Popoli e culture dell'Italia preromana. Gli Enotri

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

Popoli e culture dell'Italia preromana. Gli Enotri

Luca Cerchiai

Gli enotri

La più antica menzione dell’ethnos è documentata alla fine del VI sec. a.C. in Ecateo di Mileto (FGrHist, I, 64-71) che attribuisce agli Enotri una serie di città situate “all’interno” (en mesogeiai) rispetto a un’Italìa coloniale greca coincidente, in un’accezione ristretta, con la fascia costiera calabrese a sud dell’istmo tra il Golfo di Sant’Eufemia e quello di Squillace. La menzione ecataica di “città” enotrie, talora con un nome ellenizzato (ad es., Artemision in FGrHist, I, 65), può correlarsi alla notizia del dominio di Sibari su 4 ethne e 25 poleis confinanti (Strab., VI, 13), evidenziando un processo di strutturazione politica del retroterra indigeno attraverso l’inserimento nell’orbita della città achea. Tale fenomeno si accompagna all’emergere di più definite identità etniche come i Chones, tribù enotria ubicata nel territorio di Siris e Metaponto da Antioco di Siracusa (in Arist., Pol., 1329 b, 20-22 e Strab., VI, 1, 4). Strabone (VI, 1, 5) riporta l’esistenza presso Cosenza di una sede dei re enotri chiamata Pandosia: un nome parlante, allusivo della centralità del ruolo regale nella gestione dei processi di accumulo e redistribuzione della comunità.

Un modello insediativo per città e una collocazione nell’entroterra attribuisce agli Enotri nella prima metà del V sec. a.C. anche Ferecide di Atene (in Dion. Hal., I, 11-13) che fornisce un’origine ellenica e uno sbocco tirrenico all’ethnos: eponimo della stirpe è l’arcade-pelasgo Oinotros che raggiunge per mare le coste occidentali dell’Italia e, scacciando i barbari da terre adatte all’agricoltura e alla pastorizia, fonda nell’Oinotrìa “città piccole e vicine le une alle altre sulle montagne”. Una non dissimile visione costiera di un’Oinotrìa ellenizzata interviene in Sofocle ed Erodoto. Nel Triptolemos (468 a.C.: in Dion. Hal., I, 12, 2) il primo colloca la regione a sud del Tyrrenikòs kolpos (il Golfo di Salerno), includendola tra le terre dell’Italìa in cui Demetra invia il figlio a introdurre la coltivazione del grano. Erodoto (I, 167) a proposito della fondazione di Elea narra che “i Focei acquistarono la città dell’Enotria”, ancora una volta associando l’ethnos a forme insediative simili a quelle urbane.

Secondo una diversa prospettiva che tende a rimuovere i legami fra l’ethnos e la Grecia, valorizzandone piuttosto il rapporto con la Sicilia, Antioco di Siracusa (seconda metà del V sec. a.C.) identifica l’Enotria con l’Italia attraverso la figura eponima dell’enotrio Italòs, fondatore di un regno nella regione a sud dell’istmo tra i golfi di Sant’Eufemia e Squillace (coincidente quindi con l’Italia ecataica), successivamente esteso fino al fiume Lao e a Metaponto (in Arist., Pol., VII, 1329 b, 11-14; Dion. Hal., I, 35, 1; Strab., VI, 1, 4). Italòs funge, come Oinotros, da eroe civilizzatore: sottomette le popolazioni confinanti, conquistando numerose città (Dion. Hal., I, 35, 1), e introduce l’agricoltura presso gli Enotri, istituendo la pratica dei pasti in comune (syssitia: Arist., Pol., VII, 1329 b, 15-17). A Italòs succede il re Morgetes con cui l’Italìa enotria abbraccia l’intera fascia costiera compresa tra Taranto e Poseidonia (Dion. Hal., I, 73, 4); Morgetes a sua volta accoglie come ospite Sikelòs fuggito da Roma che, divenuto re, divide l’ethnos: gli Enotri si suddividono così in Siculi, Morgeti e Italieti (Dion. Hal., I, 12, 3).

Secondo Antioco (in Strab., VI, 1, 6 e Dion. Hal., I, 22, 5, ma vedi anche Thuc., VI, 2), i Siculi e i Morgeti sono cacciati in Sicilia da Enotri e Opici: attraverso la connessione tra i due popoli lo storico recupera un’ulteriore articolazione nella stirpe enotria che non contraddice lo schema di etnogenesi suggerito attraverso la successione degli eponimi Italòs/Morgetes/ Sikelòs. Nella restante tradizione (ugualmente confluita in Dion. Hal., I, 22) i Siculi o popolazioni affini come gli Elimi e gli Ausoni o i Liguri sono invece direttamente scacciati dagli Enotri – secondo il modello che vede l’ethnos sopraffare i barbari – o da gruppi collocati a un analogo livello culturale come gli Aborigeni e i Pelasgi, gli Umbri e i Pelasgi, gli Iapigi (in Ferecide, Oinotros vanta un retaggio pelasgo e giunge in Italia con il fratello Peucetios sbarcando al promontorio iapigio). In Strabone (VI, 1, 2), infine, gli Enotri e i Coni sono scacciati dai Lucani “coloni” dei Sanniti (Strab., VI, 1, 2).

Si definisce “enotrio” un ampio ambito territoriale, strutturatosi in forma culturalmente omogenea tra VIII e VII sec. a.C., che comprende la Basilicata occidentale, il Vallo di Diano, la fascia costiera del Cilento e della Calabria settentrionale, l’entroterra calabro solcato dai bacini del Crati, dell’Esaro, del Coscile e del Savuto. Tale area si caratterizza al livello del rituale funebre per l’adozione dell’inumazione supina e, nella produzione vascolare, per il ricorso di una tipica ceramica geometrica dipinta e tornita, dapprima decorata “a tenda” e, dallo scorcio dell’VIII sec. a.C., bicroma e campita da un vasto repertorio ornamentale. L’area della Basilicata occidentale, comprendente le medie e alte valli dell’Agri e del Sinni, rivela dalla prima metà del VII sec. a.C. un riassetto e un notevole incremento insediativo (Aliano, Alianello, Armento, Chiaromonte, Latronico, Noepoli, Roccanova, ecc.) per l’importanza assunta dalle due vie fluviali come itinerari di comunicazione tra le colonie greche sullo Ionio (Siris e, dalla fine del VII sec. a.C, Sibari) e la Campania tirrenica.

La funzione intermediatrice delle popolazioni indigene è documentata sia dalla ricchezza di importazioni da entrambe le aree, attestata nelle ampie necropoli (tra cui soprattutto quelle più intensamente esplorate di Alianello e Chiaromonte), che dall’acquisizione da parte delle élites locali di modelli ideologici propri delle aristocrazie greche e della Campania etruschizzata. Rivelatrice è soprattutto l’esaltazione del ruolo del cavaliere con armatura di tipo oplitico, evocato dalle panoplie rinvenute in eccezionali sepolture dell’inizio del VI sec. a.C. da Chiaromonte e Armento e, sempre nella prima metà del VI secolo, da due statuette di bronzo rinvenute in Val d’Agri. Alla Lucania occidentale è strettamente integrato il Vallo di Diano con gli insediamenti principali di Sala Consilina e Atena Lucana. Il primo, già sviluppatosi durante l’età del Ferro con una facies villanoviana, sembra fungere da centro di redistribuzione e mercato interno per il comprensorio indigeno circostante; il secondo sorge invece nel VII sec. a.C. in funzione dell’itinerario che dalla Val d’Agri, attraverso il vallo, sbocca nella piana del Sele: Atena Lucana si distingue però dalle comunità enotrie per l’adozione nel rituale funebre della deposizione rannicchiata, caratteristica dell’area daunia.

Il versante meridionale dell’area enotria si struttura in rapporto a Sibari, costituendo il retroterra dell’ampio sistema territoriale della colonia greca. Il popolamento indigeno si disloca ai margini della chora di Sibari (Amendolara), ma soprattutto, dalla fine del VII sec. a.C., nell’entroterra silano lungo le valli dell’Esaro e del Coscile, del Crati e del Savuto (Torre del Mordillo, San Marco Roggiano, Mottaflone, Castrovillari, ecc.). Il Crati e il Coscile costituiscono inoltre un’importante direttrice di comunicazione verso il Tirreno, al cui sbocco sorge Temesa ricordata da Omero (Od., I, 182-84) come centro minerario popolato da genti non greche. Alla proiezione di Sibari sul Tirreno si deve anche l’aggregazione e lo sviluppo del popolamento indigeno sul Golfo di Policastro in cui confluiscono i fiumi Mingardo, Bussento, Noce e Lao che mettono in comunicazione il versante costiero con il Vallo di Diano e le valli dell’Agri e del Sinni. Dalla fine del VII sec. a.C., ma soprattutto nella seconda metà del VI sec. a.C. fioriscono gli abitati di Palinuro, Pyxunte (Policastro Bussentino), Maratea, Tortora, Petrosa e Marcellina che si inseriscono nel sistema di traffici veicolato da Elea e Poseidonia, fungendo da tramite con i gruppi indigeni dell’interno.

A tali centri si connettono le cosiddette “monete di impero” di Sibari: gli incusi in argento con legenda PAL-MOL (Palinuro/ Molpa), SIRINOS-PIX/PIXOES (Pyxunte), SO, AMI. L’area enotria entra complessivamente in crisi con la distruzione di Sibari nel 510 a.C. Nelle valli del Noce e dell’alto Lao (Maratea, Rivello, Castelluccio sul Lao) gli insediamenti indigeni persistono tuttavia ancora nel V sec. a.C.: da Castelluccio sul Lao, in particolare, proviene un’olla con iscrizione paleoitalica in alfabeto acheo dedicata a “Giove della touta” (della comunità). In tale territorio può essere ubicato l’ethnos dei Serdaioi di cui un’iscrizione bronzea da Olimpia ricorda un’alleanza con Sibari (probabilmente la colonia di Laos: la nuova Sibari fondata sul Tirreno dagli esuli dopo il 510 a.C.), stipulata sotto la garanzia di Poseidonia. All’ethnos si riferisce anche una moneta di argento a doppio rilievo con legenda SER/SERD, databile dopo il 500 a.C.

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