VILLOLA, Pietro e Floriano da

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VILLOLA, Pietro e Floriano

Armando Antonelli

da. – Il cognome dei due cronisti deriva da una località posta a breve distanza dalla città di Bologna, fuori porta San Donato.

Pietro, nipote di Petrizolo e figlio di Lambertino detto Bitino, nacque a Bologna tra il 1304 e il 1309; nel 1307 secondo Antonio Pini (1994, che ricava tale datazione dalla disamina puntuale della cronaca); nulla si sa invece della madre.

Il nonno di Pietro, Petriçolus de Villola, compare nella matricola della società dei cartolai del 1272-74; il padre, Lambertinus Petriçoli de Villola, insieme con il fratello Pax domini Petri de Villola, è in quella del 1294. Lambertino/Bitino – che nel 1304 presenta la denuncia d’estimo nella cappella di S. Tommaso della Braina insieme con il fratello Pace, coerede di 30 lire – era ancora vivo nel 1336 e risiedeva a Bologna nella cappella di San Biagio del quartiere di Porta Ravennate (cfr. l’estimo del 1329). Pietro ebbe un fratello di nome Iohannes filius domini Bitini de Villola, che compare a sua volta nelle matricole dell’arte dei cartolai, nel 1309.

Anche Pietro esercitò la professione di cartolaio, tradizionale all’interno della famiglia da Villola (fornitrice del Comune di Bologna e della società dei notai) in una bottega presa in affitto nel pieno centro di Bologna, presso il palazzo dei Notai, come dimostrano i pagamenti effettuati a favore della corporazione nel corso del Trecento. Tra il 1324 e il 1328 con il padre e il fratello risiedette nella casa di famiglia nella cappella di San Biagio; a partire almeno dal 1355 Pietro risiedette nella cappella di San Domenico del quartiere di Porta Procola. Nel 1359 fu chiamato a deporre in un processo, nel quale gli si chiese di certificare in veste di testimone qualificato la data (ottobre 1345) della venuta a Bologna del delfino di Vienne; egli rispose «de dicto tempore bene recordatur, maxime quia ea scripsit» (Sorbelli, 1937-1938, p. 159) e si tratta di un documento importante per la definitiva attribuzione a lui del testo cronistico (v. oltre). Nel 1360 Pietro ebbe un importante riconoscimento pubblico venendo eletto nel Consiglio dei anziani per il quartiere di San Procolo. Ebbe almeno tre figli: Fazio, che dovette decedere con lui nel contagio di peste del 1362; Giovanni, che risulta immatricolato nella società dei cartolai nel 1379; e Floriano, considerato il continuatore della cronaca.

Morì a Bologna, prima del 1368 e probabilmente nel 1362, in seguito a un contagio, e fu sepolto nella chiesa di San Domenico.

Floriano nacque a Bologna tra il 1340 e il 1342 e prese il posto del padre (1369), anche se in un secondo momento esercitò la professione di mercante, come testimoniano alcuni documenti degli anni 1377 e 1379. Floriano ricoprì diversi incarichi di grande rilievo politico all’interno delle istituzioni comunali, dopo la rivoluzione che portò nel 1376 alla cacciata del legato pontificio dalla città e all’instaurazione del governo del Popolo e delle Arti. Proprio nel 1376 fu eletto nel Consiglio dei cinquecento e negli anni 1379-80 e 1382-86 fu eletto nel Consiglio dei quattromila. Fu inoltre nominato gonfaloniere del Popolo nel 1379 e ricoprì l’incarico di difensore dell’avere e dei diritti del Comune di Bologna nel 1385. Risiedette a Bologna nella cappella paterna di San Domenico di Porta Procola.

Morì a Bologna il 20 giugno 1385, lasciando i figli Girolamo, Pietro e Leonardo.

La Cronaca di Pietro e Floriano da Villola è trasmessa unicamente dal codice conservato a Bologna (Biblioteca universitaria, ms. 1456). Il manoscritto è autografo di Pietro da Villola sino all’anno 1362; e dopo questa data, per il decennio successivo, è autografo di Floriano da Villola e del figlio Leonardo, anche se queste attribuzioni risultano meno sicure rispetto a quella di Pietro da Villola. La Cronaca Villola ricopre gli anni 1163-1376, ma originariamente giungeva al 1380; riporta avvenimenti coevi alla sua stesura a partire dal 1334, mentre per la parte più antica i da Villola fecero ricorso a fonti precedenti, oggi non conservate, in gran parte latine fino al 1316 e poi in volgare, andate perdute anche per l’autorevolezza e la fortuna di cui godette la loro cronaca, la sola fonte narrativa bolognese che per il Trecento ci sia giunta in forma autonoma, oltre a essere confluita in compilazioni successive.

Pietro e Floriano sarebbero da riconoscere nei due stationarii raffigurati nella loro bottega – intenti alla preparazione della pergamena e a raccogliere le notizie riportate da un pellegrino giunto in città – in un disegno attribuito ad Andrea de’ Bartoli in uno dei primi fogli del manoscritto; il disegno è accompagnato da un sonetto, e funge da prologo alla narrazione storica. Quanto a Leonardo da Villola, è ricordato da Bartolomeo della Pugliola nelle sue Antichità di Bologna, nell’anno 1394, come possessore del codice, in un passo destinato a chiarire le fonti cronachistiche impiegate dallo storico francescano.

La cronaca è preceduta, sul manoscritto, da alcune profezie in latino e in volgare, dalla trascrizione di alcune lettere e documenti tratti dall’archivio pubblico cittadino, e dal citato disegno e sonetto. Il codice 1456 è di dimensioni rilevanti per essere un codice che tramanda una cronaca cittadina e misura 410×300 mm. Si conserva una cartulazione a lapis antica da 1 a 163 alle carte 3-147 con salti (bianche le cc. 59-60, 62v, 146v, 147v). Il codice (antica segnatura Aula II B 12) proviene dalla raccolta di Vincenzo Ferdinando Ranuzzi Cospi (1658-1726), che l’acquisì dallo storico, letterato e pittore bolognese Giovanni Francesco Negri (1593-1659), che nell’ultimo periodo della sua esistenza si dedicò alla stesura degli Annali di Bologna. Il manoscritto fu acquistato dal Senato bolognese, insieme ad altri codici che trasmettevano le cronache bolognesi medievali, da Girolamo Ranuzzi, avendo questi manifestato l’intenzione di vendere la propria raccolta di manoscritti all’estero. Il Senato bolognese intervenne attraverso l’assunteria di Istituto che acquistò parte della raccolta Ranuzzi tramite la persona del bibliotecario dell’Istituto delle scienze, Lodovico Montefani Caprara.

L’attribuzione della parte principale della Cronaca Villola a Pietro è stata progressiva e ha portato prima a individuarne e poi a meglio precisarne il ruolo e la figura quale autore del testo cronachistico bolognese.

Fu Augusto Gaudenzi a porre per la prima volta, nel 1892, la questione dell’identificazione dell’autore della cronaca tramandata dal manoscritto 1456, che lo studioso individuò, tramite l’intitolazione settecentesca posta ad apertura del manoscritto, in Floriano da Villola.

La svolta per l’attribuzione della cronaca a Pietro Villola si ebbe nel 1900 grazie a Giuseppe Kirner, che pubblicò una recensione al volume stampato nel 1900 da Albano Sorbelli sulle cronache bolognesi del secolo XIV, in cui Sorbelli aveva riservato un posto centrale alla Cronaca Villola (accettando in pieno le conclusioni di Gaudenzi, con la sola precisazione che Floriano da Villola non fu l’estensore materiale di tutto il testo e che a partire dalla carta CXVII fu sostituito da un secondo scrivente, un figlio o un altro copista di fiducia). Kirner dimostrò nella sua recensione come fosse inverosimile per ragioni cronologiche credere che l’autore della prima parte del testo (a partire dal 1334) lo fosse dell’intera cronaca. Difficilmente Floriano avrebbe potuto scrivere de visu a partire dal 1334, anno in cui si individuava l’inizio della stesura originale della Cronaca Villola, sino al 1376. Per la prima parte del testo, Kirner avanzò quindi la candidatura del padre di Floriano, Pietro da Villola: sarebbe lui (e non san Pietro, o il papa, come voleva Gaudenzi) il Pietro menzionato nel sonetto in limine. Le osservazioni di Kirner furono accolte pienamente da Sorbelli, cui venne affidato il compito di pubblicare nella nuova edizione dei Rerum italicarum scriptores le antiche cronache bolognesi. Sorbelli individuò più mani nel manoscritto 1456, che si alternano nella stesura del testo: Pietro da Villola sino al 1362, Floriano sino almeno al 1372 e, probabilmente, Leonardo sino al 1376, quando il testo s’interrompe nel manoscritto mutilo. Tuttavia pare che la narrazione si estendesse in origine sino al 1380.

Il dibattito intorno all’identificazione dell’autore del testo tramandato nel manoscritto 1456 della Biblioteca universitaria di Bologna appariva ormai risolto in modo definitivo, ma nel 1922 un articolo di Lino Sighinolfi, in contrasto con le conclusioni degli studiosi che lo avevano preceduto, si ripromise di dimostrare come i da Villola non avessero avuto nessuna responsabilità nella confezione del testo, che attribuì quale testo ufficiale del Comune di Bologna a notai presenti nella Camera Actorum del Comune (Archivio pubblico cittadino) o in alternativa a quelli al servizio del rettore della facoltà di medicina e arti dell’Università di Bologna. Secondo Sighinolfi i da Villola furono semplicemente i depositari del codice nella loro bottega. Ma su tali affermazioni, che sembrarono mettere in discussione tutti i dati acquisiti sino a quel momento, tornò nel 1938 Sorbelli che riuscì a confutare le conclusioni cui era giunto Sighinolfi, pubblicando in tale occasione la testimonianza resa nel 1359 da Pietro Villola (cfr. supra, e anche Ortalli 1989, p. 526, che sottolinea come la ricostruzione degli eventi proposta da Pietro appaia quella di un notaio-cronista).

Proprio in quegli anni (1938) Sorbelli risolse definitivamente ogni questione concludendo la pubblicazione, nella nuova edizione dei Rerum italicarum scriptores, del complessivo Corpus chronicorum Bononiensium, nel quale figurò anche la cronaca villoliana, e chiudendo nel contempo anche la parallela (connessa e aggrovigliata) questione delle altre cronache bolognesi aperta vari decenni prima da Gaudenzi. Costui era infatti riuscito a bloccare l’originario progetto editoriale di Vittorio Fiorini, il promotore dei nuovi RIS (Rerum italicarum scriptores), che consisteva nel sostituire la discutibile Historia miscella Bononiensis pubblicata da Ludovico Muratori – che aveva fuso due distinti testi, la cronaca Varignana e la Rampona, presi da due manoscritti estensi – con l’edizione separata delle due narrazioni, seguendo la lezione di due codici più antichi e autorevoli (mss. 431 e 432 della Biblioteca universitaria di Bologna).

La Cronaca Villola assume un posto centrale nella cronachistica bolognese in quanto depositaria di quella più antica e fonte principale per la produzione storiografica successiva, come le Antichità di Bologna del francescano Bartolomeo della Pugliola o la Cronaca Rampona. Gherardo Ortalli è giunto a riconoscere nella parte della Cronaca Villola anteriore all’anno 1300 almeno quattro diversi elementi compositivi. Secondo lo studioso (1977) «la sfortuna dei testi pre-villoliani dipende soprattutto dalla particolare, eccezionale fortuna del testo villoliano il quale fece piazza pulita di ogni possibile concorrente e rese di scarso interesse, se non inutile, quanto già si aveva. Per il suo carattere e il suo tono, ampiamente accettabile dalla collettività nei suoi più diversi strati sociali; per il suo non esposto atteggiamento politico, che la garantiva dai rischi di un periodo di rapidi mutamenti; per la pubblicità acquisita attraverso la consultazione, che ne era assicurata essendo esposta in lettura nella zona urbana più centrale, nel Palazzo dei notai; per l’attendibilità riconosciuta agli autori, i cartolai Pietro e Floriano da Villola, fra l’altro fornitori di fiducia del comune e della Società dei notai; per tutte queste ragioni il testo venne a porsi come vero, inevitabile obbligato punto di partenza per tutta o quasi la storiografia successiva» (p. 155). Su questi dati intorno alla cronachistica bolognese, che parevano ormai acquisiti dalla critica, è intervenuto con proposte del tutto alternative Marino Zabbia. Lo studioso, prendendo in esame il Memoriale historicum del cronista bolognese Matteo Griffoni, è giunto alla conclusione che l’opera dei da Villola «non riuscì ad affermarsi dando origine ad una tradizione manoscritta, fu presto dimenticata e ci giunge solo nel codice autografo». Secondo lo studioso, alla fine del Trecento si ebbe a Bologna «una sorta di codificazione della memoria storiografica cittadina cui è imputabile la perdita della produzione cronachistica cittadina precedente, ma a determinare tale naufragio i Villola contribuirono solo indirettamente. Infatti, le opere su cui si basa la loro compilazione erano ancora note a Matteo Griffoni» (per entrambi i passi citati v. Zabbia, 1999, pp. 101-103).

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