PIETRO I di Sicilia, III d'Aragona

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIETRO I di Sicilia, III d'Aragona

Pietro Corrao

PIETRO I di Sicilia, III d’Aragona. – Nacque nel luglio del 1240 da Giacomo I d’Aragona e dalla seconda moglie di questi, Violante d’Ungheria.

Nominato procuratore generale della Catalogna nel 1257, alla morte del fratellastro Alfonso, primogenito di Giacomo, divenne erede dei domini paterni, dai quali il padre separò il Regno di Maiorca, destinato a un altro figlio. Come erede della Corona aragonese, nel 1262 ricevette la procura generale dei domini iberici del padre. Nello stesso anno sposò Costanza, figlia di Manfredi re di Sicilia, aprendo così la strada a una possibile rivendicazione dell’eredità del Regno siciliano da parte della dinastia aragonese. Nel 1269 esercitò la Luogotenenza generale, in occasione dell’assenza del sovrano, impegnato nella crociata. La politica autonoma che sviluppò nei regni come procuratore fu successivamente all’origine di un contrasto con il padre, che lo privò della carica per un breve periodo nel 1272. Riconciliatosi con Giacomo, alla morte di questi, nel 1276, gli subentrò come re d’Aragona e Valencia e come conte di Barcellona.

La molteplicità di tali titoli è all’origine di una diversa numerazione nell’intitolazione del sovrano: Pietro risulta formalmente il terzo di tale nome nella dinastia dei re d’Aragona, ma solo il secondo nella discendenza dei conti di Barcellona. La successiva incoronazione come re di Sicilia nel 1282 aggiunse un’ulteriore opzione, essendo Pietro il primo re di questo nome a regnare nell’isola.

La lunga carriera politica come procuratore generale del padre, che nella peculiare tradizione della dinastia aragonese prevedeva amplissime responsabilità di governo e possibilità di intervento autonomo negli affari dei regni, guadagnò a Pietro una profonda esperienza negli affari politici, e probabilmente fu anche alla base dell’apertura di un nuovo fronte negli orientamenti della Corona aragonese, quello dell’espansione oltremare dei domini della dinastia, che costituì l’irruzione di un nuovo soggetto politico nel contesto nevralgico del Mediterraneo. L’esperienza politica di Pietro, tuttavia, maturò anche sui tradizionali fronti dei domini iberici. Prima di salire al trono fu infatti impegnato a fondo a fronteggiare l’instabilità del Regno valenzano, appena conquistato dal padre; in esso rimaneva viva l’opposizione saracena, e covavano anche rivalità fra l’aristocrazia di origine catalana e quella aragonese che avevano partecipato alla conquista e vi si erano insediate.

Si trattava insomma di disegnare l’assetto dei complessi e variegati domini del re d’Aragona, dopo la fase della conquista vissuta durante il regno di Giacomo I. L’opera politica di Pietro in questa direzione gli valse nella tradizione storiografica e popolare l’appellativo di ‘Grande’, che si affianca a quello di ‘Conquistatore’ dato al padre Giacomo, esprimendo così il significato attribuito ai due momenti fondativi della costruzione e dell’evoluzione politica della Corona d’Aragona. La storiografia catalana, inoltre, enfatizzando l’altra grande svolta verificatasi con Pietro nella vicenda della Corona iberica, ha voluto legare l’appellativo – con una certa ragione – anche all’impresa siciliana del 1282, che fu l’avvio di un percorso destinato a caratterizzare la fisionomia della compagine aragonese a partire dal XIII secolo, in consonanza con le tendenze espansive dell’economia commerciale di Barcellona e poi di Valencia.

Nel 1282, dopo aver energicamente pacificato nei regni iberici sia le rivalità aristocratiche, sia la ribellione dei saraceni valenzani, Pietro si impegnò nella formazione di una potente flotta e di un consistente esercito, senza che se ne intendesse chiaramente la destinazione. Obiettivo dichiarato era un intervento sulle coste settentrionali africane, dove si poteva trarre profitto dalle contrapposizioni interne fra i potentati arabo-berberi per garantire una protezione armata e una base di dominio diretto alla crescente presenza di mercanti catalani e maiorchini che da decenni operavano con profitto sulle rotte tra l’Africa settentrionale e la penisola iberica, facendo base nelle Baleari conquistate da Giacomo I.

L’orizzonte politico di quegli anni era però dominato da un’altra questione, nella quale la corte barcellonese era profondamente coinvolta per molteplici motivi. Le vicende della successione nel Regno siciliano dopo la morte di Federico II, nel 1250, erano state il primo punto nell’agenda politica delle maggiori forze operanti nell’area mediterranea: la politica aggressiva di Manfredi, l’ostilità pontificia e la ricerca di un successore di orientamento opposto erano stati i fattori che avevano condotto all’incoronazione di Carlo d’Angiò come re di Sicilia nel 1266. La resistenza di Manfredi e degli eredi federiciani, stroncata a Benevento (1266) e a Tagliacozzo (1268), aveva provocato l’esodo degli esponenti aristocratici più strettamente legati alla parte ghibellina; loro naturale destinazione era stata la corte d’Aragona, dove Costanza rappresentava un punto di riferimento legittimistico per i sostenitori della dinastia federiciana. Alla corte e nella domus di Pietro e Costanza si trovava un gran numero di aristocratici siciliani, come diversi esponenti della famiglia Lancia, Ruggero Loria, Giovanni da Procida, che ricoprivano alte cariche nell’amministrazione della domus dell’Infante e poi del re d’Aragona ed erano suoi consiglieri politici di rilievo. Le intenzioni antiangioine di questi coincidevano con una molteplicità di altri fattori, fra i quali giocavano un ruolo gli interessi mercantili delle città italiane interessate al mercato meridionale e quelli della corte bizantina di Michele Paleologo, timorosa di iniziative offensive del re angioino a partire dalla sua base mediterranea.

Nei progetti politici di Pietro, fin dal matrimonio con Costanza, trovava dunque ampio spazio una nuova prospettiva per la Corona aragonese. È estremamente verosimile che quanto rappresentato con straordinaria icasticità da un testo letterario coevo di cui Pietro è protagonista, Lu Rebellamentu di Sichilia, corrispondesse a questi orientamenti del re: chiusa da tempo l’opzione provenzale e occitana, arrestatasi la Reconquista in terra iberica, pacificati i domini della Corona aragonese, un ardito intervento in ambito mediterraneo, suggerito dai nobili siciliani interessati al ritorno in terra italiana e visto con favore dalle forze mercantili e armatoriali attratte dall’apertura di una via commerciale verso il Levante mediterraneo appariva a Pietro come una strada per trasformare ‘un picciulo sovranu’ in un protagonista della scena mediterranea e in un potente rivale dell’allora crescente egemonia francese nell’area, confermando la retorica leggendaria del valore militare della dinastia catalana.

Dopo una breve permanenza sulle coste africane, Pietro si diresse con l’armata verso la Sicilia. Nell’aprile 1282 un fronte di nobili e città aveva sfidato vittoriosamente il dominio angioino con l’insurrezione detta del Vespro siciliano, ma stentava a trovare una soluzione politica stabile che permettesse di affrontare il ritorno di Carlo e l’aperta ostilità pontificia, consolidando un ordinamento alternativo al dominio angioino. L’offerta a Pietro della Corona siciliana da parte dei ribelli a Carlo garantiva tale soluzione e rappresentava il culmine di un convergere degli interessi di cui s’è detto e delle verosimili trattative svoltesi nei circoli della corte di Pietro e di Costanza. La particolare struttura della monarchia catalano-aragonese, peraltro, garantiva la possibilità di un’unione personale del Regno ai domini iberici di Pietro e la garanzia del mantenimento della specifica tradizione istituzionale e normativa del Regno siciliano.

Incoronato nel 1282 re di Sicilia, dopo avere manifestato davanti a un Parlamento siciliano l’intenzione di rispettare il tradizionale assetto normativo del Regno e avere definitivamente abolito le collectae e altre imposizioni fiscali angioine, Pietro rimase nell’isola solo per pochi mesi, ma tenne il titolo fino alla morte, nel 1285, governando attraverso il figlio Giacomo, che ebbe la carica di luogotenente nel Regno siciliano. L’occasione della partenza dal Regno fu la sfida di Carlo d’Angiò, che prevedeva la soluzione del conflitto per il Regno siciliano attraverso un duello da tenersi a Bordeaux. In realtà, i due avversari non si incontrarono mai sul luogo prescelto, convinti entrambi di potere prevalere sul campo.

L’iniziativa siciliana di Pietro impresse una svolta decisiva alla questione apertasi con la rivolta del Vespro: l’accuratezza della preparazione della spedizione consentì al re di volgere immediatamente a suo favore la situazione militare, con una serie di vittoriosi confronti con le forze angioine, costrette a ritirarsi oltre lo stretto di Messina e a subire gli attacchi del re d’Aragona nella parte continentale del Regno, dove Pietro si impadroniva di Nicotera e di Catona in Calabria (1282-1283). Tutto ciò fu possibile a Pietro grazie all’abile utilizzo delle specifiche forze sulle quali la compagine aragonese poteva contare, e delle quali il sovrano conosceva bene le possibilità d’utilizzo grazie alla sua esperienza politica e militare in terra iberica. In primo luogo, Pietro aveva organizzato il proprio esercito costituendo peculiarissimi reparti, i cosiddetti almogaveri, composti da combattenti largamente esperti di forme di guerra non tradizionale, esponenti della società guerriera sviluppatasi nella lunga vicenda della Reconquista e del confronto con i Saraceni nella guerra permanente di frontiera. La carta militare degli almogaveri, sapientemente giocata dal re in tutte le operazioni militari in Sicilia, fu una delle maggiori chiavi del successo dell’occupazione dell’isola e dell’espulsione delle residue guarnigioni angioine (Sperlinga, Castrogiovanni, 1282-1283). In secondo luogo, fu altrettanto decisivo il ricorso del re alla forza della marineria catalana. Le decisive vittorie riportate dalla flotta aragonese fin nel golfo di Napoli (1284) furono il frutto di una lunga pratica di mare, e della capacità di convertire in valore militare l’esperienza delle marinerie iberiche formatesi nella crescente frequentazione delle rotte commerciali del Mediterraneo occidentale, in concorrenza con i mercanti musulmani. La conquista di Malta e Gozo (1283) e lo stabilimento di un caposaldo a Gerba, davanti alle coste tunisine (1284), facevano del Regno siciliano il cuore strategico del controllo del Mediterraneo meridionale. Infine, la conoscenza del Regno italiano fornita a Pietro dagli emigrati siciliani rifugiatisi alla sua corte gli consentì di sostenere lo sforzo militare con un’attenta utilizzazione delle risorse locali: un’ampia documentazione mostra nei dettagli la bilanciatissima esazione del ‘fodro’ in natura e in denaro dai centri del territorio siciliano, a testimonianza della capacità di instaurare meccanismi fiscali e logistici efficaci e compatibili con le risorse del Regno.

L’incoronazione siciliana, tuttavia, costò a Pietro l’immediata scomunica (1282), la deposizione e la privazione di tutti domini da parte di papa Martino IV, che investì dei regni iberici di Pietro il figlio del re Filippo di Francia, Carlo di Valois (1283). Si profilava così un duplice fronte di scontro, in Sicilia e alla frontiera pirenaica, con le dinastie francesi.

Il breve regno di Pietro fu un episodio fondamentale nel determinare le caratteristiche e le vicende del Regno isolano per i secoli successivi. Non soltanto perché segnò l’inizio della secolare unione dell’isola alla Corona d’Aragona prima e poi a quella di Spagna, ma perché ne delineò le caratteristiche costitutive essenziali, consolidate e sviluppate dai due figli Giacomo e Federico che gli succedettero, e dalla dinastia da questi derivata.

In primo luogo, Pietro, assumendo la corona del Regno, giurava il mantenimento in vigore delle leggi siciliane. Era un atto analogo a quello in uso nella Corona aragonese relativamente ai Fueros, le leggi particolari dei diversi regni di cui il re era titolare. In secondo luogo, Pietro era divenuto re di Sicilia in virtù dell’accettazione di un’offerta fattagli dal Regno stesso, e non per diritto ereditario o di conquista. Se queste peculiarità della posizione di Pietro erano solo implicitamente contenute nella procedura che lo portò a posporre l’incoronazione a una dichiarazione d’intenti e a un giuramento di fronte a un’assemblea del Regno, esse non mancarono di costituire un forte argomento giuridico in tutte le successive occasioni in cui fu necessario definire la posizione del Regno siciliano in seno alla Corona aragonese e spagnola.

Altra importante caratteristica del regno di Pietro fu infatti l’avvio della definizione di una struttura di tipo pattista nei rapporti fra monarchia e società del Regno. Parallelamente a un’azione in tal senso dettata dalla necessità di risolvere il rinnovato confronto con le forti aristocrazie e le importanti città dei diversi regni iberici e che sarebbe sfociata nella concessione del cosiddetto Privilegio General a garanzia delle prerogative del Regno aragonese (1284), Pietro avviava, per tramite del luogotenente Giacomo, sia l’eliminazione delle fazioni aristocratiche siciliane che erano state più tiepide nei confronti della soluzione aragonese, sia l’instaurazione di meccanismi di negoziazione e di confronto politico costante fra apparato della monarchia e corpi strutturati del Regno (Parlamento di Catania, 1283), sia la promozione di un ceto di governo siciliano capace di mantenere il consenso al nuovo potere regio. Tutte queste tendenze avrebbero trovato puntuale riscontro nella legislazione dei successivi sovrani siciliani, a partire dalla ‘costituzione’ Semel in anno di re Federico III, figlio di Pietro, ricalcata su quella promulgata dal padre in terra iberica, denominata Una vegada l’any, e relativa all’ordinamento di una regolare assemblea rappresentativa del Regno.

Dopo avere vittoriosamente respinto l’aggressione francese ai propri domini iberici, legittimata dal papa come crociata contro un nemico della Chiesa con brillanti vittorie navali (Formigues, Roses) e terrestri, in cui il re comandò personalmente le truppe (Girona, Panissars, 1285), Pietro morì nel novembre dello stesso 1285 e venne sepolto nel cenotafio reale di Santes Creus in Catalogna, lasciando per disposizione testamentaria i regni iberici al primogenito Alfonso e quello siciliano al secondogenito Giacomo. Tale regolazione della successione sarebbe però stata violata in conseguenza degli sviluppi dell’intricata questione siciliana alla morte di Alfonso (1291), quando Giacomo assunse la Corona aragonese mantenendo anche quella del Regno siciliano.

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