Plasticità

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Fisica

La proprietà di un solido di deformarsi plasticamente, cioè di subire deformazioni permanenti di notevole ampiezza.

fig.

In generale, le deformazioni prodotte in un corpo possono essere di natura elastica, plastica, oppure termica. Per comprendere la natura fisica delle deformazioni elasti;che e plastiche, si consideri lo schema, per semplicità bidimensionale, del reticolo di un monocristallo (v. fig.). Nel primo schema (fig. A) gli atomi del cristallo sono disposti secondo una configurazione ordinata compatta, tipica di diversi metalli. La distanza fra ciascun atomo e quelli contigui è costante in ogni punto. Applicando una sollecitazione σx di trazione in direzione dell’asse x (fig. B), la distanza fra gli atomi tende ad aumentare in direzione x e a diminuire in direzione y; la posizione di ciascun atomo rispetto ai contigui rimane inalterata ma complessivamente la lunghezza lx aumenta, mentre la larghezza ly diminuisce. Rimuovendo il carico, il cristallo ritorna nella sua configurazione indeformata e riacquista le sue dimensioni lx0 e ly0 iniziali. La deformazione prodotta in tal modo è una tipica deformazione elastica. In presenza di una tensione di taglio τ il cristallo si deforma secondo lo schema illustrato in fig. C: gli atomi scorrono in direzione di una linea diagonale s, detta linea di scorrimento, variando in corrispondenza di essa la loro posizione relativa. Lo spostamento avviene per scorrimento lungo le superfici a più alta densità atomica e la sua entità è un multiplo della distanza atomica. Al termine della sollecitazione la distanza relativa fra gli atomi rimane inalterata, mentre la posizione relativa degli atomi nel cristallo risulta modificata (o distorta). Inoltre, se si tiene presente che in un monocristallo sono possibili diversi piani di scorrimento paralleli a quello indicato, la deformazione plastica complessiva può considerarsi il risultato dello scorrimento relativo ai piani atomici differenti, fra loro paralleli. L’effetto globale della deformazione si evidenzia con una variazione permanente delle dimensioni principali del cristallo, e ciò costituisce l’effetto macroscopico più evidente di una deformazione plastica. Mentre le deformazioni elastiche sono reversibili, le deformazioni plastiche sono irreversibili, poiché coinvolgono una modificazione permanente della struttura atomica del corpo deformato.

Il meccanismo a piano di scorrimento secondo cui si produce una deformazione plastica in un monocristallo può estendersi al caso di una struttura policristallina, tipica dei materiali metallici. Attraverso osservazioni effettuate al microscopio elettronico si è potuto anche stabilire che in questo caso si ha a che fare con una banda di scorrimento, composta cioè da un certo numero di piani di scorrimento, circa 100 volte il diametro degli atomi del reticolo cristallino. I cristalli reali presentano inoltre, rispetto a quelli ideali, una serie di difetti, che ne influenzano in modo determinante il comportamento. I difetti si possono suddividere in puntiformi (vacanze, atomi interstiziali, impurità), unidimensionali o lineiformi, bidimensionali o di superficie (per es., i contorni dei grani) e di volume (vuoti o inclusioni di elementi non metallici, per es., di ossidi e silicati).

Nella deformazione plastica dei materiali metallici grande importanza hanno soprattutto le dislocazioni, difetti reticolari unidimensionali (➔ dislocazione). Le dislocazioni, osservate sperimentalmente per la prima volta nel 1933, si producono nei materiali policristallini durante la fase di cristallizzazione; la densità che in un metallo ricotto è di circa 107 dislocazioni al cm2, raggiunge valori anche di 5 ordini di grandezza superiori in metalli sottoposti a elevata deformazione plastica. Questa osservazione sperimentale ha permesso di ipotizzare che, con i processi di deformazione plastica, si produca un aumento del numero delle dislocazioni; queste ultime consentono uno scorrimento graduale, non necessariamente rigido fra due superfici reticolari contigue: infatti, la resistenza effettiva che i materiali metallici oppongono alle sollecitazioni che tendono a deformarli plasticamente è di uno o due ordini di grandezza inferiore a quella ottenibile da calcoli teorici, riferiti a una struttura cristallina ideale, con una disposizione regolare degli atomi all’interno del reticolo cristallino.

La presenza nel reticolo cristallino delle dislocazioni consente di spiegare la discrepanza fra la resistenza effettiva e quella teorica dei materiali metallici: un piano di scorrimento contenente dislocazioni richiede una tensione tangenziale minore di quella che sarebbe necessaria per produrre uno scorrimento plastico fra piani cristallini con struttura regolare. Di seguito, una deformazione plastica comporta il movimento di un certo numero di dislocazioni e quindi la possibilità che, durante i relativi spostamenti, esse possano interferire fra loro ostacolandosi a vicenda, o che incontrino degli ostacoli da superare, come nel caso in cui giungano ai contorni dei grani o in prossimità di impurità e inclusioni. Ciò produce un aumento della tensione tangenziale da applicare affinché il movimento delle dislocazioni possa proseguire, e quindi un aumento generalizzato della resistenza che il materiale metallico oppone, qualora lo si voglia assoggettare a deformazioni plastiche di entità crescente. Questo aumento della resistenza alla deformazione è noto come incrudimento e caratterizza soprattutto le deformazioni plastiche prodotte a temperature prossime a quella ambientale (deformazioni plastiche a freddo). Di contro, al crescere della temperatura gli effetti dell’incrudimento sono sempre meno marcati e la resistenza alla deformazione si riduce. A temperature elevate (superiori alla temperatura di ricristallizzazione del materiale), la resistenza alla deformazione risulta invece influenzata dalla velocità di deformazione (rapporto fra la deformazione e il tempo in cui essa viene prodotta).

Quando un corpo è sottoposto a un determinato sistema di forze esterne, in esso è presente uno stato di tensione e, conseguentemente, uno stato di deformazione. Se lo stato di tensione è tale che la tensione ideale equivalente risulta inferiore a un certo valore critico rappresentato dalla tensione di snervamento, il materiale si comporta come perfettamente elastico e, in tali condizioni, il legame funzionale fra tensioni e deformazioni è quello di proporzionalità diretta ed è espresso dalla legge di Hooke, che costituisce la formulazione più semplice della teoria matematica dell’elasticità. Se lo stato di tensione è tale per cui viene superata la soglia rappresentata dalla tensione di snervamento, la deformazione è di natura esclusivamente plastica e il legame tra tensioni e deformazioni è definito nell’ambito della teoria matematica della plasticità. Plasticizzazione Passaggio di un solido che non sia inizialmente allo stato plastico, a questo stato. Ciò può, per es., verificarsi in un solido elastico, quando la sollecitazione cui è sottoposto oltrepassi il limite di elasticità e sia quindi tale da provocare deformazioni permanenti plastiche.

Medicina

In neurofisiologia, la proprietà del sistema nervoso di serbare traccia permanente, o almeno duratura, di stimoli ripetuti: è una proprietà particolarmente accentuata nei livelli più elevati del neurasse (corteccia cerebrale, centri sottocorticali).

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