ROSSI, Pietro Maria de’

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROSSI, Pietro Maria (Piermaria)

Letizia Arcangeli

de’. – Primogenito ed erede di Troilo, marchese di San Secondo, e di Bianca Riario, nacque nel 1504.

Fu essenzialmente un militare: delle sue azioni di valoroso e anche feroce capitano e delle sue ferite scrivono almeno il fratello Giovan Girolamo, Paolo Giovio, Benedetto Varchi, Vincenzo Carrari, Francesco Sansovino e Bonaventura Angeli; alle rivalità con altri capitani si trovano numerosi accenni nei Diarii di Marin Sanuto; dal 1521 al 1545 il conte di San Secondo (come era abitualmente chiamato) partecipò a vario titolo e in diversi fronti a pressoché tutti i conflitti in corso in Italia. Ad assicurargli le nomine dei sovrani committenti contribuirono non poco le parentele con i Medici, i Vitelli e i Gonzaga e l’influenza nel Parmense, dove era il capo della squadra cittadina che prendeva il nome dalla sua famiglia e il signore del maggiore Stato feudale, anche se non godeva di un primato indiscusso, e non solo per il tradizionale bipolarismo della società locale; anche per l’ingresso nella regione di elementi esterni legati ai pontefici, che si tradusse in minori opportunità per l’aristocrazia originaria di raggiungere i vertici della carriera militare.

Rossi corse per due volte (1521-22 e 1539-42) il rischio di perdere il suo Stato; ottenne tuttavia nel 1523 e nel 1537 investiture pontificie molto ampie, con conferma di tutti i precedenti «privilegia gratias libertates exemptiones immunitates», nel 1530 e nel 1539 investiture imperiali che avrebbero dovuto garantirlo dalla disgrazia del principe territoriale. Negli anni Trenta fortificò la sua piccola capitale, San Secondo, e anche la rocca, militarmente efficiente, ma ampliata a includere fastosi appartamenti con affreschi arieggianti quelli gonzagheschi mantovani, e i ritratti di Rossi (del Parmigianino) e della moglie con tre dei figli (di incerta attribuzione).

Paggio alla corte di Francia, a Milano nel 1520, erede sotto tutela materna nel 1521, militò con i francesi a Parma e a Milano, contro la Lega di papa e imperatore; i parenti Filippo e Bernardo, al servizio pontificio, in un classico intreccio tra guerra pubblica e questioni private, gli disputarono a più riprese (1521-22), oltre a Basilicanova assegnata al fratello Giulio, San Secondo, preso in custodia (agosto 1521) dallo zio materno Giovanni de’ Medici, detto dalle Bande Nere, in quel momento agli ordini del papa. Il feudo fu poi campo dei franco-veneti, e nel 1522 nuovamente attaccato dai cugini rivali, sconfitti dal Medici divenuto capitano francese (episodio ritratto in un affresco vasariano in Palazzo Vecchio a Firenze).

Grazie a lui Rossi ebbe dai francesi il suo primo comando di 200 cavalli. Non si sa se lo seguisse nei suoi passaggi da un fronte all’altro; era con i francesi nel 1525 quando compare in una lista di prigionieri fatti a Pavia e perse temporaneamente il possesso di San Secondo, occupato dagli imperiali; rimase al servizio della Francia e fu ferito presso Milano in una scaramuccia (luglio 1526), ma nell’agosto di quell’anno era nell’esercito pontificio a capo di cento cavalleggeri. Associato al ricordo di Giovanni dalle Bande Nere in lettere e scritti di Pietro Aretino, e forse nell’iniziale simpatia di Francesco Guicciardini, presto rientrata di fronte alla sua indisciplina e alle sue scelte di campo, sperò invano di ottenere dopo la morte dello zio il comando delle sue Bande Nere. Il comando fu invece conferito a Guido Rangoni: uno dei fattori della lunga inimicizia tra i due, sempre in concorrenza per cariche militari e arruolamento di fanti (ma alimentata anche dal contrasto con il fratello di Guido, Lodovico, in possesso di un antico feudo rossiano), che coinvolse anche i fratelli di Rossi e che fu anche più virulenta dell’altra che lo aveva opposto ai cugini Filippo e Bernardo, di fatto chiusa alla fine degli anni Venti per morte dei due avversari, e formalmente con una pace con i loro discendenti nel maggio del 1537.

La carriera militare di Rossi fu quasi totalmente esterna allo Stato di cui era suddito dal novembre del 1521 salvo la condotta con «colonnello di 2000 fanti [ma 1000 secondo un informatore mantovano] e 100 cavalli, i quali egli havea invernati nei suoi contadi di Parma» (Angeli, 1591, p. 358) al tempo della Lega di Cognac. Dopo il sacco di Roma (1527) passò nottetempo con i suoi soldati – fatto sempre ricordato come disonorante nei cartelli di sfida che gli vennero rivolti – al soldo imperiale, combattendo in Umbria a fianco di Alessandro Vitelli, nel Regno di Napoli e sotto Firenze (ferito nel novembre del 1529 tra i colonnelli imperiali nella famosa battaglia di Gavinana) contro l’ultima Repubblica fiorentina, di cui firmò la capitolazione come testimone. Decisivo in questo passaggio fu l’appoggio di Ferrante Gonzaga, con cui si era imparentato nel 1523 sposando Camilla, figlia di Giovanni Gonzaga, prozio del marchese (poi duca) di Mantova, con la benedizione di questi e con dote di 10.000 ducati. Il 30 dicembre 1530 fu nominato per due anni (per volontà di Clemente VII) capitano generale di tutte le ‘genti a piede’ di Firenze, provvisione di 150 scudi al mese, con condotta di 150 cavalleggeri e 2000 fanti in guerra.

Dal 1532 fino al 1538 risulta con continuità al servizio nell’imperatore (nel 1532 in Ungheria, nel 1535 a Tunisi, nel 1536 in Provenza, dove pare comandasse un colonnello di 4500 lance, uno di cavalli e altri 3000 fanti affidati al fratello Giulio, nel 1538 agli ordini di Ferrante Gonzaga contro gli ottomani a Castelnuovo di Cattaro), malgrado le voci ricorrenti (1534, 1535, 1537) di ‘partiti’ con il re di Francia o con il papa, o anche con Venezia, e malgrado un incidente di percorso: l’ammutinamento delle fanterie italiane nel corso della spedizione di Ungheria, di cui Rossi venne ritenuto responsabile (e poi scagionato). Né questo smacco, né la faida con i Rangoni incrinarono la sua autorità locale: a lui si affidò la Comunità di Parma per pacificare le discordie che agitavano la città (1533). L’ambiguo coinvolgimento suo e dei fratelli (specialmente Gian Girolamo vescovo di Pavia) nell’insediamento di Cosimo I (loro cugino), lo scandaloso matrimonio, preceduto da ratto, del fratello minore Giulio con Maddalena Sanseverino ereditiera di Colorno (dichiarato legittimo nel luglio dell’anno successivo) non provocarono la perdita del favore del pontefice nel 1537, che vide anzi la pace con i cugini, la conferma dei privilegi, l’acquisto di un nuovo feudo (Cassio), lo scacco ai nemici Rangoni privati di Roccabianca con una campagna militare condotta da Pier Luigi Farnese.

Invece, cause dichiarate della rottura tra Paolo III e i Rossi di San Secondo, i maggiori feudatari e capifazione allora attivi nel Parmense, nel contesto del crescente accentramento e autoritarismo pontificio e di pesanti attacchi del papa ai suoi maggiori vassalli, furono gli incidenti a Parma nel passaggio del pontefice (1538), l’occupazione di Colorno da parte di Giulio e la sua difesa di Basilicanova assediata dai pontefici (1539). Alla citazione a Roma sotto pena di confisca e all’ordine di smantellare le fortificazioni di San Secondo Rossi si sottrasse grazie all’aiuto dei parenti Gonzaga di Mantova e a un cauto appoggio di Carlo V, che per la seconda volta gli concesse l’imperialità dei feudi (10 settembre 1539), ma non lo mantenne al proprio servizio.

La «sequela grande in la città et pheudatarii» (il legato cardinale Ennio Filonardi al cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, Piacenza, 19 maggio 1540) dei Rossi mise a rischio la stessa continuità del dominio pontificio su Parma, dove i «tumulti rosseschi» prepararono l’acme delle tensioni tra città e pontefice, dopo l’aumento del prezzo del sale. Malgrado gli stretti legami con i parenti imperialissimi Medici e Gonzaga, dal 1541 Rossi è «fatto francese» (Alessandro Donesmondi a Ferrante Gonzaga) garantendo al re oltre alla propria persona e ai propri amici e aderenti, feudi e rocche in posizioni strategiche. Si muoveva tra Mantova (gennaio 1540, 1542), dove disponeva di un «palacio residentie et habitationis» (Roma, Archivio Rossi di San Secondo, Serie I, b. 26, 1542 febbraio 1), San Secondo (ottobre 1541) e Venezia, dove si adoperò per l’ambasciatore francese in un contrasto con la Signoria (1542); gentiluomo di camera di Francesco I, cavaliere di San Michele (almeno dal 1543), con 4000 scudi all’anno di provvisione e soldo per 2000 fanti e 2000 cavalli (in guerra), nel 1543 capitano generale delle fanterie italiane, passò dal Piemonte in Piccardia e a Landrecy si trovò opposto al suo antico amico e protettore Ferrante Gonzaga luogotenente imperiale. In quel fronte operò nel 1544 e nel 1545 (quando venne impiegato nell’assedio di Boulogne contro gli inglesi), non senza incursioni a San Secondo e Mirandola per reclutare fanti, in aperta concorrenza con Piero Strozzi, un’altra delle sue numerose inimicizie con relative ingiurie e cartelli di sfida (1546). Costretto a giurare fedeltà al suo antico commilitone, Pier Luigi Farnese, divenuto duca di Parma, Rossi fece rogare a Parigi una protesta che è un manifesto di vera e propria inimicitia con la famiglia ducale-pontificia.

Rientrò tuttavia a San Secondo, dove morì nel 1547, poco prima della congiura antifarnesiana del settembre.

Gli si conoscono dieci figli, tre femmine monache, militari Sigismondo e Troilo, suo luogotenente in Francia ed erede della primogenitura, ecclesiastici Ippolito, futuro cardinale, e Federico, gli altri morti in giovane età.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Rossi di San Secondo, Serie I, bb. 22, 23, 26; Serie II, bb. 1, 2; Serie III, b. 7; Archivio di Stato di Parma, Famiglia, Rossi, bb. 8-12; Feudi e comunità, b. 274, Libro delle investiture, cc. 3-24; Carteggio farnesiano interno, bb. 5-8; Archivio del Comune, b. 4327: Libro antico della prosapia dei Rossi; Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, Carteggio universale, ad ind.; Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1911; Guastalla, Biblioteca Maldotti, Fondo Mossina, reg. 48, 15 agosto 1541; F. Sansovino, Della origine e dei fatti delle famiglie illustri d’Italia, Venezia 1582, pp. 80 s.; G.B. Adriani, Istoria de’ suoi tempi, Firenze 1583, pp. 127, 136, 141; V. Carrari, Historia dei Rossi parmigiani, Ravenna 1583, pp. 200, 204-216, 221; B. Angeli, La historia della città di Parma, Parma 1591, pp. 357-362; S. Ammirato, Istorie fiorentine con l’aggiunte di Scipione Ammirato il Giovane, Firenze 1647, pp. 422 s.; B. Varchi, Storia fiorentina, Colonia 1721, pp. 36, 270, 306, 344 s., 415, 428; L.A. Muratori, Annali d’Italia, IX, Milano 1744, p. 245; M. Pinard, Chronologie historique militaire, III, Paris 1760, pp. 582 s.; Federici Roscii Petri Mariae junioris filii Elogia virorum Rosciorum, in A. Pezzana, Storia della città di Parma, I-V, Parma 1837-1859, IV, 1852, Appendice, pp. 51-53; Cronaca modenese di Tommasino Bianchi detto de’ Lancellotti, IV, Parma 1866, pp. 92, 95, 191-193, 202 s., 211-215, 218 s., 221, 227; V, Parma 1867, pp. 435 s.; VI, Parma 1868, pp. 19, 211; M. Sanuto, I Diarii, Venezia 1879-1903, rist. Bologna 1969-1970, XXXVIII-XXXIX, XLIV-XLV, XLVII, L-LII, ad indices; J. Zeller, La diplomatie française vers le milieu du XVIe siècle, Paris 1881, pp. 71, 345 s., 360-362; F.L. Campari, Un castello del parmigiano attraverso i secoli, Parma 1910; Mémoires de Martin et Guillaume Du Bellay, a cura di V.-L. Bourrilly - F. Vindry, IV, Paris 1919, p. 164; C. Argegni, R., P.M., in Id., Condottieri, tribuni, capitani di ventura, III, Milano 1937, pp. 57-59; P. Giovio, Historiarum sui temporis, tomi secundi pars prior, a cura di D. Visconti, Roma 1964; Tomi secundi pars altera, a cura di D. Visconti - T.C. Price Zimmermann, Roma 1985, ad ind.; F. Guicciardini, Le lettere, a cura di P. Jodogne, VI-X, Roma 1996, 1999, 2003, 2005, 2008, ad indices; Id., Carteggi, a cura di P.G. Ricci, XII, Roma 1967, pp. 42, 46 s., 69, 71; XIV, Roma 1969, p. 88; Id., Storia d’Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Torino 1971, ad ind.; Nove. Diario di un paese dell’Appennino. 1544-1577, a cura di G. Petrolini, Parma 1980, ad ind.; M.C. Basteri - P. Rota, I conti Rossi e la residenza di San Secondo, in La rocca dei Rossi a San Secondo, s. l. 1995, pp. 22-29; G.G. Rossi, Vita del molto illustre e valoroso signor Giovanni de Medici, a cura di V. Bramanti, Roma 1996, passim; P. Aretino, Lettere, a cura di P. Procaccioli, I-V, Roma 1997-2001, ad indices; J.-F.-L. d’Hozier, Recueil historique des chevaliers de l’Ordre de Saint-Michel, I, 1469-1560, a cura di M. Popoff, Paris 1998, n. 273; L. Arcangeli, Gentiluomini di Lombardia, Milano 2003, pp. 71-121, 151-199, 331-364, 401-404; Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, I, Roma 2003, pp. 340-344; G. Bertini, Il Parmigianino e i conti Rossi fra San Secondo e Casalmaggiore, in Parmigianino e la scuola di Parma. Viadana 2004, pp. 115-121; L. Arcangeli, Un’aristocrazia territoriale al femminile, in Donne di potere nel Rinascimento, a cura di L. Arcangeli - S. Peyronel, Roma 2008, pp. 597-599, 606 s., 627-642, 646-648; D. Parrott, Italian soldiers in French service, 1500-1700. The collapse of a military tradition, in Italiani al servizio straniero in età moderna, a cura di P. Bianchi - D. Maffi - E. Stumpo, Milano 2008, p. 21; L. Arcangeli, Conflitti paci, giustizia: feudatarie padane tra Quattro e Cinquecento, in Stringere la pace, a cura di P. Broggio - M.P. Paoli, Roma 2011, pp. 8-73; P. Aretino, Pronostico dello anno 1534, in Id., Operette politiche e satiriche, II, a cura di M. Faini, Roma 2012, p. 184; R. Damiani, Piermaria dei Rossi, 2013, in Il dizionario anagrafico dei condottieri di ventura, www.condottieridiventura.it; Corte dei Rossi a cura di P.L. Poldi Allaj, http: // www.cortedeirossi.it/.

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