PIOMBO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

PIOMBO (μόλυβδος, μόλιβος; plumbum)

L. Vlad Borrelli

Metallo che, generalmente, non si trova libero in natura, ma è noto fin dalla più remota antichità grazie al suo minerale più importante, la galena (solfuro di p.); probabilmente fu scoperto proprio incidentalmente dalla galena che, scaldata in un ordinario fuoco di legna o di carbone, è ridotta in piombo.

L'impiego del p. nel campo artistico fu sempre limitato e circoscritto per lo più a oggetti di artigianato minore per le difficoltà della lavorazione, trattandosi di un metallo troppo malleabile, poco duttile, con un punto di fusione eccessivamente basso (327° C) e di aspetto non gradevole. Che si trattasse di un metallo vile lo attesta anche il prezzo che in Grecia era di cinque dracme per ogni talento e a Roma, nel I sec. d. C., di sei centesimi la libbra (plumbum nigrum; il plumbum album era lo stagno).

I principali centri di produzione del p. nel mondo antico (μολύβδον μέταλλα, plumbaria o plumbaria metalla) erano in Attica (miniere di p. argentifero del Laurion), in Macedonia, a Cipro, a Rodi, in Gallia, in Britannia (ove, secondo quanto riferisce Plinio, Nat. hist., xxxiv, 47-49, se ne produceva con tanta abbondanza che una legge vietava di fabbricarne più di una certa quantità), nella Spagna meridionale, nell'Africa, in Etruria, in Sardegna, all'Isola d'Elba, alla Capraia, alle Baleari, alle isole Cassiteriti. Le miniere di p. argentifero di Cartagena occupavano in epoca romana quarantamila schiavi. L'estrazione avveniva sottoponendo a lungo trattamento il minerale, generalmente la galena, e il metallo veniva poi messo in commercio in verghe e lingotti (massae plumbeae) contraddistinti dalla marca stampigliata dell'officina o da nomi di imperatori, procuratori o privati. Si comincia a parlare di coppellazione, cioè del procedimento di estrazione dell'argento dal p., dai tempi di Strabone, ma forse la si praticava già sin dal III millennio nell'Asia Minore nordorientale; già all'epoca di Ciro il p. serviva per affinare l'oro.

Il p. è conosciuto certamente fin dalla metà del IV millennio a. C. Compare già ad Anau I e Kish I e negli strati più bassi di Tell Halaf; è menzionato nei geroglifici egiziani e nelle iscrizioni cuneiformi mesopotamiche. Recipienti in p. sono sfati trovati in Mesopotamia in sepolcri del 3500-3100 a. C.; fogli e recipienti di p. sono stati scoperti nelle tombe reali di Ur. Conosciuto già nell'Egitto predinastico, il p. nell'epoca protodinastica forniva materia a figurine e a piccole statue, ma l'uso ne divenne sempre più popolare al tempo della III e della IV dinastia. Menzionato nell'Iliade (xi, 237; xxiv, 80) è stato trovato a Troia I (320c-2600 a. C.) sotto forma di sbarre e di verghe. Un idoletto femminile in p., lungo 8,6 cm, fu trovato a Troia Il (prima Età del Bronzo 2600-2300 a. C., analogo ad alcuni rinvenuti dal Bittel ad Alişar ii insieme con le forme). Dagli strati della prima e da quern della media e tarda Età del Bronzo di Thermì provengono un braccialetto, dei fili e delle fasce in piombo.

Asce votive in p. sono state trovate in stazioni lacustri preistoriche della Svizzera, dell'Italia, dell'Inghilterra e della Russia meridionale.

I grandi santuarî greci hanno restituito una copiosissima serie di statuette fatte a stampo con figurine maschili, femminili, animali, lastre intagliate e impresse con immagini di divinità, oggetti che imitano l'oreficeria o le fibule in avorio: modesti ex voto popolari che si trovano nel Menelaion, nell'Amyklaion, nel santuario di Artemide Orthìa a Sparta, nell'Heraion di Argo, a Bassae, a Fliunte, con una continuità che segue la vita del santuario e che ha permesso, ad esempio, nel caso del santuario di Artemide Orthìa, la classificazione in varie serie cronologiche a partire dal VII fino alla metà del Il sec. a. C. Spesso, quando la statuetta o la lamina sono ricavate da una sola matrice, il rovescio è liscio.

Non manca però qualche opera di maggior rilievo, come la statuetta arcaica da Tigani (Samo) conservata al Museo Archeologico di Firenze. Si tratta di un piccolo koùros in p., alto cm 11,5, ottenuto con un processo di fusione a pieno, cioè con doppia matrice, con volto triangolare, acconciatura a Etagenperücke, corpo esile e allungato che contrasta con le spalle e gli arti robusti e massicci. Singolare è un'altra statuetta di koùros, alta cm 14,6, in argento, con anima di p., trovata presso il tempio di Apollo Alèo a Cirò. L'incamiciatura ad involucro è formata di due metà verticali, unite e martellate a caldo; il nucleo di p. serviva probabilmente per far reggere in piedi la statuetta. Per gli evidenti caratteri prassitelici è datata alla prima metà del IV sec. a. C.

Da una tomba di Sovana provengono due statuette in p. fuse ma ritoccate con il bulino e con la lima. Si tratta di una figurina virile alta cm 18 e di una femminile alta cm 16, entrambe con le mani legate dietro la schiena e databili alla seconda metà del sec. IV a. C. Sul corpo le statuette recano incise delle iscrizioni, probabilmente un mutilo nome maschile quella maschile (zer... cecnas) e certamente un nome femminile quella femminile (veha satnea).

Ci troviamo di fronte a defixiones, statuette, cioè, con cui si intendeva invocare fatture e malefici sulle persone riprodotte e individuate dal nome inciso. È questo uno degli impieghi comuni e antichissimi del p., metallo vile e malefico. Si ricorderanno ancora, in proposito, un torso di statuetta del Museo delle Terme che reca sul petto il nome del fatturato, Titus Tregelo Celsus, e sulla spalla l'avanzo del chiodo confitto, simbolo del male invocato; una figurina acefala del III sec. a. C. trovata in un sepolcro attico, e le tabellae defixionum, laminette plumbee di varia forma, spesso forate da chiodi su cui si leggono formule magiche esecratorie. Una delle più singolari è certamente quella trovata in territorio etrusco, a Monte Pitti, presso Populonia, ove in circa cinquanta parole è contenuta la maledizione di una libertà contro personaggi in parte imparentati fra loro (III sec. a. C.).

Un riuscito impiego il p.lo trova in un numeroso gruppo di sarcofagi provenienti per la maggior parte dalla Fenicia, soprattutto da ipogei nei dintorni di Beirut e Sidone, ma alcuni rinvenuti anche nell'Europa meridionale (Italia, Francia meridionale) e nell'Africa del N, e conservati nei musei di Beirut e Istanbul, ma con frammenti sparsi anche nei principali musei del mondo (Parigi, Bruxelles, Copenhagen, Stoccarda, Hildesheim, Amburgo, Monaco, Boston, New York, ecc.). Si tratta di sarcofagi a cassa fatti con lastre di p. dello spessore di pochi millimetri, fuse in forme di terracotta, che forse erano conservati entro custodie in terracotta. I lati lunghi, in genere, erano fusi insieme con quello di base, gli angoli sono rinforzati e i coperchi piatti o arcuati sono apribili da un lato mediante una cerniera formata da un cilindro cavo entro cui scorre una verga metallica. A seconda del tipo di decorazione questi sarcofagi sono stati divisi in tre gruppi. Quelli: del gruppo A hanno coperchi piatti ed i lati scanditi da colonne fra le quali sono uomini e fiere; i sarcofagi del gruppo B, sempre con, coperchi piatti presentano una decorazione lineare, con strisce, linee, perle, ecc.; quelli del gruppo C appaiono molto più ricchi: il coperchio è arcuato e i lati, partiti da colonne, recano negli intercolumni un'esuberante ornamentazione con foglie di vite o di edera, sfingi, meduse, delfini, kàntharoi, ecc. Si tratta di prodotti di un raffinato artigianato con indirizzo eclettico che trovano la loro situazione cronologica dal Il, o forse anche dal I, fino al principio del V sec. d. C.

Il p. era impiegato anche per suppellettili domestiche: candelabri, anfore, vasi (due cilindrici da Pompei, altri minuscoli nei corredi funebri), giocattoli (figurine da Amelia nella Collezione Ravestein, altre conservate nell'Antiquarium di Berlino, ecc.).

La malleabilità rendeva il p. adatto all'incisione; fra le lamine iscritte si ricorderà il p. di Magliano, lunga iscrizione etrusca di almeno settanta parole con nomi di divinità e indicazione di offerte funerarie, documento particolarmente importante della lingua etrusca del VI sec. a. C.

Il p. era altresì adoperato nella monetazione per i conî e sopratutto per adulterare le monete. Al Cabinet des Médailles a Parigi si conservano uno statere arcaico di Mileto in p. ricoperto di elettro e alcune monete plumbee della Asia Minore. Erodoto (iii, 56) riferisce l'inganno ordito da Policrate di Samo, che comperò la ritirata degli Spartiati con stateri di p. dorato gabellati per veri. Ma monete con anima di p. ebbero anche corso legale in alcuni periodi economicamente depressi (monete suberate). In Gallia, Africa ed Egitto circolarono dei piombi con valore di moneta.

Di p. erano ancora oggetti caratteristici o di uso comune nella vita degli antichi, come piombi di dogana, sigilli, buoni, gettoni, biglietti di ingresso ai giochi, tavolette per scrivere, lampade, ami, cassette per profumi e medicinali, urne cinerarie, bullae cioè le piastrine di riconoscimento dei soldati -, medaglie di devozione dei cristiani, àncore ecc. Col p. si facevano le glandes missiles, che venivano lanciate con la fionda e recavano a lettere rilevate i nomi di capi militari, numeri di legioni, apostrofi, le flagrae o piumbatae, cioè sferze con corto manico formate da varie corde e catenelle terminanti ciascuna in una pallina di p.; di p. erano le condutture d'acqua (fistulae aquariae), che recavano i nomi talvolta di imperatori, talaltra di procuratori imperiali, di privati proprietarî delle case, dei terreni percorsi dalle condutture, o anche dell'officina e degli operai che lavoravano il p. (plumbarii). Il p. fu poi impiegato nell'edilizia fin dai tempi più antichi per legare le grappe nei blocchi delle costruzioni, nei tamburi delle colonne; nella toreutica per riempire con metallo fuso le cavità dei rilievi o applicare emblemata sui vasi d'argento (plumbare, adplumbare) e nella lavorazione del vetro. Con p. fuso si suturavano le incrinature nelle statue, nei dolî, nelle anfore, nei vasi.

Da alcuni minerali del p. gli antichi trassero sostanze coloranti quali: per il bianco, la cerussa o biacca (carbonato basico di p.); per il giallo, l'antimoniato di p. e il massicot o litargirio (protossido di p.), usato dagli Egiziani, dagli Assiri e dai Babilonesi; per il rosso, il minio (ossido salino di p.); per il nero, il solfuro di p. (conosciuto dagli Egiziani).

Monumenti considerati. - Idoletto femminile: W. Dörpfeld, Troja und Ilion, Atene 1902, p. 362 ss.; C. W. Blegen, Trov, Cincinnati, i, 1950, p. 208. Trovamenti a Milo: P. Wolters, in Ath. Mitt., xxiii, 1898, p. 462 ss., xxv, 1900, p. 339 S. A Thermì: W. Lamb, Excavations at Thermì in Lesbos, Cambridge 1936. Ex voto del Menelaion e dell'Amyklaion: Chr. Tsountas, in Eph. Arch., 1892, p. 17 s.; P. Perdrizet, in Revue Arch., i, 1897, p. 8 ss. Di Artemide Orthia: A. J. B. Wace, in R. M. Dawkins, Artemis Orthia, Londra 1929, p. 249 ss. Statuetta da Tigani: A. Minto, Figure virili arcaiche,. in La Critica d'arte, 1943 (estratto); Di Cirò: P. Orsi, Templum Apoilinis Alaei, in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia, Roma 1932, p. 91 ss., tav. x. Di Sovana: B. Nogara-L. Mariani, in Ausonia, iv, 1909, p. 31 ss. Tabellae defixionum: L. Cesano, in E. De Ruggero, Diz., 11, p. 1558 ss., s. v. Defixio. Tabella di Monte Pitti: C. I. E., 5211. Sarcofagi: A. Müfid, in Jahrbuch (Arch. Anz.), xlvii, 1932, p. 387 ss. Suppellettili domestiche: E. v. Merklin, in Jahrbuch (Arch. Anz.), xliii, 1928, p. 462 ss. Lamina di Magliano: C. I. E., 5237. Per il p. come moneta: E. Babelon, Traité des monnaies, Parigi 1901, i, p. 372 ss.

Bibl.: K. B. Hofmann, Das Blei bei den Völkern des Altertums, Berlino 1885; H. Blümner, Technologie und Terminologie, Lipsia 1887, IV, i, s. v. Blei; R. Wünsch, C. I. A., Appendix cont. defixionum tabellas..., Berlino 1897; (oltre ai libri citati nei Monumenti considerati): H. Blümner, in Pauly-Wissowa, V, 1897, cc. 561-564, s. v. Blei; M. Besnier, in Dict. Ant., IV, i, pp. 511-515, s. v. Plumbum; G. Perrot-C. Chipiez, Hist. de l'Art, VIII, Parigi 1904, pp. 183-185; A. Audollent, Defixionum Tabellae, Parigi 1940; M. Rostovzev, Tesserarum... plumbearum Sylloge, Pietroburgo 1903-5; I. Guareschi, in Nuova Enciclopedia di Chimica, Torino 1922, X, s. v. Plumbum; S. Augusti, Colori antichi e colori moderni, Napoli 1948; L. Aitchison, A History of Metals, Londra 1960, pp. 43-45; C. Singar, E. J. Holmyard, A. R. Hall, T. I. Williams, Storia della Tecnologia, I, Torino 1961, p. 592-94.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata