DEL MONTE, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DEL MONTE, Pietro

Roberto Ricciardi

Nacque a Venezia da Niccolò verso i primi anni del 1400, probabilmente fra il 1400 e il 1404 (Haller, p. *10). La sua famiglia, anche se non nobile, era certamente agiata, e questo consentì al D., ultimo di parecchi fratelli, di ricevere un'accurata istruzione letteraria. Frequentò infatti a Venezia la scuola di Guarino Veronese negli anni fra il 1414 e il 1419, finché il maestro non abbandonò definitivamente Venezia a causa di una pestilenza. Il D. fu mandato in seguito dal padre a Padova perché, tralasciati gli studi umanistici, si decidesse "ad utiliora ... dialectice primum, dehinc philosophie ... dehinc civili et pontificio iuri", come egli stesso scrisse retrospettivamente ad Ambrogio Traversari dall'Inghilterra nel 1438 (Haller, p. 81).

Alcuni biografi (Zanelli, p. 322) riferiscono di un suo soggiorno a Parigi dopo il 1422, al collegio di Navarra, per studiarvi filosofia, ma questa notizia non sembra attendibile. Non si può escludere invece una sua permanenza a Siena, anteriore comunque al periodo degli studi patavini (Sottili, p. 22).

A Padova il D. frequentò assiduamente l'università fra il 1420 C il 1433, avendo come maestri di diritto civile e canonico i padovani Prosdocimo Conti e Gianfrancesco Capodilista, e inoltre Paolo da Arezzo e Angelo Perigli di Perugia.

Nella sua formazione di questi anni convivono temi umanistici, appresi alla scuola di Guarino, con moduli stilistici e concettuali di derivazione scolastica. La partecipazione del D. all'attività culturale padovana è garantita da una sua invettiva contro "ridiculum quemdani oratorem", che si era permesso di attaccare gli scrittori del passato e di denunciarne presunti errori. L'invettiva, di cui è stata recentemente segnalata una redazione secondaria in forma di "facezia" (Tournoy, pp. 67 s.; ma cfr. L. Pastore Stocchi, in Storia della cultura veneta, III, 1, Vicenza 1980, p. 99 e n. 18, che ne contesta l'autenticità), riproduce le argomentazioni con cui Francesco Barbaro, Giovanni Marino, Giorgio Cesarini e il D., incaricato di registrare gli interventi degli amici, risposero all'acerbo denigratore dei classici. L'operetta, solo parzialmente stampata, si conserva nella sua integrità nel cod. Vat. Lat. 3194, ff. 13v-28v; per la sua modestia culturale e l'opacità stilistica, può essere considerata come sintomo di un gusto umanistico che amava ricollegare ai grandi del passato i loro più importanti cultori del presente, come il maestro del D., Guarino Veronese.

Prima del 1429 il D. conseguì la laurea in arti, mentre nel giugno del 1433 ricevette quella inutroque iure, dopo che già da tempo svolgeva allo Studio attività scientifica, assisteva alle lauree e rivestiva incarichi ufficiali, come quello di commemorare illustri maestri defunti, quali Paolo Leone e Giovanni Zabarella; il 15 luglio infine ottenne il diploma dottorale alla presenza delle massime autorità politiche e accademiche di Padova, e inoltre del protonotario apostolico Ermolao Barbaro. Alla stessa epoca si può attribuire anche l'ingresso attivo del D. nella carriera ecclesiastica, riflesso nelle sue lettere di questi anni, dalle quali traspare una non indifferente ambizione. Alla fine dell'ottobre 1433 il D. (forse per interessamento di Francesco Barbaro) si recò al concilio di Basilea "una cum quibusdam aliis prelatis et doctoribus per illustre Dominium Venetum" (Haller, p. *24), e nel novembre fu qui immatricolato nella "deputatio pacis". Il suo compito era di garantire un appoggio fidato al partito dei papa, altrimenti poco rappresentato.

Il D. intervenne, fin dall'inizio, in questioni politiche di rilievo: divulgò manoscritto, verso il 1434, un breve trattato De summi pontificis, generalis concilii et imperialis maiestatis origine et potestate. Iltrattato è noto da diversi manoscritti (uno, autografo, con successive aggiunte, e correzioni, è nel Vat. lat. 4136; un altro, datato 1434 e appartenuto al Torquemada, che fu presente al concilio, è nel Vat. lat. 4134: cfr. D. Quaglioni, D. a Roma, passim);fumesso successivamente a stampa con il titolo De potestate Romani pontificis et generalis concilii, forse a Roma nel 1476 (Hain, *11591), più conosciuto in seguito con il titolo della stampa di Lione del 1512, curata da Felino Sandeo, Monarchia Petri de Monte ... in qua generalium conciliorum materia de potestate... Romani pontifici et imperatoris...;furistampato ancora a Roma nel 1537, a Parigi nel 1673 in D. Giacobazzi, De concilio tractatus, e infine nel vol. XVIII (pp. 101 ss.) della Bibliotheca maxima pontificia di J. Th. Rocaberti, a Roma nel 1698.

Esso si inserisce nella contesa circa i diritti del papa e del concilio, sostenendo manifestamente il primato del pontefice in quanto "successor Petri et vicarius lesu Christi". Sulla scorta dello Zabarella, il D. vi argomenta che, essendo Gesù Cristo il "verus sponsus et pontifex" della Chiesa e del corpo inistico dei fedeli, di conseguenza il papa "ipsius vicarius est et caput ministeriale", con gli stessi diritti, sulla Chiesa, del Dio che li vantò in origine, per quanto egli ammetta che "potestatem clavium esse in hoc corpore [mystico] et sic in ecclesia". In questo senso, anche l'imperium temporale, di cui non viene riconosciuta l'origine divina, è sottoposto all'autorità dei papa, sebbene la sanzione pontificia non venga ritenuta pregiudiziale indispensabile all'esercizio del potere di un re regolarmente eletto.

Interventi non ufficiali dei D. nei lavori assembleari sono menzionati nella sua opera successiva Repertorium utriusque iuris, mentre nel protocollo dei concilio egli è ricordato fra i membri della "Deputatio pacis" incaricati di redigere un decreto universale che ponesse fine ai pericolosi conflitti di precedenza.

La stima di cui il D. godeva negli ambienti conciliari è dimostrata dal fatto che quando, il 23 luglio 1434, si decise di inviare una missione alla Curia, a Firenze, dove si era rifugiato da Roma il papa Eugenio IV, egli stesso vi fu designato ambasciatore con il vescovo di Brescia Francesco Mareri, con l'incarico di pubblico oratore. In tale veste il D. tenne due discorsi l'uno, a Firenze, al papa (Monaco, Bayer. Staatsbibl., cod. Lat. 17833, ff. 131v-132v) e l'altro, a Roma, al popolo romano (ff. 132v-135r), entrambi nell'agosto 1434, inserendosi nelle trattative per la liberazione dei cardinale Francesco Condulmer, nipote di Eugenio IV. Ma successivamente egli stesso fu catturato, con il Mareri, dagli uomini di Niccolò Fortebraccio. Liberato dietro riscatto nell'ottobre 1434, il D. entrò al servizio della Curia, anche per la preferenza che il papa accordava allora ai consiglieri padovani (come lo Zabarella, Luigi Scarampo, Francesco Dal Legname e altri) in materia giuridica. Grazie anche ai suoi appoggi, il D. percorse presso la corte pontificia una brillante carriera. Il 21 apr. 1435 Eugenio IV lo nominava protonotario apostolico e contemporaneamente nunzio pontificio in Irlanda e Inghilterra, con l'incarico di collettore delle imposte e un potere discrezionale, che lo rendeva vero e proprio vicario del papa nei difficili rapporti giuridico-politici con il re d'Inghilterra. Il D. partì da Padova nel giugno 1435 C passando da Basilea giunse a Londra il 10 agosto; all'inizio di ottobre fu ricevuto dal re Enrico VI e, ottenuto il suo gradimento, attese da allora al suo ufficio, per la durata di circa cinque anni.

A Londra il D. entrò in stretti rapporti di stima e amicizia con il cardinale Henry di Beaufort, cui fu presentato da Francesco Barbaro, e con il duca Humphrey di Gloucester, zio di Enrico VI e insigne mecenate (A. Sammut, Unfredo di Gloucester e gli umanisti italiani, Padova 1980, pp. 151 ss.). Durante il periodo della sua missione, provvide con scrupolo alla esazione delle imposte ordinarie e a quella dei tributi per l'indulgenza, superando ostacoli e vincendo resistenze e malumori di non poco conto (come quelli emersi nel sinodo di Kent sulla legittimità del pagamento delle indulgenze), di cui si registra un'eco nelle lettere allo Scarampo e a Ermolao Barbaro, oltre che al papa stesso, fra il 1437 e il 1440. Le somme inviate a Roma furono ritenute dalla Camera vaticana inferiori a quelle raccolte o che avrebbero potuto essere raccolte; il D., quando era già vescovo di Brescia, fu sottoposto ad inchiesta da parte di Niccolò V, e condannato a pagare con breve 8 maggio 1450 una forte somma come quietanza della collettoria inglese (Nodari, p. 13). Su quali prove si fondasse la sentenza papale non possiamo dire; di sicuro però sappiamo che il D., per il comportamento nel raccogliere e inviare a Roma i tributi. fu apertamente accusato di corruzione da Thomas Gascoigne nel suo Liber de veritatibus (Weiss, Origins, p. 24).

Più delicato era il compito che attendeva il D. quale nunzio apostolico, in un momento in cui la Chiesa era agitata e divisa dallo scisma iniziato durante i lavori del concilio di Basilea, il 18 sett. 1437, e alimentato dai principi d'Europa nel loro personale interesse. Nel contrasto fra il papa e il concilio, la Chiesa inglese tenne un atteggiamento neutrale, ma in sostanza più benevolo verso Eugenio IV, e questa condotta, oltre che a calcoli politici legati ai rapporti con la Francia, sembra dovuta all'abile azione diplomatica del D., che intervenne fin dalla fine del 1437 nel Consiglio regale, riuscendo a ottenere la fedeltà, se non l'appoggio, degli Inglesi alla politica ecclesiastica del papa. Nello stesso tempo il D. agiva con grande discrezione, facendosi interprete presso Eugenio IV del malcontento suscitato dalle nomine pontificie in alcuni vescovati vacanti. sicché il papa ritornò sulle proprie decisioni (1436-1437). Nonostante questi successi, si intuisce però dalle sue lettere, specialmente allo Scarampo, una certa delusione per le difficoltà incontrate nei rapporti con il basso clero e il popolo dei fedeli, quando si dovevano giustificare certi comportamenti della Chiesa di Roma, come la corruzione ormai dilagante e la vendita indiscriminata delle indulgenze e delle dispense ecclesiastiche. Per questi motivi e con la speranza di avanzare in Curia il D. chiese con sempre maggiore insistenza il proprio richiamo a Roma.

Il quinquennio della permanenza del D. in Inghilterra è importante anche per il proficuo contatto che attraverso la sua persona si ebbe fra umanesimo italiano, nella sua duplice specializzazione letteraria e giuridica, e la civiltà inglese. Il rapporto stabilitosi fra il D. e il duca di Gloucester, sulla base del comune amore per i classici, influenzò non poco lo svolgimento della stessa letteratura inglese. Sembra inoltre che il D. abbia introdotto presso il duca i segretari italiani Tito Livio Frulovisi, che forse era stato suo compagno alla scuola di Guarino, e Antonio Beccaria, autore di una traduzione latina della vita plutarchea di Pelopida, che gli fu dedicata (Parma, Bibl. Pal., Parm. 1039, ff. 52v s.). Oltre che con il duca di Gloucester, il D. fu in relazione con Vincent Clement, professore di teologia a Oxford, più per motivi politici che per interessi letterari, con il dotto abate di St. Albans, John Bostock di Whethamstede, a cui inviò libri ottenendone un Flavio Giuseppe, con il decano di Salisbury Nicolas Bildestone, con l'abate di St. Mary in York, William. Wells.

Al duca di Gloucester il D. dedicò un trattato di filosofia morale, composto nel 1438, De virtutum et vitiorum inter se differentia et comparatione, ancora manoscritto nel cod. Vat. lat. 1048 e in altri codici inglesi (la prefazione fu pubblicata dal Creighton, pp. 101 ss.), nel quale comparivano come interlecutori Guarino Veronese, Francesco Barbaro e Pietro Miani. Inoltre il D. mostrò al duca un suo lungo scritto (autogr. nel ms. Vat. lat. 2694; edito personalmente da A.M. Querini, Epistolae a cura di N. Coleti, Venetiis 1756, p. 50: cfr. H. Baron, The crisis of the early Italian Renaissance, Princeton 1979, ad Indicem), circa il contrasto fra Poggio Bracciolini e Guarino, se dovesse essere valutato più altamente Scipione oppure Cesare (Walser, pp. 164 s.). Un interesse storico-letterario presenta la lettera che il D. spedì il 28 febbr. 1437 a Eugenio IV per riferire l'uccisione di Giacomo I, re di Scozia, in seguito a una congiura (cod. Vat. lat. 2694, ff. 119v-123v, pubbl. integralmente da Weiss, Murder, pp. 484-91). Il racconto del D., nonostante alcune inesattezze e forzature, rimane una, fonte unica nel suo genere, e rispecchia l'opinione di membri influenti della Chiesa e del Consiglio della Corona d'Inghilterra. Ad ogni modo i rapporti epistolari con l'ambiente inglese continuarono anche dopo la partenza del D. dall'Inghilterra, come attestano le lettere scambiate dopo il 1440 con il duca di Gloucester, John Whethamstede, Thomas Beckynton e Adain de Moleyns.

Richiamato finalmente a Roma grazie ai buoni uffici di Giovanni Orsini, arcivescovo di Taranto, al quale si era raccomandato, il D. lasciò l'Inghilterra verso la fine dell'ottobre 1440, con la segreta speranza di essere nominato dal papa arcivescovo di Milano (Gascoigne, p. 123). A Roma tuttavia incontrò ostilità nell'ambiente curiale, che vedeva in lui un pericoloso concorrente, e fu sul punto di accogliere l'offerta dell'amico veneziano Ziliolo Orsini, che gli proponeva "lecturam iuris canonici in ... celeberrimo Gymnasio Patavino"; pur sentendosi lusingato, il D. non accettò sia a causa della "iactura et desolatio urbis patavinae", sia perché nel frattempo Eugenio IV "loco nepotis sui [Pietro Barbo] ... emolumenta protonotariatus ei contulit eumque numerariorum ordini ascribi mandavit" (lettera all'Orsini nel cod. Vat. lat. 2694, f. 243v). Nel corso del 1441, mentre si trovava a Firenze per dovere d'ufficio, il D. fu inviato ad accompagnare Luigi Scarampo a Venezia "ad pacem componendam". Ancora a Firenze, il 23 marzo 1442, ricevette dal pontefice la nomina a vescovo di Brescia.

Per entrare in possesso della sua cattedra, il D. dovette patteggiare con il suo predecessore Mareri, trasferito dal papa a Corneto per sopravvenuta incompatibilità con la cittadinanza di Brescia, e versargli un indennizzo annuale, in parte coperto dalla Camera vaticana; un altro ostacolo, l'opposizione della Repubblica di Venezia che desiderava un vescovo gradito alla città, fu superato a fatica.

Il D. non entrò subito in carica, perché nel frattempo nominato dal papa "legatus in regno Franciae, ... cum omnimoda potestate legati de latere" (Repertorium, s. v. Legatus). Aveva l'incarico di ottenere da Carlo VII il ritiro della prammatica sanzione di Bourges del 1438, e nello stesso tempo di giustificare il mancato appoggio della S. Sede alle pretese di Renato d'Angiò sul Regno di Napoli.

In due discorsi, tenuti il primo all'inizio del 1443 a Poitiers, davanti al Gran Consiglio (cod. Vat. lat. 3878, ff. 59r-77v), il secondo più o meno nello stesso periodo di fronte a Carlo VII (cod. Vat. lat. 2694, ff. 246r-261r), il D. confutò la pretesa regale che il concilio dovesse tenersi sul suolo francese, combatté la prammatica sanzione e raccomandò di accogliere al suo posto il concordato proposto dal papa. Questi temi furono ripresi nel doppio discorso da lui tenuto davanti al sinodo nazionale di Bourges nella primavera del 1444, nel quale si sottolineava inoltre il dovere dell'obbedienza verso il papa (cod. Vat. lat. 2694, ff. 269r-292v).

Nonostante il favore, che ritenne di aver acquisito presso Carlo VII, la sua missione si risolse con un completo insuccesso, a proposito del quale le responsabilità del D., che fu tosto richiamato a Roma per giustificarsi dalle accuse gravanti sulla sua nunziatura inglese, non sono chiare. Tornato in Italia per mare nei primi mesi del 1445, si trattenne a Roma almeno fino a giugno, forse per confutare i rimproveri che gli erano stati mossi a seguito della legazione francese, ma nello stesso tempo promise con una lettera al Consiglio della città di Brescia del 15 maggio che al più presto si sarebbe recato nel suo vescovato (Gradonicus, p. 340). Dopo altre trattative e contrasti, il D., che nel luglio 1445 si trovava certamente a Venezia, poté fare il suo solenne ingresso nella città il 1º agosto, per quanto non tutti i Bresciani, che forse speravano nell'elevazione al seggio episcopale del prevosto di S. Agata, lo accogliessero pacificamente, e anzi, nella circostanza, si verificassero isolati tumulti. La città, ancora scossa per il recente assedio subito dal Piccinino nel 1439, versava in una penosa situazione morale e materiale, e si aspettava dal vescovo che proseguisse e rafforzasse le iniziative assunte fino ad allora, in assenza di un pastore, dal predicatore Alberto da Sarteano. Uno dei primi atti dell'episcopato del D. fu di porre il 24 maggio 1447 la prima pietra dell'edificio del nuovo ospedale di S. Luca; fu inoltre portato a termine l'episcopio e iniziati nel 1449 i lavori della nuova collegiata dei Ss. Nazaro e Celso.

In complesso, l'attività del D. come vescovo di Brescia non fu feconda di nuove iniziative, né contrassegnata da slancio pastorale; come dimostra il suo intervento in merito agli statuti cittadini, che gli erano stati sottoposti nell'agosto 1449 perché valutasse se in qualche cosa fossero "contra libertatem ecclesiae", e di cui giudicò alcuni articoli lesivi del prestigio vescovile e della sua autorità, il D. può considerarsi "uomo colto e integro per certo, ma più che pastore spirituale di anime, custode geloso di quelli che egli credeva suoi diritti" (Zanelli, p. 63). Lo si ricorda inoltre come appassionato bibliofilo, raccoglitore di codici in occasione delle sue legazioni, e interessato agli studi di umanità (Sabbadini, Scoperte, p.115).

Le ambizioni del D. andavano al di là del vescovato di Brescia; così, nei primi mesi del 1450, egli colse il pretesto di una nuova convocazione presso la Camera apostolica onde saldare l'antico debito pendente dal tempo della collettoria inglese, per recarsi a Roma e presentarsi a Niccolò V quale sostenitore dei diritti della Chiesa; in uno stilizzato discorso pronunciato probabilmente, nel maggio 1450 (cod. Vat. lat. 2694, ff. 300vs.) a Roma il D. ottenne il gradimento del pontefice, grazie anche all'ampio trattato Contra impugnantes Sedis Apostolicae auctoritatem, composto probabilmente per l'occasione.

La copia di dedica al papa di questo scritto è il cod. Vat. lat. 4145; di 119 ff. in 4º (l'autografo, con allegazioni giuridiche, è nel cod. Vat. lat. 4279: cfr. Quaglioni, P.D. a Roma, passim). In esso il D. ripete in bello stile umanistico le tesi già note sulla libertà della Chiesa e sui diritti del papa a concedere tasse, e confuta le pretese di qualsiasi principe di limitare le prerogative pontificie con l'emissione di leggi, e quelle di qualsiasi concilio di emanare decreti che abbiano forza giuridica (l'obiettivo era ancora la prammatica sanzione di Bourges).

Grazie al favore di Niccolò V, il D. poté restare nella Curia, e non fece più ritorno a Brescia, nonostante i richiami del Consiglio cittadino (Zanelli, p.65), reiterati fra il 6 nov. 1450 e il 19 ott. 1452. Nel maggio del 1451 egli infatti fu nominato governatore di Perugia e inviato nella città agitata dalle fazioni politiche, con pieni poteri e ampia giurisdizione civile e militare.

A Perugia fu costretto a condursi diplomaticamente in un difficile equilibrio fra i doveri della sua carica e i diritti del Consiglio e dei Priori. Il periodo del suo governatorato è distinto tuttavia da una serie di provvedimenti intesi a. far rispettare la legge e gli ordinamenti imposti via via da Niccolò V. Il D. si interessò inoltre dello Studio cittadino con atteggiamento equilibrato e nrevidente, come risulta dallo scambio di lettere che ebbe con Francesco Barbato in merito al richiamo in patria del medico Mattiolo Mattioli.

Durante il periodo perugino il D. tornò a dedicarsi con rinnovato impegno e interesse alla scienza giuridica, ed elaborò, valendosi di materiale già in parte raccolto a Brescia, un ampio dizionario di voci ordinate alfabeticamente, il Repertorium utriusque iuris, che legò il suo nome a un'intera epoca per la sua esauriente sistemazione delle fonti e della letteratura giuridica del tempo. Il terminus ante quem della redazione, come ha visto giustamente Maller (p.*103), può considerarsi la menzione in esso dell'anno giubilare indetto da Niccolò V (1450). Il D. utilizza testi giuridici dall'epoca romana fino ai contemporanei, preferisce sottolineare problemi controversi più che addentrarsi in spiegazioni di carattere generale, si rifà a opere specifiche da lui composte o alla propria esperienza diplomatico-ecclesiastica, non teme di fornire occasionalmente opinioni del tutto personali. Il Repertorium testimonia l'erudita diligenza del D., ma nello stesso tempo denuncia i limiti della sua scienza giuridica (che sono anche i limiti di quella del suo tempo), dato che egli sovente sembra ignorare il diritto vigente e i problemi dibattuti nella sua epoca, per rifarsi a materiale disusato che spesso affastella nelle singole voci senza un ordine razionale. Il Repertorium, che fu stampato per la prima volta a Bologna l'8 nov. 1475 (1465 per un refuso tipografico: cfr. D. Reichling, Appendices..., Monachii 1906, p. 72, n.637, e V, ibid. 1909, p. 51, n. 1581; D. Quaglioni, P.D..., passim), a Roma nel 1476 (Hain, *11587), ebbe grande fortuna come testimoniano le ristampe di Norimberga del 1476 (Hain, *11588) e forse 1477, di Padova del 1480 (Hain, *11589) e di Lione 1480 (Hain, *11590). L'autografo è nei codd. Vat. lat. 2347 e 2348; il solo proemio autografo è nei codd. Vat. lat. 373, 2347, 2694 e 4872 (cfr. D. Quaglioni, P. D..., passim). Suo materiale fu ancora utilizzato nel Tractatus universi iuris, XIII, 1 (Venetiis 1584). Ad ogni modo il Repertorium Brixiense fu presto soppiantato dall'opera coeva di Giovanni Bertacchini, in cui esso era essenzialmente assorbito.

La pubblicazione del Repertorium, avvenuta probabilmente verso la fine del 1453, costituì la spinta che permise al D. di ritornare in Curia, dove fu effettivamente richiamato da Niccolò V nell'aprile 1454 con il prestigioso incarico di referendario pontificio, che mantenne anche sotto il successore Callisto III, fino a tutto l'agosto 1456 (con l'intervallo di una missione diplomatica a Venezia nel 1455).

L'ultima opera del D. di cui si abbia notizia è il discorso funebre per Callisto III, creduto erroneamente. morto, del novembre 1456 (cod. Vat. lat. 4872). Il D. morì all'improvviso a Roma il 12 genn. 1457 e fu seppellito nella chiesa di S. Maria Maggiore, con un'iscrizione tombale che in seguito andò perduta.

Opere inedite: sembra che, per disposizione testamentaria del D., molte delle sue carte siano state ereditate da Pietro Barbo (Agostini, p. 362). Fra le superstiti opere si possono ricordare: una raccolta di atti per la storia del concilio di Basilea (cod. Vat. lat. 4184-4185); minute per prediche, scritte e corrette di mano del D. (cod. Vat. lat. 4872, ff. 1-63r); lettere, orazioni, trattati (cod. Vat. lat. 2694; le lettere sono in buona parte stampate in Haller, pp. 116-185, e in altre opere riportate in bibliogr.); Repetitio in decretales (Padova, Bibl. cap., B 36; Siena, Bibl. com, H IV 3-5). A questo proposito si veda P.O. Kristeller, IterItalicum, I, pp. 25, 27, 36, 191, 245, 253, 297 s., 327, 338; II, pp. 4 s., 13, 23, 44, 47, 153, 193, 197, 247, 250, 255, 267, 312, 325 s., 337, 350, 359, 369, 372, 44, 424 s., 446 s., 499, 566 s. Il Sottili (pp. 66-100) ha pubblicato alcune lettere inedite da codici di Friburgo (Bibl. univ., 159, ff. 12r-20v) e di Monaco (Bayer. Staatsbibl., 5354, ff. 296r-306r).

Opere a stampa: Epiphanius, Miraculum Eucharistiae ... interprete P. De Monte, Romae 1523; ristampato con il titolo Epiphanii ... Historiola insignis, Gratianopoli 1640; con il titolo De religione christiana ex Epiphanio, in Migne, Patrol. Graeca, CXX, 1857.

Fonti e Bibl.: C. Zonta-I. Brotto, Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini, I, Padova 1970, pp. 302 n. 944, 235 s., 255; P. Pellini, Storia di Perugia, II, Venezia 1664, pp. 594 n., 601, 613, 620; A.M. Quirini, Diatriba praeliminaris ... ad Francisci Barbari et aliorum ad ipsum epistolas..., Brixiae 1741, pp.XCV, CLXXXV-CXCI; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, I, Venezia 1752, pp. 347-72; I. Gradonicus, Brixia sacra, Brixiae 1755, pp. 337-46; Th. Gascoigne, Loci e libro veritatum, Oxford 1881, pp. 123, 125 s.; R. Sabbadini, Centotrenta lettere ined. di F. Barbaro. Salerno 1884, pp. 20, 48, 60 ss., 72-76; G. Voigt, IlRisorgimento dell'antichità classica, II, Firenze 1890, pp. 39, 249, 327; I. Carini, Sull'arresto e sulla morte del conte di Carmagnola. Relaz. inedita... Carmagnola. Relazione ined. di P. D., in IlMuratori, II (1893), pp.77-102; A. Zanelli, L'uccisione del re di Scozia Giacomo I, in Nuovo Arch. ven., IX (1895), pp. 300-309; M. Creighton, Some literary corresp. of Humphrey, Duke of Gloucester, in Engl. Histor. Review, X (1895), pp. 99-104; Concilium Basiliense. Studien und Quellen zur Gesch. des Konzil von Basel, I, Basel 1896; V, ibid. 1904, ad Ind.;R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci nei secc. XIV e XV, Firenze 1905, p. 115; L. Einstein, The Ital. Renaiss. in England Studies, New York 1907, pp. 5, 12; A. Zanelli, P. D., in Arch. stor. lomb., s. 4, VII (1907), pp. 317-378; VIII (1907), pp. 46-116; E. Walser, PoggiusFlorentinus, Leipzig 1914, pp. 164-72; L. von Pastor, Storia dei papi, I, Roma 1925, pp. 365 s.; W. F. Schirmer, Der englische Frühhumanismus, Leipzig 1931, pp. 7, 23 s., 43-48, 50 ss., 57, 63 s., 72, 85 ss., 103; R. Weiss, The earliest account of the murder of James I of Scotland, in Engl. Histor. Review, LII (1937), pp. 479-491; J. Haller, P.D. Gelehrter und päpstlicher Beamter des 15. Jahrhunderts. Seine Briefsammlung, Rom 1941; H. Jedin, Storia del concilio di Trento, I, Brescia 1949, pp. 26, 83 s., 97; R. Weiss, Humanism in England during the Fifteenth Century, Oxford 1957, pp. 193 24-28, 30, 34-45, 53, 61-65, 73, 79-81; A. Nodari, P. D. collettore e nunzio pontificio in Inghilterra, in Mem. stor. d. diocesi di Brescia, XXVIII (1961), pp. 2-34; C. Violante, La Chiesa bresciana nel Medio Evo, in Storia di Brescia, Brescia 1963, I, pp. 119 ss.; A. Cistellini, La vita religiosa nei secoli XV e XVI, ibid., pp. 403, 407-12, 426; V. Cremona, L'umanesimo bresciano, ibid., p. 540; C. Pasero, Ildominio veneto fino all'incendio della Loggia, ibid., pp. 31, 76, 82, 84, 92; A. Black, Monarchy and Community..., Cambridge 1970, p. 86; A. Sottili, Studenti tedeschi e umanesimo ital. nell'università di Padova durante il Quattrocento, I, P. D. ..., Padova 1971; G. Tournoy, Un nuovo testo del periodo padovano di P. D., in Quad. per la storia dell'univ. di Padova, VIII (1975), pp. 67-72; C. Villa, Brixiensia, in It. med. e uman., XX (1977), pp. 254 s., 271, 275; G. Alberigo, Chiesa conciliare..., Brescia 1981, pp. 280 s.; D. Quaglioni, "Rex" e "tyrannus" nel "Repertorium" di P.D., in Quaderni catanesi di studi class. e med., III (1981), pp. 425-48; Id., P. D. a Roma. La tradizione del "Repertorium utriusque iuris".... Roma 1984 (cui si rinvia anche per ulteriori approfondimenti bibliografici); L. Hain, Repert. bibliogr., II, 1, pp. 464-66; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi, II, Monasterii 1914, p. 111.

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