CRISTIANI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

CRISTIANI, Pietro

Luisa Bertoni

Nacque a Varese Ligure (La Spezia) il 2 ag. 1704 da Pietro Giulio e da Anna Aquileia Carranza, e ricevette il battesimo il 24 dello stesso mese. Suo fratello Beltrame ebbe un ruolo importante nella vita politica italiana in quanto fu gran cancelliere della Lombardia austriaca e governatore di varie città del ducato di Milano. La famiglia versava in gravi strettezze economiche e nel 1706 il padre accettò le giudicature nei feudi dei Doria di Carrega, Santo Stefano e Ottone. Dal 1713 al 1718 il C. studiò a Genova presso i padri delle Scuole pie; in seguito si trasferì a Parma per completarvi gli studi, e si laureò assai più tardi, il 5 genn. 1746, a Lucca in utroque iure. Nel 1725 vestì l'abito clericale e il 6 ott. 1727 fu ordinato sacerdote. Da quell'anno fino al 1731 fu cappellano a Ferriere, arciprete a Borgonovo, finché nel 1740 fu nominato vicario generale della diocesi di Piacenza nel cui Consiglio cittadino sedeva Beltrame.

Nel corso del sec. XVIII Piacenza, unita a Parma in ducato, era passata attraverso vicende turbinose: occupata dagli Austriaci nel 1736, il ducato divenne di fatto una provincia del Milanese. Durante la guerra di successione austriaca il trattato di Worms (1743) assegnò al re di Sardegna Carlo Emanuele III Piacenza col territorio fino al Nure.

Negli anni dell'occupazione sabauda il C., allora vicario., seppe guadagnarsi il favore dei nuovi governanti. Parlando del principe Eugenio, il C. lo esaltava come "il massimo generale del suo tempo" e, in occasione della visita a Piacenza di Carlo Emanuele III, egli scriveva "non esservi... corte dell'Europa uguale ad essa nel prendere le più esatte cognizioni si per le cose domestiche che per le straniere" (Mesini, p. 28); tanto che, morto il 5 nov. 1746 il vescovo Gherardo Zandemaria, il funzionario sardo A. F. Benso conte di Pramolo si informò sugli eventuali diritti di nomina spettanti alla Corona e brigò presso il pontefice affinché il, C. succedesse sulla cattedra vescovile. Grazie a tali laboriosi maneggi il C. fu eletto vescovo di Piacenza il 10 apr. 1747 e il 16 aprile ricevette a Roma la consacrazione e il titolo di assistente al soglio pontificio. Ma si era compromesso troppo col governo sabaudo e, appena ebbe sentore che la pace di Aquisgrana avrebbe portato i Borboni a Piacenza, ne rimase costernato, e, prima dell'arrivo degli Spagnoli, partì dalla città, rimanendo a lungo assente. Ciò provocò un grave turbamento nella Chiesa piacentina, tanto che sorsero controversie di precedenza alle prediche quaresimali tra il capitolo e il Consiglio di giustizia. Solo il 24 sett. 1748, quando si assicurò che le relazioni tra Borboni e Savoia erano amichevoli, il C. fece solenne ingresso nella città; nello stesso anno quindi Piacenza ebbe un nuovo vescovo e un nuovo signore.

Il C. non era ancora stato eletto che nel 1747 era stata rinvenuta presso l'attuale Macinesso la Tabula alimentaria in bronzo dell'imperatore Traiano nel luogo ove sorgeva l'antica Velleia. Su di essa si accentrò l'interesse di vari collezionisti, primo fra tutti di Benedetto XIV. Alla notizia del ritrovamento il papa scrisse quattro lettere al C. perché assicurasse ai Musei Capitolini il possesso della tavola. Per esaudire il desiderio del pontefice il C. dovette contrastare l'interesse di vari privati, finché, grazie anche all'intervento e alla generosità dei Savoia, Benedetto XIV poté entrare in possesso della tavola che, come scrisse al C., non volle però a Roma, ma destinò all'erigendo museo di Parma.

Il fratello del C., Beltrame, si fece tramite per un allineamento in senso filoaustriaco del ducato di Parma e Piacepza e per accattivare le simpatie di Vienna ai nuovi duchi di Parma, e spesso il C. fu mediatore in quest'opera diplomatica, come, ad esempio, nell'agosto del 1749 quando avvertì, a nome del fratello, il núnistro Du Tillot che a Milano si stava preparando un provvedimento per impedire l'esportazione di generi commestibili nel Piacentino. L'azione di Beltrame Cristiani portò anche alla conclusione del matrimonio tra Isabella di Borbone, figlia di Filippo, e l'arciduca Giuseppe d'Austria, che, essendo la sede vescovile parmense vacante, fu celebrato a Parma il 7 sett. 1760 dal C. il quale, per l'occasione, ricevette da Maria Teresa una ricca croce e un anello con diamanti e smeraldi.

Importanti furono, sotto il governo di Filippo, le riforme del ministro G. Du Tillot, che si dedicò a risanare l'erario dissanguato dalle eccessive spese e dalla cattiva amministrazione dei governi via via succedutisi. Piacenza aveva nei confronti di Parma un ruolo subordinato nella politica del ducato; di qui le critiche che il Du Tillot si ebbe dai Piacentini che si sentivano dimenticati e costretti a sacrifici in vantaggio di altri; ciò avvenne soprattutto quando le rendite dei conventi soppressi di Piacenza furono aggregate agli ospizi di Parma. Di fronte all'opera riformatrice del Du Tillot, il C., unitamente al vescovo di Parma, cercava di correre ai ripari.

Per quanto riguardava la moralità del clero il 2 genn. 1748 egli aveva pubblicato un editto sottolineando che, accanto a sacerdoti esemplari, non mancavano quelli di vita trascurata e licenziosa e per sanare tale situazione emanò una serie di norme. Nella sua corrispondenza col ministro il C. continuamente illustrava gli sforzi da lui compiuti per punire gli scandali ed impedire ad alcuni ecclesiastici di portare armi proibite e si lagnava dell'insubordinazione degli abati degli Ordini regolari. C'era poi gravissima la questione delle immunità, che danneggiava la sicurezza pubblica e la giustizia, assicurando l'impunità ai colpevoli. Sin dall'aprile 1749 il C. dovette assicurare il duca della sua cooperazione per combattere tali abusi. Senonché non poté far altro che condurre i responsabili dei reati nelle chiese di campagna (dove erano meno. pericolosi, trovandosi in Comunità meno numerose, ma da dove potevano più facilmente fuggire), e i casi più gravi nelle carceri vescovili. Per consegnare i colpevoli al foro comune, occorreva decidere se il delitto godesse o meno dell'immunità, e tale decisione dipendeva dalla curia vescovile, giudice e parte. Bisognava arrivare quindi ad un accordo sull'esempio di quelli stipulati con la S. Sede da Torino e da Napoli.

Di non minore danno per lo Stato erano le immunità fiscali dei benefici ecclesiastici; ma di fronte a tali problemi il C. e il vescovo di Parma si limitavano ad esortare il clero aspettando le decisioni di Roma. I primi approcci furono tentati nel 1752, senza approdare ad alcuna decisione: il 19 nov. 1753 il C. riferiva al Du Tillot di aver appoggiato a Roma le richieste del governo. Poiché la Chiesa del Piacentino possedeva ben i due quinti delle terre, il Du Tillot fece chiedere al pontefice che i beni divenuti ecclesiastici dopo il 1556 venissero sottoposti a tutti i carichi fiscali; ma anche a questa richiesta non venne data risposta concludente. Le relazioni con la S. Sede si inasprirono nell'autunno 1755, quando Roma, che considerava sempre il ducato come territorio della Chiesa, pretese di estendere ai parroci il pagamento del sussidio delle galere. Il Du Tillot intimò ai vescovi di astenersi dal mettere in pratica la volontà di Roma, e il C. fece sapere attraverso il suo vicario che avrebbe obbedito al governo. Nella primavera del 1756 il Du Tillot fece studiare da teologi e giuristi la possibilità di adottare la legislazione toscana contro le manimorte. La risposta di Roma fu particolarmente dura e per il piccolo ducato si apriva la strada del conflitto con la S. Sede.

Se la S. Sede aveva una posizione intransigente, lo stesso non può dirsi per il C.; egli si era dimostrato sempre deferente verso il duca in un patetico tentativo di tenere i piedi in due staffe, forse anche perché accanto al C. il Du Tillot aveva messo come consigliere onnipotente il vicario della diocesi, don Alessandro Silva, suo fedelissimo. Anche Giuliano Bertani, il nuovo cancelliere, fu messo, vicino al C. per indirizzare le sue decisioni. E fu così che quando la commissione cardinalizia preposta alla revisione dell'immunità richiese l'opinione dei vescovi del ducato, il C. rispose nel modo desiderato dal Du Tillot, avendo precedentemente interpellato G. M. Schiattini, presidente del supremo Consiglio di giustizia a Piacenza.

Il C. morì il 21 ott. 1765 a Piacenza e la sua morte offrì una nuova occasione di scontro con Roma al Du Tillot.

Il 10 ottobre infatti il governatore di Piacenza Giordani aveva avvisato il ministro che il C. era in pericolo di vita e che in caso di morte il succollettore apostolico avrebbe subito preso possesso dei beni della mensa. Il ministro rispose che il succollettore doveva informarsi dello stato delle finanze del C., sigillare gli appartamenti dei palazzo e prendere in consegna i libri contabili. Tali ordini si rivelarono all'atto pratico diffidilmente attuabili senza dare adito ad un nuovo conflitto con Roma. Il Du Tillot si limitò quindi a dare indicazioni sul nome del successore del C., ma anche su questo punto fu costretto a cedere, preferendo una politica di accomodamento su una questione di poco momento per aver via libera in questioni sostanziali di riforma.

Tra il 1750 e il 1753 il C. aveva scritto le sue Memorie, tuttora inedite, dedicandole ai nipoti. Lo stile è inelegante e non sempre corretto e l'ordine cronologico non è sempre scrupoloso. Le Memorie (di cui esistono due copie, una a Milano all'Ambrosiana, l'altra in possesso di G. Lalatta di Parma) si interrompono al 1748. Il loro maggior interesse consiste nelle notizie che il C. fornisce sul cardinal Alberoni, sulla parte avuta da costui nelle nozze tra Filippo V ed Elisabetta Farnese, sul suo allontanamento dalla Spagna, sul processo subito e sulla sua morte.

Il C. aveva avuto rapporti con alcum eruditie letterati del tempo. Nell'estate del 1743 aveva incontrato L. A. Muratori a Saliceto San Giuliano, presso Modena; un secondo incontro avvenne a Roma nel 1748quando il C. vi si recò per la consacrazione episcopale. Egli fu in contatto epistolare anche con il conte G. M. Mazzuchelli (due lettere del C. del 1761in Bibl. Apost. Vaticana, ms. Vat. lat. 10.005, I, ff. 92-93).

Fonti e Bibl.: F. Giarelli, Storia di Piacenza, II, Piacenza 1889, pp. 21 ss.; O. Masnovo, La tavola alimentare di Velleja, Benedetto XIV e G. Du Tillot, in Boll. stor. piacentino, VIII (1913), 3, pp. 97-112; Id., La corte di don Filippo di Borbone..., in Arch. stor. per le prov parmensi, n.s., XIV (1914), pp. 165-205 passim, U. Benassi, G. Du Tillot, un ministro riformatore dei sec. XVIII, ibid., XV(1915), pp. 44 s.; XVI (1916), pp. 272, 289, 291, 294 ss., 301; XXIV(1924), pp. 45 s., 59 s., 85 s., 148 ss.; E. Nasalli Rocca, Piacenza sotto la dominazione sabauda..., Piacenza 1926, pp. 15, 36 s., 46 ss., 66; H. Bedarida, Les premiers Bourbon de Parme..., Paris 1928, p. 42; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 1, Roma 1933, p. 129; C. Mesini, Le Memorie di mons. P. C. vescovo di Piacenza, in Boll. stor. Piacentino, XXXIV(1939), pp. 22-28; L. Mezzadri, Il collegio Alberoni di Piacenza, Roma 1971, ad Indicem; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica..., VI, Patavii 1958, p. 341.

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