POTAMOCHERO

Enciclopedia Italiana (1935)

POTAMOCHERO (dal gr. ποταμός "fiume" e χοῖρος "porco"; lat. scient. Choiropotamus Gray 1843; fr. potamochère; sp. potamoquero; ted. Flussschwein; ingl. river hog)

Oscar De Beaux

Genere della sottofamiglia dei Cinghiali (v. cinghiale), approssimativamente della stessa statura e corporatura del cinghiale nostrano, con testa lunga, orecchi più o meno falcati e muniti di un pennello apicale; sui lati del muso, vi è una verruca cornea, particolarmente cospicua nei vecchi maschi; la coda è molto lunga, pendente e munita di un ciuffetto setoloso terminale distico in senso sagittale. Il pelame è poco denso; la lanuggine manca completamente; è sempre presente una cresta dorsale di setole vistose per lunghezza e colore. La formula dentaria è

il canino superiore è rivolto in alto, ma il suo apice è tronco e liscio. Nel cranio dei vecchi maschi una apofisi laminare sagittale di rinforzo sul margine superiore dell'alveolo del canino tende a innalzarsi tanto, da saldarsi talvolta col margine laterale sporgente del dorso del naso.

I Potamocheri vivono in località boscose e umide, nascondendosi di giorno nel fitto e uscendo a sera e di notte in frotte da 8 a 10 e più individui; si nutrono di radici e frutta selvátiche, ma recano all'occasione gravi danni alle piantagioni. La femmina partorisce una volta all'anno 6 a 8 piccoli striati longitudinalmente come nei cinghiali nostrani. Si distinguono due specie di Potamochero, una orientale a pelo più lungo e più nero, diffusa in sette sottospecie (1932) dall'Abissinia fino al Capo di Buona Speranza, nell'Angola e a Madagascar, e una specie occidentale a pelo più corto e rosso con due sottospecie dell'Africa occidentale, centrale-occidentale e del distretto del Lago Leopoldo.

Trattiamo qui altri due generi di Cinghiali.

1. Ilochero (dal gr. ὕλη "foresta" e χοῖρος "porco"; lat. scient. Hylochoerus Thomas, 1904; fr. hy lochère; ted. Waldschwein; ingl. forest pig). - Sotto varî rapporti l'Ilochero è intermedio tra il genere precedente e il seguente. Ha statura massima per un cinghiale, forme robuste e tarchiate, fronte larga e concava, arti alti; sotto l'occhio sporge una grossa verruca cornea. Il pelo è ruvido e uniformemente scuro. L'Ilochero, del quale si distinguono 6 sottospecie, è un tipico abitatore della grande foresta dell'Africa centrale, dalla Costa d'Avorio e dal Camerun per il bacino dell'alto Congo e dell'Ituri fino nella regione del Kilimangiaro, del Kenya e dell'Abissinia meridionale.

2. Facochero (dal gr. ϕακός "verruca" e χοῖρος "porco"; lat. scient. Phacochoerus Cuvier, 1817, sin. Maerocephtalus Frisch, 1775; fr. phacochère; sp. facoquero; ted. Warzenschwein; inglese wart hog), di statura assai grande, dalle forme robuste ma relativamente svelte, con profilo del dorso concavo e arti alti, da buon corridore. La testa è grande, con fronte molto larga, il muso largo, schiacciato e a profilo concavo; gli orecchi sono piccoli e a punta. Sotto all'occhio vi è una verruca cornea molto sporgente e una seconda verruca si trova tra occhio e narici. Il collo è grosso e gozzuto. La coda è molto lunga, munita di ciuffo terminale setoloso e distico come nei potamocheri. Il rivestimento è, specialmente negli adulti, tanto sottile e scarso da lasciare praticamente nuda la pelle grigio brunastra; vi è però una vistosa criniera pendente lungo la nuca e il dorso. La formula dentaria è

I canini superiori, mancanti del rivestimento di smalto, sono altissimi, rivolti semicircolarmente in alto e lievemente sfaccettati soltanto inferiormente.

Il Facochero vive in famiglie poco numerose in contrade steppose, assai aperte e, occorrendo, anche assai lontane dall'acqua. Corre bene e scava con destrezza; nel pericolo si rifugia in buche o tane. La femmina partorisce al massimo 4 piccoli non striati. È ammessa un'unica specie di Facochero (Ph. aethiopicus L.), che vive, suddivisa in 8 sottospecie nell'Africa orientale dall'Eritrea al Capo, e nell'Africa occidentale dal Capo Verde all'Angola e al lago Ciad.

Bibl.: O. de Beaux, in Zoolog. Jahrbücher, Syst., XLVII (1924), Jena, pp. 379-504.