PIETRO d'Abano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIETRO d'Abano

Iolanda Ventura

PIETRO d’Abano. – Nato ad Abano (Padova) verso il 1250, fu figlio di Costanzo (Constantius) della famiglia de Sclavione, notaio del sigillo del Comune di Padova.

Le testimonianze più importanti, pur se problematiche, per la cronologia della vita e delle opere di Pietro sono due, ovvero quelle relative al soggiorno parigino e a un viaggio a Costantinopoli, ricordate nell’Expositio succincta Problematum (Exp. Probl.). Dal colophon dell’opera si ricava che Pietro, forse negli ultimi Dieci anni del XIII secolo, fu all’Università di Parigi, dove iniziò la composizione dell’Exp. Probl., completata a Padova nel 1310. Dal Prologo si ricava, invece, che in un periodo non meglio determinabile si recò a Costantinopoli per apprendere la lingua greca.

I riferimenti a viaggi in Sardegna e in Scozia, accennati nel De venenis e nell’Exp. Probl., non trovano conferma nella documentazione, e sono difficilmente interpretabili, in quanto, almeno nell’Exp. Probl., il rinvio a un’esperienza «personale» è utilizzato da Pietro non come riferimento a quanto accaduto a lui stesso (spesso infatti si tratta di riprese o allusioni da altre opere), ma come strategia espositiva per confermare, precisare, o inficiare le affermazioni delle sue fonti e auctoritates (in particolare Aristotele). Il riferimento a tali esperienze va letto perciò non in chiave biografica, ma specificamente letteraria.

Il soggiorno parigino è invece documentato da una testimonianza del 1298 relativa a un incontro con Raimondo Lullo. Durante il soggiorno a Parigi, Pietro dovette non solo frequentare l’Università, ma anche insegnarvi; al riguardo non si ha peraltro documentazione diretta. Meglio documentata è, invece, l’attività intellettuale svolta a Parigi, riflessa dal completamento della Compilatio physionomiae nel 1295 e forse della traduzione latina basata su una versione francese delle opere di Abraham ibn Ezra conclusa nel 1293. L’ipotesi che il Conciliator e l’Exp. Probl. durante il soggiorno parigino siano stati completati, o redatto in gran parte (il primo) e iniziata (la seconda), andrà comunque confermata con ulteriori analisi dei rimandi incrociati inclusi nelle due opere, che potranno indicare la datazione relativa delle varie sezioni di esse.

Il viaggio a Costantinopoli (durante il quale Pietro non reperì – come da alcuni si afferma – un codice dei Problemata pseudoaristotelici diverso da quello usato da Bartolomeo da Messina, né iniziò una nuova traduzione dell’opera, ma tradusse i Problemata dello Pseudo-Alessandro d’Afrodisia, quelli di Cassio Iatrosophista, e i cosiddetti Problemata inedita o addita) deve essere invece collocato tra il soggiorno parigino e il ritorno a Padova, e dopo l’inizio del commento ai Problemata.

La data del rientro a Padova va collocata attorno al 1302 (sulla base del colophon del manoscritto della Biblioteca de l’Escorial, F.I.11, che trasmette la versione dei Problemata dello Pseudo-Alessandro d’Afrodisia); ma è stato proposto anche il 1303 e il 1307. Quest’ultima data è sostenuta dal richiamo, nello statuto del 22 maggio 1307, di una riformanza del 1306 volta a ottenere i servizi di Pietro come maestro dello Studium patavino.

L’attività accademica di Pietro all’interno dello Studium è tracciata da Jacopo Facciolati nei Fasti Gymnasii Patavini; l’erudito afferma che insegnò a Padova dopo la morte di Mondino di Cividale del Friuli, dopo aver ottenuto la laurea a Parigi. Al periodo padovano risalgono la revisione del Conciliator, completata verso il 1310, quella dell’Exp. Probl., e la redazione del Lucidarium e del De motu octavae spherae. L’ultimo decennio della sua vita fu caratterizzato anche da controversie e processi. Nel 1303-1304 fu forse in contrasto con i domenicani di Saint-Jacques sull’origine dell’anima, e accusato di fronte all’Inquisizione, così come nel 1306, e nel 1312 a Padova.

Difficile è la ricostruzione della controversia del 1304, di cui Pietro stesso è l’unico testimone nelle differentiae 9 e 48 del Conciliator, dove ricorda che l’accusa consisteva nell’aver sostenuto l’origine materiale dell’anima intellettuale, tesi condannata sin dal 1277, e di essere sfuggito alla condanna soltanto grazie all’intervento papale; tali affermazioni sull’origine dell’anima però non trovano conferma nell’opera di Pietro e ciò induce a credere che la contestazione rivoltagli fosse un’altra, come l’adesione all’astrologia. Il processo del 1306, testimoniato dal solo Scardeone, rinvia a una denunzia di eresia e negromanzia fatta da un altro medico, Pietro da Reggio; non risulta nessuna prova, però, del fatto che tale accusa abbia condotto davvero a un processo. Il processo del 1312, infine, fu iniziato dall’inquisitore Ruggero de Petriolo che consultò dottori ed ecclesiastici per vagliare un’accusa di eresia nei confronti di Pietro. Non è chiaro, neppure in questo caso, il merito dell’accusa: non è, infatti, dimostrabile sulla base del Conciliator che Pietro abbia negato la resurrezione, né è certo che l’accusa sia riferibile a una pratica di negromanzia o a opinioni razionalistiche (negazione dell’intervento soprannaturale nella vita umana, tendenza a spiegare gli eventi mirabili attraverso cause naturali). Non è possibile determinare l’esito del processo. I documenti conservati – tra cui una professione di fede del 24 maggio 1315 e il testamento (due giorni più tardi) dello stesso Pietro, che non lasciò i propri beni agli eredi, ma li affidò alla protezione del Comune e gli atti concernenti il possesso di tali beni da parte dei figli (1318 e 1321) – fanno pensare che Pietro, morto mentre il dibattimento era in corso, fu assolto. L’assoluzione avrebbe infatti permesso ai familiari di entrare in possesso dell’eredità. Priva di fondamento è, comunque, la leggenda secondo cui Pietro sarebbe stato condannato post mortem, e le sue ossa o la sua effigie bruciate pubblicamente.

Il testamento di Pietro è assai importante anche per analizzare la sua rete di relazioni con il mondo intellettuale padovano e parigino. Fu infatti redatto da Albertino Mussato, e tra i testimoni è attestato il filosofo Marsilio da Padova, il quale fu anche il tramite attraverso il quale Pietro fece pervenire a Jean de Jandun a Parigi una copia dell’Expositio succinta problematum.

La data di morte non è dunque determinabile con certezza, ma va collocata tra il 1315 e il 1316, come testimonia Tommaso di Strasburgo nei Commentaria super IV libros Sententiarum (IV, dist. 39, a. 4, cit. attraverso Federici Vescovini, 1992).

La documentazione padovana (comunale e universitaria) offre dati ulteriori sulla sua famiglia, e in particolare sui tre figli, Benvenuto, coinvolto in una rissa nel 1325, Pietro e Zuffredo, attestati da atti patrimoniali e testamentari. Data la mancanza di documentazione relativa a un probabile matrimonio di Pietro, è stata avanzata l’ipotesi di una loro nascita illegittima; tale ipotesi non può essere però né confermata né smentita.

La fortuna di Pietro fu varia e complessa, ma vivissima, in particolare nel Rinascimento. Nel 1420 venne posta, sotto il suo busto nel palazzo della Ragione di Padova, un’iscrizione che ricordava la sua fama di astrologo; un altro ritratto è fornito da Hartmann Schedel nella sua silloge delle epigrafi patavine trasmessa dai codici monacensi Clm 396 (c. 96v) e 716 (c. 180rv), e proveniente forse dal Liber chronicarum (per cui si veda l’ed. Parisi, pp. 36 s.). Anche nei decenni successivi, le controversie e i processi subiti alimentarono la leggenda (oggi rigettata) di un Pietro mago, occultista ed eretico condannato post mortem dalla Chiesa: così egli appare nei portraits di Giovanni Michele Alberto Carrara e Michele Savonarola, nelle critiche rivoltegli da Gianfrancesco Pico della Mirandola nelle Disputationes adversus astrologos (qui VII, 7), e nella condanna della praecantatio oggetto della differentia 156 del Conciliator pronunciata da Symphorien Champier negli Additamenta all’opera. Di queste accuse fece giustizia Gabriel Naudé, che nell’Apologie pour tous les grands personnages qui ont esté faussement soupçonnez de magie (1625) separò lo studio della natura e della filosofia naturale condotto da Pietro dalla pratica della magia e dell’occultismo.

Alla leggenda di un Pietro mago e occultista è legata anche l’attribuzione, da parte di Tritemio o di Cornelius Agrippa di Nettesheim, di opere di magia, scienze occulte e negromanzia come gli Elementa magica, l’Heptameron, l’Elucidarium necromanticum, il Liber experimentorum mirabilium secundum 28 mansionibus lunae, una Geomantia, un’Alchimia, e una raccolta di Profezie in volgare italiano e latino (elenco in Federici Vescovini, 1992, p. 35).

Oggi respinta o fortemente ridimensionata è anche l’ipotesi di Pietro capofila dell’averroismo padovano; grazie agli studi di Bruno Nardi, si preferisce vedere in lui un esponente di una filosofia eclettica e aperta a differenti influssi, e non più strettamente legata alla teologia e alla filosofia scolastica.

Opere. Gli scritti autentici di Pietro – l’importanza dei quali sta nell’ampio ventaglio delle discipline praticate (medicina, filosofia naturale, astronomia e astrologia), nella connessione con diverse tradizioni filosofiche e scientifiche contemporanee, nella varietà delle tipologie di opere redatte e nella specificità delle fonti e dei testi modello (lo Pseudo-Aristotele, le fonti astrologiche, il corpus Galenicum), che non appartenevano al curriculum standard della cultura accademica – si dividono in quattro categorie: opere filosofiche, astrologiche, mediche, e traduzioni (nei tre sottogruppi delle opere di Galeno, di Ibn Ezra e di Cassio Iatrosofista/Alessandro di Afrodisia).

Il principale scritto filosofico di Pietro è il Conciliator, redatto in una prima versione verso il 1303, e in una seconda nel 1310, in cui 210 questioni (differentiae) relative a vari aspetti della medicina teorica e pratica e oggetto di controversia tra medici e filosofi sono trattate mettendo in contrapposizione il mos medicorum e il mos philosophorum. L’opera ebbe diffusione manoscritta limitata: 13 manoscritti completi, 2 parziali; la parafrasi di Pierre Franchon de Zelande è conservata nel codice Bruxelles, KBR, 10870-75. Maggiore il successo a stampa: 8 incunaboli, e almeno 10 edizioni cinquecentesche (tra cui le giuntine del 1548 e 1565, corredate dalle cribrationes di Symphorien Champier). Il Conciliator fu utilizzato ancora nel XVII secolo, come dimostra il Conciliator enucleatus seu differentiarum philosophicarum et medicarum di Gregor Horst.

Maggiormente diffusa nei manoscritti è l’Expositio succinta Problematum, commento dedicato ai Problemata pseudoaristotelici: 29 manoscritti, 20 dei quali completi (9 nel testo originale di Pietro, 11 nella versione di Jean de Jandun) e almeno 3 stampe (insieme alla sola traduzione di Bartolomeo da Messina, o a questa e alla versione di Teodoro Gaza). Nel Trecento Evrart de Conty, per la versione francese dei Problemata utilizza la Exp. incorporandone brani nella sua traduzione, a sostituire sezioni difficilmente comprensibili del testo pseudoaristotelico; nel Seicento, la Exp. è ancora usata dal principale commentatore moderno dei Problemata, il medico milanese Ludovico Settala.

Il principale scritto medico di Pietro è la Compilatio physionomiae, terminata, secondo il colophon del manoscritto (Paris, Bibliothèque national de France, Lat. 16089), il 24 maggio 1295 a Parigi e inviata in una prima versione al dedicatario (Bardellone Bonacolsi signore di Mantova), poi riscritta per evitare che cadesse in mani sbagliate. Le incoerenze del testo dipendono forse da ciò, ma anche dall’oggettiva difficoltà del discorso, che collega fisiognomica, teorie della generazione e spiegazioni astrologiche (preludendo al Conciliator). Eterogenee le altre opere mediche di Pietro, comunque legate alla medicina universitaria contemporanea. Il De venenis, uno dei principali testi medievali di tossicologia basato probabilmente sulle opere di Avicenna e dello Pseudo-Mesue, non solo descrive le caratteristiche tossiche di sostanze minerali, vegetali e animali, ma inquadra la loro azione sul corpo umano in un sistema teorico complesso basato sulla teoria avicenniana della forma specifica e sul ruolo delle forze celesti su tale forma. Composto nei primi anni del XIV secolo, è trasmesso in numerosi manoscritti, e fu tradotto in francese due volte durante il Rinascimento, la prima da Carme Oger nel 1402 (conservata nel codice Paris, Bibliothèque national de France, Fr. 13280), la seconda da Lazare Boet (stampata a Lione nel 1593), e tre volte in italiano, pochi decenni dopo la sua redazione. Le Additiones super Mesue (mai analizzate in modo approfondito, e di incerta attribuzione) sono costituite da 19 capitoli concernenti le malattie del cuore e dell’apparato digerente che, nell’edizione Venetiis 1495 dei Canones universales, seguono l’opera di Mesue (cc. 111rb-121rb); sono inoltre noti per ora 10 manoscritti (lista in Thorndike, 1944). Vanno menzionate infine le note al Dioscorides alphabeticus (compilazione ricavata dal De materia medica legata a Costantino Africano e alla scuola medica di Salerno) tràdite dal codice Paris, Bibliothèque national de France, Lat. 6820 e riprodotte nella stampa del Dioscorides alphabeticus (Colle 1478), che presentano punti in comune con le nozioni di farmacopea presenti nell’Exp. Probl., ma sono probabilmente anteriori.

Le principali opere astrologiche di Pietro, il Lucid. (redatto tra 1303 e 1310) e il De motu octavae spherae, sono contemporanee al Conciliator e all’Exp. Probl. Poco diffusa la prima (3 manoscritti; un quarto, il Marciano lat. VI. 156 [2672], che conteneva l’opera, è attualmente mutilo di tale sezione), maggiormente la seconda (12 testimoni noti, in due redazioni diverse, una vicina all’originale, la seconda ricollegabile a un redattore attivo verso il 1385; lista in Federici Vescovini, 1992), i due testi costituiscono il fondamento del pensiero astrologico di Pietro, e puntano soprattutto alla giustificazione del fondamento razionale di questa scienza. In particolare, il Lucid. affronta in sei differentiae questioni fondamentali per lo studio degli astri, tra cui la scientificità dell’astronomia, il moto dei corpi celesti, o il numero delle sfere. Il De motu octavae spherae, invece, è dedicato alla questione della precessione degli equinozi causata dall’inclinazione dell’eclittica. Il trattato contiene anche indicazioni riguardo alla costruzione di un astrolabio (una delle possibili ragioni del suo successo), e una discussione sulle diverse tipologie di moto celeste in relazione con la connessione delle sfere, attraverso cui le virtù vengono trasferite da elementi superiori a elementi inferiori (Federici Vescovini, 1992, p. 344).

Le traduzioni di Pietro più studiate sono quelle dei testi galenici e, a eccezione del completamento della Methodus medendi tradotta da Burgundio Pisano nei soli libri VII-XIV, riguardano testi minori del corpus galenico, e non ebbero grande diffusione manoscritta (lista dei codici in D’Alverny, 1985; Fortuna, 1998). Rapidamente eclissate dalle versioni di Niccolò da Reggio, presentano un’elevata fedeltà al testo greco, ma anche una rigidità espressiva forse ricollegabile alla scarsa conoscenza della lingua, e un complessivo carattere ‘amatoriale’, nella scelta dei testi e nella resa del contenuto. Sono problematiche la datazione (ante 1303, per le citazioni presenti nella prima redazione del Conciliator; il termine post quem è sconosciuto), e il testo greco di riferimento (forse i mss. Marciano gr. 276 e Marciano gr. 282, o Modena, Mut. gr. 109). Mancano studi sulle versioni (stampate a Venezia nel 1507, e peraltro di dubbia attribuzione) delle opere di ibn Ezra.

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