PILASTRO

Enciclopedia Italiana (1935)

PILASTRO (dal lat. pila; fr. pilier; sp. pilar; ted. Pfeiler; ingl. pillar)

Luigi Crema

Elemento costruttivo verticale, di forma generalmente prismatica, raramente monolitico; più tozzo e robusto della colonna, ha, come questa, l'ufficio di sostenere le strutture che lo sovrastano. L'origine è evidentemente dovuta alla conformazione di pareti discontinue o alla necessità di appoggi intermedî per la copertura di ambienti vasti. Monolitico, o formato da blocchi quadrati di granito con altezza uguale dapprima a 2 volte, poi a 4-5 volte la larghezza, il pilastro si trova più o meno usato in Egitto fino a tutto il medio impero. Meno frequente nei templi del nuovo impero, in epoca tarda è quasi completamente soppiantato dalla colonna.

Dopo la IV dinastia il pilastro riceve una decorazione scolpita e dipinta analoga a quella dei muri, oppure con motivi ad altorilievo (fiori di loto, sistri, ecc.) che prendono tutta la sua altezza (pilastri di Tḥutmóśe III a Karnak). La forma rimane tozza nei pilastri che circondano i templi peripteri (Elefantina). A Deir el-Baḥrī, i pilastri che corrispondono a una fila di colonne hanno la faccia rivolta verso queste arrotondata, e la loro sezione assume pertanto la forma di un D. In genere i pilastri egiziani non hanno né base né capitello; in rari casi sono coronati, come i muri, dall'abituale cornice a guscio, con un abaco, che è come il prolungamento del pilastro stesso. Frequente, specialmente nell'età ramessea, è il caratteristico pilastro osiriano, a cui è addossata una statua colossale del re sotto forma di Osiride. Simile a questo è il pilastro della XXV dinastia, che si trova a Gebel Barkal, in cui Osiride è rimpiazzato dalla grottesca figura del dio Bîs. Il pilastro hathoriano è, come la colonna dello stesso tipo, sormontato da due o quattro teste della dea Hathor saldate nella parte posteriore (Abu Simbel). Gli Egiziani usarono sistematicamente pilastri addossati ai muri, per terminare i colonnati compresi tra le pareti a scarpa dei piloni; tale disposizione è rara per i colonnati tra muri a paramento verticale.

In Mesopotamia, a Tello, si hanno pilastri formati dalla riunione di quattro colonne cilindriche, in mattoni a quarto di cerchio, su zoccoli rettangolari.

L'architettura minoica impiegò spesso pilastri a sezione quadrata, monolitici o a varî blocchi (Festo), talvolta con scolpita la doppia ascia (Cnosso).

L'architettura etrusca usò pilastri semplicemente utilitarî, lisci, senza base né capitello (tomba di Casal Marittimo), o pilastri con basi e capitelli di vario tipo e con le facce scanalate. Nella tomba dei rilievi dipinti, a Cere, sui pilastri sono raffigurati a bassoririlievo, come se vi fossero appesi, vasi e oggetti varî.

I Greci conformarono le testate dei muri longitudinali dei templi (v. anta) a pilastro; il più antico esempio è forse quello del tempietto A sulla patela di Prinià (Creta), in cui tra le due ante si trovava un pilastro della stessa forma di queste. Nei templi dorici il capitello dei pilastri d'anta ha dapprima la forma di un canestro schiacciato ("basilica" di Paestum), poi acquista lo stesso profilo della cornice a becco di civetta che corona i muri; nei templi ionici può essere a volute (tempio di Atena a Priene) o a modanature rettilinee (tempio di Athena Nike, sull'Acropoli); nei templi corinzî, presso i Romani, è invece sempre simile al capitello delle colonne. Rari sono presso i Greci i pilastri isolati; Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 179) ne distingue un ordine col nome di "ordine attico"; di questo tipo, derivato dall'anta dorica, furono i pilastri del monumento di Trasillo, ad Atene, e probabilmente anche quelli dell'arsenale del Pireo; derivano invece dall'anta ionica i pilastri dei propilei del tempio di Atena a Priene. Pilastri con figure addossate si trovarono ad Atene e a Corinto; talvolta a pilastri rettangolari furono appoggiate mezze colonne doriche, come nel cosiddetto portico da tori a Delo, in cui i capitelli dei pilastri sono ornati da una figura bovina, e nel proskenion del teatro di Priene.

Roma, come già si è accennato, dette ai pilastri d'anta le forme della colonna. Per impostare gli archi ricorse con tipica disposizione a robusti pilastri, ai quali addossò le semicolonne degli ordini architettonici che inquadrano la struttura arcuata (Tabulario, Colosseo, ecc.). Nelle architetture decorative usò pilastri marmorei di piccole dimensioni, riccamente ornati. Per i pilastri addossati alle pareti, v. lesena.

Delle architetture cristiane orientali, la siriaca impiegò tozzi pilastri a sezione rettangolare (chiesa di Qalb Lūzeh), l'armena slanciati pilastri a fascio (cattedrale d'Ani). Bisanzio sostituì spesso alle colonne pilastri di mattoni o di pietra; a sostegno delle cupole pose quattro pilastri che, dopo aver raggiunto grandi dimensioni, furono resi meno ingombranti, diminuiti di spessore o divisi in quattro pilastri più piccoli collegati da archi o da una calotta sferica (S. Marco, a Venezia).

In Occidente si cominciarono dapprima ad alternare pilastri e colonne, poi a poco a poco, quasi dovunque, la colonna cedette il posto al pilastro, più robusto e più atto a ricevere l'imposta delle vòlte. Più di qualsiasi altro elemento architettonico il pilastro esprime infatti l'evoluzione dell'architettura medievale verso una struttura organica e tecnicamente perfetta. Dapprima esso è tozzo, liscio o decorato, talvolta, con nicchie o colonnine (Spagna, epoca visigota). Nel sec. XI si vedono simultaneamente in uso varî tipi: quadrato poligonale, circolare, lobato, ecc.; ma quando nelle vòlte si sviluppa la struttura a nervature, anche il pilastro assume una conformazione logica in relazione ad essa, e la sua sezione diviene crociforme, con quattro colonne inserite, che corrispondono ognuna a una nervatura. Questo concetto è tipico dell'architettura lombarda, che nella normale planimetria delle chiese, in cui una grande crociera della navata centrale ne comprende due delle laterali, alterna pilastri più grandi e complessi a pilastri più piccoli e semplici (Sant'Ambrogio a Milano, S. Michele Maggiore a Pavia). Nel periodo gotico il pilastro non è stato applicato sistematicamente: per es., nell'Île de France si continuarono a usare pilastri monocilindrici iniziando al di sopra di essi la divisione imposta dalle vòlte. Solo nel sec. XIII dalle complesse vòlte ogivali si fecero scendere fino a terra le nervature e il pilastro assunse la forma rigorosamente logica a fascio, la forma del "pilier polystyle". Poi nel secolo seguente tra le colonnine del pilastro e le nervature della vòlta, che ne sono la continuazione, si abolì il capitello, in modo che lo slancio verticale dell'architettura non subì più interruzioni. Tale evoluzione si può seguire specialmente nell'architettura chiesastica francese; il gotico italiano serbò al pilastro forme semplici, anche perché alieno dai complessi intrecci di nervature nelle vòlte. In Italia, particolarmente in Toscana e a Bologna, e all'estero generalmente negli edifici civili, il pilastro gotico ebbe anche la forma ottagona.

Durante il Rinascimento, nonostante la predilezione per la colonna, posta anche a sostegno di archi, continuò l'uso di pilastri, non scevri dapprima di ricordi gotici, come quelli con quattro semicolonne o quattro paraste addossate, del Duomo di Pienza e di S. Maria dell'Anima a Roma e quelli ottagoni, specialmente frequenti a Roma (cortile del palazzetto di Venezia, portico di S. Pietro in Vincoli). Quando si volle ottenere un particolare effetto di robustezza, si usarono massicci pilastri quadrangolari (fianchi del San Francesco a Rimini), talvolta appesantiti da bugne (Pesaro, Corte Sforzesca) o ingeritiliti da nicchie (portico degli Uffizî); nel palazzo degli Anziani ad Ancona con quattro colonne sugli spigoli. A rinforzo degli angoli dei colonnati si posero pilastri di varia forma e decorazione. Il pilastro quadrato, terminante per lo più in una semplice cornice liscia, e il pilastro composto con paraste e semicolonne furono i tipi impiegati nel Cinquecento e portati, come gli altri elementi architettonici, alla perfezione delle proporzioni classiche, rimanendo poi in uso per tutta l'età barocca, quando non furono sostituiti dalle forme e decorazioni a mensoloni e volute caratteristiche dell'epoca.

Delle architetture fuori dell'orbita classica, la musulmana preferì le forme più leggiere della colonna; quando dovette usare il pilastro, per es., a sostegno di grandi vòlte, dette a questo la forma quadrangolare, poligonale o circolare, talvolta con decorazione a colonnine o a scanalature, ad Iṣpahān a fascio di quattro cilindri.

L'architettura indiana preferì invece alla colonna il pilastro e diede a questo una straordinaria varietà di forme: sovrapposizione di due pilastri, frequente nella scuola giaina, profili bulbosi, capitelli a mensola sostenuti talvolta da una colonnina. Nello stile dravidico si addossarono ai pilastri figure di cavalieri, animali, mostri.

Pilastri prismatici, per solito senza base, ma sempre con un capitello che ricorda l'ordine toscano, coperti di un'ornamentazione esuberante, si trovano nell'architettura khmer (tempio di Angkor-Vat).

A Tinian (isole Marianne) le case degli antichi abitanti erano sostenute da pilastri a tronco di piramide, con capitello emisferico.

Nel Messico precolombiano i pilastri avevano proporzioni molto tozze, in accordo con il particolare ritmo architettonico degli edifici; nello Yucatán forme fantastiche, ad es., di serpente con la testa in basso o con figure inginocchiate appoggiate al loro piede.

Nell'architettura contemporanea il pilastro, dopo aver seguito le forme classiche con varî tentativi di rinnovamento, ridotto ora a forme semplici, ordinariamente prismatiche, ha soppiantato la colonna, tanto nella funzione di sostegno isolato, quanto nelle facciate, per dare movimento alle superficie.

V. tavv. LXIX-LXXII.

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