PLACENTA

Enciclopedia Italiana (1935)

PLACENTA

Silvio RANZI
Ernesto PESTALOZZA

. Anatomia comparata. - Nelle forme vivipare d'Invertebrati si dà il nome di placenta a ogni aderenza, anche limitata, che si stabilisce tra la faccia esterna degli annessi embrionali e la parete della cavità materna (spazio dell'ovaio, ovidutto, ecc.), nella quale l'embrione si sviluppa. Placente di questo tipo si hanno in Insetti, i cui embrioni si sviluppano nell'ovaio materno (Hemimerus), in un Peripatus (Peripatus Edwardsii), il cui embrione si sviluppa in una specie di utero in taluni Briozoi (Plumatella), che hanno speciali cavità incubatrici, e anche nelle Salpe. Le nozioni, che si hanno sull'istologia e la fisiologia di queste formazioni, sono scarse e forse è esagerato chiamarle placente, poiché in molti casi corrispondono ai rapporti che si osservano tra le partei dell'utero e gli annessi embrionali in alcuni Marsupiali, che, tra i Mammiferi, vengono considerati privi di placenta.

Nei vertebrati vivipari troviamo due tipi di placenta embriologicamente diversi: la placenta propriamente detta, propria dei Mammiferi Placentali e di taluni Rettili, costituita da una fusione tra il corion e l'allantoide e irrorata dai vasi allantoidei; la placenta vitellina, propria di taluni Squali e di taluni Rettili, formata in rapporto al sacco del tuorlo, cui nei Rettili si unisce il corion, e irrorarata dai vasi vitellini. Presenta interesse il fatto che, in talune specie di Rettili, le due placente possono coesistere, onde il medesimo embrione ha placenta vitellina e placenta p. d.

Il Bonnet distingue, in corrispondenza della placenta, due sorta di processi per la nutrizione embrionale. L'epitelio uterino elabora sostanze destinate all'embrione, che le assorbe per mezzo dell'epitelio coriale (nutrizione per embriotrofo), ovvero le sostanze nutritizie passano dal plasma del sangue materno al plasma del sangue fetale per un semplice fenomeno di diffusione attraverso i tessuti interposti (endotelî dei capillari, epitelio coriale) ridotti a costituire una sottilissima membranella (nutrizione per emotrofo). La nutrizione per embriotrofo si verifica nelle zone di placenta in cui epitelio uteriono ed epitelio coriale sono normalmente sviluppati (rapporto epiteliocoriale), o nelle quali, in punti limitati, sparisce l'epitelio uterino e il connettivo sottostante aderisce strettamente all'epitelio coriale (rapporto sindesmocoriale). La nutrizione per emotrofo si verifica invece quando i vasi materni, per la scomparsa di estese zone dell'epitelio uterino, aderiscono al corion embrionale (rapporto endoteliocoriale) o quando, per scomparsa delle pareti dei vasi materni, il sangue materno è a diretto contatto con l'epitelio coriale (rapporto emocoriale).

Nelle placente dei Selaci e dei Rettili non si osserva una relazione emocoriale, ma le altre tre forme. Nei Mammiferi Placentali, dalle forme inferiori alle superiori, si vedono complicarsi gradatamente tali relazioni fino a giungere al rappporto emocoriale dei Priati. Si noti tuttavia che, anche nella placenta di questi ultimi, si osservano, almeno transitoriamente le altre forme di relazioni.

Il corion, nella zona in cui si forma la placenta, presenta lunghi villi riccamente irrorati, che si spingono entro cripte dell'epitelio uterino. Nei Mammiferi Placentali inferiori tutta la superficie del corion porta villi (placenta diffusa). Nei Ruminanti si trovano invece ciuffi di villi (cotiledoni) sparsi sulla superficie del corion, la quale, negli spazî tra essi, appare liscia (placenta cotiledonare). In tutti questi animali si osservano principalmente relazioni, tra tessuto materno e fetale, epiteliocoriali e sindesmocoriali; prevale cioè la nutrizione per emotrofo e vi è una scarsa aderenza tra tessuti materni e fetali, onde, dopo il parto, non vengono espulse decidue (cioè parti della mucosa uterina) paragonabili alle decidue dei Mammiferi superiori e dell'uomo. La placenta di questi animali viene detta semiplacenta.

Nei Carnivori la zona del corion, munita di villi, forma un anello intorno al sacco coriale (placenta zonaria). Nei Primati, Roditori, Insettivori, Chirotteri si osserva una placenta ristretta a una piccola zona del corion, la quale manda però villi molto lunghi che entrano profondamente nel tessuto uterino (placenta discoidale). In tutti questi animali si osserva il rapporto endoteliocoriale o perfino emocoriale. Prevale nutrizione per emotrofo, e vi è forte compenetrazione fra tessuti materni e fetali, onde dopo il parto vengono espulse decidue e il parto stesso è accompagnato da notevole emorragia materna. La placenta di questi animali viene chiamata placenta propria.

Anatomia umana. - Quando l'uovo fecondato arriva nella cavità uterina per annidarsi nello spessore della mucosa, ha raggiunto lo stadio di gastrula, e rappresenta una formazione vescicolare, circondata tutto all'intorno da uno spesso strato epiteliale o ectodermico, detto trofoblasta. Al trofoblasta compete la singolare proprietà citolitica, la proprietà cioè di aggredire e disintegrare gli elementi con cui venga a contatto (v. annidamento). Per questa sua proprietà, dovuta verosimilmente alla presenza di fermenti citolitici, l'uovo, che poggia sul rivestimento epiteliale della mucosa uterina, ne distrugge gli elementi, e si mette così in contatto diretto con gli elementi del sottostante stroma connettivale. Anche questi elementi vengono a loro volta aggrediti e distrutti dal trofoblasta, e così l'uovo si scava nello spessore della mucosa una cavità o nido, la camera incubatrice. Le pareti dei vasi della mucosa subiscono a loro volta l'azione aggressiva del trofoblasta, e allora nella camera incubatrice si versa, attorno all'uovo, sangue materno. Questo sangue non coagula, perché il trofoblasta con cui viene a contatto ha la stessa proprietà degli endotelî, quella cioè di mantenere fluido il sangue, che uscito in tal caso dalle piccole arterie erose, rientra per le vene del pari erose. Da questo momento l'uovo si trova immerso nel sangue che ne irrora tutta la periferia spingendosi fra i meandri del trofoblasta, e le propagini del trofoblasta vi rimarranno immerse per tutta la durata della gravidanza. Si ha dunque ragione di dire che l'uovo vive nel sangue materno. Quella parte del trofoblasta che è venuta in diretto contatto col sangue materno subisce una differenziazione, si trasforma in ma massa sinciziale (plasmoditrofoblasta), mentre la parte profonda del trofoblasta conserva la disposizione cellulare (citotrofoblasta). Qualora l'azione citolitica del trofoblasta continuasse a esplicarsi, l'uovo finirebbe con l'attraversare tutta la mucosa e spingere le sue propagini nella muscolatura. Ciò non avviene in realtà che in pochi casi eccezionali (invasione coriale, mola destruens, placenta accreta, gravidanza extrauterina). Normalmente, quando il trofoblasta ha usurato le pareti vasali e il sangue materno ha invaso la camera incubatrice, il processo distruttivo s'arresta, perché tutt'attorno alla camera incubatrice si forma un rivestimento di elementi di nuova formazione, la cui caratteristica proprietà è quella di resistere alla azione citolitica del trofoblasta. Quest'argine di difesa è costituito dalle cellule deciduali, che vengono a sostituire gli elementi cellulari dello stroma della mucosa uterina; il tessuto che ne risulta è la decidua o caduca, che forma le pareti della camera incubatrice. La trasformazione deciduale non si limita però alle pareti della camera incubatrice, ma si estende a poco a poco a tutta la mucosa uterina, fino agli orifici tubarici e all'orificio interno del canale cervicale. Nel mentre queste trasformazioni avvengono nella mucosa uterina, il trofoblasta a sua volta si differenzia, perché emana gemme epiteliali, che costituiscono i villi primitivi e che conferiscono all'uovo in questo periodo il suo aspetto villoso; entro questi villi epiteliali la lamina connettivale del corion manda i suoi prolungamenti che costituiranno lo stroma dei villi, e che riceveranno più tardi le ramificazioni dei vasi allantoidei portanti a ogni villo il sangue fetale. A loro volta i villi coriali, spingendosi nel sangue materno, si trovano da esso bagnati in tutta la loro periferia. Al di fuori del villo perciò sta il sangue materno; dentro il villo il sangue fetale; tra essi interposto il trofoblasta (plasmoditrofoblasta e citotrofoblasta), lo stroma connettivale del villo e le pareti dei vasi del villo. Tra questi strati che separano nettamente il sangue materno dal sangue fetale si devono compiere tutti gli scambî necessarî alla respirazione e alla nutrizione dell'uovo. Dalla fusione del tessuto materno (mucosa uterina trasformata in caduca) con il corion fetale ha origine la placenta. Mentre in un primo tempo tutta la periferia dell'uovo pesca nel sangue materno, successivamente, solo verso un polo dell'uovo si circoscrive la neoformazione del trofoblasta e dei villi, e perciò anche la circolazione intervillosa, e precisamente verso quel polo dell'uovo che per primo s'è scavata la strada nello spessore della mucosa. Verso questo polo si circoscriverà la formazione placentare, alla quale concorrerà la parte più profonda della caduca, quella che forma il fondo della camera incubatrice, e che prende il nome di caduca serotina, poggiante a sua volta sulla muscolatura uterina.

Cercando di ridurre la struttura della placenta a un semplice schema possiamo assimilarla a una scatola, il cui fondo e le pareti laterali sono rappresentate dalla caduca, il coperchio dal corion. Nella scatola si riversa il sangue materno proveniente dai vasellini erosi della caduca. Dalla lamina coriale si erge il villo che si ramifica e che si spinge con le sue ramificazioni terminali fino alla caduca serotina, circondato dal sangue materno. La placenta, organo discoidale, per mezzo della caduca serotina, aderisce alla parete uterina. Quando nel periodo del secondamento essa viene distaccata ed espulsa, si presenta in forma d'una focaccia, del diametro oscillante tra 16 e 20 cm., con uno spessore che decresce dal centro alla periferia, con un peso medio di circa 148 gr. Ha una faccia esterna o materna, e una faccia interna o fetale. La faccia esterna, liberata dai coaguli sanguigni che vi aderiscono al momento della sua espulsione, ha un colore rosso scuro e presenta alcuni solchi che la dividono in numero variabile di cotiledoni (da 15 a 20). La faccia interna è liscia e lucente, perché rivestita dalla membrana amnios, che lascia vedere per trasparenza le diramazioni dei vasi ombelicali sulla sottostante membrana corion. Nel centro o press'a poco della superficie fetale s'inserisce il cordone ombelicale, con i suoi tre vasi, due arterie e una vena.

Importante è la conoscenza delle molteplici funzioni della placenta. Sebbene si tratti d'un organo destinato essenzialmente a provvedere alla nutrizione e alla respirazione del feto, essa non manca di esercitare la sua azione anche sull'organismo materno, talché si può parlare di funzioni fetali e di funzioni materne della placenta.

Le più importanti funzioni fetali sono quelle della respirazione e della nutrizione. Alla funzione della respirazione fetale provvede la placenta grazie agli scambî gassosi che si determinano tra sangue materno e sangue fetale attraverso ai sepimenti che dividono le due circolazioni. L'ossigeno, che può così passare per diffusione osmotica, è quello solo che si trova disciolto nel plasma sanguigno, cioè una quantità esigua, assolutamente insufficiente all'ossigenazione dei tessuti fetali. La maggior parte dell'ossigeno del sangue materno è legato al globulo rosso nella forma di ossiemoglobina. Perché quest'ossigeno venga liberato occorre una disintegrazione della molecola dell'ossiemoglobina, occorre cioè una distruzione del globulo rosso. Questa distruzione è data dal potere citolitico, e più specialmente emolitico del trofoblasta, potere che si esercita incessantemente a livello della placenta per tutta la durata della gravidanza. Tale processo di emolisi è tanto intenso, che dovrebbe portare inevitabilmente all'anemia, se non fosse compensato da una più attiva rigenerazione dei globuli rossi negli organi emopoietici materni. Sempre a livello della placenta il sangue fetale si scarica dell'anidride carbonica prodotta dai processi di combustione organica dei tessuti del feto, riversandolo per diffusione nel sangue materno.

La placenta provvede anche alla nutrizione del feto. I materiali nutritizî a esso necessarî non possono passare attraverso i setti che separano le due circolazioni se non allo stato di soluzione. Certo è che il feto non può ricavare i materiali di nutrizione a lui necessarî che dalla placenta, per lo meno nei mesi più avanzati di gravidanza; solo nei primissimi giorni dall'incubazione il materiale nutritizio potrebbe essere fornito dalla vescicola ombelicale. Quanto al liquido amniotico, che il feto deglutisce continuamente, è troppo povero di materiali nutritizî per poter bastare alla sua nutrizione. Solo l'acqua, che è il componente principale del liquido amniotico, passa dallo stomaco del feto nella corrente sanguigna, dove concorre a diluire opportunamente il sangue e variarne la tensione osmotica, per regolare gli scambî osmotici attraverso alla placenta. Oltre alla funzione della respirazione e a quella della nutrizione, alla placenta spetta un'altra importantissima funzione fetale, quella della difesa del feto contro microrganismi patogeni che eventualmente circolassero nel sangue della donna malata. L'infezione del feto attraverso alla placenta è infatti da ritenersi fatto assolutamente eccezionale, che si verifica solo se il tessuto placentare abbia perduto per malattia questi suoi poteri di difesa. Per dire solo delle malattie infettive più comuni, è noto che il bacillo della tubercolosi non passa, si può dire, mai dalla madre al feto, né il plasmodio della malaria, né altri germi patogeni. Taluni, per rendersi conto della frequenza della sifilide fetale, pensano che la spirocheta faccia eccezione a questa regola generale, ma la dimostrazione diretta della possibilità di questo eccezionale passaggio non è ancora stata data, e non mancano altre possibilità di trasmissione della spirocheta dai genitori al feto.

Probabilmente la placenta non limita la sua funzione di difesa a impedire il passaggio di germi patogeni. Essa è in grado di trattenere e fissare anche talune sostanze che per la loro solubilità e diffusibilità si direbbe debbano passare facilmente attraverso il filtro placentare. Così in un gran numero di casi d'itterizia della gravida, i pigmenti biliari circolanti nel sangue materno non passano attraverso la placenta; tanto è vero che il feto non è itterico, mentre il tessuto della placenta si presenta intensamente colorato in verde. Questa capacità di fissare e trattenere i pigmenti biliari la si vuole attribuire alla presenza nella placenta di sali di calcio. È presumibile che una simile azione elettiva possa esercitarsi da parte della placenta anche riguardo ad altre sostanze, solubili o d'altro genere, circolanti nel sangue della gravida malata, per es. su tossine, in modo da renderle innocue al feto.

Passando alle funzioni materne della placenta, ricorderemo anzitutto l'azione che il trofoblasta esplica sulla composizione del sangue materno attraverso la continua distruzione di globuli rossi, e all'attiva rigenerazione di globuli stessi da parte degli organi ematopoietici. Poi va ricordato che il trofoblasta, elemento quanto mai labile, va incontro a continui processi di regressione e di rigenerazione. Zone di trofoblasta in necrosi si osservano sempre nella placenta, con l'aspetto di masse amorfe che costituiscono la cosiddetta fibrina canalicolata. Questi processi di necrosi cellulare mettono in libertà fermenti endocellulari che vengono trascinati nel circolo materno. La rigenerazione continua del trofoblasta si fa per gemme epiteliali, molte delle quali per la loro fragilità si staccano e vengono anch'esse travolte in circolo, dove formerebbero fatalmente degli emboli nei capillari polmonari, se non intervenisse provvidamente la disgregazione di queste gemme sinciziali, in grazia del potere sinciziolitico acquistato dal siero di sangue della gravida. Tale potere sinciziolitico non è una semplice ipotesi, ma è un fatto rilevabile attraverso alla reazione di Abderhalden. Si sa infatti che il siero di sangue della donna gravida ha la proprietà di attaccare e di sciogliere i proteidi d'origine placentare, trasformandoli in peptoni. Su questa proprietà è anzi basata la possibilità d'una diagnosi sierologica della gravidanza. Una riprova eloquente si ha nel campo patologico, perché v'è una malattia della gravida nella quale il siero di sangue perde questo suo potere sinciziolitico, ed è l'eclampsia. Ora uno dei reperti anatomopatologici più caratteristici dell'eclampsia è appunto la presenza nei capillari polmonari d'innumeri emboli sinciziali.

La placenta, secondo le moderne vedute, va considerata anche come organo a secrezione interna, produttore di quegli ormoni che, passati nel circolo materno, vengono poi eliminati con le urine, dove la loro presenza è facilmente rivelata dalla reazione di Aschheim-Zondeck. Iniettate infatti a topoline immature, queste urine determinano la precoce maturazione dei follicoli ovarici, che viene messa in evidenza dall'autopsia dell'animale. Tale reazione, che è preziosissimo acquisto per la diagnosi biologica della gravidanza, è la riprova della funzione endocrina della placenta. D'altra parte tale funzione endocrina non può a meno di avere una ripercussione nella funzione e anche nella struttura, durante la gravidanza, di tutti gli altri organi a secrezione interna.

Da questi semplici accenni s'intuisce la complessa azione che la presenza della placenta ha nel modificare, non solo la composizione del sangue della gravida, ma si può dire di tutti i tessuti, di tutti gli organi, di tutti gli elementi che li costituiscono, talché si può a buon diritto parlare d'una speciale anatomia e d'una speciale fisiologia della gravida. Naturalmente tali modificazioni si riflettono anche sulla reazione della gravida agli agenti morbosi, in quanto che l'organismo modificato dalla gravidanza imprime a ogni malattia che colpisca accidentalmente la donna gravida un andamento speciale, cosicché si deve parlare d'una patologia speciale della gravidanza. Ma, oltre alle malattie comuni, la gravida è esposta a forme morbose particolari, ignote fuori della gravidanza, perché le varie sostanze che la placenta immette in circolo (fermenti endocellulari, prodotti di disfacimento delle gemme di sincizio deportate, ormoni placentari) possono cambiarsi in fattori di malattia se esagerati in quantità, se alterati nella qualità, o se l'organismo della donna non acquisti o perda quelle qualità che la gravidanza gli conferisce, di neutralizzare le sostanze d'origine placentare. Così, per es., nella gravidanza molare il trofoblasta esageratamente sviluppato fornirà al sangue materno un contributo di fermenti, di ormoni, di prodotti di sinciziolisi, tale da superare i poteri di difesa naturali e da erigersi per sé stesso a causa di malattia. In tal caso sarà giusto parlare d'una vera intossicazione materna d'origine trofoblastica o placentare. Probabilmente anche l'eclampsia, nella quale si osservano tanto spesso alterazioni placentari in forma d'infarti, e che al tavolo anatomico dà anche il singolare reperto di numerosi embolismi sinciziali nei vasi polmonari, è una malattia da intossicazione placentare, come lo è spesso anche il vomito incoercibile delle gestanti, l'anemia perniciosa, l'atrofia gialla acuta del fegato, la corea e la tetania gravidica, e non poche delle malattie della pelle in gravidanza. Se ne conclude che la placenta, come tiene un posto di primo ordine nel campo della fisiologia della gravidanza, è anche l'elemento essenziale per la patogenesi di tutto un gruppo delle malattie della gravidanza, e, precisamente, il gruppo delle malattie da autointossicazione gravidica.

Bibl.: C. Romiti, Placenta (anatomia), in Enciclopedia medica, Milano; I. Clivio, Contributo alla conoscenza dei primi stadii di sviluppo della placenta in alcuni mammiferi, in Studii di ostetricia e ginecologia, Milano 1890; H. Peters, Über die Einbettung des menschlichen Eies, ecc., Lipsia-Vienna 1899; H. Peters, Über die Einbettung des menschlichen Eies, ecc., Lipsia-Vienna 1809; E. Pestalozza, Placenta (fisiologia e patologia), in Enciclopedia medica, Milano; A. Cuzzi, Gravidanza (fisiologia e patologia), in Enciclopedia medica, Milano; G. GUicciardi, A proposito di un uovo umano di circa 19 giorni, in Ann. di ost. e gin., 1902; E. Cova, Über ein menschliches Ei der Zweiten Woche, in Archiv f. Gyn., 1907; O. Grosser, Vergleichende Anatomie und Entwickelungsgeschichte der Eihäute und der Placenta, Vienna e Lipsia 1909.

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