PORT ARTHUR

Enciclopedia Italiana (1935)

PORT ARTHUR (A. T., 99-100)

Alberto BALDINI
Giovanni Vacca
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ARTHUR Città e porto della Manciuria, all'estremità S. della penisola del Liaotung, a 38° 48′ lat. N. e 121° 20′ E., in una zona libera dai ghiacci tutto l'anno. I Giapponesi la chiamano Ryo-jun, pronuncia giapponese dell'antico nome cinese Lu-shun, che il porto ebbe durante la dinastia Ming nel sec. XVI. Il nome di Port Arthur le fu dato dall'ammiraglio Seymour, durante la guerra franco-inglese contro la Cina, nel 1859, in onore del principe Arturo di Connaught. Servì allora di base alla flotta britannica. Divenne poi il principale arsenale cinese fino al 1894, anno in cui fu conquistata dai Giapponesi, ma subito restituita col trattato di Shimonoseki. Nel 1898 fu presa in affitto dalla Russia, la quale la trasformò in una fortezza militare nel 1899. Col trattato di Portsmouth, nel 1905, fu ceduta al Giappone, che ne fece una base navale. La città antica aveva oltre 40 mila ab.; la nuova città costruita dai Russi e completata dai Giapponesi con costruzioni moderne ha ora 29.430 abitanti.

Port Arthur ha una splendida spiaggia, alberghi moderni, istituti d'istruzione superiore, ecc.

Port Arthur durante la guerra russo-giapponese del 1904-05. - La Russia, appena occupata Port Arthur, aveva dato mano a importanti lavori di rafforzamento delle fortificazioni, circondando la città di una cinta continua e di quattro concentriche cinture esterne, a opere intervallate. Allo scoppiare della guerra (febbraio 1904) il Giappone iniziò operazioni offensive da mare contro Port Arthur, in attesa di poter impiegare le forze necessarie per attaccare la piazzaforte da terra. L'ammiraglio Togo, nella notte dall'8 al 9 febbraio 1904, accostatosi con le sue navi alla flotta russa ancorata nella rada esterna della piazzaforte, la fece assalire da un gruppo di torpediniere, che danneggiarono gravemente due corazzate e un incrociatore di prima classe. Questo intervento, uno dei primi atti di ostilità, fu seguito poco dopo da un'altra azione, che durò tre quarti d'ora, e nella quale altre quattro unità russe subirono danni notevoli.

Nei mesi seguenti il Togo continuò il blocco iniziato, e tentò varie volte di ostruire l'imboccatura del porto mediante l'affondamento di vecchie navi, ma senza riuscire nell'intento. Nel frattempo l'ammiraglio S. Makarov, successo nel comando dell'armata russa all'ammiraglio Stark, cercò di rimettere in efficienza le unità primamente danneggiate, e di effettuare qualche sortita, ottenendo parziali successi. Il 13 aprile la nave Petropavlovsk, con a bordo lo stesso Makarov, urtò, ritornando a Port Arthur, in una delle numerose torpedini disposte segretamente dai Giapponesi, e affondò con 600 uomini, dei quali solo 40 si salvarono (il Makarov fu tra le vittime). Anche la corazzata Pobeda urtò in una mina e riportò gravi danni.

Al Makarov successe l'ammiraglio V. K. Witheft. Questi tentò il 25 giugno una prima sortita, con l'intento di raggiungere Vladivostok, base di una divisione navale russa che era riuscita, a due riprese, a eludere la vigilanza dell'ammiraglio Kamimura e ad affondare tre trasporti nipponici. Il Witheft uscì dal porto con 6 navi da battaglia, 5 incrociatori e 16 torpediniere: con una flotta, cioè, numericamente superiore a quella di cui poteva disporre il Togo; ma, dopo aver avvistato le navi giapponesi, rientrò a Port Arthur senza combattere. I Giapponesi intensificarono le operazioni di blocco, mentre dal canto loro le truppe terrestri incalzavano. Dopo neppure due mesi, visto che l'esercito nipponico di terra poteva ormai bersagliare le navi russe con le grosse artiglierie, il Witheft si dispose a una sortita definitiva (10 agosto), con una flotta tutt'altro che efficiente. Già l'azione pareva riuscita, quando egli stesso fu colpito a morte da due colpi fortunosi; i Giapponesi approfittarono del disoríentamento degli avversarî per ingaggiare battaglia. Una corazzata, due incrociatori e quattro cacciatorpediniere russi si rifugiarono in porti cinesi, dove furono disarmati; un altro incrociatore finì alla costa dell'isola Sachalin; cinque altre navi da battaglia, un incrociatore e 3 cacciatorpediniere, gravemente danneggiati, rientrarono a Port Arthur; da queste navi vennero sbarcati i marinai e tolte le artiglierie per rinforzare la difesa terrestre.

Annientata la flotta russa, s'iniziarono le operazioni da terra, affidate alla 3ª armata giapponese al comando del Nogi (v.), il quale si era proposto d'impossessarsi della piazza con attacchi di viva forza. La piazza era difesa da 35.000 uomini agli ordini del generale Stössel ed era ben fornita di vettovaglie e di munizioni. Per oltre due mesi il generale giapponese insistette negli assalti, ma i risultati parziali ottenuti non corrisposero al gravissimo sacrificio di sangue. In questi attacchi fu esemplare l'eroismo dei soldati del Mikado, che furono impiegati come "proiettili umani". Infine il Nogi si risolvette a imprendere un assedio regolare (ottobre) con costruzione di trincee d'approccio e largo impiego di mine. I principali forti furono così fatti cadere. Ma, per occupare il forte più elevato e importante (sulla collina detta dei 203 m.), il Nogi alternò i bombardamenti e l'azione di mina con gli attacchi di viva forza. Ad occupazione avvenuta (primi di dicembre) la situazione dei difensori peggiorò notevolmente e il generale Stossel s'indusse a chiedere la resa della piazza (1° gennaio 1905), decisione che fu, in Russia, giudicata prematura e disonorevole. Lo Stössel, deferito a consiglio di guerra, fu condannato a morte; pena commutata dallo zar in quella della destituzione.