POMPILIO, Pietro Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

POMPILIO, Pietro Paolo

Wouter Bracke

POMPILIO, Pietro Paolo. – Figlio di una Plotia non meglio identificata, e di padre ignoto, nacque a Roma in una casa del rione Ponte, probabilmente nel 1454.

Secondo la vita anonima che conserva anche parte delle sue opere, Pompilio era di salute cagionevole, magro e di colorito livido (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2222, c. 93rv); fu probabilmente in occasione della guarigione da una malattia, che Paolo Emilio Boccabella gli dedicò un epigramma databile a prima del 1481 (Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob. Lat. 2280, c. 123rv; Herzogin Anna Amalia Bibliothek, Weimar, Q 114, cc. 50 s.).

Poco si sa della sua giovinezza. Ricaviamo la prima notizia dalla corrispondenza di Domizio Calderini. Pompilio nel 1472, aveva accompagnato il cardinale Bessarione in Francia, da dove aveva scritto due lettere a Oliviero Palladio a Roma. Il Calderini parla di lui in termini affettuosi. Sembra che già in questi anni fosse un promettente poeta, amatissimo allievo di un certo Alessio, probabilmente Alessio Stati, che figura tra i personaggi del suo dialogo De amore. In due lettere che Teodoro Gaza scrisse ad Alessio Celadeni, membro dell’Accademia bessarionea, allora residente a Taranto, databili al 1473-74, è menzionato un certo Paolo, giovane romano di buona famiglia, che Alessio avrebbe raccomandato a Gaza. È molto probabile che questo giovane romano sia proprio Pompilio che possedeva una discreta cultura greca e conosceva il greco. Nel 1474 Ottavio Cleofilo da Fano lo menziona tra i dotti umanisti che da un anno frequentavano a Roma.

Il primo tentativo letterario del Pompilio di cui è rimasta traccia risale al 1475: un epigramma per l’edizione dell’Aesopus moralisatus (Hain [= H] 00291, Indice Generale degli Incunaboli [= IGI] 86, Indice delle edizioni romane a stampa [= IERS] 443; Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob. Lat. 1982, cc. 204r-215v, incompleto). Due frammenti di orazioni, pronunciate in occasioni accademiche, conservati nella lettera prefatoria all’edizione della Framea di Pompilio del 1482 (IGI 7980, IERS 745; Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1982, cc. 13r-23v; Firenze, Biblioteca Riccardiana, 162 (N I 22), cc. 61v-78v, contiene una versione autografa leggermente diversa) testimoniano il suo legame con il gruppo pomponiano almeno dal 1480 in poi. Con questa invettiva Pompilio rispose alla Defensio Sulpitiana del 1481 in cui un non meglio conosciuto Claudio Vallati aveva preso la difesa di Giovanni Sulpizio di Veroli del quale Pompilio aveva attaccato l’edizione studentesca della Metrica del 1480. Pompilio dedicὸ l’invettiva a Giuliano Cecio, dichiarandosi espressamente allievo di Pomponio Leto e chiedendo di intervenire presso il maestro perché facesse da arbitro nella disputa grammaticale tra lui e il Verulano. Punto di partenza della disputa fu una prima redazione, dedicata a Pietro Paolo Farnese, del De syllabis, trattato sulla quantità delle sillabe di cui conserviamo l’edizione del 1488 rimaneggiata e ampliata con l’aggiunta di altre opere grammaticali più brevi sulla versificazione e sull’accento. Più che una discussione scientifica, la disputa rivela la concorrenza tra due colleghi professori presso lo Studium Urbis. Così Vallati rimproverὸ a Pompilio, che nel 1481 era ancora maestro di grammatica nel rione Campo Marzio, di essersi infilato furbescamente nello Studium.

Solo le collecte di un corso di insegnamento universitario di Pompilio sono giunte fino a noi: si tratta del commento a Catullo (Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1982, cc. 171r-203v; incompleto, fino a c. 63, 64; alcune correzioni testuali nei cc. 173r-181v sono della sua mano), databile a dopo il 1484. Negli anni 1484-85 Pompilio si trovava per certo a Roma, come testimonia un capitolo delle sue Notationes parzialmente conservate. Infatti, nel terzo capitolo del secondo libro dell’opera, egli racconta alcuni prodigia avvenuti a Roma tra la fine del 1484 e l’estate del 1485, il più importante dei quali è la scoperta del corpo di una giovane romana perfettamente conservato sulla via Appia (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2222, cc. 115v-117v). Non è possibile accertare se egli abbia continuato a insegnare presso questa stessa università. I Commentarii, ovvero Dictata in historias Sallustii Catalinianam et Iugurthinam lectione publica Romae anno aetatis sue XXVI, più descrittivi che non filologici, vanno probabilmente ricondotti al suo insegnamento come maestro di grammatica (Roma, Biblioteca Angelica, 1351, cc. 1v-107v). Alla fine degli anni Ottanta era comunque professore privato di Cesare Borgia, allievo cui dedicὸ, sulla suggestione dell’amico Sperandeu Spanyol, canonico di Mallorca e tutore di Cesare, il De Syllabis (1488).

Nel 1487 Pompilio completò il dialogo De vero et probabile amore dedicato a Pomponio Leto (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2222, cc. 46r-76v). Il dialogo, le vicende del quale vengono raccontate da Bartolomeo Platina su richiesta di Alessio Stati, è ambientato ad Anguillara, nella casa dello Spanyol, probabilmente nel 1476 (o nel 1478) quando il papa Sisto IV, con la Curia, era fuggito da Roma a causa della peste. I suoi interlocutori sono Pietro de Rocha, Francesco da Toledo, Antonio Volsco, Papinio Cavalcanti e il Platina. L’uso di una determinata terminologia e l’importanza data alle Confessiones di sant’Agostino permetterebbero di collegare il dialogo, dove vengono criticate le relative contemporanee teorie neoplatoniche, alle idee di Raimondo Lullo che Pompilio aveva letto e di cui Spanyol era un grande promotore. In una lettera di Arnau Descós indirizzata allo Spanyol, databile al 1483 circa, l’autore reagisce contro una lettera, o meglio invettiva, di Pompilio indirizzata contro Raimondo Lullo che egli avrebbe criticato per il suo linguaggio particolare chiamandolo philosophaster temerarius e sostenendo che non conosceva neanche i principi delle lettere.

Pompilio fu molto legato ai Borgia come risulta dagli argomenti e dalle dediche di alcune sue opere. Così, nel 1486, egli compose un carme Odyssea (201 distici) che dedicò a Pietro Ludovico Borgia, duca di Candia, in occasione della restituzione ai Borgia, da parte della Corte spagnola, dei loro beni nella regione di Valencia (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2222, cc. 77r-85v). La Vita Senecae che, tra le lodi delle grandi famiglie contemporanee della Spagna, tratta non solo della vita di Seneca, ma anche di altri autori spagnoli come Lucano, Quintiliano, Marziale e Mela, fu dedicata a Giovanni Lopez, segretario di Rodrigo Borgia, con il quale Pompilio dice essere in buoni rapporti sin dall’infanzia (Hain-Copinger-Reichling [= HCR] 13252, IGI 7983, IERS 1172; Hain-Copinger [= HC] *13251, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2222, cc. 1r-25r; Vat. lat. 7192, cc. 346r-349r contiene una Vita Senecae simile e l’argumentum del suo Hercules Furens, adespoti ma nella mano di Pompilio). Alla fine dell’opera è aggiunto un Testimonium vitae Callisti tertii ossia Sylva Alphonsina (59 esametri) che annuncia un lavoro più esteso sulla vita di Alfonso Borgia. Nel Phasma (102 distici) egli tesse gli elogi di Giovanni Battista Mellini, ambasciatore di papa Callisto III presso Carlo VIII.

Un rapporto altrettanto stretto Pompilio sembra averlo avuto anche con i Carvajal. Nel 1490 dedicò il suo panegirico, De Triumpho Granatensi, che racconta la caduta di Baza nel 1489, a Bernardino Lopez de Carvajal, dal 1488 ambasciatore dei Re Cattolici (HCR 13253, IGI 7981, IERS 1176; Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2222, cc. 27r-45r con rubriche, correzioni e sottoscrizione autografi). Due anni prima aveva lodato la famiglia Carvajal nel suo Panegyricum carmen ad Carvajales (102 esametri) che racconta la rivolta popolare contro il duca di Plasencia del 1488 (Vat. lat. 2222, cc. 90v-92v).

Infine, Pompilio fu amico di Girolamo Pau, abbreviatore del parco minore dal 1479 e litterarum Apostolicarum Vicecorrector dal 1486, che gli dedicò nel 1491 lo scritto Barcino, opera storico-geografica su Barcellona, che l’autore dice di avere intrapreso su richiesta dello stesso Pompilio (versione manoscritta in Biblioteca apostolicaVaticana, Vat. lat. 2222, cc. 97r-112v).

Oltre alle opere citate, la Vita ne elenca molte altre, oggi in gran parte perdute, tra cui un dizionario per naturas rerum che vede l’aggiunta di tutti i neologismi latini degli ultimi 700 anni, opera interrotta dall’improvvisa morte. La notorietà di Pompilio, secondo quanto affermato nella Vita, si basa soprattutto sull’attività grammaticale, e, in particolare, sul De syllabis (H *13254, IGI 7982, IERS 1099; Biblioteca apostolica Vaticana, Inc. IV 837; nel margine inferiore del primo foglio è scritto all’inverso il nome di Pompilio in latino e in greco; Milano, Biblioteca Ambrosiana, R 119 sup., cc. 109r-114r contiene una copia parziale della stampa relativa al De pedibus carminis et eorum structura). Una grammatica di Pompilio è menzionata nel ricco inventario dei libri del notaio Miquel Abeyar (Abellar) di Majorca del 1493. Il De syllabis si inserisce nel gruppo dei manuali scolastici del tipo A ante B, che consiste nel discutere la quantità di ogni vocale a seconda della consonante che segue. Ma fortemente innovative sono l’importanza data al greco nella discussione della quantità delle sillabe, la discussione di problemi testuali e la ricca documentazione di esempi tratti da autori classici.

Pompilio, affascinato com’era dall’evoluzione della lingua, in particolare dalla sopravvivenza del latino parlato in zone periferiche del vecchio impero romano e dalla sua evoluzione nelle lingue romanze, si inserì nel ben noto dibattito intorno alla questione linguistica se gli antichi parlassero tutti latino o se esistesse invece, oltre al latino, lingua dei letterati, un volgare, come nei tempi moderni l’italiano accanto al latino. Nei frammenti delle Notationes difese l’idea dell’unicità della lingua in epoca antica (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2222, cc. 113r-115r).

Morì di pleuresi all’età di 37 anni, nel settimo anno del pontificato di Innocenzo VIII, probabilmente prima del settembre 1491 visto che, nell’agosto di quell’anno, veniva pubblicato il Barcino di Girolamo Pau con dedica nei suoi confronti.

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