PERNA, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PERNA, Pietro

Marco Cavarzere

PERNA, Pietro. – Nacque a Villa Basilica, vicino a Lucca, nel 1519 circa, da Domenico, un piccolo proprietario terriero; ignoto è il nome della madre.

L’11 maggio 1533 vestì l’abito domenicano nel convento di S. Domenico di Fiesole. Nulla si conosce di questo periodo di formazione, a cui, nove anni dopo, nel 1542, Perna pose termine per fuggire a Basilea insieme con il confratello Pietro Gelusio. Da quanto racconta Pietro Carnesecchi nel processo inquisitoriale istruito contro di lui nel 1566, fu lui stesso, con l’intermediazione di Alessandro Del Caccia, ad aiutare i due ‘apostati’ a lasciare l’Italia. Anche se pare che ufficialmente il viaggio avesse lo scopo di permettere a Perna e Gelusio di studiare greco ed ebraico all’Università di Basilea, la coincidenza cronologica con le contemporanee fughe di Bernardino Ochino, Celio Secondo Curione e Pietro Martire Vermigli, tutti personaggi ben noti a Lucca per avervi predicato e vissuto a lungo, induce a pensare che la scelta fosse ispirata in primo luogo a motivazioni religiose, maturate in un ambiente lucchese impregnato di idee e dottrine eterodosse.

Arrivati a Basilea, Perna e Gelusio presero casa con due altri esuli italiani, Andrea Coleti e Giorgio Filalete, noto come il Turchetto, da alcuni studiosi identificato con Ortensio Lando. Il 28 febbraio 1543 Perna si immatricolò all’Università di Basilea ma, spinto dall’indigenza, fu costretto subito a trovare un’occupazione. Seguendo l’esempio di Filalete, si impiegò dallo stampatore Johannes Oporinus, presso il quale iniziò a svolgere lavori di correttore di bozze e soprattutto di agente librario sul mercato italiano. A quell’epoca la scelta religiosa a favore della Riforma era già un dato acquisito. Gelusio, che fin dalla primavera del 1543 aveva lasciato Basilea per fare ritorno in Italia, raccontò in seguito, nel corso del processo inquisitoriale deciso contro di lui nel 1556, che durante il soggiorno a Basilea aveva iniziato a leggere con Perna libri di teologi ed eruditi protestanti, come Ulrich Zwingli e Bartholomäus Westheimer. Ulteriori indizi mostrano come, in quei primi anni basileesi, Perna si fosse integrato appieno nel variegato mondo degli esuli italiani religionis causa, legandosi di particolare amicizia con Curione. Di fatto, nei dodici anni seguenti, tra il 1543 e il 1555, Perna fu impegnato in prima persona a far la spola tra Basilea e l’Italia per diffondere scritti di propaganda protestante.

Inevitabilmente, Perna diresse i suoi traffici verso Venezia, la capitale della stampa europea e uno degli snodi più vivaci dell’eterodossia italiana. Lì trovò l’aiuto e l’amicizia di Baldassarre Altieri, a cui era stato raccomandato da Vermigli, e di Girolamo Donzellini, con cui rimase in rapporti per tutta la vita. La sua attività veneziana fu interrotta improvvisamente dall’intervento dell’Inquisizione, che nel 1549 scoprì i depositi di libri proibiti di Perna, conseguentemente incarcerato, condannato ed espulso dalla città. Perna continuò tuttavia a mantenere contatti con la Serenissima e a recarvisi saltuariamente, nonostante il divieto. In particolare, a Venezia poté fare sempre affidamento su Donzellini che si adoperò a smerciare la produzione eterodossa dell’amico fino almeno al 1581; a Bergamo instaurò durevoli rapporti commerciali con i fratelli Bellinchetti, librai del luogo, e con il vescovo della città, Vittore Soranzo, che confessò la sua stretta collaborazione con Perna nel processo inquisitoriale del 1551. Altri centri degli interessi commerciali di Perna furono Milano e Firenze, dove entrò in contatto con lo stampatore ducale Lorenzo Torrentino.

Il ruolo di Perna come mediatore tra l’Europa riformata e quella cattolica deve naturalmente intendersi in un doppio senso. Perna non fu solo l’efficiente rifornitore di stampe nordeuropee per i librai delle grandi capitali d’Italia, ma fu anche uno dei maggiori referenti e distributori di novità italiane nel mercato tedesco. Il catalogo di Torrentino e le opere dell’Accademia veneziana della Fama furono rappresentati per anni da Perna alle fiere librarie di Francoforte, dove nel 1569 dichiarava di possedere una propria «taberna», ovvero un deposito di libri pronti per essere venduti in questo crocevia dell’editoria internazionale.

Mentre era così impegnato nei centri editoriali più importanti di Italia e Germania, a Basilea poneva le fondamenta per la successiva opera di stampatore in proprio. Nel 1545 aveva comprato materiale tipografico dallo stampatore basileese Thomas Plattner, un primo patrimonio arricchito nel 1550 dall’acquisto di altri caratteri tipografici. Negli anni Cinquanta Perna era pertanto già in grado di stampare alcune opere, probabilmente usando i torchi di altri tipografi. Risalgono a questo periodo la collaborazione con Michael Isingrinius e la stampa di opere significative della diaspora italiana, come Le cento et diece divine considerazioni di Juan de Valdés (1550); la Methodus linguae Graecae del fratello di Girolamo Donzellini, Cornelio, opera non solo grammaticale, ma anche veicolo della teologia protestante; le Prediche di Bernardino Ochino (1549-55) e alcune opere antipapali di Pietro Paolo Vergerio. Da segnalare per la sua importanza è la partecipazione di Perna alla pubblicazione del volgarizzamento in italiano del Nuovo Testamento a cura del benedettino Massimo Masi, meglio noto come Massimo Teofilo (Lione 1551).

Un’autentica svolta nella vita di Perna si determinò il 9 giugno 1557, quando, dopo due anni di attesa, conseguì la cittadinanza basileese, in virtù della quale fu accettato, il 14 novembre, nella corporazione dello zafferano. Fu solo allora che Perna poté mettere su bottega e firmare in autonomia le opere stampate in proprio. Questo avanzamento di status sociale coincise con un cambiamento nei rapporti con l’Italia, dovuto a ragioni tanto politiche quanto personali. Da un lato, la situazione complessiva era radicalmente mutata: nel 1555 la pace di Augusta tra l’imperatore e i principi protestanti e la contemporanea ascesa al soglio pontificio di Paolo IV, papa inquisitore, avevano segnato una cesura profonda negli assetti religiosi europei; ormai la propaganda protestante degli anni precedenti non pareva più possibile. Dall’altro lato, Perna fu toccato in prima persona da questo mutamento di clima, che lo portò ad avvicinarsi sempre più a Curione e a Sébastien Castellion, nonché, alla loro morte, a Francesco Betti e ai Sozzini (Fausto, Camillo e Lelio). In particolare, il consolidamento delle divisioni confessionali tra Paesi cattolici e protestanti costrinse Perna a rivedere le proprie strategie editoriali e a orientare gradualmente il centro dei propri interessi verso il mercato nordeuropeo. Per il resto della vita Perna si dedicò a conciliare la propria fedeltà agli ideali religiosi degli esuli italiani rimasti a Basilea con una tattica di mercato che si concentrava su libri scientifici ed eruditi, appetibili per il pubblico protestante e di grande successo nella Basilea di quegli anni.

I primi tredici volumi della neofondata stamperia perniana, comparsi tutti nel 1558 con il marchio editoriale di Perna – simbolicamente una donna con la lucerna in mano, rappresentante la fede indagatrice –, rivelano l’originale vocazione religiosa del fuoriuscito lucchese, per tutta la vita mai un semplice manovale della stampa, ma editore nel più pieno senso della parola. Di queste tredici opere ben dieci si dovevano ad autori italiani: eretici fuggiti in Germania o in Svizzera, come Vermigli, Iacopo Aconcio, Olimpia Morata, oppure morti prima che la stretta antiereticale diventasse insopportabile, come Marcantonio Flaminio. Inoltre, tra i curatori di queste opere, Perna aveva potuto far conto sui vecchi amici Curione e Girolamo Donzellini, che si occuparono rispettivamente delle opere della Morata e degli opuscola di Giovanni Battista Montano.

Negli anni seguenti Perna non rinnegò l’appartenenza a questo gruppo di ‘eretici italiani’, che a Basilea trovarono rifugio e libertà bastante per proseguire la loro lotta contro la Ginevra di Calvino e Beza. La contesa era sia dottrinale sia politica e riguardava la dottrina della predestinazione, il significato del dogma trinitario e la necessità della tolleranza religiosa: tutti temi trattati in maniera esplicita in molti testi stampati clandestinamente da Perna. Nel 1563 stampò sotto anonimato i Dialogi triginta di Ochino, tradotti in latino da Castellion, opera che suscitò enormi polemiche per le sue posizioni antitrinitarie e per la sua apparente difesa della poligamia, spingendo l’ex frate senese alla fuga da Zurigo. Due anni dopo, nel 1565, uscirono «ex typographia perniana» gli Stratagemata Satanae di Aconcio, in due edizioni latine (in quarto e in ottavo) e in versione francese, opera di «un assoluto indifferentismo dogmatico, quasi alle soglie d’un teismo razionalistico», come ebbe a definirla Delio Cantimori nella voce del Dizionario biografico degli Italiani dedicata ad Aconcio (I, Roma 1960). Sempre nello stesso anno, Perna diede ospitalità a quello che recenti ricerche hanno ipotizzato essere uno degli ultimi scritti di Curione, l’Antichristus sive prognostica finis mundi, mentre, tra il 1560 e il 1574, pubblicò tre opere di Francesco Betti, cautelandosi sotto forme di anonimato.

Di fatto, fu soprattutto nell’ultimo decennio di attività che si condensarono le pubblicazioni più significative, quelle che offrono inequivocabile testimonianza di una continuità di intenti e di motivi nella sua opera di editore. A dieci anni dalla morte di Castellion, tra il 1572 e il 1573, vedevano la luce presso Perna molti dei precedenti studi biblici dell’esule savoiardo: la Bibbia, una scelta dell’Antico Testamento e il Nuovo Testamento, in latino e in versione latina e francese – questa edizione bilingue fu preceduta da una dedicatoria firmata da Mino Celsi.

La ristampa di queste opere, senza mutamenti testuali rispetto ai volumi editi negli anni Cinquanta, veniva a rintuzzare la polemica con i magistrati ginevrini, che, già ai tempi della loro prima comparsa, avevano cercato in ogni modo di farle correggere e proibire. L’offensiva con Ginevra era, tuttavia, soltanto all’inizio. Nel 1577 Perna pubblicava, postumo, l’In haereticis coercendis quatenus progredi liceat di Celsi, opera apparsa senza nome di stampatore (ma il catalogo di Perna, stampato nel 1778, non si peritava di riconoscere anche lo scritto tra quelli pubblicati dalla stamperia), con il falso luogo di stampa di Christlinga e per le cure di Johannes Fischart, ricordato solo con le iniziali del nome.

L’In haereticis, che riprendeva in varie parti il celebre De haereticis an sint persequendi di Castellion, era un attacco frontale al calvinismo autoritario di Ginevra, contro cui si schierava anche la lettera sulla tolleranza di Andreas Dudith Sbardellati a Beza, aggiunta in un primo tempo da Perna come suo personale contributo alla polemica di Celsi. Soprattutto, il guanto di sfida fu lanciato l’anno successivo con la pubblicazione dei Dialogi IV di Castellion, una ricca silloge di scritti inediti che conteneva, tra le altre cose, una risposta diretta a Calvino e al professore di Basilea Martin Borrhaus.

L’opera, ancora una volta uscita con falso luogo di stampa (Aresdorf, un paese vicino a Basilea) e con falso nome di stampatore (Theophilus Philadelphus), era introdotta da una prefazione di Fausto Sozzini, nascosto sotto lo pseudonimo di Felix Turpio Urbevetanus, e presentava una rielaborazione degli scritti di Castellion in chiave più decisamente antitrinitaria, come attesta il manoscritto preparatorio per la stampa, in cui si riconosce l’intervento redazionale di più persone, tra cui Perna.

Una pubblicazione tanto audace non passò inosservata. Tornato dalla fiera primaverile di Francoforte, Perna fu incarcerato dalle autorità basileesi e, solo grazie all’aiuto di Bonifacius Amerbach, se la cavò con una pena pecuniaria.

Altro terreno di scontro con le autorità e con l’ortodossia tanto cattolica quanto protestante riguardò il naturalismo magico di Paracelso. A partire dai primi anni Sessanta, Perna si impegnò a pubblicare una nutrita serie di opere del medico svizzero, inizialmente con l’aiuto di Andreas Bodenstein e in seguito probabilmente grazie alla collaborazione di Theodor Zwinger. Nel 1575 Perna diede alle stampe in semiclandestinità l’Arbatel. De magia veterum. Summum sapientiae studium, libretto in sedicesimo che si presentava come la prima parte di un manuale complessivo sulla magia. Qualche anno dopo, nel 1580 Perna pubblicò, con la partecipazione del filologo Johannes Sambucus, la grande edizione in folio delle Enneadi, in cui era offerto al lettore il testo greco con la traduzione e il commento latino di Marsilio Ficino.

Come per le opere di Paracelso, anche questo scritto si collocava alla conclusione di un lungo percorso, dal momento che già nel 1559 Perna aveva stampato la versione ficiniana di un’opera di Plotino, il De rebus philosophicis. Questo interesse, continuamente rinnovato, per Paracelso e Plotino è stato letto da alcuni interpreti come un tassello significativo di quel progetto di riforma morale e religiosa perseguito da Perna e dai suoi amici-collaboratori per tutta la vita, un progetto volto a coniugare il sapere magico, inteso come superiore conoscenza dei segreti della natura, con la lotta teologica contro le Chiese costituite.

Tuttavia è necessario considerare come questa strategia si accompagnasse a una vigile attenzione per i rapporti di forza locali e per le necessità del mercato editoriale. Negli stessi anni in cui patrocinava le stampe di Castellion e di Paracelso, Perna fu anche lo stampatore del già ricordato Borrhaus e di due acerrimi antiparacelsiani come Crato von Crafftheim, potente medico imperiale, e Thomas Erastus. Inoltre, alla comparsa di due comete nel 1572 e nel 1577, non si peritò di ospitare opposte interpretazioni di questi prodigia naturali.

Sarebbe un errore ridurre il catalogo di Perna alla sola produzione religiosa o magico-naturalistica. Come si è già accennato, dopo che la frattura confessionale fu sancita definitivamente alla metà del Cinquecento, Perna cercò di conquistare spazi sempre più consistenti del mercato europeo – è noto, per esempio, che aveva canali di vendita sulla piazza di Praga, dove riusciva a propagare le proprie opere attraverso un suo agente –, specializzandosi sempre più nella pubblicazione di opere storiche. La presenza di tanti pamphlet e scritti di carattere religioso o magico-naturalistico, che hanno destato l’attenzione degli storici per la loro carica eterodossa e per il livello di contestazione che esprimevano, non deve dunque far velo alla restante produzione, soprattutto storiografica, che Perna stampò nel corso della sua carriera e che lo collocano nel pieno delle tendenze editoriali della Basilea dell’epoca.

L’opera più significativa stampata da Perna in questo ambito fu la traduzione latina della Storia d’Italia di Francesco Guicciardini, curata da Celio Secondo Curione nel 1566, per la quale Perna ottenne due privilegi decennali da parte dell’imperatore e del re di Francia Carlo IX. Il capolavoro guicciardiniano, rivisto per un pubblico protestante (nella traduzione Curione attenuò alcune espressioni antiluterane), assunse veste monumentale.

In folio, dotata di nutriti apparati paratestuali, questa versione costituì il testo di riferimento su cui, nel 1574, fu condotta la traduzione tedesca di Georg Forberger, uscita sempre per i tipi di Perna. Insieme a Guicciardini, l’altro grande storico italiano entrato a far parte della «collana di storia» di Perna (Perini, 2002, p. 198) fu Paolo Giovio, di cui Perna aveva stampato varie opere, anche in traduzione tedesca, fin dai primi anni della sua attività di stampatore. Il culmine di questa particolare produzione fu raggiunto con i tre volumi in folio degli Elogia virorum illustrium (1575-77), contenenti, a corredo dei testi, i ritratti degli uomini celebri che Giovio stesso aveva raccolto nella sua villa presso Como, e, nel 1578, con la stampa negli Opera omnia, dedicati all’Elettore Augusto di Sassonia. Entrambi questi prodotti dell’officina perniana presentano elementi di interesse: degli Elogia paiono di grande pregio le riproduzioni dei ritratti già citati, realizzate da Tobias Stimmer, dopo un viaggio a Como per copiare gli originali di Giovio; degli Opera omnia risalta l’importanza della lettera di dedica che contiene una delle poche dichiarazioni programmatiche di Perna sul proprio lavoro di editore.

Oltre che nella stampa delle opere di Guicciardini e Giovio, Perna si specializzò nella pubblicazione di fonti medievali (Ottone di Frisinga, Paolo Diacono, Atanasio Bibliotecario ecc.), nonché di manuali di storia dalla grandissima diffusione nel mondo protestante, in particolare tedesco, come il Chronicon Carionis. Al contempo, altri testi portarono Perna a rivolgersi verso il mondo francese, a cui guardò con sempre maggiore interesse, come attestano alcuni indizi, sparsi all’interno delle sue opere, e soprattutto il suo catalogo: è del 1576 la comparsa della Methodus di Jean Bodin, mentre, qualche anno dopo, nel 1582, vi faceva il suo ingresso un’opera di storia contemporanea, forse l’unica tra le opere edite da Perna: il De bello civili Gallico religionis causa suscepto di Richard Dinoth, dedicato alle guerre di religione ancora in corso in Francia. Egualmente rivolta a un pubblico erudito avrebbe dovuto essere la progettata edizione delle opere di Aristotele, per cui nel 1569 Perna cercò il sostegno di Pietro Vettori; l’iniziativa non riuscì tuttavia ad andare in porto.

Ultimo cantiere della officina tipografica di Perna riguarda le edizioni di Niccolò Machiavelli. Nel 1560 stampò la prima traduzione latina del Principe a cura di Silvestro Tegli. Probabilmente dietro l’iniziativa vi erano i solleciti consigli di Celio Secondo Curione, che doveva essere informato della proibizione dell’opera contenuta nell’Indice romano dell’anno precedente. Tuttavia, all’origine di questa traduzione si possono riconoscere anche ragioni di carattere politico e personale. Il De principe era infatti dedicato al nobile polacco Abraham Sbaski, allievo di Curione assai disponibile ad accogliere gli esuli italiani nei suoi feudi; d’altronde, Tegli non era un curatore scelto a caso. Solo due anni prima della stampa dell’opera, nel 1558, era dovuto scappare da Ginevra a causa delle accuse di antitrinitarismo mossegli da Calvino. La traduzione di Machiavelli appariva dunque come l’ennesimo attacco sferrato da Perna contro il regime di intolleranza instaurato a Ginevra da Calvino. Nella lettera di dedica di Tegli il parallelo tra il principe machiavelliano e il despota ginevrino aveva il suo fondamento nella pretesa, comune a entrambi, di porre la religione a fondamento delle istituzioni politiche.

Il progetto di mettere in circolazione le opere di Machiavelli sul mercato europeo fu ripreso negli ultimi anni di vita di Perna. Nel 1580 uscì una ristampa del De principe, rivisto e corretto da Giovanni Niccolò Stopani, che aggiunse al testo di Machiavelli alcuni ‘antidoti’: un discorso sull’origine divina del potere sovrano e due orazioni sui vantaggi e sugli svantaggi della monarchia, tratti dalle storie di Dione Cassio e tradotte in latino dal Curione.

Questa ripresentazione aggiornata dell’opera pubblicata vent’anni prima costituiva, nei piani di Perna, il lancio editoriale di una collana di traduzioni in latino degli scritti storici e politici di Machiavelli. A porre fine a questo disegno intervennero le difficoltà incontrate dalla ristampa del Principe, che apparve inizialmente con una dedica, a firma di Stopani, al vescovo di Basilea Jakob Christoph Blarer von Wartensee, cacciato dalla città nel 1529. Perna si affrettò a correggere l’opera, ma intanto alcune copie erano state spedite alla fiera di Francoforte. Per chiarire l’equivoco, si dovette provvedere a una terza emissione dell’opera, questa volta preceduta da un’avvertenza del typographus.

In tutti questi anni, Perna costruì anche un solido nucleo familiare. Sposò Giovanna Verzasca, sorella di Francesco Verzasca, un benestante di Locarno costretto a fuggire a Zurigo a causa delle persecuzioni contro i protestanti. Rimasto vedovo, nell’autunno del 1581 sposò Aurelia Muralt, vedova di Balthasar Ravalasca, commerciante in grosso proveniente dai Paesi Bassi, divenuto cittadino basileese come Perna. Il 30 agosto 1563 Perna battezzò i due figli gemelli avuti da Giovanna: Laura e Lelio, morto in giovane età. Tra i padrini si deve ricordare Camillo Sozzini, fratello di Lelio Sozzini. Laura divenne collaboratrice stretta di Perna e continuò la professione del padre, sposando un tipografo, Conrad von Waldkirch, che succederà a Perna alla guida della bottega. Allo stesso tempo, Perna non interruppe mai i legami con la famiglia rimasta in Italia. Forse tornato a Lucca dopo la fuga del 1542, di certo nel 1562 ospitò a Basilea due suoi nipoti, inviati in Svizzera perché imparassero dallo zio il mestiere dello stampatore. Di fatto, la proscrizione dalla città di Lucca arrivò solo molto tardi, nel 1580, in seguito a denuncia ufficiale di un parente di Perna.

La variegata attività tipografica di Perna – si contano più di trecento volumi a lui ascrivibili, ma sembra che il catalogo sia suscettibile di ulteriori aggiunte – fu sostenuta da vari altri editori basileesi, come Heinrich Petri e Samuel Apiarius, che di volta in volta condivisero le spese per le opere più sontuose, come gli Elogia di Giovio e la traduzione di Guicciardini. In alcuni casi le edizioni di Perna furono soccorse finanziariamente da mecenati della diaspora italiana come Giovanni Bernardino Bonifacio, marchese d’Oria, a cui Perna fece ricorso per vari prestiti. Alcune delle iniziative editoriali furono proseguite dal genero Waldkirch, che continuò nella pubblicazione di opere paracelsiane, e da un suo allievo di bottega, Jacques Foillet, che ereditò parte dell’attrezzatura della tipografia di Perna.

Perna morì il 16 agosto 1582 a Basilea in seguito a una epidemia di peste. Fu sepolto nella chiesa di S. Pietro.

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