PIETRO da Cantinello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIETRO da Cantinello

Augusto Vasina

PIETRO da Cantinello (Pietro Cantinelli, Cantinella). – Notaio e cronista, autore di un Chronicon, nacque con ogni probabilità a Bologna nella quarta decade del Duecento da Giacomino (nel 1234 membro del consiglio di credenza del Comune) e da una madre non identificata.

Pietro appare la prima volta – già morto il padre – in un documento del 14 settembre 1256: nel Mercato di Mezzo (vicino alle Due Torri, dove risiedeva) vende con la suocera Sibillina e il cognato Nicolò Sturlitti, a nome della consorte Carobella Sturlitti, alcune terre a Sala Bolognese. È poi ricordato nell’agosto e nell’ottobre del 1265 come teste e venditore, assieme al fratello Alberto, di terreni a Gaibola (nel Bolognese). Compare come notaio a partire dal 16 luglio 1269, quando a Faenza rogò un documento su una controversia fra il Comune di Imola e i conti di Cunio Guido e Bernardino fu Raniero.

L’esercizio della professione notarile dovette dare impulso alla sua mobilità e avvicinarlo al mondo romagnolo in una fase in cui stava facendosi particolarmente critico il confronto in Bologna fra le fazioni politiche e le parti sociali, soprattutto fra i guelfi Geremei e i ghibellini Lambertazzi. Nel 1271 Pietro, aderente alla parte filoimperiale, fu al seguito, come notaio, del ghibellino Gruamonte della Fratta, podestà di Ravenna; ivi figura come teste nel palazzo arcivescovile (Ravenna, Archivio Arcivescovile, perg. n. 2397; regesto incompleto in M. Fantuzzi, Monumenti, V, 1803, p. 171). È ancora presente in Bologna nel 1272 come locatore di un hospitium nel Mercato di Mezzo al maestro Bonaventura da Mantica assieme al fratello (G. Fantuzzi, Notizie, 1873, III, p. 83); ma le vicende successive (con i contrasti che portarono all’espulsione dei Lambertazzi nel 1274) lo convinsero o lo costrinsero a ripiegare su Faenza sotto l’egida del grande capo filoimperiale Guido conte di Montefeltro. Nella città romagnola operò come procuratore del Capitolo della cattedrale di San Pietro, rogando tra l’altro un affitto di terre a Lugo in favore di Guido Accarisi; nel giugno 1279 fu nuovamente «sindicus, procurator et nuncius» del Capitolo e «procurator» del canonico Alborisio per una serie di transazioni giudiziarie (F. Torraca, in Petri Cantinelli Chronicon, 1902, pp. LIV-LVI, nn. III-VII). Pietro confermò i suoi sentimenti filoimperiali anche nel Chronicon, ove narrò di essersi recato nel luglio 1278 a Viterbo per giurare fedeltà alla Santa Sede (era papa Niccolò III Orsini) a nome del Comune di Faenza, dominato dai ghibellini Accarisi.

Echi degli eventi e delle passioni di questi primi anni trascorsi in Romagna si leggono nel testo del Chronicon. Osservatore apparentemente distaccato degli avvenimenti, Pietro manifestò accenti di partecipazione umana di fronte alla diffusa esperienza del fuoriuscitismo politico di parte ghibellina e in particolare di quella dei Lambertazzi cacciati da Bologna nel 1274. E quando nel 1280 il feroce tradimento di Tibaldello Zambrasi faentino infierì contro la sua città e gli Accarisi, Pietro seppe elevare il suo linguaggio ai toni patetici dell’indignazione e dell’apostrofe.

Nel decennio successivo, in una situazione politica del tutto mutata, dopo la disfatta di Guido da Montefeltro e la crisi della nobiltà romagnola di tradizione filoimperiale, Pietro compare come notaio a Forlì non prima del 23 maggio 1288, quando risulta – in una controversia ereditaria interna alla famiglia Onesti, decisa da un giudice papale – «procurator et actor» di Sanguigna vedova di Onesto Onesti, nobile ravennate, presumibilmente già ostile agli arcivescovi filopapali della sua città e ai guelfi Da Polenta (F. Torraca, in Petri Cantinelli Chronicon, 1902, pp. LVI-LVII, n. IX).

Da ultimo, la presenza di Pietro è segnalata nel mondo romagnolo da due testimonianze del 1294: la prima, dell’11 giugno, è data dallo stesso notaio-cronista (Chronicon, pp. 74 s.) che vi figurava come «sindicus generalis totius comunis, civitatis et districtus Faventie», assieme a Nicolittus de Çagonada (Zagonara), per ottenere dal conte e rettore di Romagna Ildebrandino Guidi da Romena la remissione delle sentenze d’interdetto e di scomunica irrogate in precedenza contro i faentini. L’ultima attestazione della presenza di Pietro si ricava da una carta del 14 luglio 1294, in cui il nostro appariva come teste e si qualificava come notaio di Faenza per un atto giudiziario riguardante una controversia fra il Comune di Rimini e il rettore papale Pietro di Stefano da Genazzano (F. Torraca, in Petri Cantinelli Chronicon, 1902, p. LVII, n. X).

Nel corso delle sue peregrinazioni di fuoruscito, Pietro attese alla stesura di note cronistiche (non sistematiche: la sua narrazione si interrompe negli anni 1283-1284, 1286, 1301-1305), che hanno come estremi cronologici il 1270 e il 1306, tràdite da un codice cartaceo in precario stato di conservazione (Sezione di Archivio di Stato di Gubbio, Fondo Armanni, I. C. 14). Questo testo, per il quale si è consolidata la denominazione di Chronicon, è sicuramente attribuibile a Pietro, perché almeno due volte il nostro vi si dichiara presente ai fatti narrati con importanti compiti operativi. Il codice, ritenuto autografo, reca alla c. 2r una nota di attribuzione sicuramente tardiva («Petrus Canthineli auctor praesentis Chronicae Bononiensis et Faventinae») e ospita nella prima parte una incompleta cronaca bolognese (1228-1278), e poi dodici versi tetrastici di Tommaso rimatore faentino in onore di giudici e avvocati di questa città. Si tratta di testi stilisticamente diversi da quello attribuibile a Pietro, mentre la cronaca bolognese che precede resta anonima e pare sia stata solo da lui copiata, cosa che sembra essere sfuggita a entrambi gli editori del testo.

Cantinelli visse nel periodo di maggiore fioritura della cronachistica cittadina di età comunale; già da tempo esperto di cronache bolognesi rimaste anonime venne, in una fase avanzata della sua esistenza, a Faenza per continuare e arricchire la tradizione narrativa cittadina che era stata avviata da maestro Tolosano. Il suo Chronicon, iniziato presumibilmente prima del 1270 e forse dopo la morte dell’imperatore Federico II di Svevia a metà Duecento, dovette risalire alla fase di predominio del Comune bolognese su Faenza e la Romagna che precedette e favorì nella regione l’affermazione della sovranità papale (1278), raggiunta dopo una più che ventennale esperienza di legazioni apostoliche. Pietro, di formazione filoimperiale, ma estraneo a forme di faziosità ghibellina, seppe sottolineare fortemente le strette connessioni maturate in quei tempi fra mondo bolognese e Romagna papale, di cui la città petroniana era ancora parte. L’itineranza notarile dovette facilitare Pietro nel raccogliere notizie e testimonianze; ma egli ebbe, soprattutto, un’esperienza diretta degli avvenimenti narrati e una conoscenza personale dei loro protagonisti, dai pontefici ai rettori e legati papali, ai capiparte romagnoli, primi fra tutti Guido conte di Montefeltro e Maghinardo Pagani da Susinana, esempi ben noti di signori ‘pluricittadini’. Adottando una prosa latina prevalentemente paratattica con venature volgari, Pietro quasi sempre con linguaggio sobrio, freddo, concreto e preciso ordina la narrazione di ogni anno con la menzione dei podestà e dei capitani del Popolo del Comune faentino, da cui muove la sua ottica sulla grande varietà degli avvenimenti regionali, e in qualche caso anche extraregionali. Il Chronicon però non si perde in un descrittivismo dispersivo: dietro la molteplicità e varietà degli accadimenti, narrati con grande autenticità, c’è anche una loro valutazione che si esprime di frequente nel confronto fra governanti e governati della Romagna pontificia. È anche per questo che Pietro è sempre attento all’avvicendarsi frequente, ma perlopiù inefficace, dei rettori e legati apostolici nel governo della provincia e, insieme, alle costituzioni e decisioni dei loro parlamenti provinciali. Nella narrazione sfuma, pertanto, il giudizio negativo sul mondo guelfo (bolognese e romagnolo) e cresce la delusione e l’insofferenza per la politica fiscale e l’azione militare delle autorità papali e della Chiesa romana, incapaci di ristabilire ordine e pace nelle città e nelle campagne della provincia. Non a caso Pietro registra non pochi moti di ribellione anche fra il clero locale e il formarsi di leghe intercomunali in funzione antipapale.

Non ci sono elementi per precisare la data della scomparsa di Pietro, ma si propende a collocarla nella prima decade del XIV secolo, in considerazione anche del fatto che il suo Chronicon si interrompe al 1306.

La fortuna del Chronicon non fu scarsa, a partire dal tardo Trecento. Venne infatti utilizzato dal cronista Patrizio ravennate; negli Annales Caesenates e negli Annales Forolivienses da Paolo Guarini. Non minore fortuna ebbe presso gli eruditi romagnoli di età moderna (i ravennati Girolamo Rossi e Vincenzo Carrari, i faentini Bernardino Azzurrini e Giulio Cesare Tonduzzi). Nel Settecento intervenne poi l’erudizione ecclesiastica camaldolese/bolognese: il bibliotecario Guidubaldo Angelini trascrisse il codice di Gubbio, e della sua copia si servì l’abate Mauro Sarti, storico dello Studio bolognese (Bologna, Biblioteca Universitaria, Lat. 379). Si aggiunsero in breve tempo altre quattro copie, conservate tutte nelle biblioteche bolognesi, e sulla base di una di queste (la B 1153 della Biblioteca dell’Archiginnasio) il camaldolese Mittarelli realizzò nel 1771 la prima edizione del Chronicon (trascurato dai Rerum muratoriani), peraltro con gravi fraintendimenti (l’editore ritenne che ambedue i testi cronistici del ms. di Gubbio, il bolognese e il faentino, fossero dovuti a Pietro). A fine Ottocento, la rinnovata attenzione ai testi cronistici e alle fonti medievali italiane coinvolse anche il Chronicon, e portò alla sua riedizione nei RIS carducciani a opera del filologo romanzo e dantista napoletano Francesco Torraca (1902). Con il riordinamento delle carte, si ripristinò nel testo lacunoso una certa continuità narrativa, risarcendo le parti mancanti con passi ricavati dall’omogenea tradizione cronachistica regionale. Ne sortì un’opera assai meglio fruibile non solo dagli storici ma anche dai dantisti, per i numerosi, importanti riferimenti a personaggi (una trentina) e a vicende reperibili nelle opere dell’Alighieri.

Peraltro, il risarcimento della fortuna di Pietro fu lento, anche nel Novecento; della biografia del nostro cronista-notaio si è trattato con accenti vagamente campanilistici, ma anche con apporto di nuova documentazione, della sua origine ritenuta ora bolognese (Albano Sorbelli, Guido Zaccagnini) ora faentina (Romeo Galli). Nel secondo dopoguerra, con la ripresa degli studi regionali (storici, storico-letterari e storiografici), l’opera di Pietro è stata ulteriormente studiata nelle sue forme, nello stile e nei contenuti narrativi, e il Chronicon ha svolto una funzione di guida primaria nella ricostruzione della storia romagnola fra Duecento e Trecento (Vasina, 1965, passim); si è confermato un ricco giacimento di memorie dantesche (Campana, 1970), o è stato rivalutato come nuovo modello di storiografia comunale (Ortalli, 1973); infine è stato oggetto di importanti indagini codicologiche, linguistiche, stilistiche e umanistiche (Paoletti, 1973).

Fonti e Bibl.: Petri Cantinelli Bononiensis Chronicon Faventinum, cur. J.B. Mittarelli, in Id., Ad Scriptores Rerum Italicarum cl. Muratorii Accessiones Historicae Faventinae, Venetiis 1771, pp. 231-313; Petri Cantinelli Chronicon [AA. 1228-1306], a cura di F. Torraca, in RIS2, XXVIII, parte II, Città di Castello 1902.

G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 82 s.; M. Fantuzzi, Monumenti ravennati de’ secoli di mezzo per la maggior parte inediti, V, Venezia 1803, p. 171; F. Pellegrini, Il Serventese dei Lambertazzi e dei Geremei, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, s. 3, IX (1890-1891), pp. 22-71, 181-223, X (1891-1892), pp. 95-140; H. Simonsfeld, Untersuchungen zu den Faentiner Chroniken des Tolosanus und seiner Fortsetzer, in Sitzungsberichte d. K. Bayerische Akademie der Wissenschaften, Philos.-Philol. und Histor. Klasse, I, (1893), 3, pp. 303-372; A. Sorbelli, Intorno a Pietro Cantinelli e alla sua prima cronaca. Appunti, in La Romagna, I (1904), pp. 157-171; G. Zaccagnini, Pietro Cantinelli cronista bolognese, in L’Archiginnasio, XVII (1922), pp. 212-215; Id., Ancora di Pietro Cantinelli cronista bolognese, in L’Archiginnasio, XVIII (1923), pp. 196-199; R. Galli, Pietro Cantinelli cronista faentino, in La Romagna, XIV (1923), pp. 179-184; Id., Pietro Cantinelli cronista. Postilla, in L’Archiginnasio, XIX (1924), pp. 120 s.; A. Sorbelli, Cantinelli, Pietro, in Enciclopedia Italiana, VIII, Roma 1930, p. 789; Il notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dall’VIII al XX secolo, a cura del Consiglio nazionale del notariato, Milano 1961, pp. 145 s.; J. Larner, The Lords of Romagna. Romagnol society ant the origins of the signorie, London - New York 1965 (trad. it. Bologna 1972), ad ind.; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell’età di Dante, Firenze 1965, ad ind.; A. Campana, Cantinelli, Pietro, in Enciclopedia dantesca, I, Roma 1970, pp. 794 s.; Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi, III, Romae 1970, pp. 118 s.; G. Ortalli, Aspetti e motivi di cronachistica romagnola, in Studi romagnoli, XXIV (1973), pp. 349-387, in partic. pp. 363-370; L. Paoletti, Pietro Cantinelli e la sua opera, ibid., pp. 389-413; G. Ortalli, Tra passato e presente: la storiografia medievale, in Storia della Emilia Romagna, a cura di A. Berselli, I, Bologna 1976, pp. 615-636, in partic. pp. 626 ss.; Censimento delle cronache bolognesi del Medioevo e del Rinascimento, a cura di F. Pezzarossa - L. Quaquarelli - R, Salani et al., San Giovanni in Persiceto [1990], pp. 39-41; A. Vasina, Cantinelli, Pietro, in Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola, a cura di B. Andreolli et alii, introduzione di A. Vasina, Roma 1991, pp. 122-125; A. Vasina, Per la fortuna di un notaio-cronista: ancora su Pietro Cantinelli, in Studi sulle società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, a cura di L. Gatto - P. Supino Martini, II, Roma 2002, pp. 683-694.

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