BARTOLI, Pietro Santi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BARTOLI, Pietro Santi (Piersanti)

Alfredo Petrucci

Nacque nella villa avita della Bartola, in territorio di Perugia, nel 1635 e si trasferì ben presto a Roma. La sua attività di pittore, che risale al tempo in cui, giovanissimo., era ancora allievo di P. Le Maire prima, di Nicola Poussin poi, non ha lasciato tracce degne di considerazione, nonostante la menzione fattane da qualche scrittore: la sua sensibilità e la sua esperienza cromatica si trasferirono tutte nella esecuzione di disegni colorati riproducenti pitture antiche. Trentatré di codesti disegni, passati in proprietà del Gabinetto delle Stampe della Biblioteca Nazionale di Parigi, furono nel 1747 descritti da P. J. Mariette e da lui stesso fatti incidere in rame, a fin di meraviglia, per una edizione da amatori di soli 30 esemplari. La reputazione di architetto, o meglio di studioso di architettura, del B. è legata alla ricostruzione da lui proposta, nell'atto di inciderli in rame, di molti fra i più insigni monumenti dell'Urbe (Templum Faunum: ricostruzione della forma originale, con settore sezionale; Templum Domitiani Ang. sub Herculis vultu... ricostruzione in base a, ruderi scoperti lungo la via Appia, ecc.). A metà strada fra il cinquecentesco Speculum di A. Lafréry e le settecentesche Antichità di G. B. Piranesi, il B. assume per suo conto, con una preparazione ed una disposizione d'animo più vicine a quella spiccatamente archeologica del primo che a quella essenzialmente lirica e in un certo senso drammatica del secondo, il tema della "magnificenza di Roma" e lo sviscera con una tenacia ed una costanza che durano un'intera vita, estendendolo alle pitture, alle lucerne sepolcrali, alle monete, alle gemme antiche. Romanae magnitudinis monumenta (138 tavole); Admiranda romanorum antiquitatum ac veteris sculpturae vestigia (84 tavole); Veteres arcus Augustorum triumphis insignes ex reliquiis quae Romae adhuc supersunt (10 tavole); Gli antichi Sepolcri, ovvero Mausolei romani ed etruschi trovati in Roma (110 tavole); Le antiche lucerne sepolcrali, raccolte dalle cave sotterranee e grotte di Roma (116 tavole): ecco i soggetti e i titoli di alcune; delle opere della sua maturità; ed è precisamente alla produzione di queste e di altre opere del genere, condotte al bulino e all'acquaforte, che è affidata la fama del B. nel suo aspetto preminente e più duraturo: quello dell'incisore in rame. Alcune delle sue incisioni, come le 123 dei bassorilievi della colonna Traiana, dedicate a Luigi XIV e le 78 della colonna Antonina, fecero epoca e furono stampate e ristampate più volte. Di esse il Winckelmann proponeva più tardi, esaltandole, lo studio e l'imitazione ai giovani che volevano familiarizzarsi con l'antico.

C'è nella figura del B. una certa analogia con quella di Enea Vico (uno dei collaboratori dello Speculum Romanae magnificentiae del Lafréry), con in meno forse l'estro e l'originalità del linguaggio, in più l'estensione degli interessi intellettuali: incisore, l'uno, ed antiquario, nel Cinquecento, alla corte di Ferrara; incisore, l'altro, ed antiquario, nel Seicento, del papa (dopo la morte del Bellori, avvenuta nel 1696) e della regina Cristina di Svezia. Le raccolte di monete e di gemme di Cristina si devono specialmente al suo consiglio, ed egli stesso ne riprodusse gran parte in altre due serie di rami (Nummophilacium reginac Christinae..., e Museum Odescalcum, sive Thesaurus antiquarum gemmarum ...), l'una di 63 tavole, l'altra di 102. Non meno ricercate e apprezzate furono a suo tempo e in seguito le 35 tavole delle Pitture antiche del sepolcro dei Nasoni, sulla via Flaminia, pubblicate dal B. nel 1680 con il commento del Bellri, poi accresciute, dopo la sua morte, dal figlio Francesco con le riproduzioni di altre pitture delle grotte di Roma coi commenti del Bellori e del Causei (ediz. del 1704, 1706, 1738, 1797). Più sensazionale ancora fu, per gli anni in cui vide la luce, la riproduzione in 55 tavole del codice virgiliano figurato della Biblioteca Vaticana, Antiquissimi Virgilianì codicis fragmenta et picturae ex Bibliotheca Vaticana ad priscas immaginibus formas... incisae. Anche quest'opera, intagliata dal B. per incitamento del cardinale Massimo nel 1677 e da lui stesso pubblicata in pochi esemplari, ebbe nel secolo seguente altre edizioni con il testo del manoscritto curato da Giovan Gaetano Bottari (1741, 1782, 1797). Quindi i rami, come molti altri di quelli fin qui nominati, passarono alla Calcografia Camerale di Roma.

Sempre curioso, sempre avido di conoscenze, il B. viaggiò moltissimo e intrattenne in Italia e fuori cospicue amicizie. A Parigi soggiornò a lungo, fu introdotto alla corte di Luigi XIV e conobbe artisti ed incisori già celebri. Ma il suo temperamento e le sue consuetudini professionali lo portavano ad assimilare solo ciò che gli era congeniale. Per questo da giovane si era attenuto più al Poussin amante di antichità che non al Poussin pittore. Fu anche, come si racconta, in Olanda; ma Rembrandt, morto da poco, non disse gran che, quale incisore, al suo spirito. Il Pascoli (1732), credendo di esaltare l'amico, lo diminuisce quando dice che "imitò esattamente qualunque maniera", negandogli dunque una personalità. Il Milizia, che vorrebbe essere più severo, lo loda per "aver incisi i monumenti antichi". Ma trova che il disegno delle sue stampe, dedotto dall'antico, "però non è l'antico", in quanto "è ammanierato". Né, peraltro, si può dire che sia modemo, in un secolo che ha visto nascere ed operare il Lucchesino, il Pesarese, il Grechetto. Il manierato del B., tuttavia, è, secondo il Milizia, tutto "suo proprio". E di ciò giova tener conto. Nessun cenno alle stampe dedicate alla riproduzione di pitture più o meno celebri. Gli scrittori dell'Ottocento invece si fermano generalmente su queste e non mancano di ricordare come il B. si sia cimentato con Raffaello, Giulio Romano, Annibale Carracci, Pietro da Cortona, Polidoro da Caravaggio, Giovanni Lanfranco, Pietro Testa, P. F. Mola, Carlo Maratta, ecc. Le loro preferenze sono per stampe quali l'Adorazione dei Magi, da una delle tappezzerie di Raffaello in Vaticano, in tre lastre, e la Battaglia navale sul Tevere, in 8 lastre, dal fregio a chiaroscuro di Polidoro da Caravaggio "incontro la Maschera d'Oro". Ma anche di queste stampe, come di quelle di soggetto archeologico, tutti notano la monotonia. Più che di monotonia, però, si tratta d'impassibilità. Questo incisore, che ebbe nella sua prima giovinezza, dopo il Le Maire, un maestro quale il Poussin, e poi un suocero quale Gianfrancesco Grimaldi, col quale lavorò in palazzo Borghese, non prese nulla, né dall'uno né dell'altro, sia come materia di ispirazione, sia come modo di esprimersi. Per lui, salire, con la sua enorme corporatura, sui ponti più alti delle impalcature ch'egli stesso aveva erette intorno alle colonne onorarie di Roma, per disegnarne i bassorilievi e gli ornati, o scendere a "racchiudersi sottoterra", come dice il Pascoli, "a cercare, a scoprire e disegnare memorie antiche", era la stessa cosa. Dei suoi intagli, ínsomma, tutti diligenti alla stessa maniera, tutti esteriormente irreprensibili, con un modo di contornare sempre "tondo" (come avverte ancora il Milizia), quale era richiesto appunto da una intuizione statuaria della forma, non si può dire né bene né male. Sono freddi, ecco tutto. Ma tali non dovettero sembrare al loro tempo, quando venivano, di volta in volta, alla luce come una rivelazione e un dono, per ampliare, al modo di un libro nuovo e ínatteso, la sfera delle conoscenze della generalità. Ancora oggi, intagli come quelli dei fatti della colonna Traiana e della colonna Antonina, disegnati da presso, "a uno a uno", per mesi e mesi, sono ricercati e studiati, al punto che di quelli della colonna Traiana l'olandese E. A. P. Dzur ha curato di recente (1941) una riproduzione in faesimile, ritenuta più istruttiva, per lo studio del monumento, di quelle stesse fotografie che sono attualmente in commercio.

Il B. incise anche qualche ritratto, come quello dello spagnolo Alfonso Mograveius, arcivescovo di Lima, nell'atto di confermare un giovane religioso, su di un disegno del Maratta, e quello, poco conosciuto, di Gioseffo Maria Mitelli in abito di accademico clementino. L'alta considerazione in cui il B. era tenuto da potenti, dotti e artisti d'ogni paese gli procurò ricchezze e onori eccezionali e gli valse la sepoltura in S. Lorenzo in Lucina, accanto a Nicola Poussin. Morì a Roma il 7 nov. 1700.

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