POGGIO BUCO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1996)

POGGIO BUCO

G. Bartoloni

Altopiano dell'Etruria interna prospiciente il fiume Fiora, il cui toponimo trae origine dalla presenza di una necropoli etrusca e il cui uso nella letteratura archeologica è generalmente comprensivo dell'area della città e della necropoli.

Il quadro dei vecchi scavi è stato confermato da indagini successive (1959 nella necropoli; 1980 nell'abitato), mentre l'identificazione con Statonia (v.) non è stata da tutti accettata.

Il centro etrusco si sviluppò in tre diversi momenti intramezzati da periodi di abbandono: il primo riferibile alla fine dell'Età del Bronzo (XI-X sec. a.C.), il secondo (archeologicamente più documentato e forse il più importante per l'area) inquadrabile dalla fine dell'VIII alla seconda metà del VI sec. a.C.; l'ultimo nel periodo tardo ellenistico a partire dal II sec. a.C.

Dell'insediamento più antico non rimangono tracce significative o strutture evidenti: il materiale proviene da un accumulo di riporto, derivante dal successivo spianamento; all'abitato va riferito un piccolo nucleo di sepolture a incinerazione. Gli elementi emersi dall'una e dall'altra evidenza rimandano alla cultura protovillanoviana: piccolo insediamento naturalmente difeso a poca distanza da altri consimili, rito funebre dell'incinerazione, uso del vaso biconico come cinerario, caratteri della ceramica, ecc. Nella fase finale dell'Età del Bronzo (metà XII-X sec. a.C.), l'Etruria presenta un'organizzazione del territorio con insediamenti uniformemente distribuiti a distanza gli uni dagli altri di poco più di una mezza dozzina di chilometri, indizi di uno sfruttamento intensivo delle terre e di un aumento demografico. L'abitato tipico di questa fase occupa generalmente un'altura o un pianoro tufaceo di c.a 5 ha (eccezionalmente maggiore), isolato, alla confluenza di due corsi d'acqua. L'altura delle Sparne, di c.a 4 ha, è circondata su tre lati dal Fiora e dai suoi affluenti Rubbiano e Bavoso.

Il sito appare abbandonato agli inizî dell'Età del Ferro (IX sec. a.C.) a riprova del mutamento dell'assetto territoriale dell'Etruria meridionale e centrale: agli insediamenti sparsi si sostituiscono agglomerati di villaggi molto ravvicinati, localizzati sui pianori sedi delle future città storiche o in quelli limitrofi, mentre gran parte del territorio appare disabitato. La popolazione della valle del Fiora sembra radunarsi presso quella che sarà la storica Vulci.

Come avamposto di Vulci, appunto, lungo un percorso fondamentale per l'economia e la politica della metropoli, l'area di P. B. appare rioccupata a partire dalla fine dell'VIII sec. a.C., probabile sede di un forte gruppo aristocratico volutamente decentrato dal nucleo principale. I vecchi scavi di R. Mancinelli documentano l'abitato sulle Sparne e le necropoli, localizzate sulle colline circostanti. Particolarmente interessanti nella città, delimitata da una modesta cinta muraria e da un fossato, sono le fondazioni di un grande edificio prospiciente una piazza lastricata a grandi blocchi di tufo, messe in luce nella parte orientale dell'area urbana e numerosi resti di elementi architettonici, tra cui una serie importante di lastre fittili di rivestimento, decorate a basso rilievo (terre- cotte di I fase) con teorie zoomorfe desunte in parte dal repertorio animalistico tardo orientalizzante, o corse di cavalieri, processioni destrorse e sinistrorse di carri e una scena di rapimento tratta presumibilmente dalla mitologia greca, conservate oltre che a Copenaghen, Ny Carlsberg Gliptotek, a Firenze, Museo Archeologico, e a Monaco di Baviera, Antikensammlungen, datate nel secondo quarto del VI sec. a.C. A una prima interpretazione come santuario, si preferisce ora quella di residenza aristocratica, analoga a quelle di Murlo e Acquarossa. Qualche dubbio tuttavia suscita la presenza della piazza lastricata antistante all'edificio e il rinvenimento della stipe votiva ellenistica, che potrebbe attestare la continuità del culto.

La vasta necropoli mostra sia nelle strutture tombali sia nei corredi evidenti riferimenti a Vulci: dalla tomba a fossa delimitata da lastroni, con o senza loculi laterali con corredo costituito prevalentemente da ceramica in argilla depurata italo-geometrica (vasi potorî) e in impasto rossiccio spesso dipinto (olle e crateri), in uso dalla fine dell'VIII sec. a.C., si passa, intorno alla metà del VII, alla tomba a camera con vestibolo (prima a un solo ambiente e poi a più ambienti, aperti sul vestibolo) con lungo dròmos; il corredo di queste ultime risulta composto quasi esclusivamente da ceramica etrusco-corinzia e da vasellame di bucchero.

Alla fine del VI sec. si assiste a una rapida interruzione di vita nel sito, come avviene per molti centri minori dell'Etruria soprattutto meridionale, fenomeno spiegabile con una nuova politica di accentramento delle città. La popolazione viene costretta all'inurbamento poiché i piccoli potentati rurali sembrano aver esaurito il loro ruolo politico ed economico.

Scarse sono le testimonianze relative alle fase romana: nell'abitato una stipe votiva e nella necropoli alcune tombe del tipo a corridoio con loculo sul fondo o sulle pareti datano all'inoltrato II sec. a.C. la ripresa di frequentazione del sito. Si tratta di uno dei numerosi impianti rurali che dovevano popolare la media valle del Fiora divisi tra i territori di Saturnia, Sovana e Statonia.

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