Pirateria

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L’azione brigantesca di percorrere il mare con proprie navi per impadronirsi di beni altrui in vista di fini personali. Per estensione, p. aerea, atto criminoso consistente nel prendere possesso, per lo più con la minaccia delle armi, e assumere il controllo di un aeromobile, normalmente per dirigerlo verso una destinazione finale diversa da quella originariamente stabilita; p. informatica, l’attività di chi, ottenendo illegalmente accesso a reti di informazioni e archivi di dati informatici, copia programmi o dati riservati, oppure inserisce delle modifiche nella documentazione (per es. di istituti di credito) per ricavarne vantaggi illeciti.

Diritto

Secondo la definizione contenuta nell’art. 15 della Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958 e nell’art. 101 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982, deve intendersi per p. marittima qualsiasi atto illegittimo di violenza o impossessamento commesso in alto mare, a scopo di rapina, dall’equipaggio di una nave a danno di un’altra. Per favorire la repressione della p., il diritto internazionale, in deroga al principio generale secondo il quale gli Stati devono, in tempo di pace, astenersi dal compiere in alto mare atti coercitivi su navi straniere, attribuisce agli Stati stessi il potere di sottoporre a visita qualsiasi nave sospetta di p., e di catturarla e di punire i colpevoli. Per la repressione dei reati di p. – ancora attuali tanto che la disciplina italiana è stata innovata anche di recente, in particolare con il d.l. 209/2008 (convertito in l. 12/2009) – vale pertanto il principio dell’universalità della giurisdizione penale, in base al quale qualsiasi Stato ha la facoltà, anche se non l’obbligo, di esercitare la propria potestà coercitiva nei confronti di tali crimini. La disciplina internazionale in materia di p. è stata integrata con l’adozione della Convenzione di Roma del 10 marzo 1988, la quale da un lato amplia la nozione tradizionale di p. ricomprendendovi qualsiasi atto illecito contro la sicurezza della navigazione marittima, compresi quindi gli atti di terrorismo, dall’altro adotta, per la repressione di tali atti, il principio «o estradare o giudicare», imponendo agli Stati contraenti l’obbligo di procedere all’estradizione del colpevole o, in alternativa, di esercitare nei suoi confronti la propria competenza giurisdizionale. Nel diritto italiano la p. è prevista e punita nell’art. 1135 cod. nav. In tale norma elemento costitutivo del reato è la depredazione ovvero la violenza in danno della nave o delle persone a scopo di depredazione.

La disciplina internazionale per la repressione degli atti di p. aerea è nelle sue linee generali ricalcata su quella della p. marittima. Il primo strumento giuridico elaborato a livello internazionale per far fronte a questo fenomeno è stata la Convenzione di Tokyo del 14 settembre 1963, a cui è seguita quella dell’Aia del 1970. In base a quest’ultima convenzione, lo Stato aderente si impegna a punire il reato di p. aerea con pene severe. Il trattato non riguarda gli aeromobili impiegati per scopi militari, doganali o di polizia, ritenuti in grado di provvedere alla propria difesa; si applica solo agli aeromobili «in volo», considerati tali dal momento in cui tutti i loro portelli esterni sono stati chiusi fino al momento in cui uno di essi viene aperto per lo sbarco, e ai soli voli internazionali, cioè a quelli in cui il luogo del decollo o quello dell’atterraggio dell’aeromobile a bordo del quale sia stato commesso il reato, si trovi fuori dal territorio dello Stato in cui è stato immatricolato. Aderendo a questo accordo, l’Italia ha emanato la l. 342/1976 che punisce il fenomeno del dirottamento aereo, rivolgendosi indistintamente al cittadino italiano o straniero, qualora l’aereo dirottato sia di immatricolazione italiana, o atterri in Italia con a bordo il dirottatore, o sia stato dato in noleggio in Italia o a persone residenti in Italia, o l’autore del dirottamento si trovi in Italia e non sia stata disposta l’estradizione. La sanzione prevista è la reclusione da 7 a 21 anni.

Atti di p. sono considerate, nell’art. 144 del Codice della proprietà industriale, le contraffazioni e le usurpazioni di altrui diritti di proprietà industriale, realizzate dolosamente in modo sistematico, contro le quali sono dal codice stesso previste misure di contrasto.

Storia

Pirati anatolici e fenici sono ricordati già dal 2° millennio a.C., e documenti assiri (8°-7° sec.) parlano di pirati greci che si spingevano fino alle coste della Siria. Una certa pace sul mare fu portata dalla costituzione della lega di Delo e dal dominio incontrastato della flotta ateniese ma, con la guerra del Peloponneso, la p. risorse. È importante notare che nell’antichità spesso il concetto di p. si confonde con quello di rappresaglia, di guerra marina, ma anche di difesa del proprio commercio, talché il fenomeno veniva considerato del tutto ordinario. Nel Mediterraneo occidentale, furono abili pirati gli Illirici, i Liguri e gli Etruschi. Dal 4° sec. a.C. la difesa delle coste tirreniche fu assunta da Roma. Nel Mediterraneo orientale la p. divenne (2°-1° sec.) un fenomeno gravissimo, soprattutto dopo la caduta di Rodi; organizzati in forti squadre, i pirati che agivano in questi mari si spinsero con successo anche nel Mediterraneo occidentale; la lotta contro di loro fu affidata infine nel 67 a Pompeo, che riuscì a liberarne definitivamente il mare. L’Impero costituì poi le due flotte di Ravenna e di Miseno, che provvidero a esercitare funzioni di polizia marittima, così che di p., meno che nel Mar Rosso e nel Mar Nero, non si parlò più fino al 3° sec., quando il fenomeno ricomparve quale sintomo evidente della decadenza di Roma.

Nel Medioevo, movimenti di conquista e p. spesso si identificano, come nel caso dei Normanni o degli Arabi. Fenomeno in parte differente dalla p. fu la guerra di corsa, diffusasi nel Mediterraneo a partire dal 12° e 13° sec., e nell’Oceano Atlantico dal 16° secolo. Nell’età moderna, la p. trovò il terreno più propizio nel Mar delle Antille, in vicinanza delle ricche colonie spagnole, sulla rotta dei galeoni carichi d’oro e d’argento.

La p., ridotta dal 19° sec. a casi sporadici, salvo nell’Estremo Oriente, dove fu combattuta dalle flotte inglesi, ha conosciuto una preoccupante ripresa a partire dagli ultimi decenni del 20° sec., interessando in particolare lo Stretto di Malacca, il Golfo di Aden, al largo del Corno d’Africa, e in genere le acque della Cina meridionale e dell’Africa occidentale. Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, atti di p. furono effettuati nei confronti di navi giapponesi, così come negli anni Ottanta e Novanta numerose imbarcazioni di profughi vietnamiti furono oggetto di sanguinosi attacchi da parte di pirati thailandesi. Nei primi anni del 21° sec. la p. ha continuato a prendere vigore, ricevendo impulso anche dal ridotto pattugliamento  delle acque successivo alla fine del bipolarismo e dall'ulteriore sviluppo del volume dei traffici marittimi conseguente anche alla crescita delle economie asiatiche. Configurandosi in modo molto diverso da quella attiva nel Sud-Est asiatico negli ultimi decenni del secolo precedente, diretta all'assalto di navi da diporto, pescherecci e zattere di profughi, la p. odierna, dotata di armi sofisticate e imbarcazioni potentemente equipaggiate, è volta prevalentemente al sequestro di navi mercantili di grosso tonnellaggio, da cui si sviluppa una lucrosa attività di accaparramento di merci e carburante e richieste di riscatto. Le aree maggiormente colpite dal fenomeno sono i mari di Indonesia, Malaysia, Thailandia (lo Stretto di Malacca, in particolare, via commerciale strategica che collega l'Oceano Indiano all'Oceano Pacifico), Nigeria, Corno d'Africa, e più in generale tutto l'Oceano Indiano.

Approfondimento:

Quale giurisdizione per i pirati catturati nel Golfo di Aden? di Ilja Richard Pavone

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