle coordinate. L'osservazione del sommo matematico italiano non fu per allora raccolta dai contemporanei. P. S. de Laplace nel 1784 ebbe a ritrovare di nuovo quella stessa funzione U, e da quel momento in poi ne fece largo uso nella sua Méchanique celeste, seguito presto da altri autori, in particolare da A.-M. Legendre. D'altra parte A. Volta, nelle sue classiche ricerche di elettrometria, s'incontrò per tutt'altra via - e cioè risalendo dagli effetti fisici alle misure delle grandezze che li determinano - in quella stessa grandezza che corrisponde alla funzione del Lagrange e del Laplace, trasportata nell'ambito dei fenomeni elettrici. Si devono al Volta i primi accorgimenti per la misura di siffatta grandezza, che noi ora chiamiamo "potenziale elettrico"; e la scoperta stessa della pila avvenuta alla fine del sec. XVIII fu in parte una conseguenza di queste ricerche elettrometriche.

Con lo studio successivo dei modi d'accoppiamento delle pile in serie o in parallelo, la nozione concreta di potenziale elettrico divenne sempre più famigliare ai fisici. Con questa medesima nozione s'incontrò S.-D. Poisson, quando nella sua memoria del 1811 arrivò a fondare la dottrina matematica dei campi elettrostatici; seguendo il criterio analitico dei cultori di meccanica celeste, fece uso, per lo studio delle attrazioni e repulsioni elettrostatiche, della stessa funzione matematica che il Lagrange e il Laplace avevano applicato a quello delle attrazioni gravitazionali; e la funzione introdotta dal Poisson veniva a coincidere con quella studiata fisicamente dal Volta. Seguì l'applicazione anche ai fenomeni magnetici e ad altri rami della fisica e della meccanica teoretica (trattazione dei campi di velocità, dei flussi termici e luminosi, ecc.). G. Green nel 1828 introdusse per la funzione U, definita per via analitica, il nome specifico di funzione potenziale. K. F. Gauss nel 1840, avendo maggiormente in vista le nozioni fisiche, sostituì la semplice denominazione di potenziale, che è quella ora adottata universalmente dai fisici e dagli elettrotecnici. È da deplorare che il Clausius trenta anni dopo abbia proposto di ritornare alla denominazione del Green, per riserbare il nome di "potenziale" a quell'entità che tutti i fisici chiamano "energia potenziale"; e nelle scienze astratte, alcuni, come P. Duhem, hanno seguito la stessa nomenclatura, con pericolo di equivoco e di confusione.

La migliore sintesi fra la concezione analitica del potenziale, quale era venuta fuori dallo studio matematico dei campi di forza, e la concezione fisica della medesima grandezza, si è ottenuta attraverso le trattazioni fisico-matematiche di Lord Kelvin e di J. C. Maxwell (verso il 1860 e il 1870). Queste hanno condotto alla definizione concreta che oggi è generalmente preferita: dato un campo (che può essere gravitazionale, o elettrico, o magnetico, ecc.) si dice potenziale di quel campo in suo generico punto P il lavoro che occorre compiere per portare in P, a partire da una certa posizione-origine, scelta come riferimento (zero dei potenziali), la massa unitaria (rispettivamente massa meccanica, o carica elettrica, o quantità di magnetismo, ecc.). A questa definizione concreta ne corrisponde una di carattere matematico differenziale: il potenziale è una funzione (scalare) U(x, y, z), tale che in un generico posto P(x, y, z) il vettore caratteristico (o intensità) del campo ha come componenti i valori locali delle derivate ∂U/x, ∂U/y, ∂U/z, cambiati in segno; il che si esprime brevemente dicendo che codesto vettore è il gradiente cambiato di segno della funzione U. Queste definizioni hanno carattere e significato molto generale e comprensivo, e, mentre offrono l'opportuno fondamento per la trattazione matematica, mettono nel tempo stesso in evidenza il significato fisico e il valore preciso della nozione di potenziale nei diversi campi di applicazione. Da esse si rileva che il potenziale, così inteso, resta definito a meno di una costante arbitraria, che corrisponde all'arbitrarietà della scelta del posto del livello zero dei potenziali. In elettricità, il potenziale viene ad essere quello che altrimenti si conosce col nome di voltaggio o tensione elettrica: voltaggio agente fra due punti A, B è la differenea di potenziale fra i medesimi, VBVA; e la diffusione pratica che nel nostro mondo hanno le correnti elettriche rende ormai famigliare a tutti questa nozione: tutti sanno che al potenziale elevato è associato il pericolo della scossa elettrica. In magnetismo, il significato applicativo del potenziale è meno grande, ma tutti gli elettrotecnici sanno mettere in relazione questa nozione con quella di forza magnetomotrice, e conoscono il dispositivo per misurare sperimentalmente le differenze di potenziale magnetico. Nello studio del calore, si deve assumere come "massa" l'entropia per ricavare quale potenziale la temperatura; ma il gradiente di temperatura determina il flusso di calore, nello stesso modo come il gradiente di voltaggio determina l'intensità di campo elettrico nei dielettrici e il flusso di elettricità nei conduttori. Nella meccanica terrestre, il potenziale gravitazionale coincide con l'ordinario "livello", moltiplicato per il valore locale della gravità, salvo prendere quando si va a dislivelli grandi, l'integrale di questo prodotto (per tener conto della variazione del campo gravitazionale). In meccanica astronomica solamente, si usa fare una variante alla definizione, cambiando il segno per ovvie ragioni di comodità: allora l'intensità o forza di campo viene a coincidere col gradiente del potenziale stesso, anziché col suo opposto di segno. In idrocinematica si presenta solo quale funzione di interesse matematico il cosiddetto potenziale della velocità, ed è indifferente seguire l'una o l'altra convenzione riguardo al segno.

Quanto alla scelta dello zero dei potenziali, è noto che in elettrotecnica si prende di solito come potenziale nullo quello della Terra; nello studio matematico dei campi elettrostatici, si fa talvolta la stessa convenzione, talaltra quella che il potenziale sia nullo all'infinito; fra le temperature, si prendono come punti di partenza gli zeri delle scale termometriche oppure lo zero assoluto; in meccanica celeste si assume generalmente come nullo il potenziale all'infinito; in meccanica terrestre vale generalmente come livello zero quello del mare oppure quello del suolo su cui si opera; negli altri rami di applicazione la scelta del potenziale zero è generalmente indifferente.

In quanto a dimensione fisica, il potenziale è un lavoro [W] diviso per una massa di quel particolare tipo a cui di volta in volta ci si riferisce. Così, se [Q] è la dimensione della quantità di elettricità, quella del potenziale elettrico è [WQ-1]; e prende diverse forme secondo i sistemi di misure che si adottano; quando l'unità di lavoro sia il) oule, e quella di quantità d'elettricità sia il coulomb, l'unità di potenziale elettrico risulta il volt, che è appunto quella generalmente adoperata. Nello stesso modo il potenziale magnetico si misura nell'unità amp.-spira o ampère senz'altro.

Le formule matematiche da considerare sono quelle che collegano il valore del potenziale con quello delle "cause" del campo, oppure con la distribuzione del campo. In meccanica celeste, il potenziale in un punto generico, preso con le speciali convensioni ora dette, cioè col segno opposto a quello usato in elettrofisica e in meccanica terrestre, e col valore nullo all'infinito è dato da U = kΣimi/ri, dove k è il coefficiente di attrazione, mi sono le masse attraenti, ri le loro distanze dal punto in cui si vuole ottenere il potenziale (punto potenziato); e si comprende di qui lo scopo delle accennate convenzioni, il quale è quello di avere una formula di calcolo semplice, da cui risultino per U valori sempre positivi. In elettrostatica e in magnetostatica vale la stessa formula (intendendo rispettivamente con mi le cariche elettriche o le intensità dei poli magnetici, e con k il coefficiente coulombiano elettrico ovvero quello magnetico, che è un coefficiente di repulsione), e dà il potenziale come inteso abitualmente, cioè tale che l'intensità di campo sia diretta dai punti a potenziale alto verso i punti a potenziale basso; e vi si aggiunge una costante additiva oppure no secondo le convenzioni che si vogliono adottare riguardo allo zero dei potenziali.

Ma questa applicazione delle formule della gravitazione all'elettrostatica è lecita solamente quando il mezzo dielettrico è omogeneo e infinito: in pratica, quando si tratta di cariche di dimensioni sensibili, immerse nello spazio vuoto. Quindi l'analogia tra i due fenomeni è più apparente che reale. Per cariche elettroniche, come quelle consideratk dalla fisica microscopica, si devono sostituire i calcoli quantistici a quelli di tipo classico. E invece nella fisica macroscopica si deve tener conto, ove occorre, dell'effetto del dielettrico non omogeneo, con le sue proprietà variabili da punto a punto.

In vista del caso generale. che non consente facilmente di scrivere formule integrali, sono di interesse le relazioni matematiche colleganti il vettore di campo R col suo potenziale U: entrambi sono funzioni del posto, l'una vettoriale, l'altra scalare. W. R. Hamilton per primo considerò esplicitamente l'operazione attraverso la quale, da una funzionc scalare come U si passa al suo gradiente vettoriale, e la indicò col simbolo ??? (nabla), corrispondente in questo caso al simbolo grad degli autori italiani. Hamilton scriveva dunque:

Questo condusse Hamilton stesso e Maxwell a considerare l'operazione inversa, attraverso cui si risale dal gradiente alla funzione scalare da cui esso proviene. Indicandola con ???-1, questi autori scrivevano

L'operazione ???-1 si esplicita mediante una certa integrazione eseguita partendo da un'origine arbitraria O fino al punto P che si considera.

Lo studio di questa operazione inversa ha condotto alla domanda: un campo vettoriale R ammette sempre un potenziale? E dalla risposta si perviene a una generalizzazione importante della nozione di potenziale, lo sviluppo della quale costituisce uno dei titoli di gloria di J. C. Maxwell. In effetto, se per potenziale si deve intendere, come fin qui definito, una funzione scalare, non sempre un campo vettoriale ammette un potenziale; è necessario e sufficiente a questo effetto che il campo sia, come si dice, irrotazionale, cioè privo di vorticità. Se questa condizione, traducibile nell'equazione differenziale di Stokes, è soddisfatta solo in una regione a connessione multipla, si ha il potenziale multiforme. Ma nel caso più generale, cioè di vorticità diffusa, il potenziale scalare viene a mancare. Pel campo magnetico, la vorticità è costituita dalle correnti elettriche; quindi in mancanza assoluta di correnti elettriche (cioè in magnetostatica) esiste il potenziale magnetico, determinato solo a meno di una costante arbitraria; in presenza di correnti elettriche circolanti in conduttori lineari, la regione in cui esiste il potenziale è la sezione esterna al conduttore, la quale è regione ciclica e dà origine al potenziale magnetico multiforme (potenziale che s'incrementa di una quantità fissa ogni volta che si fa un giro intorno a un conduttore); in presenza invece di correnti distribuite, cioè nello spazio invaso da correnti elettriche, il potenziale magnetico non esiste più. Reciprocamente non esiste il potenziale elettrico nelle regioni percorse da "correnti magnetiche" (campi magnetici variabili col tempo).

Ora per questi casi in cui il potenziale scalare non esiste, J. C. Maxwell ha dimostrato che l'equazione caratteristica

ammette ancora soluzione, purché l'operazione nabla si consideri non semplicemente come gradiente, ma nel suo significato più generale, quale è additato dal calcolo di Hamilton. Sennonché questa soluzione U, in mancanza dell'irrotazionalità, diviene un vettore o un quaternione. Estendendo, com'è naturale, la denominazione di potenziale anche a questi casi, il Maxwell è pervenuto ad enunciare che un campo verticale qualunque ammette sempre un potenziale; ma soltanto nel caso del campo privo di vorticità, il potenziale riesce scalare. Di qui, la nozione importantissima di potenziale vettore dell'induzione magnetica, che è riuscita tanto feconda per intraprendere sotto nuove forme lo studio dei campi elettromagnetici. A questi studî hanno portato contributo importante i lavori del Mc Aulay e di altri autori della sua scuola.

Proseguendo ulteriormente per questa via, si perviene, attraverso la nozione generalizzata del potenziale, alle formule risolutive integrali per calcolare i campi elettromagnetici generati da cause comunque variabili, e tenendo conto della velocità finita di propagazione, secondo i dettami della teoria maxwelliana. Questa estensione è stata fatta dal Lorentz usando i "potenziali ritardati" di cui sarà detto più oltre.

Cenni sulla teoria matematica del potenziale.

È già stato rilevato più sopra che il concetto di potenziale è strettamente legato a quello di lavoro, che domina tutta la meccanica. Si consideri una forza di vettore F applicata ad un punto materiale P, e siano X, Y, Z le sue componenti ortogonali (rispetto a una terna fissa di assi cartesiani). Se P subisce uno spostamento infinitesimo dP, di componenti dx, dy, dz, il lavoro elementare compiuto dalla forza è dato (v. lavoro) da

Orbene, si supponga che esista una funzione U del punto P, cioè delle sue coordinate x, y, z, la quale, oltre ad essere uniforme, finita e derivabile (almeno nel campo spaziale che si considera), sia tale che, per qualsiasi spostamento dP del punto P, il lavoro elementare compiuto dalla forza F risulti eguale al corrispondente differenziale totale dU della U, cioè si abbia

Quando è soddisfatta questa condizione si dice, in meccanica, che la forza F deriva dal potenziale U; e questo potenziale, per la sua stessa definizione (1), risulta determinato a meno di una costante additiva arbitraria. Dalla medesima condizione (1), in quanto deve essere soddisfatta per qualsiasi scelta del dP (cioè di dx, dy, dz), discende che le componenti X, Y, Z della forza debbono essere uguali, in ogni punto del campo che si considera, ai valori locali delle derivate parziali ∂U/x, ∂U/y, ∂U/z del potenziale; il che si esprime dicendo che il vettore F della forza deve coincidere col gradiente (v.) di U. E di qui segue, in particolare, che la proiezione di F sulla traiettoria di P (componente tangenziale della forza) è espressa da dU/ds, dove s denota l'arco di traiettoria. Perciò le superficie U = cost. (superficie di livello o equipotenziali) sono normali, in ogni loro punto, alla direzione della forza.

Calcolando, in base alla (1), il lavoro L, compiuto dalla forza quando il suo punto di applicazione descriva un qualsiasi cammino da una posizione P0 ad una generica posizione P, si trova che L è dato dall'incremento U U0 che corrispondentemente subisce il potenziale, sicché codesto lavoro non dipende dal cammino percorso dal punto di applicazione, bensì soltanto dalla posizione di partenza e da quella di arrivo; e il lavoro è nullo se il punto ritorna alla sua posizione di partenza, e reciprocamente. Per quest'ultima ragione le forze derivanti da un potenziale si dicono conservative.

Se poi il lavoro L si considera come energia somministrata dalle circostanze esterne al punto materiale sollecitato P, il valore − L, cioè (a meno di una costante additiva) il potenziale cambiato di segno − U, misura l'energia ceduta dal punto all'esterno. In base a questo significato e al fatto che U dipende esclusivamente dal posto, la funzione Π = − U si dice energia di posizione o in potenza o potenziale; e, sempre nel caso delle forze conservative, sussiste il cosiddetto integrale della forza viva (v. dinamica, n. 10; lavoro) T + Π = E, dove T denota la forza viva o energia cinetica ed E una costante (energia totale). Questa relazione esprime il principio della conservazione dell'energia in una forma ristretta, che assimila il corpo schematizzato dal punto materiale a un sistema isolato dal resto dell'universo e dotato di due forme di energia (cinetica e potenziale) capaci di trasformarsi l'una nell'altra, senza che si alteri la loro somma.

Le definizioni e le considerazioni precedenti acquistano il loro pieno interesse quando si trasportano dal caso di un unico punto materiale a quello dei sistemi materiali soggetti a forze, giacché nella maggior parte dei casi che si presentano in natura, la sollecitazione ha carattere conservativo nel senso che il lavoro elementare delle forze agenti sul sistema materiale risulta uguale al differenziale totale di una funzione uniforme, finita e derivabile delle variabili, che definiscono la configurazione del sistema. E poiché si estende ai sistemi (nell'ipotesi che gli eventuali vincoli siano indipendenti dal tempo) il teorema (integrale) delle forze vive, con la rispettiva interpretazione di principio della conservazione della energia, si chiama energia potenziale la funzione pocanzi indicata, cambiata di segno.

Per i sistemi materiali pesanti, in vicinanza della Terra (campo gravifico costante), se p è il peso del corpo, ζ la quota del suo centro di massa (o baricentro) a partire da un piano orizzontale arbitrario, quando si orienti la verticale del luogo verso il basso, il potenziale è dato da pζ (v. dinamica, n. 10).

Si consideri, in secondo luogo, un sistema di due masse puntiformi P e Q, e P sia soggetto ad una forza centrale F di centro Q, cioè tale che la sua direzione coincida con quella della congiungente PQ e l'intensità dipenda soltanto dalla distanza (assoluta) r di P e Q. A questa forza F, esercitata da Q su P, fa riscontro, per il principio di reazione, la forza direttamente opposta − F, esercitata da P su Q; ma qui si considererà esclusivamente l'azione di Q su P, attribuendo un diverso ufficio ai due punti, di cui Q sarà pensato, per così dire, come attivo e si dirà punto (o massa) potenziante, mentre P, pensato come passivo, si dirà punto potenziato. Se con ϕ (r) si denota la componente della forza F secondo la retta orientata QP (sicché ϕ (r) risulterà in sé stessa positiva o negativa, secondo che si tratta di una forza repulsiva o attrattiva), il lavoro elementare F × dP, come uguale al prodotto delle componenti di F e di dP secondo la medesima direzione orientata QP, è dato da ϕ (r) dr, onde, calcolando per integrazione il lavoro compiuto dalla F, quando P, partendo da una posizione iniziale di distanza a da Q, passi, lungo un cammino qualsiasi, a una posizione finale di distanza r, si trova che il potenziale di F è dato, a meno della solita costante additiva arbitraria, da

e, se la ϕ (r) è integrabile da − ∞ ad r (per il che si richiede che ϕ (r) si annulli, di un ordine conveniente, per r → − ∞), si può disporre della costante additiva in guisa da attribuire a codesto potenziale l'espressione

il che equivale a fissare lo zero dei potenziali all'infinito.

Si pensi allora non più una sola massa potenziante Q, bensì un sistema di n masse Qi, ciascuna delle quali eserciti su P una forza centrale, di cui la componente secondo la direzione orientata QiP sia ϕi (ri), dove ri denota la distanza di P da Qi. Ammesse per le ϕi (ri) ipotesi qualitative analoghe a quelle dianzi indicate per la ϕ (r), si avrà per la sollecitazione totale subita da P il potenziale

Potenziale newtoniano. - Si supponga che le forze esercitate dalle masse Qi su P siano di tipo newtoniano, cioè di carattere attrattivo e di intensità direttamente proporzionali alle masse mutuamente potenziatisi, inversamente proporzionali ai quadrati delle distanze di queste masse. Si dovrà allora porre, indicando con m la massa di P, con mi quella di Qi, e, infine, con f la costante di attrazione universale (v. gravitazione),

e, poiché queste ϕi (ri) soddisfano le condizioni qualitative richieste per la validità della (2), se ne dedurrà per il potenziale dell'attrazione subita da P l'espressione

Per semplicità formale si può anche supporre di aver scelto l'unità di forza in modo da ridurre f = 1 e di adottare come unità di massa la massa di P; e con ciò il potenziale (3) assume l'aspetto

È questo il cosiddetto potenziale newtoniano dell'attrazione esercitata in P dalle n masse potenzianti mi, localizzate nei punti Qi (i = 1, 2, ..., n). Naturalmente le componenti di quest'attrazione sono date dalle derivate ∂U/x, ∂U/y, ∂U/z della funzione U rispetto alle coordinate x, y, z del punto potenziato P.

Se le masse occupano uno spazio continuo a tre dimensioni τ, oppure formano uno strato semplice σ, e la densità cubica o superficiale è data da k(Q) o h(Q), gl'integrali di volume o di superficie

in cui r è la distanza variabile del punto potenziato P dal punto generico O del volume τ o dello strato σ, rappresentano rispettivamente il potenziale di volume e di strato semplice della considerata distribuzione di materia in τ o su σ. Tali funzioni sono funzioni del punto potenziato. Con la scoperta del Lagrange, il calcolo dell'attrazione esercitata da un corpo su di una massa unitaria, nettamente posto dalla filosofia di Newton, viene quindi ricondotto alla ricerca della sola funzione potenziale, da cui si deduce agevolmente l'espressione della forza (o, se si vuole, delle sue componenti).

Il problema dell'attrazione di un involucro sferico omogeneo, o omogeneamente stratificato, risoluto per via sintetica (in Phil. Nat. Principia, Lib. I, sect. XII, 1687) da Newton, ha condotto ai due seguenti classici teoremi: 1. L'attrazione è nulla per i punti interni allo spazio non occupato dalla materia agente; 2. per i punti esterni l'attrazione è identica a quella esercitata da una sola massa situata nel centro e uguale alla massa dell'involucro. Questi teoremi conducono facilmente ad assegnare il valore della funzione potenziale: precisamente se Ue′, Ui, Ue indicano i valori di tale funzione nell'interno dell'involucro nei punti dello stesso e nei punti esterni, r la distanza del punto potenziato dal centro, r1, r2 i raggi delle due sfere e si pone uguale ad uno la densità dell'involucro, si ha

L'applicazione delle teorie newtoniane alla ricerca dell'attrazione esercitata dai pianeti non più riguardati come corpi sferici, ma come ellissoidi (di rotazione prima, e poi a tre assi disuguali), e più ancora la ricerca delle figure dei corpi celesti, condussero Newton a tentare la soluzione del problema dell'attrazione per il caso di un ellissoide rotondo e che poté risolvere soltanto per posizioni particolari del punto potenziato. La soluzione generale fu uno dei problemi classici del sec. XVIII; si riconobbe subito che il caso del punto potenziato esterno era di gran lunga più complicato di quello del punto interno. Iniziato coi lavori di C. Maclaurin, G. Lagrange, A.-M. Legendre, ottenne la sua completa soluzione per opera di P.-S. Laplace. I matematici posteriori J. Ivory, P. G. L. Dirichlet, W. Thomson e poi M. Chasles recarono perfezionamenti eleganti con metodi analitici e sintetici.

Nel caso di un ellissoide di semiassi a, b, c, detta λ la radice positiva della cubica

(x, y, z, coordinate del punto potenziato rispetto alla terna degli assi dell'ellissoide) e supposto l'ellissoide riempito di una materia omogenea di densità uno, si ha rispettivamente

dove:

Il loro calcolo definitivo dipende dunque da integrali ellittici. Si riducono a funzioni elementari nel caso di un ellissoide rotondo allungato o schiacciato.

Da tali formule, oppure in modo diretto, e più generalmente considerando l'attrazione newtoniana di una distribuzione omogenea di masse compresa tra due ellissoidi concentrici simili e similmente posti (omeoide elementare omogeneo, secondo la denominazione del Thomson) si deducono i teoremi di Chasles, cioè: Le superficie equipotenziali esterne di un omeoide elementare sono ellissoidi omofocali all'ellissoide, e l'attrazione di un punto esterno è normale all'ellissoide omofocale passante per quel punto; quindi due omeoidi elementari omogenei omofocali esercitano su di un punto esterno attrazioni aventi la stessa direzione e proporzionali alle masse. Di qui poi discende un classico teorema trovato da Maclaurin in un caso particolare, e cioè: Due ellissoidi omofocali omogenei (oppure omogeneamente stratificati secondo omeoidi omogenei elementari) esercitano sui punti esterni attrazioni dirette secondo la stessa retta (normale all'ellissoide omofocale ai dati per il punto potenziato) e proporzionali alle loro masse.

Tra i varî metodi per la ricerca delle espressioni sopraddette va annoverato quello di H. Poincaré, fondato sull'impiego delle funzioni di Lamé. Né si manchi di ricordare che la teoria dell'attrazione di una sfera è stato il punto di partenza della teoria delle funzioni sferiche (v. funzione, n. 50).

La funzione potenziale newtoniana è stata del pari assegnata per altri campi a tre o a due dimensioni compresi tra sfere non concentriche, ecc.

Sono infine dovuti a K. F. Gauss alcuni teoremi generali sulla funzione potenziale newtoniana che hanno grandissima importanza teorica e pratica. Il primo di questi è il cosiddetto teorema di reciprocità: Se si hanno due sistemi di masse: M′, M″, ..., concentrate rispettivamente in Q′, Q″, ...; m′, m″, ..., concentrate rispettivamente in q′, q″, ..., e si denota con U la funzione potenziale newtoniana del primo sistema e con U′, U″, ... i valori che essa prende nei punti q′, q″, ..., del secondo; con u la funzione potenziale del secondo e con u′, u″, ... i valori che essa assume nei punti Q′, Q″, ... del primo, e infine con W il potenziale assunto dai due sistemi, si ha:

Tali masse m o M potrebbero a loro volta riempire uno spazio a tre e a due dimensioni. Il secondo teorema è quello celebre della media, ossia: Se una sfera non racchiude nel suo interno masse agenti, il valore della funzione potenziale nel centro è la media dei valori che essa assume sulla superficie della sfera. Il terzo teorema è quello del flusso di forza: Se μ è la somma delle masse racchiuse da una superficie σ, f il vettore della forza di attrazione sull'unità di massa, allora il flusso di f entro σ è espresso da 4πμ. Il prodotto dell'elemento dσ di superficie per la componente di f secondo la normale a σ in un generico punto P, e volta verso l'interno, esprime il flusso elementare entrante in σ attraverso dσ. L'integrale del flusso elementare esprime il flusso totale; quindi:

essendo n il versore della retta normale.

Tra le conseguenze più note di questi teoremi si notano le seguenti: la costanza del potenziale in tutto lo spazio non occupato dalla materia agente, se è costante in una regione di esso, pure non occupata da masse; l'assenza di valori massimi o minimi in ogni punto a distanza finita dalle masse; i suoi valori, all'interno di una superficie chiusa non racchiudente masse, sono sempre compresi tra i limiti superiore ed inferiore dei valori che esso assume in superficie e, se su questa assume sempre lo stesso valore, avrà pure lo stesso valore nell'interno. Se poi invece la superficie chiusa σ racchiude tutte le masse, notando che il potenziale si annulla quando il punto potenziato tende all'infinito, si deduce che i valori del potenziale all'esterno di σ sono compresi tra il più grande ed il più piccolo dei tre numeri 0, l, L essendo l, L l'estremo superiore e inferiore dei valori che il potenziale assume su σ; se su questa assume sempre lo stesso valore C (diverso da zero), i suoi valori all'esterno sono compresi tra C e 0, e se C = 0, è sempre nullo.

La proprietà di non ammettere massimi o minimi assoluti in ogni regione priva di masse s'interpreta così: un punto P soggetto all'azione di forze derivanti dal potenziale non può essere in equilibrio stabile o instabile, a meno di limitare i suoi spostamenti.

Proprietà dei potenziali di volume e di strato semplice. - Lo sviluppo della fisica-matematica, e quello di questioni strettamente connesse col problema dei valori al contorno, hanno reso indispensabile lo studio approfondito delle proprietà dei potenziali newtoniani di volume e di semplice strato con ipotesi abbastanza generali sulla funzione, che nei due casi sta a rappresentare la densità di volume o superficiale, e generalmente più ampie di quelle che occorrono nei casi pratici concreti.

Per il potenziale di volume di una materia distribuita con densità k in un volume finito τ, si hanno le seguenti proprietà, valide nell'ipotesi che k sia finita e integrabile lungo ogni retta uscente dal punto potenziato: 1. È finito, continuo e a un sol valore in tutto lo spazio, cioè sia all'interno sia all'esterno della materia agente e attraverso σ. 2. Lo stesso avviene per le derivate prime rispetto alle coordinate del punto potenziato; tali derivate, cambiate di segno, rappresentano sempre le componenti dell'attrazione della materia sul detto punto. 3. Ammette derivate di qualsivoglia ordine finite e continue all'esterno di τ. Per l'esistenza delle derivate seconde nell'interno della materia agente l'ipotesi fatta su k non basta più. G. Morera (1887) ha dimostrato che se k0 è la densità in un punto P0 di τ e la funzione ∣k k0/r è integrabile lungo ogni raggio uscente da P0, esistono e sono finite e continue in τ le derivate seconde della funzione potenziale; assegnò inoltre la formula che le determina. In tal caso, a differenza di ciò che avviene per le derivate prime quando il punto potenziato fa parte di τ, e per le derivate di qualsivoglia ordine quando esso è esterno, non è lecito derivare due volte sotto il segno. Le derivate seconde, continue entro τ e all'esterno, non sono continue attraverso la superficie σ, tali discontinuità sono state assegnate da E. Betti (1879) e J. Weingarten (1887). La condizione (sufficiente) del Morera è evidentemente soddisfatta se k è continua in τ.

4. Il potenziale soddisfa nello spazio esterno all'equazione di Laplace (1787)

o come si suol dire, è una funzione armonica (v. armonico: Funzioni armoniche); in ogni punto P dello spazio interno soddisfa all'equazione di Poisson (1813)

dove k è la densità in P. È questa una facile conseguenza della formula di Morera. Se non si fanno ipotesi così generali e ci si contenta di supporre k finita, derivabile ecc., si può, sorvolando sulla questione dell'esistenza delle derivate seconde, dedurre più facilmente il teorema di Poisson colla applicazione del teorema di Gauss sul flusso di forza.

5. Valgono infine le condizioni di convergenza all'infinito; cioè il potenziale e le sue derivate prime tendono a zero col tendere del punto potenziato all'infinito e precisamente se R è la distanza di esso da una origine fissa, il limite di RV eguaglia tutta la massa; i limiti di R2U/x,... sono finiti. P. G. L. Dirichlet ha dimostrato che queste proprietà sono caratteristiche per U; cioè una funzione ehe le soddisfa puÒ essere sempre riguardata come potenziale newtoniano di una massa distribuita in τ colla densità ricavata dal teorema di Poisson.

Proprietà analoghe valgono per i potenziali newtoniani di strato semplice. La superficie σ, su cui è disteso lo strato con densità superficiale h, può essere chiusa o no, ma va supposta regolare, cioè a piano tangente determinato, e a curvatura continua e finita. Quando la densità h sia finita e integrabile su σ, il potenziale risulta finito e continuo in tutto lo spazio e anche attraverso lo strato; di più è armonico in tutto lo spazio non occupato dalla materia agente. Maggiori difficoltà e cautele richiede lo studio, che è del massimo interesse per le applicazioni all'elettrostatica, delle derivate normali di U nei punti dello strato e per le quali il teorema fondamentale, recentemente sfruttato nella teoria delle funzioni armoniche, è dovuto a Dirichlet. Considerando la funzione dei punti Q di σ, finita e continua

dove r è la distanza del punto Q da un altro punto variabile Q′ di σ, ϕ l'angolo che il raggio da Q a Q′, forma con la normale n in Q, orientata in un verso prestabilito, e nell'ipotesi che la densità h sia continua in σ, si dimostra che esistono in ogni punto di σ le derivate normali di U rispetto ad n e rispetto alla direzione opposta n′ e sono rispettivamente eguali a:

cioè le derivate normali sono, attraverso σ, discontinue e subiscono un salto di − 4 πh (teorema del Green).

Le condizioni enunciate (comprese quelle di convergenza all'infinito) sono caratteristiche per tale potenziale di semplice strato.

Condizioni generali sufficienti per l'esistenza nei punti Q delle derivate di U rispetto alle coordinate del punto potenziato sono state assegnate da A. M. Ljapunov (1898).

Infine le ricerche di A.-M. Ampère in elettrodinamica, poi quelle di H. v. Helmholtz (1853), hanno mostrato la necessità e la grande importanza dello studio e dell'interpretazione di una terza funzione potenziale che figura già nell'espressione del teorema di Green (v. armonico: Funzioni armoniche), detta di doppio strato, e all'espressione della quale si arriva nel modo più intuitivo, immaginando disposti normalmente a una superficie σ, chiusa o no, tanti piccoli aghi calamitati i cui poli positivi distano da σ di ε, i negativi di − ε; i primi attraggono una massa unitaria posta nel punto potenziato, i secondi la respingono. Il potenziale dell'azione newtoniana complessiva, quando si passa al limite per ε tendente a zero, mentre il momento μ dei singoli magneti elementari è una quantità finita (e integrabile su σ), dicesi potenziale di un doppio strato deposto su σ con momento μ e ha per espressione:

r essendo la distanza variabile di P (punto potenziato) dai punti di σ, n la normale a σ in un senso stabilito.

Esso rappresenta una funzione armonica all'esterno di σ. Se il momento è costante, il suo valore è espresso dal prodotto di σ per l'angolo solido sotto cui σ è vista da P, cioè per l'area della superficie intercettata sulla sfera unitaria, avente il centro in P, dal cono che da P proietta il contorno di σ. Nell'ipotesi che il momento μ sia continuo su σ, il valore che assume W in un punto Q di σ è funzione finita e continua ed è precisamente:

dove r è sempre la distanza del punto arbitrario, ma fisso, Q dal punto Q′ variabile; ψ l'angolo che la normale n, nel punto variabile Q′, orientata in un senso prestabilito, fa con la direzione QQ′.

La funzione W è discontinua attraverso la superficie σ, precisamente denotando con WiQ il valore limite di W quando si tende a Q da parte della normale n (positiva); con WeQ il valore di W quando si tende allo stesso punto dalla parte negativa, si ha:

sicché il salto dei valori è 4πμ.

Le proprietà enunciate sono caratteristiche per la funzione potenziale di doppio strato. Le due equazioni stabilite sono state sfruttate per la risoluzione del problema di Dirichlet mediante equazioni integrali di seconda specie di Fredholm (v. armonico: Funzioni armoniche).

La continuità del momento del doppio strato non basta per assicurare l'esistenza delle derivate normali di W. Se ne ha un esempio semplicissimo nel caso di un doppio strato circolare, in cui il momento sia proporzionale alla distanza del punto dal centro; la derivata normale nel centro diventa infinita logaritmicamente. Ha però luogo un importante teorema (Ljapunov), che, ferme restando le generali ipotesi fatte su σ e supposto continuo il momento, assicura che, se esiste una delle derivate normali (p. es. quella dalla parte di n) ed è regolare, esiste anche quella dalla parte opposta, pure regolare ed uguale alla prima: cioè subordinatamente alla condizione di esistenza (per cui possono assegnarsi condizioni sufficienti assai generali), risulta la continuità delle derivate normali. Anche di questo teorema si fa grandissimo uso.

Potenziale logaritmico. - Moltissimi problemi di elettricità, della teoria matematica dell'elasticità, di idrodinamica conducono a ricercare funzioni finite e continue in un campo σ a due dimensioni, insieme con le loro derivate prime non escluso il contorno, e che ammettono pure le derivate seconde e tali che in σ soddisfano la

Una funzione siffatta dicesi un potenziale logaritmico. Se r è la distanza di un punto P del campo da un punto esterno, la u = log 1/r soddisfa a tutte le condizioni enunciate.

Si estendono ai potenziali logaritmici un grande numero di proprietà dei potenziali ordinarî; teorema della media, formula di Green, ecc.

Potenziali ritardati. - Le moderne teorie elettriche e di ottica hanno imposto la considerazione dei potenziali ritardati, dovuti all'azione newtoniana di elementi di massa, nell'ipotesi che tale azione si propaghi secondo la retta congiungente la massa elementare col punto potenziato P con una velocità costante e finita c; di guisa che l'azione, per arrivarvi impieghi il tempo r/c; il potenziale elementare in P, al tempo t, non sarà più, come nei casi precedenti in cui la densità dipendeva dal solo punto e non dal tempo, k (P′, t)/r bensì k(P′, t r/c)/r. E allora il potenziale totale in P, se le masse occupano un volume τ, sarà espresso da

Si possono del pari considerare potenziali ritardati di semplice e di doppio strato. Godono di molte delle proprietà dei semplici potenziali newtoniani.

È di somma importanza invece, considerando quello di volume, osservare che la funzione U (per ipotesi molto generali sulla densità k) nello spazio esterno alla materia agente soddisfa la

e in quello occupato dalle masse alla

dette equazioni di L. Lorenz (1860).

Queste equazioni sono d' importanza fondamentale in elettrodinamica per l'integrazione delle equazioni di Maxwell e di Lorentz; per l'espressione del principio di Huygens; nella teoria delle vibrazioni dei corpi elastici isotropi, ecc.

Lo studio infine della equazione

(che nel caso di due variabili comparisce nella teoria delle vibrazioni delle lamine elastiche) ha condotto a considerare (C. Neumann, H. Poincaré, S. Zaremba, ecc.), i potenziali generalizzati di volume, di semplice e di doppio strato, ordinari o ritardati derivanti dal potenziale elementare ke-μr/r (e base dei logaritmi naturali, μ una costante, k funzione di P′ pei potenziali ordinarî, oppure di P′ e di t c/r per quelli ritardati).

Bibl.: Oltre ai trattati di meccanica razionale di P. Appell, R. Marcolongo, T. Levi-Civita e U. Amaldi si veda: P. G. Lejeune-Dirichlet, Vorlesungen über die im umgekehrten Verhältnisse des Quadrats der Entfernung wirkenden Kräfte, a cura di J. Grube, Lipsia 1876; C. Neumann, Untersuchungen über das logaritmische und Newton'sche Potential, Lipsia 1877; E. Betti, Teorica delle forze newtoniane e sue applicazioni all'elettricità ed al magnetismo, Pisa 1879; Fr. Pockels, Über die partielle Differentialgleichung, Δ2 u + ku = 0 und deren Auftreten in der mathematischen Theorie, Lipsia 1891; A. Liapounoff, Sur certaines questions qui se rattachent au problème de Dirichlet, in Journ. de Mathém., 5ª s., IV (1898), pp. 241-311; H. Poincaré, Théorie du potentiel newtonien, Parigi 1899; A. Korn, Fünf Abh. zur Potentialtheorie, Berlino 1902; R. Marcolongo, Teoria matematica dell'equilibrio dei corpi elastici, Milano 1904; E. R. Neumann, Studien über de Methode von C. Neumann u. C. Robin zur Lösung, ecc., Lipsia 1905; id., Beiträge zur einzelnen Fragen der höheren Potential-Theorie, Lipsia 1912; N. M. Gunther, La Théorie du potentiel et ses applications aux problèmes fondamentaux de la Physique mathématique, Parigi 1914.