POSITIVISMO

Enciclopedia Italiana (1935)

POSITIVISMO

Guido Calogero

. Termine filosofico, usato per la prima volta nella scuola del Saint-Simon, ma messo in circolazione soprattutto da Augusto Comte (v.), che col Cours de philosophie positive (1830-42) ne diede la fondamentale definizione teorica. Secondo la legge comtiana dei trois états, la scienza passa, nella sua evoluzione, prima per lo stadio "teologico", in cui i fenomeni sono riferiti alla volontà di esseri soprannaturali, poi per quello "metafisico", in cui essi sono dedotti da principî astratti e non risultanti dall'esperienza, per giungere infine allo stadio "positivo", in cui i fenomeni sono indagati nella loro immediata realtà e classificati e ordinati secondo i loro aspetti e nessi empirici, senza presupposizione di principî estranei all'esperienza. Positivismo è quindi la filosofia che, non presumendo di poter oltrepassare con le sue riflessioni il piano ideale di tutte quelle scienze sperimentali, si limita a giustificarle universalmente determinandone il sistema gerarchico. Al culmine di questa gerarchia non è più, naturalmente, la metafisica (che anzi è completamente esclusa dal novero delle scienze), ma bensì la "sociologia", come scienza sperimentale della realtà più complessa e meno facilmente riducibile in schemi e leggi, la società umana. Tutto il sistema scientifico culmina d'altronde nell'indagine dell'umanità, appunto perché essa costituisce il fine ultimo della sua opera, dalla scienza e dalla filosofia positiva dovendo derivare la migliore sistemazione storica del mondo umano. Di qui, infine, la "religione dell'umanità", che nel positivismo comtiano sostituisce ogni altro culto e concezione teologica, pur serbando una sua organizzazione ecclesiastica e liturgica.

Nella sua specifica formulazione (e particolarmente in questi ultimi suoi aspetti religiosi, attraverso i quali il vecchio Comte sembrava riavvicinarsi a quello stadio teologico della cultura, che egli stesso aveva considerato come affatto primordiale) tale positivismo non poteva naturalmente sopravvivere a lungo al suo autore, nonostante le misure che questi prese per la diffusione anche postuma del suo verbo, lasciando la sua casa come tempio della nuova religione e designando a suo apostolico successore il fedele discepolo P. Laffitte. Quel che bensì rimase, e si diffuse largamente, fu il motivo più schiettamente empiristico del positivismo, espresso specialmente nella massima del savoir pour prévoir, che, liberando la scienza sperimentale da ogni astratta preoccupazione metafisica, la concepiva come concreto orientamento nel mondo fenomenico, utile per l'azione pratica. Sotto questo aspetto, il positivismo rispondeva infatti tanto a una tradizione, ormai ben delineata della storia del pensiero, quanto allo spirito generale delle scienze sperimentali, il cui sviluppo era allora in pieno corso. Motivi positivistici, infatti, erano già apparsi nel pensiero antico, nella sofistica di Protagora e nel sensismo cirenaico ed epicureo e si erano venuti poi rafforzando nel corso dell'empirismo inglese, da Locke a Hume, compenetrando anche certi aspetti dell'illuminismo. D'altro lato, il crescente sviluppo e successo delle scienze sperimentali, che coincideva con la decadenza alla quale, attraverso l'opera degli epigoni, andava incontro la metafisica dell'idealismo postkantiano, faceva sentire l'esigenza d'una filosofia che, intendendo i metodi di quelle scienze, ne giustificasse e inquadrasse la verità.

In questo senso più generale, il positivismo si diffuse, nella seconda metà dell'Ottocento, in tutta Europa, pur assumendo, nei diversi paesi, diversa fisionomia. In Italia esso fu principalmente rappresentato dall'opera dell'Ardigò e della sua scuola; in Inghilterra informò del suo spirito l'evoluzionismo naturalistico, dal Darwin a Herbert Spencer; in Francia manifestò la sua originalità riflettendosi nel campo delle scienze storiche (per es., attraverso l'opera di H. Taine). Questa, anzi, fu la sfera in cui la sua azione ebbe maggior rilievo, e colpì più vivamente l'attenzione: ché, se nella scienza della natura esso non faceva, in realtà, che sistemare o generalizzare l'opera già compiuta dalle singole discipline sperimentali, nella storiografia esso manifestava intenzioni più rivoluzionarie, in quanto concepiva anche le attività spirituali dell'uomo secondo lo schema del divenire naturalistico, e riduceva ad accadere naturale anche la storia dello spirito (secondo una metodologia che fu specialmente teorizzata da John Stuart Mill). S'intende quindi come la reazione antipositivistica, manifestatasi sulla fine del secolo XIX e nei primi decennî del sec. XX (v. filosofia; idealismo), sia stata in primo luogo determinata dall'esigenza di rivendicare il carattere della storia, come sfera della libertà e dello spirito, e quindi di ogni valore morale, rispetto a quello della scienza sperimentale, come sfera della necessità e della natura, irresponsabile e perciò scevra di valori. Il miglior significato, antimetafisico e antiastrattistico, del positivismo è peraltro stato compreso anche dalle varie correnti idealistiche che gli si sono opposte, e che quindi hanno spesso mirato a dimostrare la maggior "positività" della loro stessa interpretazione del reale: così, per es., tanto il pragmatismo del James e dello Schiller quanto l'intuizionismo del Bergson e la fenomenologia del Husserl si sono talora definiti come migliore o assoluto positivismo, e lo stesso termine è stato qualche volta usato anche a proposito dell'idealismo italiano contemporaneo (pur così antipositivistico nel suo iniziale atteggiamento polemico) per alludere al suo carattere di piena giustificazione della concreta esperienza.