POLITICA E RETE

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

POLITICA E RETE.

Michele Sorice

– La rete e la comunicazione politica. La rete e l’innovazione democratica. Bibliografia

Il successo e lo sviluppo di Internet e, in particolare, del cosiddetto web 2.0 – l’insieme di applicazioni e servizi che permettono un più elevato livello di interazione fra i siti web e l’utente – hanno avuto un forte impatto sia sulla comunicazione politica sia sulle forme della partecipazione democratica. In entrambi i casi, infatti, la rete sembra garantire un rapporto diretto fra cittadini e attori politici oltre che fra cittadini e istituzioni. Questo fenomeno viene spiegato ricorrendo al concetto di disintermediazione.

Non tutti gli studiosi di media digitali, tuttavia, accettano questa visione ottimistica; sono molti, infatti, a ritenere che la disintermediazione in rete sia un processo solo apparente e che, anzi, il disallineamento fra i diversi attori sociali enfatizzi il potere di chi possiede il controllo sulla tecnologia e sui contenuti. Le posizioni più critiche hanno trovato involontarie conferme dai casi di violazione della riservatezza dei dati personali e/o di hacktivism (fenomeni di attivismo politico di tipo hacker) o ancora di violazione della sicurezza (come nel caso di Wikileaks) nonché nelle più generali questioni riguardanti la Internet governance (concetto che non si limita alla sola regulation di natura giuridico-normativa). Fra le posizioni ottimiste e quelle pessimiste, si collocano approcci scientifici molto differenziati. Sicuramente, tuttavia, la penetrazione delle tecnologie digitali e la crisi di legittimazione della politica ‘tradizionale’ (espressione che fa riferimento essenzialmente alla forma-partito delle democrazie occidentali) sembrano evidenziare modi diversi di impegno politico rispetto al passato: alla continuità formalizzata del coinvolgimento (iscrizione a un partito, attività di volontariato ecc.) sembra sostituirsi una sorta di impegno ‘intermittente’, reso possibile dalla ‘connettività’ non più vincolata alla presenza fisica e a tempi definiti.

Il rapporto fra p. e r. non si limita alla comunicazione politica, ma riguarda anche altri aspetti della vita sociale: dalle forme di e-government (che a rigore riguardano il rapporto fra rete, imprese, cittadini e pubblica amministrazione) a quelle di e-democracy o, in maniera più ampia e generalizzante, a quelle che vengono normalmente definite come innovazione democratica (Sorice 2014).

La rete e la comunicazione politica. – Le potenzialità offerte dal web 2.0 obbligano a un ripensamento dell’idea di partecipazione politica oltre che di alcune forme della comunicazione politico-elettorale. Il concetto di partecipazione va messo in relazione con quello di accesso, cui spesso viene semplicisticamente sovrapposto. La stessa idea di disintermediazione dovrebbe prevedere non solo l’accesso dei cittadini alle reti comunicative, ma anche la loro possibilità di partecipare ai processi decisionali. Questo, in realtà, è vero solo in parte.

Nel cosiddetto web 1.0 – lo stadio evolutivo di Internet in cui è più scarso il livello di interazione fra l’utente e i siti web – l’architettura di partecipazione (cioè le possibilità a disposizione dell’utente di personalizzare la propria esperienza in rete e di intervenire anche senza un’elevata conoscenza tecnica) è bassa e non consente agli utenti disvolgere forme attive di intervento politico. È questa la logica, per es., dei siti-vetrina o dell’informazione di tipo gerarchico-trasmissivo: la dialettica è fondata su meccanismi top-down, in cui l’attore politico informa il cittadino (in qualche caso il militante) o si limita a forme di propaganda più o meno organizzata.

Il web 2.0, invece, dovrebbe non solo prevedere un accesso ampio dei cittadini, ma anche garantire forme di partecipazione attiva nelle scelte e nelle strategie politiche. In questo caso, cioè, il cittadino-elettore-militante dovrebbe non solo avere la possibilità di essere ascoltato dagli attori politici, ma anche di contribuire in maniera decisiva all’elaborazione delle policies. Il cittadino dovrebbe poter avere un ruolo di costruzione del discorso politico e rappresentare per i candidati e i politici non solo un elettore, ma anche un interlocutore con cui confrontarsi.

In realtà, in molti casi prevale una logica ibrida o di compromesso: si pensi al caso dei profili Facebook di molti politici, attivi durante una campagna elettorale (e gestiti da spin doctors o da collaboratori) e poi ‘congelati’ al termine della competizione: in questi casi, nella maggior parte delle occasioni, i cittadini possono accedere ed esprimere la propria opinione (magari anche critica), ma senza essere ascoltati e, comunque, senza la possibilità di intervenire nell’interlocuzione politica né tanto meno di incidere nei processi decisionali.

Generalizzando, si possono individuare tre macro-tendenze: a) la prima è la crescita di quello che Manuel Castells (2012) definisce networked individualism, ossia il rischio di un’interconnessione che non genera relazioni solidali, ma tende invece a incrementare la dimensione individualistica dei soggetti; b) la seconda è rappresentata da una crescita delle forme di coinvolgimento, capaci di generare un impatto sull’impegno civile e sociale; c) la terza, infine, è costituita dalla crescita dei meccanismi di connessione e costruzione del network (social networking). Si tratta di un meccanismo spesso responsabile della crescita della partecipazione sociale, ma principalmente in soggetti già in possesso di interessi sociali e politici.

Studiando le forme di comunicazione politica in rete si possono osservare diversi fenomeni, per molti aspetti ancora in evoluzione. Accanto alle quattro principali funzioni facilitate dalla rete (informazione, fund raising, coinvolgimento, azione) sono state individuate diverse e specifiche strategie di comunicazione on-line, principalmente orientate all’influenza dell’agenda politica e dei media. Grazie all’impulso che la comunicazione politica on-line ha ricevuto dalle campagne presidenziali degli Stati Uniti (già dal 2004, ma più decisamente con la campagna di Barack Obama del 2008) sono emersi diversi strumenti (Giansante 2014): dall’uso della posta elettronica alle pubbliche relazioni on-line, dal marketing realizzato attraverso motori di ricerca in Internet all’incontro fra tecniche di comunicazione e analisi dei cosiddetti big data, che consentono una profilazione personalizzata del potenziale elettore.

Dentro la cornice del rapporto fra p. e r. andrebbero collocate anche le forme di ibridazione fra telepolitica e social media (Twitter in particolare).

La rete e l’innovazione democratica. – Lo sviluppo della rete ha permesso ai regimi democratici (ma non solo) di insistere molto su strumenti teoricamente capaci di incrementare la partecipazione della cittadinanza. L’enfasi posta sull’e-government si colloca proprio in questa tendenza e si muove in una logica top-down della relazione fra amministratori e amministrati. I termini usati (e-government, e-governance, e-democracy) sono spesso trattati come sinonimi, ma esprimono concetti molto diversi.

Con l’espressione e-government si fa riferimento all’uso delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione (ICT, Information and Communication Technology) nelle funzioni amministrative e di governo delle pubbliche amministrazioni e delle istituzioni. Le forme di e-governance – che si appoggiano spesso all’e-government – hanno bisogno del processo di informatizzazione della pubblica amministrazione e dei suoi rapporti con i cittadini, ma si occupano principalmente della razionalizzazione di processi e servizi.

Con e-democracy o ‘democrazia digitale’ (De Blasio 2014) si intende, invece, l’applicazione delle ICT ai processi democratici, allo scopo di implementare e rafforzare la partecipazione attiva dei cittadini ai processi di policy making. In questo caso, e-democracy può significare l’insieme di tutte le modalità digitali con le quali i cittadini possono far sentire la propria voce ai governanti e agli attori politici: la rete, quindi, apre nuove opportunità di espressione e di mobilitazione per i gruppi di opposizione. L’e-democracy consente teoricamente il passaggio da una democrazia ‘intermittente’ e a ‘bassa intensità’, in cui la partecipazione politica si concretizza e si esaurisce solo nel momento elettorale, a una democrazia partecipata e capace di impegnare i cittadini. Mentre l’e-democracy fornisce canali di comunicazione, scambio e partecipazione a soggetti che si attivano in modo volontario e spontaneo, l’e-government fornisce, invece, secondo una logica top-down, input specifici promossi dalle amministrazioni e funzionali all’ottimizzazione delle attività di ‘cittadinanza’. Una buona applicazione delle forme di e-government (e meglio ancora di open government, con espressione più estensiva) può costituire un punto di partenza necessario per implementare e promuovere forme di democrazia digitale; al tempo stesso, tuttavia, i due processi sono distinti.

Nel nuovo scenario delle relazioni fra p. e r. una maggiore importanza comunicativa è stata assunta dall’area del cosiddetto subpolitico. Tale area coinvolge attori collettivi e individuali al di fuori della politica istituzionale o liminali rispetto al sistema economico, spesso in relazione antagonistica (o semplicemente critica) rispetto alle forme consolidate della politica. I media digitali, in tale situazione, non sono più semplici strumenti di supporto alle istituzioni politiche (e in qualche caso persino asserviti a esse), ma possono diventare veicolo politico, forum di discussione in cui si generano forme di consenso e di ridefinizione di nuovi spazi pubblici (Volkmer 2014). In tale prospettiva vanno interpretati gli usi ‘tattici’ della rete da parte di movimenti sociali e associazioni di base, nonché da realtà che possiamo (con qualche approssimazione) definire prepolitiche (associazioni di formazione alla politica, movimenti di impegno sociale, associazioni radicate in ambito ecclesiale) e finanche quelle antipolitiche.

Le nuove forme della politica, comprese quelle della cittadinanza attiva – intesa come «la pluralità di forme con cui i cittadini si uniscono, mobilitano risorse e agiscono nelle politiche pubbliche esercitando poteri e responsabilità al fine di tutelare diritti, curare beni comuni e sostenere soggetti in difficoltà» (Moro 2013, p. 101) – si inseriscono in tale processo. La rete, in altre parole, può assumere un ruolo importante non solo nelle evidenti dinamiche di connessione, ma anche nell’attivazione di processi virtuosi di crescita della partecipazione dei cittadini, nonché della loro effettiva capacità di giocare un ruolo nei processi decisionali. Un uso dialogico della comunicazione digitale potrebbe facilitare l’adozione di processi democratici più inclusivi e partecipativi così come, viceversa, logiche manipolatorie e processi non guidati di mediatizzazione possono favorire l’emersione di spinte autoritarie.

Lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione non garantisce in maniera automatica l’affermazione di una democrazia digitale realmente partecipativa. Tuttavia, la rete sembra poter offrire maggiori opportunità (ma non automatismi) di partecipazione. Alcuni autori individuano diversi livelli che i governi e le pubbliche amministrazioni possono adottare per facilitare la partecipazione dei cittadini (Milakovich 2012). In realtà, alcuni di questi livelli riguardano principalmente le dinamiche dell’e-government (inteso nella sua accezione top-down) o dell’open government (inteso come possibilità di attivare anche forme di governance condivisa), mentre solo alcune possono riguardare in maniera chiara le dinamiche della democrazia digitale.

Gli elementi distintivi della democrazia digitale sono due: il primo riguarda la dimensione tecnologica e segnatamente la rete; il secondo trova il suo punto di forza nei processi di deliberazione. La democrazia digitale, in altri termini, ha senso solo nel quadro di piattaforme partecipative che permettano processi deliberativi e partecipativi.

Le piattaforme di democrazia digitale (e assimilabili) non possono limitarsi a consentire l’esercizio di un voto di tipo referendario (e-voting), ma dovrebbero garantire forme di partecipazione orizzontale. In questa prospettiva si situano, almeno in teoria, piattaforme come Liquid Feedback o Airesis, nato da un gruppo di volontari confluiti nell’associazione Tecnologie democratiche. Accanto a queste piattaforme ve ne sono in realtà molte altre (nate da iniziative di volontari o di carattere istituzionale, diffuse soprattutto nel Regno Unito, nel Nord America, nei Paesi del Nord Europa e in Francia), sebbene non tutte possano essere convincentemente collocate nell’ambito della e-democracy.

Secondo Emiliana De Blasio (2014) si possono individuare con certezza cinque caratteristiche che costituiscono l’ossatura di quasi tutte le piattaforme per la partecipazione politica on-line. Esse sono: 1) l’inclusione, cioè la capacità di dare voce a tutte le cittadine e a tutti i cittadini, senza alcuna forma di discriminazione; 2) l’apertura, vale a dire la capacità di essere depositi trasparenti di informazione e conoscenza (a questo livello si situa l’importanza politica dell’Internet governance); 3) la sicurezza e la riservatezza (privacy): le piattaforme devono cioè garantire la sicurezza degli utenti (anche da minacce, quali il bullismo on-line e le provocazioni finalizzate a deteriorare il livello della comunicazione) e, nel contempo, fornire strumenti di partecipazione che tutelino la riservatezza; 4) la responsiveness, cioè la capacità di consentire l’ascolto dei cittadini da parte delle istituzioni, la risposta di queste e la possibilità per tutti gli attori sociali di entrare in una relazione di carattere interattivo; 5) la deliberazione: le piattaforme devono riuscire a consentire lo svolgimento di processi deliberativi reali, cioè garantire alle persone la possibilità di attivare forme di costruzione endogena del consenso.

Bibliografia: S. Coleman, J.G. Blumler, The Internet and democratic citizenship: theory, practice and policy, Cambridge 2009; M. Castells, Networks of outrage and hope: social movements in the Internet age, Cambridge 2012 (trad. it. Milano 2012); M.E. Milakovich, Digital governance: new technologies for improving public service and participation, New York 2012; Social media and democracy: innovations in participatory politics, ed. B.D. Loader, D. Mercea, Abingdon 2012; G. Moro, Cittadinanza attiva e qualità della democrazia, Roma 2013; D. della Porta, Can democracy be saved?, Cambridge 2013; E. De Blasio, Democrazia digitale: una piccola introduzione, Roma 2014; G. Giansante, La comunicazione politica online, Roma 2014; M. Sorice, I media e la democrazia, Roma 2014; I. Volkmer, The global public sphere: public communication in the age of reflective interdependance, Cambridge 2014. Si vedano inoltre i siti http://liquidfeedback.org; http://www.airesis.it.

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