PILOCARPINA

Enciclopedia Italiana (1935)

PILOCARPINA

Alberico BENEDICENTI
Leonardo MANFREDI
Mario BARBARA

. Alcaloide delle foglie del Pilocarpus pinnatifolius (Jaborandi). La farmacopea italiana (1929) registra il cloridrato di pilocarpina (pilocarpinum hydrochloricum: C11H16N2O2•HCl) in cristalli bianchi, aghiformi o lamellari, inodori, amari, deliquescenti, solubili in acqua.

Piccole dosi di pilocarpina (0,01-0,02 gr.) per bocca o sottocutaneamente dànno innanzi tutto una sindrome nitritoide: rossore al volto e alle parti superiori del tronco, pesantezza al capo, sensazione di calore, pulsazioni alle carotidi. Tutte le secrezioni aumentano: la saliva, il sudore, il muco bronchiale, le lacrime, la bile e le altre secrezioni del tubo digerente, di cui sono aumentati anche i movimenti peristaltici con diarrea. Per instillazione di una soluzione di cloridrato di pilocarpina nella congiuntiva si ha miosi e abbassamento della pressione endoculare, per cui viene usata nella cura del glaucoma. Per eccitazione della terminazione del vago si ha dapprima rallentamento dei battiti cardiaci, poi, per paralisi, acceleramento. Il consumo dell'ossigeno da parte del cuore è diminuito; l'attività cardiaca è minore del normale, la sistole è incompleta, entrambi i ventricoli sono dilatati e il sangue residuo è aumentato. La pressione diminuisce; le coronarie sono ristrette, mentre il volume degli arti aumenta specialmente dopo estirpazione dei ganglî simpatici. Le azioni descritte, dovute a eccitazione del sistema nervoso autonomo, scompaiono per piccole dosi di atropina, poiché essa paralizza le estremità nervose autonome, che vengono eccitate dalla pilocarpina. Anche l'iperglicemia da pilocarpina è tolta dall'atropina.

Il cloridrato di pilocarpina si somministra nell'uomo alla dose di gr. 0,005-0,01 per iniezione sottocutanea, come eccitante delle secrezioni. Come collirio, e per la cura del cuoio capelluto è usato al 0, 5%.

Avvelenantento da pilocarpina. - È assolutamente raro, ricorda assai da vicino l'avvelenamento da fisostigmina. Dosi superiori ai gr. 0,02 sono mal tollerate e dànno sintomatologia tossica; dosi anche minori possono causare gravi danni, quando l'organismo non sia integro nei suoi apparati. Sia introdotta direttamente in circolo, come cloridrato di pilocarpina, sia ingerita come infuso di jaborandi, tale sostanza produce nello spazio di pochi minuti vasodilatazione cutanea facciale intensa, salivazione abbondantissima, lacrimazione, iperidrosi generalizzata, nausea, vomito e diarrea, essendo un eccitante specifico dell'apparato nervoso motore intestinale. L'ipersecrezione tracheobronchiale è notevole; in certi casi si ha edema polmonare. Come la nicotina, prima rallenta, poi accelera il polso, per un'azione prima eccitante quindi inibitrice sulle terminazioni vagali. La pupilla prima miotica si dilata successivamente; v'è crampo dell'accomodazione, tenesmo vescicale, contrazioni uterine; a carico del sistema nervoso centrale, vertigini, cefalea. La cura, in caso d'ingestione, si riduce a uno svuotamento seguito da lavaggio dello stomaco; la somministrazione di tannino o di soluzione iodoiodurata potrà precipitare in un composto insolubile l'alcaloide eventualmente ancora disciolto. L'antidoto farmacologico è l'atropina per iniezione.

Reazione pilocarpinica e atropinica. La pilocarpina è l'antagonista fisiologico dell'atropina; difatti la prima produce manifestazioni tipiche di vagotonia, dovute alla stimolazione elettiva che essa esercita sul vago, mentre l'atropina produce manifestazioni simpaticotoniche dovute al fatto che, esercitando essa un'azione inibitrice sul vago, si determina una rottura dell'equilibrio vagosimpatico con conseguente prevalenza del tono della sezione simpatica propriamente detta. Iniettata a dosi moderate (gr. 0,01 −0,02), la pilocarpina determina già nei soggetti normali un certo rallentamento dei battiti cardiaci (6-8 pulsazioni) e un lieve grado di sudorazione e di salivazione. Nei soggetti che hanno invece un tono elevato della sezione autonoma (vagotonici) si produce una brusca crisi vagotonica caratterizzata da intensa bradicardia, ipotensione, aritmie, lipotimie e sincopi; sudorazione e salivazione intensa; ipercloridria, nausea, vomito, coliche addominali, diarrea o costipazione spastica, miosi. Data la violenza dei fenomeni cui le suddette dosi possono dar luogo, e consigliabile di somministrare la stessa quantità in dosi frazionate, di gr. 0,005, e ripeterle di 15 in 15 minuti fino alla comparsa, in forma meno grave, dei sintomi caratteristici. La quantità di alcaloide necessaria a ottenere una reazione manifesta è in ragione inversa del grado di eccitabilità della sezione autonoma. L'atropina, che agisce invece come inibitore del vago, produce alla dose di gr. 0,001, nei soggetti con tono della sezione simpatica elevato, una crisi simpaticotonica approssimativamente uguale a quella provocata dalla iniezione di adrenalina (tachicardia, ipertensione, ecc.). Nella pratica semeiologica si adopera l'atropina, a scopo diagnostico, nei casi di bradicardia e per decidere se essa sia di origine nervosa (vagale, ipervagotonica) oppure sia dovuta a un disturbo della conduzione per lesione anatomica del fascio di His. In tali casi, dopo aver notato il numero delle pulsazioni cardiache, si inietta per via sottocutanea gr. 0,001 di solfato di atropina e si esamina il polso di 5 in 5 minuti. Tanto in condizioni normali quanto nelle bradicardie di origine nervosa, dopo 1/4-1/2-2/4 d'ora si ha un acceleramento del polso, di circa 25 pulsazioni al minuto, che scompare poi in seguito più o meno rapidamente. Se tale acceleramento non si produce o è inferiore alle 10 pulsazioni, si ripete la prova nel giorno successivo, iniettando una quantità doppia di atropina (0,002). Qualora la bradicardia persista, si concluderà per una lesione delle vie di conduzione. Si possono avere casi di dubbia interpretazione (accelerazioni fra 10-20 al minuto).